[cronologie di guerra] 02.03.04 quattordicesimio giorno
si ringrazia in particolare il manifesto e tutti le persone che vi collaborano per il prezioso aiuto.
02 aprile 2003 : quattordicesimo giorno [fonti : quotidiani del 3 aprile 2003]
"Missili su un ospedale di Baghdad Distruzione e morte nel reparto maternità La guerra preventiva li ammazza già sul nascere Reportage dall'ospedale di Hilla tra le vittime della penultima strage I medici raccontano: usano le bombe a grappolo Terrore dal cielo anche a nord: ventun morti nel villaggio cristiano di Bartala Crepe tra Blair e Bush sul dopoguerra Il premier britannico contro un protettorato Usa e contro le minacce di Rumsfeld a Siria e Iran Saddam Hussein riappare in televisione" [MAN]
"BAGHDAD «La battaglia per Baghdad è cominciata». Gli invasori anglo-americani accelerano l'avanzata e le avanguardie sarebbe ormai a una trentina di km dalla periferia sud della capitale irachena dopo durissimi scontri e bombardamenti sulla Guardia repubblicana. Manovra tenaglia: da Karbala, sull'Eufrate, a sud-ovest, e da Kut, sul Tigri, a sud-est, dove sarebbe stata distrutta la divisione Baghdad della Guardia. Ma gli iracheni smentiscono. BOMBARDAMENTI Altro tragico errore (?) dei bombardieri americani su Baghdad che ieri avrebbero colpito il reparto di maternità della Mezzaluna rossa e anche auto e persone in fuga. Usate anche, non per errore, le micidiali bombe a grappolo. Gli iracheni parlano di 24 morti nelle ultime 24 ore di cui 10 solo a Baghdad. IL SOLDATO JESSICA Grande risalto mediatico alla storia del soldato Jessica Lynch, la diciannovenne americana che era stata catturata dagli iracheni il 23 marzo. Un commando Usa ha fatto un'incursione nell'ospedale di Nassiriya in cui era ricoverata. Dove ha trovato anche un certo numero di cadaveri, «probabilmente» di marines dispersi. IRAQ DEL NORD Pesanti bombardamenti anglo-americani su Kirkuk e Mossul. Almeno 21 civili morti, secondo la tv al-Jazeera, nel villaggio cristiano di Bartala, a una quindicina di km da Mossul. BASSORA Un fiume di civili sta fuggendo da Bassora, accerchiata dagli inglesi ma non ancora caduta. SADDAM HUSSEIN Nuovo messaggio televisivo del Rais, il terzo in meno di 24 ore. Ma neppure stavolta è comparso di persona sugli schermi. Gli americani continuano a sperare che sia ferito o morto. COLIN POWELL Il segretario di stato americano, giunto la sera prima ad Ankara, ha strappato qualche concessione al governo turco (diritto di rifornimento per le truppe Usa) mentre fuori si svolgeva una manifestazione contro la guerra. Oggi sarà a Belgrado e domani a Bruxelles. I MORTI UFFICIALI Americani: 53 e 11 dispersi; inglesi 27 morti; militari iracheni: mancano cifre attendibili; civili iracheni: 677 morti e 5036 feriti." [MAN]
"30 chilometri a Baghdad Le truppe Usa ormai vicine alla capitale irachena, è l'inizio dell'assedio. Con una manovra a tenaglia, i marines avrebbero superato la «zona rossa», la prima cintura di difesa della città, e preso un ponte strategico sul Tigri. I B52 rovesciano ora le bombe a grappolo F. P. Le truppe anglo-americane sarebbero arrivate a poche decine di chilometri da Baghdad, dopo aver lanciato attacchi coordinati su due diversi fronti contro la Guardia Repubblicana e avere attraversato il Tigri. Militarmente parlando, gli alleati avrebbero cioè superarato quella che chiamano la «zona rossa», la prima cintura di difesa irachena di Baghdad. L'operazione segna una svolta sul campo e si può considerare come l'inizio della offensiva definitiva sulla capitale. Per la quale, prevedono alcuni analisti statunitensi, la battaglia sarà comunque lunga: dalle quattro alle otto settimane. Un tempo così incerto che meglio di ogni altra cosa spiega l'incertezza militare di «come» prendere una città abitata da circa cinque milioni di abitanti e difesa da truppe regolari e guerriglieri mischiati alla popolazione. Secondo fonti militari alleate, l'avanguardia delle truppe Usa sarebbe giunta ieri a 30 chilometri dalla periferia sud della capitale irachena, notizia però smentita dal ministero dell'informazione di Baghdad. Le truppe, hanno spiegato i portavoce militari americani, si stanno muovendo con una manovra a tenaglia verso la capitale: a Karbala, 80 chilometri a sud di Baghdad, le truppe d'elite irachene sono state ieri bombardate pesantemente mentre la città è stata circondata, i punti d'accesso sono stati chiusi e i militari americani hanno ripreso l'avanzata verso nord-ovest. Contemporaneamente 170 chilometri a sud-est della capitale, i marines avrebbero conquistato un ponte strategico ad al-Kut, città chiave in riva al fiume Tigri e si preparano a proseguire l'avanzata. Il comando militare a Doha sostiene che qui la divisione «Baghdad» della Guardia Repubblicana è stata sbaragliata. Sia questa notizia che quella della presa del ponte sul Tigri sono state però smentite dagli iracheni.
In questa parallela e reciproca guerra di propaganda, si può solo notare quanto sia strano che un ponte strategico possa essere strappato militarmente senza che il nemico abbia pensato piuttosto di distruggerlo.
L'aviazione americana ha poi utilizzato per la prima volta le bombe a grappolo, le famigerate cluster bomb. Il bombardamento, a opera dei B-52, sarebbe avvenuto in una zona non precisata dell'Iraq centrale contro una colonna di tank iracheni a difesa della capitale. Le bombe a grappolo o a frammentazione contengono a loro volta tante mini-bombe, destinate a devastare i mezzi corazzati ma che, inesplose, provocano morti e feriti tra le popolazioni civili. Nel 1991, nella prima guerra del Golfo, almeno 4000 persone hanno perso la vita in Iraq per gli effetti ritardati della cluster bomb.
Il ministro dell'informazione iracheno Sahaf ha detto ieri che i raid aerei hanno provocato 24 morti e 186 feriti nelle ultime 24 ore, di cui 10 morti e 90 feriti nella sola Baghdad.
Il fronte resta comunque aperto. A Najaf gruppi di iracheni combattono ancora, a Nassiriya le truppe speciali americane hanno liberato una soldatessa di 19 anni, Jessica Lynch, catturata il 23 marzo scorso. Dopo che la Cia aveva fornito le coordinate esatte del luogo dove si trovava la prigioniera, alcuni reparti hanno fatto irruzione nell'ospedale di Nassiriya dove la soldatessa era stata ricoverata dagli iracheni per ferite alle gambe e alle braccia, portandola via.
Nell'Iraq del nord, l'aviazione statunitense continua a martellare postazioni nemiche sia a Mosul che in altre aree del Kurdistan. Il governo di Ankara, ricevendo ieri il segretario di stato Colin Powell per la prima volta dall'inizio del conflitto, ha concesso agli Usa il passaggio sul suo territorio non di truppe d'invasione ma dei rifornimenti per i circa 5000 paracadutisti già operanti oltreconfine. A sud, Bassora continua a restare una città sotto assedio delle truppe inglesi. Molti civili starebbero abbandonandola, scarseggiano acqua e cibo. Ieri i carri armati britannici hanno risposto al fuoco dei mortai iracheni su un posto di controllo della coalizione alle porte della città. Quel che accade a Bassora potrebbe essere replicato presto a Baghdad. Le truppe inglesi, dopo aver circondato la città, avanzano e colpiscono gli iracheni. Ma poi si ritirano, evitando - per ora- di intraprendere attacchi frontali. "[MAN]
"Baghdad, un razzo sulla maternità L'ospedale di maternità della Mezzaluna Rossa colpito durante un attacco aereo nel quartiere Mansour: tre morti, 27 feriti. La popolazione resta sotto tiro: da Bassora ai villaggi presso Mosul, a Kerbala e Najaf. La Croce Rossa: proteggere i civili MARINA FORTI La popolazione civile resta sotto tiro. Un ospedale della Mezzaluna Rossa, reparto maternità, è stato colpito ieri mattina da un missile statunitense a Baghdad. Lo riferiscono diversi testimoni, lo confermano i portavoce della Mezzaluna Rossa, e poi i reporter andati a vedere. In serata il Comitato Internazionale per la Croce Rossa ha parlato di tre persone uccise e almeno 27 ferite. Si allunga così la lista delle vittime civili della guerra - mentre i portavoce del Comitato internazionale per la Croce Rossa si dicono sempre più preoccupati per Nasiriya, Najaf, Kerbala: centri abitati dove sono in corso combattimenti ma nessuno ha notizie precise sulla situazione della popolazione. La Croce Rossa definisce «orrore» quello che si abbatte sugli iracheni. L'attacco aereo sul quartiere Mansour di Baghdad è avvenuto intorno alle 9,30 del mattino, a strade affollate: la corrispondente della reuter arrivata poi sul luogo ha visto almeno cinque automobili carbonizzate in mezzo alla strada. I testimoni dicono che i passeggeri sono morti bruciati nei loro veicoli, ma non sappiamo ancora quanti siano. Residenti e medici dicono che almeno tre missili si sono abbattuti sul quartiere: hanno colpito l'ospedale, il vicino palazzo del commercio e gli uffici dell'Unione dei Farmacisti e degli Insegnanti. Quanto all'ospedale, poteva esere una strage ben peggiore: l'edificio non è stato centrato dal missile ma preso di sbieco, dice un medico della Croce Rossa internazionale andato sul luogo. E per fortuna molte delle pazienti erano state trasferite poco prima in altri ospedali della capitale irachena.
Anche così, la facciata del Red Crescent Maternity Hospital è sfondata, molti soffitti sono crollati - i reporter hanno visto macerie e sangue a profusione. Tre operatori della Mezzaluna Rossa sono stati feriti, ha riferito il dottor Mohammad Ibrahim, medici e infermieri. Tra gli altri un suo collega, il dottor Mohammad Fadel, che si preparava a una normale giornata di superlavoro come da quando è cominciata la guerra. Un suo paziente, andato a chiedere una visita, ha avuto una gamba amputata. Gli altri feriti sono persone che lavorano nell'ospedale o abitano nell'immediata vicinanza.
Il portavoce delle forze Usa in Qatar ha rifiutato ieri sera di commentare l'episodio: «non ne sono a conoscenza». Secondo il comando americano, i raid aerei ieri hanno solo preso di mira il nuovo Palazzo presidenziale nella zona di Al Khark e altri palazzi governativi, bunker e il complesso da cui il figlio di Saddam Hussein, Qusai, comanda la Guardia Repubblicana.
Le notizie sul resto del paese sono frammentarie. I delegati a Baghdad del Comitato internazionale per la Croce Rossa hanno potuto visitare l'ospedale di Al Hilla, ma non hanno ancora notizie dirette dagli altri centri urbani in cui sono in corso combattimenti. Nel nord, la situazione resta stabile nei distretti sotto amministrazione kurda (La Croce Rossa ha una delegazione a Arbil), ma nessuno sa dire con precisione cosa succeda a Kirkuk, Mosul, e le zone circostanti, rripetutamente bombardate.
Bombe sul villaggio
Solo ieri è stata diffusa (da Al Jazeera e dall'agenzia France Presse) la notizia che un villaggio a ovest di Mosul, Bartala, è stato colpito da un intenso bombardamento aereo il 31 marzo. E' un villaggio a maggioranza cristiana. Le immagini di Al Jazeera mostrano una decina di case distrutte e residenti desolati: contano 13 morti e una trentina di feriti, e dicono che non ci sono strutture militari nel loro paesetto.
Un altro allarme è quello lanciato dall'Unicef: gli addetti del Fondo dell'Onu per l'infanzia sono arrivati con alcuni convogli di aiuti nel sud dell'Iraq, a Zubayr e località vicine. Hanno visto che le forze anglo-americane distribuiscono agli abitanti le «Razioni umanitarie giornaliere», pacchetti di cibo: quelle razioni sono impacchettate nella plastica gialla, lo stesso colore e dimensioni delle bombe a grappolo che restano a terra inesplose. Così chi vede un pacchettino giallo è indotto a prenderlo - ma se è il pacchetto sbagliato esplode. Proprio come era successo in Afghanistan.
Cannoneggiamenti e attacchi aerei sono continuati ieri per tutto il giorno a Bassora: in centro, in zone residenziali. Lo riferisce il corrispondente di Al Jazeera. La seconda città irachena, capitale del sud a maggioranza sciita, un milione e mezzo di abitanti, è di fatto sotto assedio dall'inizio della guerra.
Al Jazeera nel mirino?
La televisione satellitare araba è l'unico media straniero presente in città (l'unico autorizzato dal governo iracheno prima dell'inizio della guerra): attraverso i suoi corrispondenti sappiamo che da un paio di giorni i cannoneggiamenti sono diventati più intensi, e che gli ospedali sono pieni di feriti e vittime. Ieri Al Jazeera ha mnostrato che anche l'hotel Sheraton è stato colpito, in pieno centro: in questo momento vi alloggiano solo loro, i tre inviati e tecnici della tv araba. Così la direzione del canale satellitare in Qatar ha inviato una lettera di protesta al Pentagono, e si appella a entrambe le parti a garantire la sicurezza dei giornalisti (viene alla mente l'ufficio di Al Jazeera bombardato a Kabul durante la guerra afghana: anche là era l'unica tv presente).
L'unica buona notizia, per gli abitanti di Bassora, è che ieri la quantità d'acqua pompata nell'acquedotto è quasi normale: sono riuscite le riparazioni ai generatori d'emergenza all'impianto di Wafa al Qaed. Martedì l'Unicef aveva segnalato alcuni casi di colera, ma il Comitato internazionale della croce Rossa precisa che «per fortuna non ci sono al momento indicazioni di possibili epidemnie». Ma la temperatura di giorno ormai raggiunge i 37 gradi... La Croce Rossa ha cominciato a rifornire con autobotti anche le cittadine a sud di Bassora, a cominciare da Zubayr.
Ai cannoneggiamenti si aggiungono i combattimenti attorno alla città - ieri uno scontro di particolare violenza è avvenuto a sud. Ma Al Jazeera parla anche di incursioni fin dentro all'abitato. Questo non impedisce a centinaia di persone di riversarsi fuori dalla città ogni mattina a cercare oprovviste, per poi rientrare. Il vai e vieni degli abitanti di Bassora è spiato con golosità dalle decine di giornalisti occidentali, appostati attorno alla città con le truppe. Gli abitanti riferiscono che il controllo dell'amministrazione e del regime resta saldo. Molti aggiungono che negli giorni le milizie fedeli al partito Baath hanno aumentato la pressione sulla cittadinanza: secondo notizie e voci raccolte dalla reuter i miliziani girano in uniforme con mitragliette e lanciarazzi, e con gli altoparlanti invitano la popolazione a combattere gli invasori. Altri dicono che sono aumentati gli arresti di oppositori. Di solito le stesse persone esprimono anche grande esasperazione, e ostilità verso le truppe assedianti." [MAN]
"I sopravvissuti di Babele Viaggio a Hilla, l'antica Babele, dove le bombe a grappolo degli americani hanno ucciso 67 persone e ferito orribilmente 250. «Il cento per cento civili», dice il chirurgo. «Da giorni - racconta la madre di due bambine colpite alla testa dalle schegge - sentivamo gli aerei volare sopra di noi. Ma non pensavamo di essere colpiti. Nel nostro villaggio non ci sono obiettivi militari. Non siamo soldati». La rabbia degli sciiti: distrutti i nostri luoghi santi GIULIANA SGRENA INVIATA A HILLA Poco più di sessanta chilometri separano Baghdad dall'antica Hilla, più nota come la mitica Babilonia, capitale del famoso regno di Hammurabi e successivamente dell'impero di Nabucodonosor. Anche se ormai siamo abituati ai bombardamenti che colpiscono Baghdad notte e giorno, man mano che ci allontaniamo dalla capitale si avverte che la guerra è sempre più vicina, quella combattuta non solo dal cielo ma anche sul terreno. Prima si avverte una presenza militare irachena nascosta dietro le trincee che non sono più riempite di petrolio dato alle fiamme, come intorno a Baghdad, ma di uomini e armi; poi si trovano campi militari veri e propri con i soldati. Mentre passiamo, la contraerea sta sparando. La strada tuttavia è trafficata e il mercato di Mahmudia è affollato anche di molte donne, quelle che non si vedono quasi più nelle strade della capitale. Avvicinandoci a Hilla si incontrano villaggi dall'aria un po' più "primitiva" o forse è solo una suggestione provocata dall'approssimarsi a un luogo leggendario, che avevamo visitato alla vigilia di un'altra grande minaccia per i siti archeologici, la guerra del Golfo del 1991. Dei monumenti che avevano segnato gli antichi splendori della città restava poco più delle fondamenta già allora, il materiale da costruzione usato a quei tempi non aveva favorito la conservazione e poco convincente è risultata la ricostruzione voluta da Saddam Hussein. Comunque ora non c'è tempo per verificare gli effetti di quella guerra e nemmeno per cercare di riscoprire il fascino del passato di Babilonia.
La nostra meta è un'altra: l'ospedale di Hilla, dove sono ricoverati i feriti sopravvissuti al massacro provocato dal massiccio bombardamento anglo-americano di lunedì scorso. Fin dall'entrata, già l'atrio dell'ospedale è pieno di feriti, medici, flebo, garze insanguinate. Questo è solo il pronto soccorso, gli ultimi arrivi, ferite di vario tipo, lo spettacolo più raccapricciante lo riservano le corsie dei piani superiori. Al terzo piano stanze piene di feriti: alcuni hanno già avuto arti amputati, altri li avranno inevitabilmente. Ferite su tutto il corpo, più o meno gravi, sangue, puzza. «Non abbiamo nemmeno i mezzi per la sterilizzazione, si rischiano infezioni, mancano i medicinali», confessa il dottor Ali al-Katib, capo del dipartimento chirurgico. Altri ricoverati, quelli più gravi potrebbero andare ad aggravare il bilancio dei "martiri": «Finora sono 67, oltre 250 i feriti, il cento per cento civili», afferma il medico. E conferma che la maggior parte dei feriti sono stati colpiti da cluster bombs. «Non si tratta di bombe che si usano contro i carri armati ma contro la popolazione, sono bombe anti-persona: si vuole terrorizzare la gente», commenta un altro medico, il dottor Dhigà Ali.
Hamid Khalil Hamza, 21 anni, giace su un letto avvolto in una coperta, è assistito dal padre Khalil ma poi arrivano anche degli amici, ha la gamba maciullata fasciata alla bella e meglio in una garza piena di sangue. La loro casa, come altre del villaggio di al Ghaliz, a 5 chilometri da Babilonia, è stata bombardata lunedì verso mezzogiorno. In un altro letto, un vecchio con un braccio fasciato tossisce insistentemente. Ci sono anche alcuni sopravvissuti dell'attacco al pulmino di el Kifl, giovedì scorso. Sedici i morti, tra cui donne e bambini, che andavano a seppellire una loro congiunta a Najaf. Ali è sopravvissuto ma ha un braccio tagliato e l'altro conciato male, anche una gamba è in cattive condizioni.
Al quarto piano donne e bambini. In una corsia, accovacciata per terra una madre nascosta sotto un velo nero, intorno a lei le cinque figlie, abbandonato fra le sue braccia, il bimbo più piccolo, due delle ragazze, le più gravi, sono distese sul letto, per le altre non c'è più posto. Tutte, madre compresa, mostrano le tipiche ferite da cluster bomb, sul collo, le braccia, le gambe. Una ha un buco più profondo sulla gamba distesa su una garza tutta imbevuta di sangue. Vengono da Nadir, un quartiere popolare di Hilla, da dove arriva anche Nidhal Adi, 48 anni, insegnante nella scuola secondaria Gaza, che si trova poco lontano da casa sua, sta assistendo la figlia, Razad Hakim, di 20 anni. E racconta: «Lunedì mattina erano da poco passate le dieci quando abbiamo sentito una forte esplosione, schegge dappertutto, alcune hanno colpito me, altre, più gravemente, mia figlia al petto. L'abbiamo subito portata qui». Nidhal ha un altro figlio di sei anni, l'ha lasciato con la nonna, il marito è morto e mostra il velo nero che porta in segno di lutto. E' una donna molto vivace e protesta: «Perché vogliono distruggere la mia famiglia? Io non ho niente a che vedere con il governo, perché ci bombardano?».
Già, perché colpiscono bambini come Burgham Alì, 3 anni, che giace sul lettino con il ventre aperto, il capo bendato e un occhio perduto? Non piange nemmeno. I genitori raccontano, la solita storia che si ripete, questa volta a Hindiya, a metà strada tra Hilla e Kerbala, dove ci sono state numerose vittime. Marianne, 10 anni, e Huda, 5, due sorelline, stavano giocando davanti a casa nel piccolo villaggio di Twerige, sulla strada verso Kerbala, quando sono arrivate le bombe, racconta Fathma Obeida, la madre di 36 anni. «Ho sentito una forte esplosione e quando sono uscita ho trovato le bambine grondanti di sangue», sono state ferite al capo, entrambe. Anche il marito è stato colpito, lui è grave, si trova in terapia intensiva, in un'altra corsia.
Vi aspettavate un attacco di questo tipo? «Da giorni, 24 ore su 24, sentivamo gli aerei americani volare sopra di noi, sempre più bassi, ma non pensavamo di essere colpiti, nel nostro villaggio non ci sono obiettivi militari, non ci sono soldati», sostiene Fathma, sconsolata per la sorte delle due splendide bambine che si tengono strette mentre sono bersagliate dai fotografi. Una dopo l'altra, tutte le corsie sono zeppe di feriti, più o meno gravi, donne, bambini, giovani, anziani. Una donna settantenne, ferita ad un braccio, non ha nemmeno voglia di parlare.
Tante vittime. Ma voi vi trovate sulla linea del fronte, a pochi chilometri da Kerbala e le truppe anglo-americane dicono di aver deciso di procedere l'avanzata verso Baghdad lasciando fuori la città santa? chiediamo a un medico. «Non siamo sulla linea del fronte non abbiamo visto militari, abbiamo sentito solo gli aerei e le bombe», risponde il dottor Ali al-Khatib.
Gli aerei anglo-americani che volano sempre più bassi rischiano di provare gravi danni anche ai luoghi santi che ospitano i santuari del quarto califfo Ali, capostipite degli sciiti, che si trova a Najaf, e dei suoi due figli, gli imam Abbas e Hussein, a Kerbala. Non è certo il modo migliore per cercare di essere ben accetti dagli sciiti iracheni e un danneggiamento dei luoghi santi, meta di pellegrinaggio anche degli iraniani - in stragrande maggioranza sciiti - potrebbe persino provocare problemi all'opposizione del Consiglio per la rivoluzione islamica in Iraq con base a Tehran che appoggia l'intervento anglo-americano. Peraltro, gli sciiti iracheni, quelli che vivono qui, non si fidano delle promesse americane. «Abbiamo imparato dal 1991», ci ha detto qualche tempo fa un imam della moschea Abbas, allora gli americani avevano favorito la rivolta degli sciiti ma poi li hanno abbandonati di fronte alla sanguinosa repressione di Saddam.
Che il terreno sciita non sia favorevole agli invasori lo dimostra anche il fatto che le truppe avrebbero deciso di avanzare verso Baghdad senza occupare le città del sud. L'assedio si sta stringendo intorno alla capitale, non sappiamo se veramente le truppe siano alle porte come dice il Pentagono - il regime iracheno smentisce -, ma sicuramente i bombardamenti sono pesantissimi. Abbiamo visto i missili cadere sulla strada di ritorno da Hilla e poi, rientrati a Baghdad, nel pomeriggio il rumore dei cacciabombardieri si è fatto sempre più intenso. Numerosi gli obiettivi colpiti vicino a luoghi civili, ospedali, un centro di riabilitazione. Soprattutto è stata danneggiata la sede centrale della Mezzaluna rossa a al Mansour, che coordina anche l'attività delle varie Ong presenti in Iraq. Ieri mattina, verso le dieci, i missili hanno colpito un grande magazzino adiacente alla sede della croce rossa irachena, distruggendo oltre al deposito - dove pare ci fossero anche medicine - sette macchine che passano per la strada e l'onda d'urto ha mandato in frantumi i vetri, distrutto le suppellettili, i computer, gli schedari che si trovavano dentro la sede dell'organizzazione umanitaria. A denunciare l'accaduto è il dottor Hisham al-Saadun, direttore della Mezzaluna rossa. Dentro l'edificio si trovava anche Mohammed, il coordinatore del Ponte per Baghdad che lavora appunto in collaborazione con l'istituzione irachena. Mohammed è stato travolto mentre scendeva per le scale, riportando, per fortuna, solo escoriazioni, secondo quanto ci ha riferito Simona Torretta, rappresentante dell'associazione italiana. Che denuncia soprattutto il fatto che il magazzino, se questo era l'obiettivo, sia stato colpito di giorno quando dentro la sede della Mezzaluna ci sono almeno una trentina di lavoratori." [MAN]
---------------- BOMBE UMANITARIE ----------------
"Cluster bomb, giallo assassino Human Right Watch: «L'esercito americano usa bombe a grappolo. Sono mine antiuomo» EMANUELE GIORDANA * Quello che era solo un timore, come la denuncia di Amnesty di qualche giorno fa, è ormai realtà accertata. L'esercito americano in Iraq usa «cluster bomb», bombe a frammentazione che, esplodendo, si dividono in centinaia di piccole micidiali «sottobombe» che si spandono sul terreno trasformandosi in mine antiuomo. Una seria minaccia, a conflitto terminato, per la popolazione civile. Perdipiù gialle, dello stesso colore dei kit alimentari che l'esercito inglese «distribuisce» alla popolazione. La denuncia è di Human Rights Watch (http://www.hrw.org), l'organizzazione internazionale con base negli Stati Uniti che in questi giorni ha raccolto prove e testimonianze che inchiodano l'Us Army. Hrw cita soprattutto fonti giornalistiche, ma anche le ricerche eseguite direttamente su filmati video che riprendono operazioni militari. Il Pentagono tace.
Già oggetto di un recente dossier - sempre di Hrw - sulle cluster ritrovate ancora oggi in Kuwait a 12 anni dalla prima Tempesta nel deserto, queste bombe atipiche sono state usate diffusamente anche in Jugoslavia e in Afghanistan, sollevando un mare di polemiche specie per gli effetti ritardati sui civili. Hrw in particolare ne denuncia l'utilizzo «da terra», attraverso l'artiglieria pesante: è stato infatti identificato l'uso del cosiddetto Multiple Launch Rocket System (MLRS) utilizzato da unità dell'artiglieria della Terza divisione di fanteria. Diciotto di queste unità di lancio sarebbero state impiegate in questi giorni con l'utilizzo di proiettili M26 che a loro volta contengono altre 644 sottomunizioni individuali (dette dual-purpose grenades). Lo stesso Pentagono ammette che questo tipo di munizioni ha una possibilità di errore del 16%. L'errore, in questo caso, è il fatto che le sottomunizioni non esplodono: rimangono nel terreno per anni, diventando mine antiuomo in tempo di pace. Per Hrw, ci si può aspettare che in un'area compresa tra i 12mila mq (circa 20 campi di calcio!) e i 24mila mq, 12 Mlrs produrranno qualcosa come 1.200 munizioni inesplose.
Il Washington Post ha parlato anche di razzi tattici (Army Tactical Missile System o Atacms) sparati il 28 scorso a supporto della 101ma divisione aviotrasportata. In questo caso si tratta di 300 o 950 sottomunizioni M74 che hanno però un margine d'errore (inesplosione) «solo» del 2%. Coi video si è anche potuto risalire a una serie di lanci di artiglieria da 155 mm che erano stati descritti da un cronista come una pioggia di «centinaia di granate». Probabilmente proiettili M483A1 e M864 che portano sottomunizioni con un margine d'errore del 14%.
Delle cluster sarebbero rimasti vittime anche due marine in due separati incidenti occorsi il 27 e il 28 marzo scorso. «Gli Stati Uniti non dovrebbero usarle - commenta Steve Goose, direttore della divisone armamenti di Hrw - perché i civili iracheni pagheranno al prezzo della loro vita» un incubo destinato a durare nel tempo. Dalla fine della prima guerra del Golfo le cluster inesplose hanno ucciso o ferito più di 4mila civili. Un prezzo duro è stato pagato anche dal Kuwait. Nel rapporto diffuso sempre da Hrw giorni fa, si ricorda che nel piccolo stato del Golfo ogni anno, dal `91, si ritrovano qualcosa come 2mila cluster Usa inesplose." [MAN]
------- TURCHIA -------
"La Turchia diventa retrovia di guerra Powell ottiene da Ankara il passaggio dei rifornimenti per le truppe in Iraq. In cambio dà garanzie contro la creazione di uno stato kurdo e una zona cuscinetto a «influenza turca» O. C. UUn bacio riparatore. Così è stata descritta dagli Stati uniti la visita del segretario di stato Colin Powell in Turchia. Ma per sanare i rapporti con il prezioso alleato l'amministrazione americana dovrà sprecare ben più di un bacio. Alla conferenza stampa che ieri Powell e il ministro degli esteri (e vicepremier) Abdullah Gul hanno tenuto congiuntamente dopo i colloqui, i volti erano certo più distesi di qualche settimana fa e i toni più concilianti, ma questo non vuol dire che i problemi sono stati risolti. Lo ripetono esplicitamente i commentatori delle televisioni turche che sciorinano frasi fatte che puzzano di nazionalismo e orgoglio patriottico lontano un miglio. «Non abbiamo certo chiesto noi a Powell di venire a farci visita», dicono i telegiornali turchi. «Men che meno abbiamo chiesto udienza agli Usa: sono loro che alla fine hanno bisogno di noi. Sono loro che non possono vincere questa guerra senza di noi». E via di questo passo. Spulciando tra la retorica però emergono alcune cose importanti per il futuro di questo conflitto. Intanto Ankara permetterà che i rifornimenti per le truppe americane nel nord Iraq passino dal territorio turco. Anche gli aiuti umanitari potranno utilizzare la Turchia per raggiungere l'Iraq. Sarà stata una coincidenza ma ieri mattina, mentre Powell era a colloquio con Gul, giungeva la notizia di un convoglio di venticinque camion (non si sa che cosa trasportassero) con targa turca scortato da militari americani. Il convoglio viaggiava verso sud in territorio nord iracheno. Che un qualche accordo fosse nell'aria, dunque, era più che evidente. Rimane da stabilire che cosa gli americani siano pronti ad offrire in cambio dell'aiuto logistico concesso da Ankara. Perchè l'aiuto economico (molto ridimensionato rispetto alle decine di miliardi promesse prima che il parlamento rifiutasse agli Usa il permesso di usare il territorio turco per l'apertura del fronte nord) offerto da Washington non è quello che Ankara cerca. Gli Usa hanno incassato il placet della Nato alla creazione in nord Iraq di una zona cuscinetto di venti chilometri che la Turchia potrà gestirsi praticamente come vuole. Ma è ancora troppo poco per i turchi. Una frase sibillina pronunciata da Powell in conferenza stampa potrebbe essere rivelatrice dell'accordo. «Non permetteremo - ha detto il segretario di stato Usa - che accadano in nord Iraq cose che non sono di gradimento della Turchia». Più criptico di così Powell non poteva essere. Ma la traduzione di una simile frase è una sola: alla Turchia non è di gradimento la creazione di uno stato kurdo indipendente, federato o autonomo. Questo è un dato certo, per difendere il quale Ankara è pronta al conflitto (lo dicono i vertici militari turchi ma anche il governo). Gli americani lo sanno. E anche se hanno evidentemente promesso ai kurdi iracheni qualcosa di molto simile a uno stato kurdo in cambio del loro sostegno, è altrettanto chiaro che gli Usa non possono permettersi un conflitto nel conflitto, con i turchi da una parte e i kurdi dall'altra. E la Turchia a conti fatti pesa di più dei kurdi iracheni.
In questo senso si capisce anche la proposta turca accolta da Powell di creare un comitato di coordinamento Usa-Turchia che avrà il compito di monitorare gli eventi nel nord Iraq, nel senso che i due paesi hanno concordato una serie di «segnali premonitori» che se si verificheranno porteranno all'ingresso di truppe turche nel nord Iraq (fermo restando che l'esercito turco è già presente in forze, almeno quindicimila uomini, al di là della frontiera). Una delle circostanze che potrebbe portare all'invio di truppe turche oltre confine è la presa di Kirkuk da parte dei kurdi iracheni. Una eventualità che ieri Powell ha continuato a ripetere non si verificherà.
Un punto su cui invece il governo turco sarebbe rimasto intransigente, secondo la televisione Ntv, riguarda un allentamento nelle restrizioni sulla vendita di benzina da parte dei kurdi iracheni. La Turchia dice che le entrate di questo commercio potrebbero essere usate dai kurdi per armarsi contro Ankara.
Gli scogli dunque sono ancora diversi. E a nulla è servita la minaccia Usa di legare l'aiuto di un miliardo di dollari alla cooperazione turca nella guerra. La Turchia ha risposto spedendo al confine con l'Iraq altri cinquantamila militari e il premier Recep Tayyip Erdogan ha ripetuto che «la sicurezza nazionale e la salvaguardia dell'unità del paese» sono prioritarie su qualunque altra questione. Erdogan ha anche esplicitamente fatto riferimento al «pericolo terrorismo», inteso come guerriglieri kurdi del Kadek (Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan) che in parte si trovano nascosti proprio nel nord Iraq. " [MAN]
------------------------ SPARTIZIONI CONFLITTUALI ------------------------
"Dopoguerra: Blair si smarca da Bush Il premier inglese, sempre più in difficoltà, cerca una posizione autonoma sul dopo-Saddan: «L'Iraq dovrà essere governato dagli iracheni». Mentre gli Usa pensano a un protettorato-colonia ORSOLA CASAGRANDE LONDRA Il problema principale di Tony Blair in questi giorni è dimostrare al parlamento e all'opinione pubblica di avere il controllo sull'agenda politica che riguarda la ricostruzione dell'Iraq e il governo provvisorio che sostituirà il regime di Saddam Hussein. Poiché però uomini importanti dell'amministrazione americana continuano a far trapelare notizie sull'Iraq post-Saddam Hussein e poiché in questo scenario futuro il ruolo non solo della Gran Bretagna ma del resto del mondo sembra essere del tutto marginale quando non addirittura inesistente, il problema di Blair diventa ancor più complesso. Non potendo liquidare le indiscrezioni come semplici boutade o come la solita megalomania americana, il premier britannico cerca di spiegare che la natura dei suoi rapporti con il presidente Bush è una di partner alla pari. Compito arduo. Blair infatti continua ad avere la maggior parte del paese contraria a una guerra che giorno dopo giorno diventa sempre più difficile (e non solo per la resistenza irachena): ieri nuove proteste dei militari britannici nei confronti dei metodi da «cowboys» dei colleghi statunitensi. Gli inglesi hanno anche contestato che i metodi Usa spaventano la popolazione e in alcune cittadine hanno indossato i berretti al posto degli elmetti che invece gli americani continuano a prediligere. Ieri nella consueta sessione questions&answers alla Camera dei comuni Tony Blair ha sferrato un attacco diretto all'amministrazione americana. Di fronte ai deputati che gli chiedevano lumi sul piano statunitense per il governo transitorio dell'Iraq (ventitre ministri americani coadiuvati da consulenti iracheni, nominati dagli Usa), Blair ha risposto che il governo del dopo Saddam non potrà che essere formato da iracheni. Il premier ha anche lanciato l'idea di una conferenza sponsorizzata dalle Nazioni unite di tutti i gruppi iracheni di opposizione, che dovranno pensare alla ricostruzione del loro paese. La conferenza, sul modello di quella di Bonn che coinvolse l'opposizione afghana, dovrebbe svolgersi durante il brevissimo interregno militare americano. L'idea è evidentemente quanto di più lontano dai piani statunitensi. Rottura in vista tra Usa e Gran Bretagna? O si tratta di un tentativo (piuttosto vigliacco) di riconquistare terreno presso l'opinione pubblica britannica, quella parte di partito laburista che ha accettato la guerra in cambio della promessa di un ruolo cruciale dell'Onu e dell'Europa? Certamente Blair non fa una gran bella figura. Colto evidentemente di sorpresa dalle indiscrezioni sul governo americano per l'Iraq (anche perché era stato a casa di Bush soltanto una settimana fa), il premier britannico rilancia, parlando di una conferenza-fantasma di cui nessuno è al corrente. Come già aveva fatto quando ha cercato di vendere un accordo inesistente per la creazione dei due stati indipendenti di Israele e Palestina (un altro dolcetto per conquistarsi l'opinione pubblica) e poi quando ha spiegato che la ricostruzione dell'Iraq passerà attraverso l'Onu e l'Europa (peccato che Bush abbia fatto sapere che non ha nessuna intenzione di trattare né con l'Onu né con l'Europa), Blair ieri ha cercato di far vedere che il governo è estremamente attivo e che i preparativi per la conferenza dalla quale nascerà il futuro governo iracheno sono già ben avviati. Ieri mattina infatti il ministro degli esteri Jack Straw aveva annunciato di essere in partenza per la Germania dove discuterà con il premier Fischer proprio della conferenza. Interventi dal tono surrealista, fantastico perché era evidente che sia Blair che Straw mentivano sapendo di mentire. Eppure i due hanno continuato a favoleggiare di autodeterminazione del popolo iracheno, dell'impossibilità di avere un governo quasi-coloniale. Straw ha detto che l'obiettivo è «porre la responsabilità sulle decisioni sul futuro politico ed economico dell'Iraq in mano agli iracheni».
Nonostante le ovvie divergenze tra Usa e Gran Bretagna e nonostante le difficoltà sul piano militare, Blair continua a parlare di «vittoria certa», anche se dice che «l'attacco a Baghdad si verificherà quando, e solo quando, saremo pronti». Discrepanze con gli americani sono cominciate ad emergere anche sulle accuse lanciate dagli Usa a Siria ed Iran. Straw, che è stato diverse volte in missione diplomatica in Iran, lo scorso anno, si è affrettato a dire che «non c'è alcuna ragione per pensare ad un'azione contro l'Iran». L'unico commento alle affermazioni di Blair è stato quello di Colin Powell che, dalla Turchia (alla quale ha promesso un ruolo importante nel post Saddam), ha fatto sapere che spiegherà come gli americani vedono il futuro dell'Iraq nell'incontro di oggi con i rappresentanti della Ue e della Nato. " [MAN]
--------- ITALIETTA ---------
"Un Frattini tutto d'un pezzo Per il ministro degli esteri la posizione del governo «non belligerante ma non neutrale», oltre che solidale con gli Usa ma anche con l'Onu, è chiara e coerente. I parà partiti da Vicenza per l'Iraq «non sono andati in guerra» e l'opposizione solleva solo polveroni GIANNI ROSSI BARILLI ROMA Ma quali tentennamenti, contraddizioni e posizioni ambigue. Il governo italiano è sempre stato coerente sulla guerra in Iraq e i parà americani partiti da Vicenza per il Kurdistan iracheno non sono affatto andati in guerra. Se poi ci fossero andati, non ce li ha certo mandati palazzo Chigi, ma casomai il Pentagono con la complicità del nostro parlamento, che ha autorizzato la concessione agli Usa di basi militari e infrastrutture su territorio italiano. Con un coraggio da veterano delle truppe d'assalto, il ministro degli esteri Franco Frattini si è presentato ieri davanti alle commissioni congiunte esteri e difesa di camera e senato per sostenere tesi di questo genere, suscitando non poco scandalo fra gli esponenti dell'opposizione. Sui parà, come si diceva, l'atteggiamento del governo riassunto da Frattini rimane granitico: il loro invio in Iraq non comporta nessun coinvolgimento dell'Italia nel conflitto perché questi mille soldati «non sono arrivati direttamente in una zona di guerra», essendo atterrati in una regione dell'Iraq «fuori dal controllo di Saddam Hussein». La sottigliezza dell'argomento è in effetti in linea con il ruolo di un'Italia «non belligerante ma neanche neutrale» e solidale con gli Usa ma decisa a riaffermare la centralità dell'Onu. Chi si azzarda a dire che questo significa tenere il piede in due scarpe è ovviamente accecato dall'ideologia e dal pregiudizio e mosso solo dalla volontà di creare «polveroni» e «confusione». E'peraltro assurdo, secondo Frattini, accanirsi su un migliaio di bravi paracadutisti quando il vero problema è un altro: «Mentre si alzano forti polemiche sui luoghi di atterraggio dei parà di Vicenza - ha osservato il ministro riferendosi ai recenti arresti di presunti terroristi in varie città - ho sentito poche parole e nessuna denuncia politica sul fatto che estremisti islamici, esperti nell'uso di armi chimiche, pronti a compiere attentati, sono stati inviati in Kurdistan da basi italiane» (ma Frattini non era garantista?).
In ogni caso, il nostro ministro degli esteri, ancor più che di mollare ceffoni all'opposizione, è ansioso di guardare avanti e di avere la sua giusta fetta nell'opera di ricostruzione dell'Iraq, d'amore e d'accordo con le istituzioni internazionali in questo momento fuori gioco: «Oggi esiste la necessità di riaffermare il ruolo dell'Onu e l'impegno dell'Ue nella fase di ricostruzione, o meglio costruzione politica, democratica, economica e sociale a esclusivo vantaggio del popolo iracheno». Non è infine per niente vero, secondo il nostro ministro degli esteri che oggi farà rapporto a Bruxelles direttamente a Colin Powell, che i bombardieri B52 americani vengano riforniti in volo da aerei italiani. Si tratta di fantasie, anche se hanno preso l'aspetto serio di un'interrogazione parlamentare. Gli Usa, comunque, non ci faranno certamente caso.
Prevedibilmente sconsolati i commenti dell'opposizione. Per la deputata dei Verdi Laura Cima, per esempio, «la relazione di Frattini è stata una velina burocratica», mentre la diessina Giovanna Melandri rileva che il ministro «ha ignorato le domande che gli sono state rivolte» a proposito di piccole cose come l'esigenza di creare corridoi umanitari in Iraq o la dottrina della guerra preventiva. Scandalizzato Ramon Mantovani del Prc: «Frattini ha avuto poche parole di cordoglio per le vittime civili e non ha fatto cenno alle violazioni americane di tutti i trattati internazionali».
Una tirata d'orecchi è arrivata anche dal senatore Giulio Andreotti, che ha consigliato al ministro di non utilizzare mai più, a proposito dell'andamento del conflitto, la frase «tutto va secondo i piani prestabiliti». Era la formula di rito, ha spiegato Andreotti, usata dal nostro esercito in rotta durante la seconda guerra mondiale. Non porta molto bene. " [MAN]
|