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Pace e guerra: parole e pratiche di donne
(a cura di Anna Picciolini)
Il gruppo era fra quelli decisi fin dalla riunione romana a metà febbraio.
Il tema sembrava prestarsi ad una discussione propositiva, a partire da
premesse ampiamente condivise. E¹ stata invece una discussione faticosa,
spesso spiazzante, con equivoci addirittura sul senso di alcune parole,
equivoci difficili da dissipare.
Mi accingo quindi a mantenere l¹impegno di verbalizzatrice con una certa
preoccupazione. Chiedo a tutte coloro che hanno preso la parola di non
pensare a un¹intenzionalità negativa se, come può accadere, sarò
approssimativa nel riferire il loro pensiero. E invito tutte a intervenire
con ulteriori contributi.
Celeste Grassi, delle Donne in Nero.
Definisce la pratica del suo gruppo una
pratica radicale per manifestare il dissenso, l¹estraneità. Una modalità di
azione non violenta, molto simbolica. I simboli sono noti: lutto, silenzio,
manine.
Il primo è più evidente; il silenzio segna l¹estraneità, la cesura
con le proprie appartenenze; la manina vuol dire ³stendere la mano² fra
israeliane e palestinesi, ed è anche un modo per ³dire qualcosa,² non solo a
chi passa. Una comunicazione forte nei confronti di chi governa, con
scritte semplici e brevi, la prima era ³Stop all¹occupazione². Per queste
caratteristiche di forma pubblica, forte e semplice, non di massa, è
efficace anche in piccoli numeri. E¹ anche una forma permanente di
manifestazione, le donne israeliane continuano ancora, dal 1988. Questo,
sapere cioè che altre donne manifestano, dà forza a ciascun gruppo.
Così si è formata una rete internazionale di donne: essere oggi nelle strade
ha una valenza straordinaria contro la guerra che è diventata una cosa
ordinaria. E¹ un¹utopia.
Accanto a questa utopia ci sono però anche iniziative reali contro la
guerra. Questo fà sì che non siamo solo ³icone². Caratteristica comune alle
nostre iniziative è la capacità di attraversare i conflitti e i confini, di
visitare e abitare i luoghi difficili.
Per prepararsi a Parigi le Donne in
Nero stanno organizzando un convegno internazionale il 27/31 agosto: ³osiamo
la pace, disarmiamo il mondo².
Anna Picciolini, dell¹Associazione Rosa Luxemburg.
L¹Associazione nasce nel
contesto della Convenzione permanente di donne contro le guerre, con
l¹obiettivo di lavorare per costruire una cultura e una pratica politica che
escluda la guerra come strumento di soluzione dei conflitti.
Il nome di Rosa
Luxemburg è stato proposto di Lidia Menapace: per alcune di noi all¹inizio
questo era poco più di un nome nella bibliografia essenziale del marxismo.
Abbiamo invece scoperto a poco a poco una profonda consonanza. Nel seminario
che si tenne a Firenze nel dicembre 2001, a tre mesi dalla Torri gemelle e
alla vigilia della guerra in Afganistan, la figura di Rosa è uscita sempre
meglio delineata, nella sua interezza di donna, capace di tenere insieme
passione politica, lucidità di analisi teorica e sentimento forte di
partecipazione alla vita, nella sua dimensione quotidiana e non solo nella
tensione rivoluzionaria verso un mondo migliore.
Donna, e contro la guerra: sarebbe una forzatura chiamarla femminista, ma fu
donna libera con una pratica di libertà e un pensiero antidogmatico; forse
anche la definizione di pacifista sarebbe inadeguata, ma fu antimilitarista,
denunciando il legame inestricabile fra militarismo e capitalismo. E quindi
il seminario di Firenze allargava lo sguardo sulla guerra oggi: quali i
rapporti fra l¹industria militare in cerca dei massimi profitti e l¹economia
della globalizzazione? E quale soggetto politico può opporsi a questo nuovo
imperialismo?
Al Social Forum Europeo dello scorso novembre, abbiamo partecipato
proseguendo la riflessione su alcune parole chiave: ordine/disordine;
estraneità/infedeltà, resistenza, complicità/responsabilità.
Adesso, nel percorso che da Firenze 2002 va a Parigi 2003, stiamo
preparando, per il prossimo mese di ottobre un seminario sul conflitto, su
come il conflitto si presenta in diversi contesti e come si possono trovare
modalità non distruttive per gestirlo: conflitto di genere e interno al
genere; conflitto fra stati e fra etnie; conflitto di classe; conflitto fra
la specie umana e la natura.
Imma Barbarossa, della Convenzione permanente di donne contro le guerre.
Parte da una frase di Christa Wolf, da Cassandra ³In seguito abbiamo
dimenticato tutti come cominciò la guerra². Questa frase serve ancora oggi a
dimostrare come nel senso comune si sia oscurato il carattere drammatico
della guerra: è diventata una cosa naturale.
Ricorda la pratica delle Donne in nero, da lei condivisa dal 1988, pratica
fondamentale nella sua formazione. ³Poi non mi è bastata². Durante la
³guerra umanitaria² in Kossovo, ha contribuito alla nascita della
Convenzione. La parola mette l¹accento sul ³convenire², ed è permanente,
perché oggi è permanente lo stato di guerra. Il braccio armato del
neoliberismo.
Più recentemente le due guerre, in Afganistan e in Iraq, accomunate
dall¹idea che la democrazia possa essere esportata con le armi.
Nel percorso
della Convenzione è centrale la ³critica dell¹appartenenza² (maturata, per
quanto la concerne, nelle Donne in Nero) come critica dell¹ordine
patriarcale.
Oggi la Convenzione lavora su due punti: 1) l¹Europa come ³soggetto attivo
di pace², non cittadella chiusa, ma di cui sia possibile attraversare i
confini; c¹è una proposta di inserire nella Costituzione europea un primo
articolo che contenga il ripudio della guerra (art.11 della nostra
Costituzione) e una proposta di definire una cittadinanza universale,
sessuata.
E¹ prevista un¹Assemblea nazionale della Convenzione il 21 giugno. E¹ poi
stata avviata una riflessione su: rivoluzione, movimenti di liberazione,
nonviolenza.
Marta Ghezzi cita Norman Mailer, che ha parlato della guerra come effetto
della volontà di rivalsa del maschio bianco in crisi. Dovremmo riprendere
noi questa pista di riflessione, dal nostro punto di vista.
Paola Manduca, lavora per la Rete europea, e verso una Rete internazionale,
per raccogliere tutti i gruppi che sono contro la guerra. Nella nostra
analisi va spostata l¹attenzione sulla guerra economico-sociale. Nel
movimento contro la guerra c¹è bisogno di tutta la forza dei movimenti delle
donne: questa può essere un¹intersezione feconda.
La resistenza alla guerra
si intreccia con la lotta per i diritti. Su questo noi abbiamo molto da
dire: sui diritti di cittadinanza (servizi, scuole, ecc.) e sul diritto di
rappresentanza.
Per questo le donne dovrebbero entrare in tutte le
coalizioni contro le guerre. Vanno rafforzati i contatti con le donne dei
Paesi del Mediterraneo, tutti Paesi dove, se la guerra non c¹è, ci sarà.
Su questa scadenza, ci sarà più tardi una riunione.
Franca Gianoni, del gruppo ³Basta guerra² del Forum sociale fiorentino,
riprende la frase di Norman Mailer. C¹è una tesi secondo cui fascismo e
nazismo furono la reazione all¹irruzione femminile nella società.
Il nazismo
divideva le donne in ³categorie² e, peggiorando la situazione delle donne,
ha peggiorato la situazione di tutti. Ci vorrebbe un¹analisi di questo tipo,
che riguardi sia la presidenza Bush in America, che altre forme di
regressione. Cita alcuni libri in cui viene esposta quella tesi
storiografica.
Bisogna trovare parole e pratiche adeguate anche nei luoghi misti, stabilire
alleanze, trovare forme di solidarietà fra noi.
Ersilia Raffaelli, della Casa delle Donne di Viareggio.
Bisogna interrogarsi
a partire dalle nostre pratiche.
E¹ giusto puntare verso Parigi ed enunciare
i nodi teorici, ma questo va fatto a partire dalla situazione in cui ci si
trova: in questo caso come Donne in Nero della Versilia rispetto al locale
Social Forum. Uno dei problemi più gravi è la ³mancata riflessione e pratica
sul tema del conflitto², che non sappiamo gestire fra donne né fra donne e
uomini. Il risultato è la distruzione, o la negazione del conflitto.
Dobbiamo agire il conflitto, confliggere senza distruggere, capire che cosa
è nonviolenza. Rispetto ai conflitti nei luoghi misti della politica, di
solito o si sta dentro con modalità distruggenti, o se ne esce.
Elettra Deiana, parlamentare del PRC, mette in guardia dallo ³specifico
femminile² visto come una condizione sociale specifica, mentre ³lo
specifico maschile è generale². Anche l¹essenzialismo è una pista sbagliata;
ritenere che ³le donne in quanto donne² sono speciali; non è vero, siamo
attraversate da tutte le contraddizioni.
Il suo interesse ai lavori di questo gruppo sta nel suo interesse per la
guerra: guerra come altra cosa dal conflitto.
C¹è nella guerra una
distruttività che non ha molto a che fare con il conflitto, che è cosa
positiva. Alcuni conflitti, di genere, di classe, fra popoli oppressi e
oppressori, possono anche essere distruttivi, ma è un¹altra cosa.
Quest¹ultima guerra azzera quella cultura di ³positiva femminilizzazione²
delle relazioni internazionali, che si erano affermate dopo la II guerra
mondiale. In Europa il dopoguerra è stato una nicchia temporale, in cui
sembrava possibile ³cacciare la guerra dalla storia². Un esempio, il nostro
art.11. Oggi si usano contrapposizioni del tipo: Europa-Venere, contro
America-Marte.
Europa, come zona del mondo in cui sembrava realizzato lo
sforzo di negare la guerra. Di qui la contrapposizione fra ³vecchia Europa²
e ³giovane America², fra ³vecchi² e ³guerrieri². Siamo arrivati a forme
estreme di patriarcalismo, guerriero e guerrafondaio, che ha sconquassato
questa femminilizzazione. ³Loro² (i guerrieri) hanno il potere di fare
tutto, mentre l¹Onu diventa l¹agenzia per gli aiuti umanitari.
Dobbiamo ritrovare la capacità di una lettura di genere, e di decostruzione,
con gli strumenti che il marxismo ci ha consegnati
.
Lidia Campagnano (Udi). Esprime la sensazione che, in seguito a questa
guerra, è come se noi femministe ci affannassimo a trovare la ³teoria² che
ci permetta di dire NO alla guerra, come donne. Questo suona come debolezza.
Questa debolezza lei l¹ha sentita tutta, mescolandosi con i tre milioni di
manifestanti, indifferenziati. ³Volevo confondermi con le persone ridotte
come me all¹insignificanza². Oggi il movimento discute sul perché non si è
riusciti a fermare questa guerra. ³Penso che io e le mie sorelle di storia
siamo insignificanti: le donne della storia femminista, della sinistra, le
donne dell¹emancipazione, quelle della libertà femminile, sono diventate
insignificanti politicamente².
Se questo mondo e questo neoliberismo hanno portato all¹insignificanza delle
donne, allora la critica ai maschi del movimento, serve a poco. Oggi
secondo Campagnano- c¹è difficoltà a dire ³patriarcato², perché chiamavamo
patriarchi anche i compagni che ci proponevano prospettive di liberazione
che non ci riguardavano.
Ma Bush non è patriarcato, è il distruttore, è
³Crono che divora i propri figli². Di fronte a questo ³io sono politicamente
insignificante².
Ci sono momenti di incontro/scontro con donne di altre culture, che ci
accusano ³di pensare solo ai soldi, di distruggere le comunità, e di non
avere nessuna trascendenza². Siamo passate ³dalla volontà di cambiare il
mondo all¹insignificanza politica².
Patrizia Sterpetti, della Wilpf.
L¹Associazione è nata nel 1915 contro la I
guerra mondiale, in collegamento prima con la Società delle Nazioni e poi
con le N.U. Oggi stanno lavorando a dare informazioni sul progetto di
esercito europeo e ritengono che ci siano ancora possibiltà di modificare la
Costituzione europea. L¹attuale progetto della Convenzione è pieno di punti
preoccupanti. L¹Associazione si impegna anche sulla riforma delle N.U.
Un¹Associazione tedesca (Sherazade), in vista del prossimo ingresso della
Germania nel Consiglio di sicurezza, propone la costituzione di un
³Consiglio di sicurezza delle donne², con il compito di fare pressione sul
rappresentante (tedesco). Comunica infine che a Bologna (10/13 luglio) si
terrà un¹Assemblea delle donne delle Regioni Mediterranee.
Patricia Tough, delle D.i.N di Bologna.
Perché parlare di insignificanza?
Insignificanza del movimento contro la guerra e del movimento femminista?
C¹è stata una maggiore forza di analisi contro la guerra da parte delle
femministe rispetto agli uomini. Ma forse insignificanza del movimento delle
donne contro la guerra vuol dire che non abbiamo fermato la guerra.
[interviene Lidia Campagnano: ³Parlo della mia insignificanza personale]
Quello che facciamo oggi può essere la trasformazione graduale del mondo che
abbiamo davanti, contro la guerra come strumento delle controversie
internazionali.
A proposito di ³trascendenza²: significa ³vedere oltre², lavorare per creare
i presupposti per quello che accadrà. La partecipazione delle donne al
movimento contro le guerre non era legata a un solo argomento, ma è stata
capace di mettere in discussione anche i temi su cui quel movimento si
muove. Abbiamo condotto l¹analisi (necessaria) del militarismo, della guerra
come portato dell¹ordine patriarcale. La guerra non è solo effetto del
neoliberismo.
Voglio trovare quali strumenti mi posso dare nel mondo per gestire i
conflitti, che non posso negare. Va approfondito i discorso sulla
nonviolenza. A Bologna, una discussione sul significato di ³antifascismo
militante². Ma dove sono i luoghi dove si sviluppa il discorso su ³mondo
nuovo²? Ci sono molti luoghi dove si continua solo a parlare contro il mondo
vecchio. A Parigi dobbiamo portare queste nostre analisi.
Maria Rosa Guandalini, delle D.i.N. di Verona.
Manca una riflessione su
³legalità/illegalità², piuttosto che su ³violenza/nonviolenza²: come donne
non abbiamo detto la nostra. Avremmo invece dovuto proporre azioni dirette
contro la guerra, contro questa legalità. O comunque dire qualcosa su quelle
azioni.
Miriam Verdi, del Forum di donne del Prc.
La nonviolenza deve diventare
pratica quotidiana. Dobbiamo dare voce alle donne nei luoghi misti, con
l¹obiettivo di portare la nonviolenza ovunque, contro il militarismo e la
militarizzazione delle coscienze. Ci si propone di costruire un mondo senza
guerra e senza militarismo.
Conflitto e guerra non sono cose diverse, ma
strettamente intrecciate. Non ho una pratica femminista, perché sono stata
³presa² da altri problemi: casa, scuola... vedo l¹autoritarismo nella scuola
come una forma di militarismo.
Aidid Adel Farhia, somala. Vengo da un paese dove c¹è uno di quei conflitti
dimenticati. E non sono femminista. C¹è molta difficoltà a trattare i
problemi causati dalla guerra. Personalmente sono pacifista, ma non credo al
totale pacifismo delle persone, dell¹uomo, del maschio.
Esiste un modo di convivere fra le persone basato sul rispetto fra esseri
umani.
Della guerra si parla davvero solo quando ce n¹è una, in quel momento
particolare.
E¹ banale l¹equivalenza fra femminismo e pacifismo, o fra donne e pacifismo.
A proposito delle donne occidentali emancipate: il tipo di emancipazione
che le donne occidentali propongono non è vero che vada bene per tutte.
Ancora: la guerra fa parte della storia, che senso ha chiedere che ne sia
fuori?
E la democrazia di cui parliamo? È quella vista dagli occhi di un
occidentale.
Su ³guerra e pace² dobbiamo interrogarci, sul perché ci sono le guerre, sul
vero senso della guerra e sul vero senso della pace. La storia della guerra
in Somalia è la storia di una delle guerre che non si vedono.
Elena Bougleux di Firenze.
Da quale posizione parlo adesso: ho fatto un
viaggio in Iraq con l¹Associazione ³Un ponte per ...².Sono andata perché la
presenza fisica era un ³valore aggiunto² rispetto al pacifismo di qui. Qui
vedevo scarsamente operativa la mia presenza pacifista, la sentivo fragile.
Ma quello che è successo dopo è stato più doloroso.
La sconfitta politica del movimento (per la pace) si è sommata alla mia
sconfitta personale. Oggi sono una pacifista demoralizzata!
Andando a Bagdad volevo documentare con le immagini, facendo un video (che
poi ho fatto). A me sembrava ovvio che capacità dialogica e coinvolgimento
personale dovessero essere riconoscibili. Ma mi sono trovata davanti alla
guerra guerreggiata, in confronto/scontro con la mia posizione di donna nel
precariato, nel conflitto, ecc. La prima (la guerra) ha avuto la meglio.
Cercare un posizionamento femminile/femminista alla ricerca del modo di fare
la pace, è una posizione élitaria, che non ci porta molto lontano. I 3
milioni di persone non sono scesi in piazza sulle mie posizioni, ma contro
la guerra guerreggiata. Parlare fra donne non mi serve per affrontare meglio
i problemi. Quando si va su un¹altra scala (dalla minaccia di guerra alla
guerra guerreggiata), riseco a fatica a parlare da femminista, perché mi
sembra secondario. Conferire potere alle donne, darsi importanza
reciprocamente: io questo continuo a farlo, cerco il ruolo delle donne,
cerco donne da citare.
Ma rischio di perdere questa specificità di ³messa a fuoco². Ne è la prova
il mio lavoro a Bagdad: ero partita per filmare le donne, e al momento della
guerra guerreggiata le donne erano ³sparite².
Marisa Mannu, delle D.i.N.
Una sensazione di insignificanza e di impotenza,
mista a rabbia. Sentimenti molto forti in alcuni momenti. Però a volte anche
ottimismo: il movimento dei movimenti è cresciuto a livello nazionale e a
quello internazionale ha dato degli ottimi risultati, soprattutto in alcune
situazioni. E¹ cresciuto anche il movimento delle donne. C¹è stata
disseminazione di pratiche femministe nel movimento dei movimenti. Nel
movimento pacifista ho trovato donne che di fronte a questa guerra hanno
riproposto l¹ipotesi della deterrenza (i due blocchi, ecc.), prefigurando
una Unione Europea pari agli USA. Da qui a Parigi l¹obiettivo dovrebbe
essere quello di rafforzare le reti, i contatti fra le reti. Qualche dubbio
sulla giornata ³separata², e anche sulla proposta di fare più workshop e
meno conferenze.
Giannina Del Bosco, delle D.i.N. di Verona.
Ho bisogno di discutere con
qualcuna di questa guerra (e di questa occupazione). Il movimento non ha
subito una sconfitta, perché il percorso della pace è lungo. Per me è molto
positiva la partecipazione rispetto a questa guerra. Dovremmo discutere
sulla ³guerra preventiva² e sull¹Europa. Cita le D.i.N. di Belgrado
sull¹esigenza di smilitarizzare testa e cuore di tutti.
Patrizia Majorana dell¹Arci.
Il movimento non ha perso: ha portato migliaia
di persone in piazza. L¹obiettivo non era fermare la guerra, ma
un¹opposizione forte. Non è nemmeno vero che il movimento dei movimenti è
maschilista, perché si rifà a modelli ereditati dalle donne: democrazia dal
basso, orizzontalità... All¹interno del genere troviamo il conflitto di
classe e quelli etnici: il circolo di cui faccio parte è misto, con un 80%
di donne e una forte presenza di migranti. Ci sono diversi modi di vivere il
femminismo: per un mondo giusto e per un¹equa distribuzione delle risorse
dobbiamo capire a che cosa siamo disposte a rinunciare.
Mara Baronti, presidente del Giardino dei ciliegi (Firenze).
Alcuni
interrogativi sono destinati a rimanere senza risposta. Dobbiamo governare i
conflitti senza l¹elisione di uno dei confliggenti. Dobbiamo/vogliamo stare
nei Social forum. A proposito di insignificanza: vorrei misurare l¹efficacia
di una politica. Le bandiere della pace sono state una ³politicizzazione del
quotidiano², una politicizzazione grande di donne e di uomini. Ora dobbiamo
misurarci con i problemi dell¹Iraq del dopoguerra, le richieste degli
Sciiti, ecc. A proposito di trascendenza: è possibile una visione laica di
questo aspetto, e la troviamo in Carla Lonzi.
Annalena Di Giovanni di Firenze.
Questa generazione (più giovane) non vive
il conflitto di genere direttamente. Si può parlare di ³pacifismo delle
donne²? No, se guardo per esempio alla mia famiglia...
Un difetto del pacifismo è che si muove ³su una cosa per volta²: l¹Italia ha
immense responsabilità in Somalia, ma non esiste un Comitato permanente
sulla Somalia.
Emanuela Zambotti di Trento. Da circa 10 anni esiste un gruppo (Clessidra)
che ha cercato di caratterizzarsi come un luogo politico di confronto di
donne. E c¹è riuscito. A 30 anni, appartengono alla generazione politica che
ha fatto molta fatica a reperire storia, libri, documenti, del movimento
femminista. Bisognerebbe dare più spazio, un più ampio respiro a quello che
viene creato e scritto dalle donne. C¹è un senso di confusione e delusione
di fronte alle difficoltà nella ricerca di una pratica politica che porti ad
una rilettura, che dia strumenti per combattere quest¹insieme di
istituzioni, che ci relega ai margini. Esprime disaccordo con la visione di
Diotima sulla ³morte del patriarcato².
Marina De Giusti di Pordenone.
Perché siamo qui? Per andare verso il Social
forum di Parigi e quindi ci interessa un confronto su che cosa andiamo a
dire. ³Fuori la guerra dalla storia². Questa frase è passata dal movimento
delle donne al movimento delle donne in generale, senza che se ne indagasse
il significato. Il linguaggio che circola è intriso di parole così, di cui
non è chiaro il significato. Molti/e confondono pacifismo con assenza di
conflitti e pacificazione.
Abbiamo difficoltà nel dialogo con le donne del
Sud del mondo. Che cosa vogliamo che accada a Parigi?
Giuliana Savelli.
Il patriarcato sta nella Costituzione italiana, in alcuni
articoli. Dobbiamo proporre la separazione fra Stato e Chiesa, la libertà di
religione e dalla religione.
Clotilde Barbarulli dell¹Associazione Rosa L. e del Giardino dei ciliegi.
Delusione ed entusiasmo hanno attraversato tutta la nostra vita. E¹
d¹accordo sulla inutilità/impossibilità di ³importare² le cose da una
generazione ad un¹altra, da un luogo ad un altro. Dobbiamo però valorizzare
la memoria delle (nostre) pratiche politiche, orizzontali, circolari, e
sviluppare la ³pratica dell¹ascolto², continuando in questo sforzo di
trovare forme diverse, e anche un lessico nuovo. Che cosa vogliamo proporre
a Parigi?
Donatella Pavone, di Giudit.
Il tema della pace è connesso con quello del
diritto. Parte dalla sua esperienza di giudice che la porta a sottolineare
che ³la donna non è neutra². Quanto al patriarcato, ³è morto perché è morto
dentro di me². Sta attualmente lavorando nel Forum per la democrazia europea
(a Roma i componenti del Forum sono tutti maschi).
Anna Picciolini.
Ho provato a scrivere le ³parole chiave² che emergevano dal
dibattito. Sono tante, e collegate fra di loro in modi diversi. Fra
pacifismo e femminismo ci sono connessioni, ma nessun automatismo. Però vale
la pena di proseguire in questo lavoro. Cosa possiamo proporre a Parigi? Non
la presenza di qualcuna che ³ci rappresenti² a una conferenza, né un
Seminario (con quel che costa!), ma un workshop, in cui confrontarci anche
con le femministe di altri Paesi. Per mettere meglio a tema i contenuti del
workshop, propongo che ci incontriamo un¹altra volta.
Paola Manduca.
Registra una sorta di impasse, fra l¹essere femminista e
essere contro la guerra, che si può chiarire lavorandoci sopra. Nell¹essere
femminista ci sono elementi di necessità e di scelta. In entrambi i casi
abbiamo imparato alcune cose che rendono più chiaro essere contro
l¹evoluzione violenta dei conflitti. Però ci sono problemi di impasse e di
nicchia, e ci sono molte nicchie. Ho scelto di lavorare nel movimento dei
movimenti. Di fronte a un impasse, o hai una grossa capacità di
ri/elaborazione collettiva, o tendi a stare nelle nicchie. Ma è giusto
uscirne e questo è il modo di farlo. Di fronte alle guerre guerreggiate, che
voleva dire essere femminista?
C¹è la percezione della ciclicità, legata
all¹esperienza fisica delle donne. La guerra è subita da uomini e donne. Le
donne sanno di essere le prede. Ma come femminista che cosa posso dire in
più? Non riesco a trovare uno specifico femminista nella/sulla proposta di
istituire un tribunale per i responsabili di quest¹ultima guerra. Proposta
di un altro incontro per superare l¹impasse. Mettiamoci alla prova su
questo.
Patricia Tough.
Non vedo l¹impasse. Nulla giustifica la delusione espressa
dalle giovani, rispetto a una cosa in cui c¹è stata presenza di donne,
pensiero di donne, ecc. Di fronte a questa guerra non ho avuto delusione,
perché sapevamo di ³perdere². Ritorno sulla ³trascendenza²: dopo migliaia di
anni in cui la guerra è stata accettata come qualcosa di naturale, stiamo
costruendo un¹idea di mondo che non prevede la guerra.
Non ha senso dire che
³come femministe² non sappiamo essere contro la guerra. Noi, qui, siamo
contro la guerra. Che cosa possiamo dare come femministe andando a Parigi?
Portiamo queste elaborazioni: discorsi che vanno a destrutturare il concetto
di guerra, e il militarismo, e come nasce la guerra. Questo è qualcosa che
solo noi possiamo portare, la nostra analisi della guerra e del militarismo.
No al patriarcato e no al militarismo.
La nostra analisi della guerra e del
militarismo vuole creare un mondo senza guerra.
Celeste Grossi.
Patriarcato. Militarismo. No al patriarcato e no al
militarismo. In queste due parole c¹è il femminismo e l¹essere contro la
guerra. L¹Europa che vogliamo è un¹Europa che abbia nella sua Costituzione
un chiaro no alla guerra e un discorso sulla cittadinanza non neutro.
Patrizia Sterpetti.
Bisogna lavorare sulla Costituzione europea, e sul
problema della sicurezza, come la vedono le donne. Un altro obiettivo
dev¹essere la riforma delle N.U. Nessuna delusione, avendo consapevolezza
della lunghezza del lavoro di disarmo.
Emanuela Zambotti.
Sarebbe un peccato arrivare a Parigi senza una
riflessione fra le femministe e il movimento dei movimenti.
Maria Laura Galante di Firenze. Chiede a Paola Manduca di spiegare perché il
nesso fra femminismo e pacifismo non è scontato. E¹ anche vero che il
femminismo ha significato talvolta ³per molte donne cose diverse².
Lidia Campagnano.
Attenzione all¹ansia di darsi una linea per Parigi.
L¹incontro di Parigi, nel programma, appare più rivolto al ³fare², al
proporre obiettivi, ecc. piuttosto che essere una ³grande università a cielo
aperto², dove si può lavorare assieme, facendo scambio di cultura. Sarebbe
bene portare a Parigi un contributo, perché sia un momento vivo, pullulante
di idee.
Quindi ci si rivede e si tenta di proporre qualcosa che sia un po¹
più ³shockante². Vorrei che trovassimo la ³forma² che la ³novitಠdi questa
guerra ha portato nelle nostre vite, nel modo di essere donna di ciascuna di
noi. Rendere vivo, fertile a Parigi, questo livello di scambio.
Miriam Verdi.
Non vedo l¹impasse di cui si è parlato. Questo vuol dire
rinunciare a trovare una conclusione. Mi sento a disagio pensando che a
Parigi ciascuna associazione espone la propria opinione. Vedo l¹esigenza che
da qui parta qualcosa di comune. Non ci sto ad andare a Parigi con lo stesso
livello di riflessione con cui siamo arrivate qui.
Clotilde Barbarulli.
Serve un altro incontro. Non tanto perché ci sia un
impasse, o le nicchie. Ma perché è giusto portare a Parigi un discorso
articolato e problematico, l¹unico che può tenere conto di tutte le cose
diverse.
Mara Baronti.
D¹accordo sul fare un altro incontro. Vorrei rispondere alla
domanda di Paola: cosa aggiunge di efficace all¹essere contro la guerra, il
femminismo. Io nasco prima come femminista e poi come pacifista. Il primo
conflitto che non sfocia nella distruzione dell¹altro è quello di genere, il
conflitto con l¹altro da sé. Il femminismo mi ha insegnato a gestirlo. Non è
una posizione di nicchia. Dovremmo cercare qualcosa di innovativo, cercare
fra noi una ³convenienza², non di interessi, ma di percorsi. Non è
sufficiente ³nominare il patriarcato², ma dobbiamo costruire un nuovo
lessico. Molte di noi sono pacifiste perché femministe.
Gabriella del gruppo ³Basta guerra² del Social forum.
Ho bisogno di
elaborare la ricchezza delle differenziazioni fra gli interventi. E¹
necessario e auspicabile un altro incontro. Il livello di discussione è
andato da ³scambiamoci il volantino² all¹orizzonte della trascendenza.
Questa capacità/disponibilità a spaziare, senza disperderci, non è banale,
e ci viene dal femminismo. Le differenze, che fanno ³nicchia² se ci si
affeziona, o spaventano, se si cerca una linea comune per andare tutte
insieme a Parigi, dovremmo vederle come ³opposizioni sistemiche² elaborate
da un disagio, con una spinta a superare la situazione presente. Importanza
dell¹affermazione ³fuori la guerra dalla storia² in un contesto che inventa
la guerra infinita. Sottolineare le pratiche del conflitto che stiamo
praticando, contro l¹equazione conflitto=guerra. Serve un linguaggio nuovo,
per rinominare le cose, di fronte a chi rinomina la guerra senza problemi.
Contro l¹insignificanza, creare un significato, non è lavoro che si fa da
sole, né una volta per tutte.
Importante è ³esserci², una politica che
conta, non solo che si vede. Problematicità del ³contare² in un mondo che fa
della ³merce² il criterio che dà significato a tutto, anche a libertà,
politica, globalizzazione. C¹è tutto il nostro lavoro precedente, la nostra
memoria.
Il dibattito si è chiuso con la decisione di fare un altro incontro. Non si
ritiene suffciente, da parte di quasi tutte, ritrovarsi in una delle
occasioni già prevedibili (Genova, l¹Assemblea delle D.i.n. o altro) ma è
necessaria una ³riconvocazione di questo gruppo, che consenta quindi di
proseguire nel discorso, senza ripartire da capo. A Franca Gianoni e
Patricia Tough era stato affidato il compito di preparare la restituzione
per l¹assemblea.
Per discutere sulla restituzione, il gruppo si è riunito
anche la mattina del 18, ma gli appunti che ho preso sono troppo scarni per
essere veramente utili.
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