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Mas'ha.la lenta agonia di un villaggio palestinese
by di Gabriel Ash* Thursday, Aug. 21, 2003 at 9:40 PM mail:

Il villaggio palestinese di Mas'ha, a sud di Qalqiliya, e' a tre miglia dalle frontiere del giugno 1967 - note anche come Linea Verde - che separano Israele dai "Territori Occupati".

"Appartieni al passato"
di Gabriel Ash*



Il villaggio palestinese di Mas'ha, a sud di Qalqiliya, e' a tre miglia dalle frontiere del giugno 1967 - note anche come Linea Verde - che separano Israele dai "Territori Occupati".

Mas'ha e' povero e debilitato. Domina il colore del cemento armato grezzo. La sua desolata strada principale e' piena di negozi chiusi, testimonianza di giorni migliori. Il villaggio, situato in quella che era una grande arteria per il traffico, era una volta un mercato regionale, ma le sue fortune precipitarono quando l'esercito israeliano chiuse la via principale. Il checkpoint e' un pezzo di strada non pavimentata, ampio 300 piedi, sormontato, ad entrambe le estremità, da cumuli di terreno e macigni alti cinque piedi, i quali impediscono alle automobili di entrare nel villaggio e nell'adiacente, illegale insediamento israeliano di Elkana.

Da quando, tre anni fa, fu eretto il checkpoint, circa la metà del quattromila abitanti di Mas'ha se ne sono andati. La maggior parte di coloro che sono restati sono disoccupati. Poche imprese continuano a lottare. Abbiamo visto i loro operai scaricare e trasportare a mano merci pesanti attraverso quei macigni, come formiche infinitamente pazienti, che soffrono in silenzio a causa dei capricci di un bambino il cui crudele divertimento consiste nel porre ostacoli sul loro cammino.


Elkana e' in un universo differente. Le sue casette immacolate dal tetto rosso seguono una strada a serpentina chiusa da un letto di vegetazione lussureggiante, verde smeraldo, che contrasta con l'aspetto tipicamente mediterraneo delle colline che lo circondano. L'acqua e' sovrabbondante, fornita con generosità dal governo. Quella stessa acqua viene negata ai palestinesi e questo e' il segreto di Pulcinella del miracolo eco-politico di Elkana.

Il bus ad aria condizionata che serve Elkana ed altri tre insediamenti vicini ci porterà a Tel Aviv ad un prezzo ridicolmente basso - grazie ancora alla generosità del governo israeliano - su strade perfettamente asfaltate. Per contro, il nostro viaggio mattutino a Mas'ha ci ha portato su strade rocciose, non pavimentate, che distruggono le vecchie auto " di servizio" che la percorrono giornalmente.

Sulla linea di giunzione tra Elkana e Mas'ha, gli effetti della politica israeliana di apartheid e di colonizzazione sono visibili e palpabili. Da una parte, vi e' un enorme investimento di denaro per rendere Elkana sicuro, economico ed attraente per gli israeliani, inclusi sussidi per gli affitti, l'acqua ed i trasporti, infrastrutture al top e costante presenza militare. Dall'altra parte, i palestinesi di Mas'ha sono soggetti a maltrattamenti, trascuratezza e vessazioni economiche.

E' ormai un anno che Israele ha cominciato ad erigere una barriera fisica tra i suoi centri ebraici e palestinesi. I palestinesi la chiamano "muro di apartheid", mentre gli israeliani la definiscono "muro di separazione". Apartheid significa separazione.

Per gran parte della sua lunghezza, la barriera possiede sensori elettrici, trincee con filo spinato, un tracciato d'ispezione ed una strada di ricognizione. La barriera e' enorme, alta 60-100 piedi, una ferita color sabbia che taglia gli oliveti sulle colline circostanti. Sugli alberi d'olivo a migliaia di piedi di distanza, le olive sono coperte di uno spesso strato di polvere. La barriera e' un assalto al territorio. In essa vi e' un'oscenità che e' difficile convogliare attraverso le parole. E' un imbruttimento monumentale della terra, un'espressione iconoclasta di auto-coinvolgimento e ripugnanza. Guardarla ferisce gli occhi.

Molti israeliani credono che la barriera segua la Linea Verde. Invece il governo di Sharon ha adattato la barriera alla vecchia mira del sionismo - prendere quanta più terra palestinese possibile, liberandosi della popolazione locale. Il sentiero della barriera spinge le dita profondamente nelle aree palestinesi, cercando di includere non soltanto quanti più insediamenti possibile, ma anche quanta più terra ancora appartenente ai palestinesi possibile, lasciando spesso solo le aree costruite dei villaggi, dall'altro lato. La barriera corre tra i campi coltivati, e separa i villaggi dalle fonti del loro sostentamento e dalle sorgenti d'acqua. E' la solita, vecchia storia del dispossesso che si ripete.

Già e' stata confiscata gran parte della terra e sradicati migliaia di alberi per fare strada alla barriera. Le terre ad ovest del muro non sono state confiscate, ma l'accesso ad esse e' stato reso così difficile da rendere addirittura impossibili le coltivazioni, in alcune aree. Ai contadini viene spesso impedito l'accesso ai loro campi, a volte vengono picchiati e vessati, a volte li si lascia passare a piedi, senza permettere il passaggio dei loro mezzi meccanici di lavoro. Non vi e' limite alla creatività dell'apparato di sicurezza israeliano.
Se i contadini non possono coltivare le loro terre, Israele fa ricorso alla vecchia legge Ottomana che dichiara "pubblica" la terra non utilizzata. Questo metodo di confisca e' stato usato spesso nel passato. Dunque, conoscendo il fatto, i contadini palestinesi continuano a coltivare anche le terre che non daranno profitti sull'altro versante della barriera. Alcuni di essi restano a dormire nei campi.

Ma a Mas'ha la costruzione della barriera ha raggiunto vette inimmaginabili di assurdità e razzismo. La barriera dovrebbe passare tra Mas'ha e l'insediamento illegale di Elkana. In realtà, la recinzione di Elkana e' a soli pochi piedi di distanza dall'ultima casa di Mas'ha, che appartiene a Hani Amer ed alla sua famiglia. Per non creare inconvenienti all'insediamento, la barriera passa ad est della casa di Amer, separandola dal resto del villaggio ed imprigionandola di fatto tra la recinzione dell'insediamento e la barriera. L'esercito ha detto ad Amer che gli sarà concesso di passare attraverso la barriera due o tre volte al giorno, ma non potrà mai più avere ospiti in casa.

Ecco il genere di "pace" che Israele immagina con lo "stato" palstinese, una pace in cui i soldati israeliani decideranno se un palestinese potrà avere visitatori alla sua casa.
La visione del mondo che ha reso possibile un simile oltraggio e' stata riassunta succintamente da un supervisore della ditta di sicurezza privata che si occupa della costruzione della barriera. In una delle loro scaramucce verbali - Amer non si preclude la possibilità di infastidire i suoi tormentatori - il supervisore gli disse: "Tu appartieni al passato".

Amer, però, non pensa di appartenere al passato e non ha intenzione di svanire in silenzio per facilitare la colonizzazione ebraica della sua terra. Ha rifiutato i tentativi israeliani di comprarlo e si e' dedicato alla sua lotta privata per condurre una vita normale nella sua casa.
Il villaggio di Mas'ha ha lanciato una campagna per fermare la costruzione del muro. Gli organizzatori della Land Defense Committee e della PARC (Commissione di Sostegno per L'Agricoltura Palestinese) del villaggio hanno chiesto aiuto ad attivisti internazionali ed israeliani affinchè sostengano i diritti palestinesi con l'installazione di una "tenda della pace" sul tracciato dei bulldozers israeliani.

Gli abitanti di Mas'ha e di altri villaggi hanno ottenuto da Arafat e da Abu Mazen la promessa che la questione del muro sia una priorità nazionale nei negoziati con Washington. Questo sforzo ha dato il primo, modesto, frutto allorchè Abu Mazen e' riuscito a far diventare la questione del muro d'apartheid (che attorno a Qalqilya, con le torri ed i sensori, diviene un vero e proprio muro di prigione) un punto d'attrito tra Bush e Sharon. Ci sono state persino voci che il Dipartimento di stato intendeva considerare una riduzione degli aiuti ad Israele fino a che questi non congelasse la costruzione della barriera.

Il 5 agosto, le forze di sicurezza israeliane hanno attaccato la tenda per permettere ai bulldozers di demolire l'aia della casa di Amer. L'aia era, difatti, nella traiettoria progettata per la costruzione del muro. Quarantasette attivisti sono stati arrestati, tra i quali quattro israeliani e tre palestinesi. La polizia di frontiera e' arrivata alle sette di mattina, attaccando, per prima cosa, la gente con macchine fotografiche e telecamere. Un internazionale ha avuto due costole rotte, ma e' riuscito a passare la sua macchina fotografica a dei testimoni prima di essere arrestato.

La maggior parte di essi sono stati rilasciati il giorno dopo, dopo aver firmato un documento in cui si impegnano a restare fuori dai Territori occupati. Uno dei pacifici manifestanti, un palestinese di Mas'ha, e' restato in carcere un giorno in più. Subito dopo l'arresto, lo Shabak (la temuta e crudele polizia segreta israeliana) aveva detto alla sua famiglia che egli "non sarebbe tornato indietro". Questa e' tortura psicologica. Lo Shabak e' particolarmente infastidito dagli attivisti palestinesi non-violenti.

L'apparato di sicurezza israeliano non perde mai un'opportunità, non importa quanto fragile e limitata, per scoraggiare la cooperazione tra palestinesi ed israeliani. Il giorno dopo, eravamo presso la casa di Amer, vicino ad un albero di fico recentemente sradicato - le sue foglie cominciavano già ad appassire - quando vedemmo circa 25 attivisti arrivare a Mas'ha, fermarsi al chechpoint e costringere il bulldozer a fermare la costruzione della barriera.
L'azione fu animata ed efficace. I manifestanti occuparono i bulldozers con simboli che identificavano la barriera come il muro di un ghetto e che chiedevano la fine del furto delle terre.


Dopo un lungo confronto silenzioso, la polizia li arrestò garbatamente: erano tutti ebrei israeliani. Durante il confronto, alla famiglia del palestinese ancora imprigionato fu detto che il loro congiunto non poteva essere rilasciato poichè i militari erano troppo impegnati ad arrestare i manifestanti di Mas'ha.

La gente di Mas'ha capisce il messaggio delle forze di sicurezza coloniali: "arrendetevi, smettetela di protestare, dite agli attivisti di tornare a casa, e noi vi lasceremo vivere, in qualche modo". Ma la gente di Mas'ha ha, sinora, risposto con un sorriso amaro. Non vuole vivere per la misericordia dello Shabak. Vuole continuare a lottare per l'uguaglianza e la dignità.




*Gabriel Ash, nato in Romania, e' cresciuto in Israele. Scrive articoli perche' sostiene che, talvolta, la penna e' più potente della spada e talvolta no. Vive negli Stati Uniti.






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