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PALESTINA:prove di dialogo
by naturalmente la destra dice no Wednesday, Oct. 15, 2003 at 11:51 AM mail:

i veri giusti

PALESTINA
Prove di dialogo
Intesa tra Beilin e Rabbo sui contorni di una «pace possibile»
STEFANO CHIARINI
Un gruppo di esponenti politici dell'opposizione israeliana, alcuni intellettuali ed ex ministri palestinesi, sostenuti dal governo svizzero, avrebbero raggiunto un'intesa, finalizzata lo scorso week end in Giordania, su un possibile piano di pace in grado di porre termine al conflitto. Naturalmente il piano, che potrebbe essere firmato il mese prossimo alla presenza dell'ex presidente Usa Bill Clinton, è stato subito denunciato dal premier Ariel Sharon, che lo avrebbe definito «il più grave errore storico dai tempi di Oslo». Non da meno l'ex premier laburista, il generale Ehud Barak, secondo il quale l'accordo di pace «illude» l'opinione pubblica e «chiaramente danneggia gli interessi dello stato di Israele». Ma cosa ci sarà mai in questa intesa da suscitare le ire di Sharon e di Barak e il silenzio imbarazzato di Shimon Peres? L'accordo di Ginevra, negoziato in particolare dalll'ex ministro della giustizia israeliano Yossi Beilin e dall'ex ministro dell'autorità nazionale palestinese Yasser Abed Rabbo, alla presenza di alcuni intellettuali israeliani come Amoz Oz e da altri esponenti palestinesi, prende le mosse dai negoziati che ebbero luogo nella località egiziana di Taba dopo il fallimento del vertice di Camp David dell'estate 2000. L'idea di fondo è quella della creazione di uno stato palestinese demilitarizzato nell'insieme della West Bank e della striscia di Gaza con un ritiro israeliano, tranne alcuni aggiustamenti di lieve entità (con uno scambio tra gli insediamenti ebraici a ridosso del confine che saranno annessi da Israele e un allargamento di Gaza nel Negev, alle frontiere del 1967. Tutti gli altri insediamenti dovrebbero essere smantellati e i coloni rientrare nello stato ebraico. Lo stato palestinese, a differenza di quanto previsto da molti altri presunti «piani di pace», avrà uno sbocco di confine sia verso l'Egitto che la Giordania e tali passaggi non dovrebbero essere controllati dai servizi israeliani ma da una forza multinazionale. Sul problema di Gerusalemme est occupata dall'esercito israeliano nel 1967 la proposta «fotografa» la realtà: le zone arabe ai palestinesi mentre le colonie ebraiche come Givat Ze'ev, Ma'aleh Adumim e la parte «storica» di Gush Etzion -ma non Efrat- sarebbero annesse ad Israele. La spianata delle moschee di al Aqsa e di Omar, terzo luogo santo dell'Islam - sarà sotto sovranità palestinese. Il «muro del pianto» resterà invece, con il quartiere ebraico (dal quale dopo la guerra dei sei giorni vennero cacciati migliaia di palestinesi) sotto sovranità israeliana. Il «sacro bacino» - la città vecchia e le aree adiacenti, passerà sotto «supervisione internazionale». Non certo marginali le concessioni palestinesi sul «diritto al ritorno» dei profughi (oltre tre milioni e mezzo) sancito dalla risoluzione 194 dell'Onu: l'intesa riconoscerebbe sul piano storico politico il torto storico subito dai profughi palestinesi -e questa non è poca cosa - ma tale riconoscimento non avrebbe conseguenze pratiche. Una parte dei profughi, piuttosto ridotta, potrà tornare ai propri villaggi in Israele, non come diritto ma nell'ambito di un programma di «ricongiungimento familiare», altri ancora, ai quali verrà data una casa e un risarcimento, resteranno nei paesi arabi, e infine un'altra parte andrà nel nuovo stato palestinese. Sullo sfondo vi sarebbe ancora una volta Yasser Arafat che, sempre meno «superfluo», commentando l'accordo di Ginevra ha sostenuto ieri che la sua presidenza ha sempre incoraggiato i tentativi tesi a raggiungere «la pace dei coraggiosi».



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l'altra pace
by SCHULDINER Wednesday, Oct. 15, 2003 at 11:53 AM mail:

L'altra pace
ZVI SCHULDINER
Sulle rive del mar Morto un gruppo di palestinesi e israeliani, con l'appoggio europeo, è arrivato a un accordo su una possibile pace israelo-palestinese e ha dimostrato due cose, fondamentali per un cambio di rotta nella situazione esplosiva che vive la regione: che in seno al popolo palestinese c'è un partner reale per la pace e che per arrivare a un accordo l'intervento europeo può essere di un'importanza assoluta. Il mito più devastante nato con l'ex primo ministro israeliano Barak, costantemente fomentato dal governo di Sharon, è l'aver fatto credere che non ci sia un partner reale per la pace fra i palestinesi. Questo ha portato all'effetto che Arafat è visto come l'ostacolo e la ragione di tutti i problemi. Sharon e i suoi ministri, facendosi scudo della protezione americana, sono riusciti a convincere non pochi che il nodo del problema sia quello palestinese e non l'occupazione israeliana, non la brutale repressione a cui sono sottoposti tre milioni di palestinesi.

Yossi Beilin, uno degli architetti degli accordi di Oslo e in passato strettamente legato al leader laburista Shimon Peres, ha investito grandi sforzi negli ultimi due anni per cercare di riannodare i negoziati di pace. La presunta inesistenza di un partner palestinese è stata sempre usata dal governo israeliano per dimostrare la necessità di continuare nella sua politica di forza paralizzando nel contempo una gran parte del movimento pacifista israeliano e internazionale.

In campo palestinese gli interlocutori non sono dei semplici attivisti politici: agli incontri hanno partecipato esponenti di al-Fatah e il ministro dell'Anp Yasser Abed Rabbo. Le reazioni della stampa palestinese, incluso il giornale pubblicato da uno degli uomini di Arafat, sono un chiaro indizio di appoggio del leader palestinese allo schema di accordo elaborato che sarà presentato fra qualche settimana a Ginevra.

Gli elementi dell'accordo sono meno importanti dell'accordo stesso, che è molto lontano da essere un accordo raggiunto fra forze uguali e di pari rappresentatività. L'accordo ha provocato un dibattito interno a Israele che nella destra rasenta l'isteria. La destra parla di tradimento e minaccia le più svariate misure contro i firmatari israeliani.

Tuttavia l'effetto principale è già stato raggiunto. Ora sarà più difficile per Israele nascondere che la radice dei problemi risiede in realtà in due fattori: il primo, la politica criminale del governo israeliano che mira a incendiare l'intera regione per evitare negoziati che implichino concessioni territoriali da parte israeliana; il secondo, le crescenti complicazioni di Bush in Iraq che lo spingono a una politica ogni giorno più avventurista e quindi a non escludere l'appoggio a un possibile attacco israeliano, o americano, alla Siria (un altro dei presunti focolai terroristi che giustifica un nuovo capitolo della grande crociata Usa).

Contro coloro che non tremano di fronte a una guerra che minaccia tutta l'area mediorientale, l'appoggio svizzero agli sforzi per arrivare a uno schema di accordo dimostra non solo che un'intesa è possibile ma che è urgente la necessità di un ruolo attivo e centrale dell'Unione europea. Davanti a un'escalation incontrollabile che non trova ostacoli seri da parte di un'amministrazione americana irresponsabile, è più che mai urgente che l'Europa assuma una posizione che permetta di evitare una tragedia ancor peggiore di quella vissuta in questi giorni dalle parti in conflitto nel Medio oriente.






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altre informazioni
by andate avanti Wednesday, Oct. 15, 2003 at 11:55 AM mail:

Palestina, nuovo «piano» di pace
Fa discutere la Dichiarazione firmata da una parte di pacifisti israeliani e palestinesi. Arafat vara il governo a tempo di Abu Ala. Rafah è un cimitero di rovine e di «profughi» dal campo profughi
MICHELE GIORGIO
GERUSALEMME
La Dichiarazione di principi - nota come «Accordo Svizzera» - firmata da pacifisti israeliani e palestinesi in Giordania sta accendo le polemiche. Protesta la destra israeliana ma non mancano dure reazioni anche da parte palestinese. Il punto di maggior attrito della Dichiarazione è quello relativo al controllo della Spianata delle moschee di Gerusalemme (il Monte del Tempio per l'ebraismo) che gli esponenti israeliani di centrosinistra hanno concesso all'Anp in cambio della rinuncia da parte dei palestinesi del diritto al ritorno nelle loro città e villaggi (oggi nel territorio dello Stato ebraico) per i profughi fuggiti o costretti a lasciare le loro case nel 1940 a causa delle minacce delle forze armate israeliane. Un volantino diffuso nei Territori occupati dalle «Forze nazionali e islamiche» condanna l'«accordo Svizzera». Critiche sono giunte anche dall'importante associazione «Badil» che tutela i profughi. Alla iniziativa, venuta alla luce nei giorni scorsi, hanno aderito dirigenti laburisti come Amram Mitzna e Avraham Burg, l'esponente del Meretz (ex ministro laburista e architetto degli accordi di Oslo) Yossi Beilin e lo scrittore Amos Oz. Tra i palestinesi c'erano gli ex ministri Yasser Abed Rabbo, Nabil Qassis, Hisham Abdel Razek. Il documento congiunto dovrebbe essere firmato a Ginevra il 4 novembre, nell'ottavo anniversario della morte del premier laburista Yitzhak Rabin, assassinato a Tel Aviv da un estremista di destra ebreo al termine di un raduno pacifista. Dall'iniziativa è rimasto tagliato fuori - ufficialmente - il leader laburista Shimon Peres che sostiene di aver appreso della sua esistenza solto in questi ultimi giorni. Non è escluso tuttavia che Peres, ancora una volta, stia giocando su più tavoli e aspetti solo l'occasione buona per riproporsi nel ruolo del premio Nobel per la pace che appare davvero paradossale in considerazione della sua attiva partecipazione alla politica di aggressione militare compiuta dal passato governo di unità nazionale. Da parte sua Sharon e i suoi ministri minimizzano l'importanza della bozza di pace concordata in Svizzera e Giordania. Il ministro degli esteri Shalom ha detto che si tratta «solo di un accordo virtuale». «Abbiamo già visto in passato - ha detto - il fallimento dell'approccio della sinistra secondo cui occorreva combattere il terrorismo come se non ci fossero state trattative di pace, e negoziare la pace come se non ci fosse stato il terrorismo». Aggiungendo che non è vero quanto affermato dai pacifisti, secondo cui i palestinesi avrebbero rinunciato al diritto al ritorno dei profughi. Sharon e i suoi ministri per ora non hanno molto da temere dal documento. I suoi effetti pratici sul terreno sono quasi nulli poiché la politica del pugno di ferro contro i palestinesi portata avanti dal governo di destra, gode ancora di un ampio consenso tra gli israeliani. Sharon resta molto popolare. Teme solo che l'iniziativa contribuisca a formare all'estero, principalmente nell'Amministrazione Usa che lo ha sostenuto apertamente sino ad oggi, l'idea di un fronte nazionale israeliano non più compatto, con il conseguente aumento di critiche internazionali agli attacchi contro i civili palestinesi, alla costruzione del «muro» in Cisgiordania, alla confisca di terre, alle violazioni dei diritti umani. Critiche che potrebbero rendere più difficile la realizzazione delle «riserve indiane» dove i palestinesi sono destinati a vivere secondo la visione della destra israeliana (e non solo). Inoltre i pacifisti israeliani non hanno posto la condizione di una uscita di scena di Yasser Arafat, ma si sono detti pronti a riprendere subito le trattative, due punti in netta opposizione alla politica del governo Sharon. Arafat, che è stato sempre informato sui colloqui in Svizzera e Giordania, potrebbe perciò rientrare dalla finestra dopo essere stato messo alla porta da Washington e Tel Aviv.

Arafat peraltro ieri ha ottenuto una nuova vittoria interna: la prima riunione di quel governo di emergenza - guidato da Abu Ala - che ha voluto con particolare insistenza. Ha inoltre allontanato dal governo il ministro dell'interno dissidente Nasser Yusef che ha sostituito con un suo fedelissimo, Hakam Balawi. Potrebbe tuttavia rivelarsi una vittoria di Pirro. Abu Ala, che gli è stato sempre vicino, è già stanco e afferma che non guiderà il governo «normale» che tra poco più di tre settimane dovrà sostituire quello di emergenza. La crisi politica rimane aperta.

Mentre a Rafah le condizioni dei civili palestinesi rimangono drammatiche dopo i tre giorni di incursioni di mezzi corazzati israeliani in missione, per il portavoce militare israeliano, contro il traffico di armi tra Gaza e l'Egitto. Oltre agli otto morti, tra cui due bambini, ieri l' Unrwa ha fatto un calcolo approssimativo dei danni. Almeno 114 abitazioni sono state distrutte, 1240 palestinesi non hanno più un tetto e si aggiungono agli altri 7.253 sfollati dall'inizio dell'Intifada soltanto a Rafah (11.987 in tutta Gaza). A Rafah una nuova enorme distesa di macerie ha preso il posto di tante povere case. I profughi del 1948 sono ora «sfollati». Grave denuncia ieri dell'Ong Medicins du monde.. «Le nostre squadre constatano restrizioni imposte alle ambulanze della Croce rossa e della Mezzaluna rossa per portare soccorso ai feriti - si legge nel comunicato da Parigi della Ong - e per ricoverarli nelle strutture mediche. Il blocco stradale operato dalle forze armate israeliane è una violazione del diritto internazionale umanitario e della IV convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili».

E in tarda serata, conflitto a fuoco - il primo dal 2000 - al confine giordano: soldati giordani hanno ucciso «due palestinesi che s'infiltravano in Israele».



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by informazione Wednesday, Oct. 15, 2003 at 12:25 PM mail:

"Ma concentriamoci sull’atteggiamento e sugli errori dei due contendenti, Israele e il mondo palestinese. Le responsabilità di Sharon e del suo governo sono innegabili e si mostrano ingenuamente agli occhi del mondo. Al di là delle radici storiche del conflitto coi palestinesi, cioè i trentasei anni di occupazione dei Territori, gli errori dell’attuale leadership israeliana mi paiono più legati al non fatto, al non detto, a un’immobilità di fondo che non ad atteggiamenti violenti e repressivi. Nonostante le accese critiche di tanti organi di informazione a una presunta brutalità politica israeliana, credo che non sia qui il punto. Talvolta eccessivo ma in genere controllato e volutamente limitato, l’uso della violenza appare purtroppo inevitabile per fronteggiare il terrorismo: il governo israeliano ha non solo il diritto di reagire agli attacchi concentrici portati dai kamikaze (e non solo) entro i suoi confini, ma anche il dovere di salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini smantellando le basi terroristiche e prevenendo futuri attentati. Quello che manca a Sharon, al suo ministero e in genere all’attuale classe politica israeliana è un reale progetto politico di fondo, un sussulto di creatività, di inventiva, di disponibilità alla costruzione diplomatica; prevale invece la passività e una pressoché totale assenza di iniziativa. Israele appare oggi come un efficiente poliziotto e un fantasma politico. Ma i due strumenti – l’azione di polizia e la capacità di costruire politica – sono entrambi indispensabili per uscire dal groviglio inestricabile che si è creato: senza la politica, capace di coinvolgere l’avversario in una trattativa, non servirà a niente distruggere le centrali e i rifugi delle "bombe umane" o ucciderne gli organizzatori, perché inevitabilmente ne nasceranno altri pronti a colpire ancora. La stupidità politica più pericolosa, poi, è quella volta a sovrapporre e confondere le due strategie, cioè a usare l’arma poliziesca dell’espulsione (o addirittura dell’omicidio mirato) in chiave "diplomatica": dichiarare al mondo di voler espellere (o uccidere) uno screditato Arafat è stato il modo migliore per restituirgli un prestigio e una patente di vittima del tutto immeritati.

"

http://www.hakeillah.com/4_03_02.htm

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