Farla finita con i tabù
Dato che il fascismo si fonda sull'attrazione del godimento di esaltazioni collettive ostili ai desideri materiali e favorevoli alla conservazione dell'ordine capitalista, la lotta contro il fascismo deve riuscire a screditare tale attrazione e mettere in primo piano la soddisfazione dei desideri primari. Si tratta in pratica di indurre le esaltazioni collettive a trovarsi in armonia con i desideri materiali - sopprimere la frattura cristiana fra la carne e lo spirito - e istigarle contro il lavoro, il denaro, lo Stato. E indispensabile non sottovalutare l'essenziale instabilità dei prodotti della sublimazione, l'incessante osmosi dei sentimenti e dei desideri, in una parola l'ambivalenza morale dell'uomo. Il desiderio rappresenta l'elemento misterioso, naturale, imprevedibile, irrefrenabile, che muove al sentimento assalti incessanti nel corso di una lotta sempre incerta: la violenza del desiderio è l'arma principale nella lotta contro il fascismo, giacché è l'arma principale nella lotta contro ogni potere. Infatti la lotta, anche la lotta violenta ed accanita, affascina colui che la vive nella propria carne, con passione, senza tener conto di un possibile guadagno morale o economico. Molti sostenitori della rivoluzione sociale, essendo i freddi partigiani di una società retta dalla ragione e dalla morale, considerano la rivoluzione alla stregua di strumento necessario, di un male inevitabile, di una santa crociata. Ma una simile rivoluzione, giusta, pacata, ragionata freddamente, pesata sulla bilancia della convenienza, non può che giungere fino ad un certo punto e poi arrestarsi. Perché la rivolta è sempre qualcosa di eccessivo, di passionale, di non interessato, di gratuito. Dal punto di vista del ragionamento puro e semplice, si ha sempre più interesse a rassegnarsi ad un oppressore che a ribellarsi contro di lui. Uno sfruttato non ha interesse a rivoltarsi contro la società perché ne verrebbe sopraffatto. Non è un caso se i primi scioperi che il movimento operaio ricordi avvennero impulsivamente, quindi erano del tutto "stupidi", perché rappresentavano il rischio di perdere le giornate, il lavoro, lo stipendio per nulla. A questo inconveniente si è cercato di porre rimedio facendo della rivoluzione una missione, e dei rivoluzionari dei martiri. In faccia a tutto ciò, se il salario può aumentare o diminuire all'infinito senza che il rapporto fra lavoratore e capitalista venga abolito, l'abbattimento del capitalismo non è cosa che si possa fare a poco a poco: si opera di colpo, con una rivoluzione. E una rivoluzione non può essere astratta, teorica e culturale. Deve essere pratica, materiale, furiosa, crudele. Deve essere fatta con la demolizione, la distruzione fisica dello Stato e delle sue istituzioni materiali e spirituali. Ora, la Ragione vuole che sia più sensato accordarsi con il padrone e battere la strada delle riforme, piuttosto che lanciarsi in una lotta in cui si può anche perdere la vita. A sua volta, la Morale vuole che sia più giusto ed etico persuadere l'umanità intera della bellezza e della giustezza di un ideale, senza ricorrere a mezzi coercitivi. È quindi l'inconscio dell'individuo - le sue pulsioni, le sue passioni, i suoi desideri - la sorgente profonda della rivolta. Esattamente ciò che la sinistra, e parte dell'anarchismo, bollano come irrazionalismo. A partire dalla miseria affettiva sociale, di cui bisogna sottolineare senza stancarsi l'attualità, ci si può orientare verso la difesa e la diffusione del desiderio, verso l'ispirazione individuale. Bisogna sbarazzarsi del bisogno di offrire qualche ricompensa ai sentimenti, che dà luogo ad aspirazioni più o meno evasive e mistiche. Si tratta di lottare a vantaggio di ciò che, in mezzo a infami e abominevoli ideali estetici, umanitari, filosofici, politici, ci riporti alle fonti dell'esistenza; di screditare tutte le sublimazioni, denunciando dietro la loro apparenza la realtà materiale del desiderio. Ecco perché è necessario farla finita una volta per tutte con i tabù che da troppo tempo inibiscono i nostri sensi, mortificandoli. Ecco perché non bisogna più avere paura di affermare il proprio egoismo, la propria volontà individuale, e abbandonare decisamente la sicurezza della sublimazione il cui unico scopo è quello di metterci al riparo da tutto ciò di cui non sappiamo apprezzare la natura. Sui nostri tabù, sulle nostre rimozioni, il fascismo ha costruito e costruisce la sua fortuna. Non sarà certo la demagogia antifascista a fornirci i mezzi per sconfiggerlo, e tanto meno le leggi dello Stato democratico.
9. GLI ANARCHICI E LA PAURA DELLA LIBERTA'
Come tutti sanno, noi anarchici siamo quattro gatti. È vero, vorremmo trasformare il mondo e spesso non riusciamo neppure a trasformare la nostra vita. Vivere in un mondo che non è il nostro, basato sulla gerarchia e sul profitto, è per noi una sofferenza. Se il nostro odio e il nostro rifiuto per una società che si nutre di autorità non conosce tentennamenti, dobbiamo pur sempre ammettere che, volenti o dolenti, in questa dannata società ci viviamo e vogliamo quindi prendervi parte, esserci. Nessuno di noi si sogna di chiamarsi fuori, di estraniarsi dalla realtà. Inoltre a nessuno piace essere solo, nemmeno all'anarchico più ferocemente individualista. Ma noi, con le idee che ci ritroviamo, non sappiamo mai con chi parlare e di cosa parlare, non sappiamo dove andare e cosa fare. Nelle chiacchiere da bar, nelle eterne discussioni su calcio e motori, nelle riunioni di partito, non proviamo gioia. Siamo così diversi da tutti gli altri da rimanere puntualmente soli. E la solitudine è una brutta bestia, soprattutto quando non viene vissuta come conseguenza di una scelta di vita, ma come una sorta di imposizione ideologica; come se fossimo soli perché, fra tutti i ruoli preconfezionati a nostra disposizione, avessimo avuto la sventura di scegliere quello dell'anarchico. In questo caso la nostra solitudine non fa parte di noi stessi, della nostra identità (voluta, cercata, spesso strappata, quindi amata); no, in questo caso la solitudine è un peso insopportabile, una catena dalla tempra d'acciaio. Che rabbia vedere tutti quanti che parlano, discutono, dibattono - e non poter partecipare! Che rabbia essere anarchici, sentirsi gli «esclusi dalla Storia»! Ecco come l'unicità della nostra identità di anarchici si trasforma poco a poco in «una oggettiva situazione di isolamento e di autoghettizzazione». Così, sia il complesso di inferiorità sia le considerazioni strategiche sull'«unione che fa la forza», contribuiscono a spingere molti anarchici verso la sinistra antagonista, quando si presume ci sia qualcosa in comune su cui confrontarsi. In nome del «fare», di un fare quanto mai generico, ci si predispone a «sporcarsi le mani», certi che i tempi della purezza, del settarismo, del moralismo siano finiti: si accettano collaborazioni con partiti come Rifondazione Comunista e la Rete, si dialoga con i preti, ci si confronta con l'intera sinistra antagonista, con tutte le sue diramazioni. Ma per far questo, bisogna trovare un terreno comune, bisogna parlare lo stesso linguaggio, entrare nella stessa orbita degli altri (giacché siamo noi ad accodarci a loro e non viceversa). Allora comincia lo straordinario trasformismo degli anarchici, il loro adeguamento ai canoni della sinistra. Se a sinistra si sbava per la democrazia, questi anarchici si dichiarano a favore della democrazia - ma, per carità, quella diretta. Se a sinistra ci si tinge di verde, questi anarchici si riscoprono ecologisti. Se a sinistra si bela di pacifismo, questi anarchici tuonano contro la guerra. Se a sinistra si esalta il lavoro, questi anarchici propagano il sindacalismo alternativo. Se a sinistra ci si eccita con l'antifascismo, questi anarchici rimembrano la loro lotta contro le camicie nere. Ed ecco come per incanto, magicamente, ecco che gli anarchici non sono più gli eterni esclusi. Finalmente sono in grado di dire la loro, finalmente hanno ottenuto il diritto di partecipare a pieno titolo alle attività del "movimento"!
Quale superamento?
La conseguenza di questa brillante operazione di modernizzazione, puntualmente presentata come il tanto atteso «superamento dei limiti dell'anarchismo», è stata la riduzione del movimento anarchico ad una grottesca caricatura della sinistra o del liberalismo, ad una loro triste scimmiottatura. Forse non è possibile stabilire con una certa precisione quanto un simile atteggiamento di imitazione sia risultato deleterio, quanto abbia contribuito a dare dell'anarchismo una visione indubbiamente miserabile, così imbevuto della mentalità democratica odierna. Di fatto, questi anarchici non si distinguono dalle altre forze politiche e sociali. Che cosa vogliono, quali sono i loro obiettivi? La pace e la fratellanza, pilastri dell'ideologia democratica. E con quali mezzi contano di raggiungere i loro scopi? Negata la prospettiva rivoluzionaria ritenuta fuori dalla realtà, oggi l'anarchia "democratica" si può raggiungere mediante una riforma extraparlamentare della società, attraverso cioè una mutazione antropologica ottenuta grazie a una continua diffusione della cultura e della propaganda. Perché questi anarchici, come i preti di tutte le risme, credono di rappresentare un mondo morale nuovo, migliore di quello esistente: la loro idea pretende d'essere indiscutibilmente superiore alle altre. A sentir loro, si direbbe che siano il popolo eletto che si pone a modello del mondo. E il fatto di dare tanta importanza alla propaganda e alla cultura, dimostra la loro illusione che la società si trasformi per effetto della persuasione esercitata. Allora, perché mai un individuo i cui desideri vanno contro questo mondo dovrebbe riconoscersi negli anarchici, quando non fanno altro che parlare di diritti umani o di classe operaia, di pacifismo o di dialettica, di tolleranza o di difesa del salario. Come può ritenerli differenti dagli altri quando li vede comportarsi da perfetti politicanti e accodarsi alle manifestazioni indette dalle forze politiche istituzionali, o invitarle alle proprie. Cosa può pensare di persone che si dichiarano atee ma che parlano la stessa lingua del Papa, spacciando il paradiso terrestre dell'anarchia a base di pace, fraternità e uguaglianza. O che scopre che il moralismo di cui sono impregnati gli anarchici è degno del cattolicesimo più bigotto. Che vede questi anarchici invitare a parlare alle proprie iniziative gli stessi tristi intellettuali che vanno a fare bella mostra di sé in televisione, quando non finiscono essi stessi in TV. Insomma, che vede la trasformazione di questo mondo - l'impossibile, l'utopia - ridotta alle mediocri e squallide dimensioni di una democrazia più o meno attraente, cioè ad un accomodamento che sa di collaborazione, non certo di ribellione? Come non bastasse, questa somiglianza con la sinistra non è riscontrabile solo nei contenuti, ma tocca pure l'aspetto formale. Basta pensare, a titolo di esempio, all'ammirazione per un Che Guevara, alle "kefie" palestinesi indossate con malcelato orgoglio, agli slogan da militonti strillati, a tutte queste manifestazioni di bassa mitologia che gli anarchici condividono con l'insieme della sinistra. L'anarchismo, che deve la sua unicità alla propria natura antipolitica e antistatale, quando rinuncia alla propria identità radicale e si mescola con le forze politiche ottiene come unico risultato quello di sparire, non essendo in grado di entrare in competizione su un terreno che non è il suo. Stretto fra marxismo e liberalismo, l'anarchismo si dissolve, ormai divenuto una semplice sfumatura dei primi due.
Anarchici di destra
E allora chi può negare che il cosiddetto anarchismo di destra altro non è che una conseguenza dell'anarchismo di sinistra? Uno dei motivi che potrebbe spingere un individuo nemico di questo mondo a venir attratto dalle idee fasciste più che da quelle anarchiche, non potrebbe infatti essere l'abituale sudditanza che lega il movimento anarchico alla Sinistra e alla sua cultura (e in parte anche a quella liberale)? A questo proposito, le parole pronunciate da un militante di Terza Posizione sembrano suonare come una triste conferma: «Io sono stato anarchico, alla FAI, e poi per un breve periodo missino perché gli anarchici sono soltanto dei marxisti scontenti». In effetti non è difficile notare come praticamente tutti gli anarchici che poi si sono buttati nelle virili braccia del fascismo abbiano in un modo o nell'altro espresso delle critiche ai luoghi comuni, ai tabù della sinistra che vengono ripresi anche dagli anarchici. I casi da citare sono numerosi. A cominciare dal più famoso traditore delle idee anarchiche: Libero Tancredi. Operaio tipografo, autodidatta, anarchico individualista, direttore responsabile del giornale "Novatore" - che pubblicò a più riprese in Italia e in America - autore di numerosi libri, conosciuto per le sue feroci polemiche sia con gli esponenti del movimento anarchico organizzato, come Fabbri e Malatesta, sia con alcuni esponenti dell'anarchismo individualista, Libero Tancredi fu uno dei più accaniti sostenitori dell'interventismo allo scoppio della prima guerra mondiale e successivamente fu uno dei fondatori dei fasci di combattimento. Diventato un gerarca fascista venne eletto deputato parlamentare ma fu poi costretto ad espatriare per via di alcune critiche fatte a Mussolini. Denunciato ed arrestato per collaborazionismo dopo la fine della seconda guerra mondiale, venne rilasciato e mandato in Italia, pare per intercessione del Vaticano. Come molti altri ex fascisti, continuò imperterrito la sua attività editoriale, dirigendo alcuni giornali nazionalisti. Del suo periodo anarchico è di sicuro interesse la concezione che aveva dell'individualismo, che Tancredi giustamente separava dallo stirnerismo e che considerava rivoluzionario: perché l'individualista non si deve accontentare dell'esaltazione platonica dell'io ma mirare alla rivoluzione sociale. Ecco perché si rimane colpiti dalla fondatezza di molte sue argomentazioni, come le sue critiche all'«individualismo metafisico», oppure all'«anarchismo democratico», o ancora all'«utopia pacifista» dilaganti all'interno del movimento. Un discorso analogo è possibile farlo per lo scrittore francese Georges Darien - autore del famoso libro "Il ladro" - che all'inizio del secolo era un collaboratore della stampa anarchica. Poi, in seguito all'isolamento cui fu costretto per aver criticato il conformismo della sinistra, si vide rifiutare i propri scritti che finì col pubblicare su giornali reazionari. Ricordiamo inoltre ciò che successe in Francia nel 1894, in seguito all'attentato compiuto da Emile Henry contro il Caffé Terminus, ritrovo della borghesia parigina. Il suo gesto venne duramente criticato da gran parte del movimento anarchico e persino fra coloro che pochi anni prima avevano preso le difese di Ravachol ci fu chi condannò l'azione di Henry. Ebbene, uno dei pochi a prendere le difese del giovane anarchico francese fu lo scrittore nazionalista Maurice Barrès che scrisse un famoso articolo sul "Journal" di Parigi del 28 maggio 1894, in cui esprimeva la propria ammirazione per Henry. Barrès era anche l'autore di un romanzo, "Il nemico delle leggi", che alcuni anarchici avevano scelto di diffondere. Di fronte alla pavidità di molti anarchici, l'atteggiamento di Barrès non poteva infatti che apparire quanto meno dignitoso a qualsiasi nemico della borghesia francese. Del resto anche scrittori apertamente reazionari come Céline o Drieu La Rochelle devono quasi tutto il proprio fascino all'alone di maledizione che circonda la loro opera. Ad esempio, un Céline combattuto, ragionato, vagliato, sviscerato sarebbe infinitamente meno pericoloso di un Céline respinto a priori e senza commenti. E questo è senza dubbio un altro degli errori della demonizzazione fatta dalla Sinistra nei confronti della Destra. Proibire una cosa infatti significa renderla attraente, affascinante; significa creare attorno ad essa l'irresistibile fascino della trasgressione. Il fascismo scacciato dalla porta rientra dalla finestra. Il diavolo esercita sempre una grande attrazione sui fedeli che lo temono, ma sono curiosi di vederlo; inoltre, non mancano mai gli spiriti che sentono la rivolta istintiva ed eccessiva contro la coazione. Così è avvenuto - e tuttora avviene - che molti siano passati al fascismo come erano "passati" all'anarchismo; sostituendo con un eccesso nuovo l'antico eccesso.
Fascisti e anarchici
Quanto detto ci porta dritti dritti a un argomento tabù all'interno del movimento anarchico, di cui si preferisce non parlare: le «relazioni pericolose» intrattenute con l'estrema destra, un rapporto che sebbene possa apparire assurdo e incomprensibile, pur tuttavia si ripresenta in modo più o meno ciclico. Nei confronti dell'estrema destra, gli anarchici naturalmente hanno sempre mantenuto un atteggiamento di chiusura e di ostilità, ma questa intransigenza non ha comunque impedito ad alcuni di loro di subirne il fascino, né ad alcuni estremisti di destra di instaurare proficui contatti. A fronte di ciò, la reazione si è sempre limitata alla difesa del proprio onore minacciato, lanciando scomuniche, ridimensionando le cose, stilando sdegnose dichiarazioni di purezza. Così certi rapporti sono stati trattati come degli sporadici episodi, attribuibili a insolute questioni filosofiche (come l'interpretazione dell'individualismo), oppure a grossolani abbagli strategici (come quello preso dagli anarchici interventisti durante la prima guerra mondiale), o ancora all'opera di infiltrazione di alcuni estremisti di destra (come è avvenuto per Mario Merlino nei primi anni settanta). Eppure, non solo questi rapporti sono esistiti, ma esistono tuttora. A titolo di esempio, basta citare Moreno Marchi: autore del libro "Fenomenologia unicistica del singolo" edito dieci anni fa dalle edizioni Anarchismo, di un paio di libri per le edizioni Tracce, "Teoria del contrasto" ed "Exitialis!" e di un libro in inglese sugli anarchici italiani emigrati in Australia, oggi Marchi è un collaboratore delle riviste della Nuova Destra (il che non gli ha impedito di recente di essere presente in una raccolta anarchica di saggi su Stirner). Oppure potremmo citare l'ex obiettore totale Paolo Nadalin, detto Sabu, la cui lettura di Evola & camerati lo ha portato a frequentare l'ambiente di "Orion", rivista che si diletta a pubblicare regolarmente scritti della sinistra extraparlamentare e di anarchici. Certo, sarebbe facile liquidare la questione affermando che Marchi e Nadalin sono solo due imbecilli senza cervello, quindi tutto sommato inoffensivi. Ma noi non siamo affatto così sicuri che questi siano sporadici episodi, frutto di incomprensioni, di "letture mal digerite" o di opportunismo politico e consideriamo un grosso errore liquidare questo argomento in fretta e furia o sottovalutarne la portata - il che non significa intraprendere una caccia alle streghe vedendo ovunque infiltrati. Ecco perché ci interessa esaminare più da vicino questa questione, nel tentativo di comprendere come sia possibile che ci possano essere dei punti in comune fra fascisti ed anarchici. Cominciamo subito col dire che è inutile affermare che «se un anarchico diventa fascista allora vuol dire che non era veramente anarchico». Un simile ragionamento, malgrado abbia un suo fondamento, non sposta di un millimetro i termini della questione e in definitiva serve solo a mettersi a posto con la coscienza.
Individualisti
Tralasciando il caso di alcuni sindacalisti, la cui personale interpretazione delle idee del Sorel critico del marxismo e sostenitore del mito della violenza fu probabilmente decisiva nella loro scelta di aderire al fascismo, non c'è dubbio che il maggior punto di contatto fra anarchici e fascisti è sempre stato l'individualismo, la fondamentale questione dell'individuo. È fra gli individualisti anarchici che il fascismo ha sempre fatto più presa. Se poi si vuole risalire all'origine di questo rapporto allora arriveremmo alla prima guerra mondiale e al famigerato "interventismo" nelle cui fila si schierarono numerosi anarchici. Se Kropotkin fu il più famoso anarchico in campo internazionale a dichiararsi a favore della guerra, in Italia il drappello degli interventisti anarchici era composto da numerosi individualisti il più noto dei quali era indubbiamente Libero Tancredi, il cui vero nome era Massimo Rocca, di cui abbiamo già parlato. Perché proprio gli individualisti? La risposta è abbastanza semplice. Gli anarchici individualisti sono i soli in un certo senso a non rifarsi a dogmi cui restar fedeli e la loro lotta è volta unicamente alla soddisfazione dei propri desideri. A sua volta, il cosiddetto anarchismo di destra preconizza un individuo che lotta per affermare se stesso, la propria esistenza, senza inseguire alcuno scopo, alcun programma, alcun ideale. Questa affinità è soltanto fittizia naturalmente, ma ha comunque un suo fondamento. Caratteristica della nostra esistenza odierna è l'annullamento dei contrasti, l'attenuazione degli antagonismi. Se si dovesse descriverla con un colore si potrebbe scegliere il bianco (o il grigio); se si dovesse ricorrere a dei sinonimi si potrebbero usare quelli di rassegnazione e immobilità. È la condizione che stiamo oggi vivendo. Dormiamo, ci alziamo, camminiamo, mangiamo, scriviamo, respiriamo, cachiamo come delle macchine - di cui non a caso ci circondiamo - come dei rassegnati sopraffatti dall'ambiente, come schiavi a cui è permesso solo di far trascorrere il tempo. A questo regime regolare, monotono, misurato fino alla nausea e fondato sulla pace sociale si oppone il movimento, l'eccesso, l'esuberanza, tutto ciò insomma che si oppone con forza ad una esistenza consumata fra il lavoro e l'ordine. Chi non si adegua a questo mondo, ai suoi banali luoghi comuni, alle sue regole, non può non sentire in sé il bisogno di infrangere il quieto vivere, non può non provare il desiderio di ribellione. Ora, chi rifiuta la mediocrità, il gregge, l'omologazione, non può venir attratto né dalla democrazia, né dal liberalismo, né tanto meno dal marxismo, che rinchiudono l'individuo all'interno dei loro schemi politici ed economici e tendono a formare un ambiente omogeneo. No, è solo all'anarchismo e al fascismo che si possono richiamare tutti coloro la cui passione di vita assume tratti esplosivi, e soprattutto alle loro versioni più estreme: l'anarchismo individualista e quello cosiddetto di destra. Ma, giunti a questo punto, le strade si diramano. L'individuo che vuole fare della propria esistenza la sua opera e non uno strumento, che vuole affermarsi aldilà di ogni vincolo e costrizione, deve infatti compiere una scelta poiché ha due possibilità per raggiungere la propria sovranità: dettare da sé le proprie regole o respingerle tutte. Come a dire: il dominio o la rivolta, il potere o la libertà. Un anarchico individualista ebbe a scrivere: «La vera libertà è un privilegio dei despoti che dominano e dei grandi ribelli che non sanno ubbidire. Ma gli uni e gli altri sono fuori dalla mediocrità». Dunque, si è sovrani solo se si comanda o se ci si rivolta. E questa considerazione, solo in apparenza banale e scontata, segna con precisione assoluta la linea di demarcazione fra fascisti e anarchici, fra rivoluzione autoritaria e rivoluzione anarchica, dividendoli con un abisso incolmabile. Purtroppo questa divisione così precisa e così netta, è facilmente definibile solo a parole. Nella realtà, sotto il peso dello sfruttamento, le nostre possono sembrare discussioni filosofiche del tutto astratte, elucubrazioni prive di senso. Sotto il giogo, si sa bene chi e cosa odiare, ma nulla di più.
Ribellione come reazione
A questo punto diventa determinante prendere in considerazione il concetto di ribellione come semplice forma di reazione a un determinato sistema, un concetto su cui specula ampiamente il fascismo. Anni fa nel corso di una intervista, un redattore della rivista di estrema destra "Quex" dichiarava: «Avevo quattordici anni e mi sentivo contro questa società e questo sistema. Che cosa era completamente contro l'attuale sistema democratico? La monarchia. Così entrai nel fronte giovanile monarchico, ma non ci rimasi molto. Si parlava molto, ma non si faceva niente. Non sono mai entrato nel MSI, in realtà sono sempre stato individualista... ecco potrei definirmi rivoluzionario. E anarchico». Nella sua idiozia, questa affermazione non manca di essere esemplare nel mostrare quale sia la logica che porta un individuo scontento della propria vita ad avvicinarsi all'estrema destra, che si nutre letteralmente di questa specie di ribellismo, della generica sensazione di insoddisfazione e di ostilità verso il sistema dominante, la stessa che sforna i "ribelli" che compongono le bande di quartiere o i gruppi di ultras negli stadi. Non stupisce che «Contro il sistema» sia uno degli slogan più diffusi nella destra, istituzionale e non. Ma essere contro il sistema non dice molto, anzi dice nulla. Si conosce il punto di partenza (il rifiuto di questo mondo) ma niente di più. Ed è proprio questo che condanna il ribellismo a diventare serbatoio della destra radicale: la sua mancanza di valori propri, il fatto che alla sua origine non c'è che il risentimento, il rancore contro questo mondo e la miseria che produce. L'anarchico di destra tanto esaltato dai fascisti è tutto fuorché un anarchico, è semplicemente una persona insoddisfatta alle prese con i suoi conflitti interiori. Privo di una identità propria, l'anarchico di destra riflette la miseria della realtà esterna dentro di sé e la alimenta a sua volta. La sua è una "rivolta contro il mondo moderno" per usare il titolo di un famoso libro di Evola. Ma cosa oppone al mondo moderno? Per cosa lotta, se all'origine del suo comportamento c'è solo il risentimento? Non possedendo valori propri da opporre a quelli dominanti, l'anarchico di destra è costretto a ricorrere all'esaltazione dei valori che l'esistente condanna, oppure a rivendicare quelli che provengono dal passato. Il Tradizionalismo, la fedeltà a valori reputati eterni, è il modo migliore per non affrontare la realtà, è il modo più comodo e sicuro per non doversi mettere in gioco. Incapace di opporsi con qualcosa di suo al "mondo moderno", l'anarchico di destra rimedia alla propria miseria richiamandosi al passato o assimilando ciò che il mondo moderno depreca. La sua lotta dunque non è diretta affatto ad affermarsi, ma a negare il sistema corrente. Restando quindi attaccato a questo mondo e ai suoi valori, sia pure per negarli retoricamente, la sola prospettiva che gli si apre davanti è quella del potere. Ribellarsi a questo mondo, diventandone padrone. È la sola strada che può percorrere, non conoscendone altre. In altre parole, l'anarchico di destra si comporta come quelle persone che per combattere la religione si dedicano ai riti satanici, come se anche satana non fosse un idolo da venerare e a cui ubbidire, come se il satanismo non fosse anch'esso una religione. Il meccanismo è il medesimo: questo mondo è miserabile ed è dominato dalla democrazia, che è quindi mia nemica. Allora il nemico della democrazia, cioè il fascismo, è mio amico, è ciò per cui devo lottare.
Gli anticorpi al fascismo
Come si può vedere, la distanza dagli individualisti anarchici è enorme. Gli anarchici individualisti si sono sempre caratterizzati proprio per il loro amore per la vita non per il rancore, per la loro ricchezza interiore non per la mancanza di valori, per la ricerca del proprio piacere non per il dispiacere degli altri, per la passione dell'ignoto non per la fedeltà a una tradizione: esattamente il contrario dei fascisti. Ebbene, quale è stato l'atteggiamento di parte del movimento anarchico di fronte all'individualismo? Soltanto oggi si comincia a riparlare di individualismo in campo anarchico. Evidentemente sono ancora aperte le ferite di un tempo, quando le polemiche erano laceranti, polemiche che spesso e volentieri sono state interessate, volute e alimentate in perfetta malafede e miranti soltanto a schiacciare i presunti rivali. Gli anarchici individualisti sono stati demonizzati, criticati, derisi, ostacolati, talvolta perfino denunciati come potenziali fascisti. Molti hanno preferito far credere che tutto l'individualismo consistesse nella soddisfazione brutale e smodata di ogni bisogno e di ogni passione, anche quelli più turpi. È stato così fomentato l'odio fra individualisti e comunisti, odio che non ha ragione d'essere. In altre parole, invece di affrontare chiaramente il problema dell'individualismo, gran parte del movimento anarchico in passato ha preferito liquidarlo con l'insulto, la supposizione, la calunnia, la censura. Questo diffuso pregiudizio, tuttora presente se si pensa che moltissimi anarchici considerano autentici insulti termini come individualista o egoista, ha avuto come risultato quello di contribuire, se non ad avvicinare alcuni anarchici al fascismo, perlomeno ad allontanarli dall'anarchismo. Ma la cosa più assurda in tutto ciò è stata la follia di screditare l'individualismo anarchico, giacché era il solo a contenere potenti anticorpi contro il fascismo. Bisogna infatti capire che è perfettamente inutile strillare contro il fascismo e poi pubblicizzare la democrazia, la pace, la tolleranza. Così facendo si continua semplicemente a mantenere in piedi la divisione del mondo intero in destra e sinistra, e a schierarsi con la sinistra. Ciò che farebbe veramente la differenza è battersi sì contro il fascismo, ma essere contemporaneamente nemici della democrazia, favorevoli all'uso della violenza, privi di tabù ideologici, sostenitori dell'unicità degli individui... in altre parole togliere al fascismo i suoi presunti meriti, conquistati attraverso una grottesca parodia. Si tratta quindi di uscire dai nostri chiostri, di spalancarne la porta e di tuffarsi nel mondo che palpita e vibra di mille energie diverse. Affrontiamo senza paura i demoni che ci aspettano fuori della porta e che non ci lasciano il passo se non a patto di riconoscerne l'esistenza. La tranquillità nostra e della nostra chiesa, l'abbiamo costruita sulla rimozione, su un esorcismo permanente di questi demoni che non si vogliono affrontare. A questo servono i dogmi, i luoghi comuni, le formule prive di contenuto ma comunque funzionali, che costituiscono le mura della nostra prigione. Ma dal labirinto rappresentato dall'esistenza umana - tortuoso, conflittuale e carico d'angoscia - non si esce con un atto di fede. Il fascismo ha fatto letteralmente della morte la propria bandiera, e proprio perché ne riconosce l'importanza nella dimensione umana riesce ad offrire degli sbocchi ad istanze radicate nell'animo umano. Poco importa il significato, il valore di questi sbocchi. In mezzo al deserto, alla menzogna, alla mistificazione, basta la loro disponibilità a soddisfare questi impulsi. Così, se la sinistra nega gli impulsi primari dell'uomo sublimandoli, cioè deviandoli verso fini socialmente accettabili - un'operazione che provoca la «decadenza» denunciata dai fascisti - la destra li riconosce, ma ne fa l'imitazione. A loro volta, gli anarchici hanno per lo più ripreso la sublimazione compiuta dalla Sinistra, con la sola eccezione degli individualisti.
La violenza
Prendiamo ad esempio la questione della violenza umana. La persona ragionevole e adulta - cioè la persona che ha represso in sé ogni desiderio - considera la violenza una brutalità o una insensatezza, attribuendo dignità unicamente al suo utilizzo strumentale, come mezzo da impiegare in determinate circostanze socialmente approvate, come la guerra o la «lotta contro la criminalità». Ma la violenza fa parte dell'uomo, è una condizione dell'esistenza umana che ci accompagna dal primo vagito all'ultimo respiro; non è né un argomento su cui filosofare, né uno strumento che si può scegliere di usare o non usare. Scacciata dalla ragione e dalla morale, la violenza ritorna più forte che mai nella carne. La violenza affascina e attrae perché esiste. Non ci può essere vita senza violenza. Riconoscere la sua presenza, la sua materialità, la sua natura umana va ben oltre le considerazioni strategiche che esigono, da parte dei guardiani di questo mondo come dei suoi nemici quali noi siamo, il suo utilizzo. Di fronte alla questione della violenza, la Sinistra non è capace di fare altro che offrire la becera figura del pacifista, della pecora pronta a farsi tosare pur di non passare qualche guaio. E, quel che è peggio, questa contorsione mistificatoria ha coinvolto anche gli anarchici, che hanno semplificato l'antimilitarismo equiparandolo al pacifismo, mentre dovrebbe indicare la lotta contro l'apparato bellico dello Stato, una lotta che non esclude di per sé l'uso della forza. Appare allora chiaro che, se antimilitarismo e pacifismo si equivalgono, se esprimono entrambi un'adesione alla medesima menzogna morale e sociale (la pace) e ad un metodo statico (la non-violenza), la guerra e il militarismo trovano legittimità in coloro che sentono in sé la volontà di spezzare l'ordine delle cose. Ecco perché il solo modo per opporsi al fascismo su questo punto, non è certamente quello di rimuovere il problema, ma caso mai di affrontarlo. Rivendicare apertamente la realtà della violenza, senza timori, ma anche senza strumentalizzazioni. Gli anarchici individualisti, per averlo fatto, vennero accusati di essere degli energumeni che in nome del «comodo mio» riabilitavano qualsiasi bestialità.
Guerra e rivoluzione
A questo proposito, proprio il famigerato richiamo interventista sostenuto allo scoppio della prima guerra mondiale da molti anarchici e rivoluzionari dovrebbe aver insegnato qualcosa. Non è del tutto esatto affermare che si trattò unicamente di un errore strategico, nato dall'illusione di «difendere la Francia rivoluzionaria contro il dominio prussiano» - come viene comunemente considerata la scelta fatta da Kropotkin e da molti altri. C'è anche un altro aspetto che può rendere accettabile, se non auspicabile, la guerra. Secondo Nietzsche - che non vogliamo dimenticare di citare - «le guerre sono per il momento i più forti stimolanti dell'immaginazione, ora che le estasi ed i terrori del cristianesimo hanno perduto la loro virtù. La rivoluzione sociale sarà forse un avvenimento ancora più grande...». In effetti guerra e rivoluzione appaiono come i soli eventi dotati di un fascino irresistibile. Entrambe irrompono nell'esistenza scandita dalla società, costituendo il fenomeno totale che la solleva e la trasforma completamente, spezzando con un terribile contrasto il flusso calmo del tempo di pace. È il momento dell'estrema tensione della vita sociale; ogni individuo viene sradicato dalla sua attività quotidiana, dal suo focolare, dalle sue occupazioni abituali. La guerra e la rivoluzione distruggono brutalmente il cerchio consolidato all'interno del quale ognuno ha il proprio posto da occupare e gestire. Nessuno può restare in disparte. Così, mentre in tempo di pace l'isolamento caratterizza la vita degli individui - affaccendati nelle loro attività particolari, indifferenti gli uni agli altri -, in tempo di guerra la società invita tutti i suoi componenti ad un sussulto collettivo che li pone d'improvviso fianco a fianco, li riunisce, li trasforma, li vincola corpo ed anima. La vita quotidiana si tramuta radicalmente, diventando altro rispetto a ciò che era. Niente è più come prima: tutto è permesso, le regole vengono meno. La violenza, il saccheggio, la distruzione prendono il posto della tolleranza, della conservazione, delle buone maniere. In questi aspetti eccessivi, guerra e rivoluzione sono simili. Dunque non c'è da stupirsi se, quando ogni prospettiva rivoluzionaria viene meno, quando viene respinta e insultata anche da chi dovrebbe esserne un naturale sostenitore, l'ipotesi militarista riesce a trovare facili consensi in chi ha aspirazioni sovversive, legittimata fra l'altro anche dalla speranza del verificarsi di un effetto detonante. Che una guerra possa scatenare una rivoluzione è una speranza che è stata spesso coltivata dai rivoluzionari, sebbene sia dimostrato che al contrario la evita, parodiandola. Ecco perché qui in Italia fra i sostenitori della guerra vi erano soprattutto degli individualisti, cioè coloro che più di altri accordano alla realizzazione dei loro desideri - e non allo spaccio dei loro ideali - un'importanza primaria.
L'unicità dell'individuo
Anche l'antiegualitarismo propagandato dai fascisti trova legittimità in una nostra rimozione. La sinistra parla di uguaglianza per accecarsi di fronte all'unicità dell'individuo, così come parla di antirazzismo per negare la nostra appartenenza ad una etnia. Un atteggiamento che ha permesso ai fascisti di farsi passare per i difensori del diritto alla differenza fra individui, popoli e culture. Spauracchio di tutti coloro che hanno interesse a preservare l'ordine che regola il mondo, l'unicità dell'individuo è da sempre sottoposta a un continuo attacco volto ad addomesticarla, a codificarla, ad annientarla. Perché ogni autorità implica una norma, un valore, una legge cui sottostare. Così per il Capitale siamo tutti simili, tutti indistintamente consumatori di merci. E la meta verso cui si sta oggi muovendo è l'universalizzazione: un regime politico, sociale ed economico che sia sostanzialmente lo stesso in ogni parte del mondo, obiettivo potenzialmente raggiungibile grazie all'impiego delle nuove tecnologie. Per le religioni di ogni tipo invece, siamo tutti uguali perché tutti figli di Dio, tutti incorriamo negli stessi peccati da cui possiamo redimerci nello stesso modo. Per i socialisti siamo tutti lavoratori, tutti produttori, tutti in attesa di impadronirci dei mezzi di produzione che tutto faranno tranne darci la libertà. Ecco perché dietro alla difesa della propria unicità, delle caratteristiche che sentiamo solo nostre, non si cela il temuto delirio del super-uomo, ma la consapevolezza che ogni teoria, ogni sistema, ogni valore che diretto a imporre una norma o un ambiente uniforme alla totalità degli uomini - che tende a farli diventare tutti consumatori di merci, tutti fedeli, tutti compagni - si riduce ad un progetto di totalitarismo. E la questione etnica non è affatto in contraddizione con l'unicità dell'individuo, come potrebbe sembrare a prima vista. L'individuo non è un alito d'ideale. Non è fatto d'aria, di puro spirito; possiede un corpo ed è fatto di carne e sangue. È nato in un luogo preciso ed ha assorbito numerose influenze, ricevute dall'educazione, dalla cultura indigena, dall'insieme dell'ambiente circostante. Tutto ciò ha avuto un ruolo determinante nella sua formazione e contribuisce sostanzialmente alla sua unicità. Riconoscere l'appartenenza etnica di un individuo non significa quindi omologarlo in un ammasso indifferenziato, non significa inserirlo in una scala di valori dove ci deve essere necessariamente un vertice e una base. Significa piuttosto constatarne alcune caratteristiche peculiari, rilevare cioè proprio alcuni di quegli elementi che determinano la sua unicità. La rivendicazione della propria unicità è sempre un atto sovversivo. E l'unicità di una persona è data anche dalle sue origine etniche. Queste considerazioni hanno nulla a che vedere con il razzismo, l'interclassismo, o con la giustificazione di frontiere e di passaporti, o di tutte le altre stupidaggini che puntualmente vengono avanzate da chi divide l'umanità in categorie politiche. I miti reazionari della razza, del sangue, dell'élite, fanno da contraltare ai miti progressisti della collettività, della fratellanza, dell'uguaglianza. La destra accetta l'unicità dell'individuo solo per farne un presupposto per l'instaurazione di una gerarchia, tanto è vero che i fascisti parlano di antiegualitarismo, ponendo quindi l'accento sulla negazione degli altri, laddove il concetto di Unico anarchico si limita all'affermazione di sé. La sinistra nega invece l'unicità dell'individuo livellandolo con una ideologia. Entrambe queste reazioni, di destra e di sinistra, servono ad esorcizzare una medesima paura, quella dell'altro. Se da una parte si allontana con violenza tutto ciò che è diverso, dall'altra si ricamano sopra ideologie umanitarie. Ciò ricorda i diversi comportamenti di chi è affetto dalla fobia per i ragni: c'è chi li schiaccia senza pietà e chi si costringe ad accarezzarli. Ma si ha paura di ciò che non si conosce solo quando non ci si conosce, quando si sente in pericolo quella particola di identità che ancora si possiede. Ecco perché il solo modo per combattere l'antiegualitarismo fascista non è la reiterata affermazione che siamo tutti uguali, mettendo tutti in uno stesso pentolone, ma al contrario la rivendicazione della nostra unicità, di cui ciascuno di noi è titolare.
La viltà fascista
Rimuovere i nostri desideri profondi sublimandoli, non sarà mai un buon metodo per combattere il fascismo, la cui forza consiste proprio nel riconoscere questi desideri. È vero, il fascismo non teme di avventurarsi nell'ombra più oscura, più nera dell'animo umano, ma lo fa solo scimmiottandolo. Sia la Sinistra che la Destra provano una medesima paura della libertà. Ma se la viltà della Sinistra fa ridere, quella della Destra è doppiamente odiosa perché pretende di rappresentare la forza ed il coraggio. Viceversa il fascismo, tutto il fascismo, è intriso di vigliaccheria. Non stiamo parlando della vigliaccheria fisica, come quella degli skinhead capaci solo di aggredire in gruppo un singolo immigrato o un barbone, quanto di quella morale. Ad esempio, il mito viriloide del guerriero fascista, del "soldato politico", è la caricatura dell'individuo che combatte per l'affermazione della propria esistenza. E - per l'appunto - un mito, un insieme di immagini prive di autenticità, perché il fascista accetta sì il combattimento ma lo subordina all'imperativo del potere. Il coraggio fascista è simile al coraggio del poliziotto, borioso e tracotante perché dentro una divisa. E il coraggio dato dall'appartenenza a un branco, dall'avere le spalle coperte, è lo stesso che inebria i militari in guerra, dove tutti gli eccessi sono permessi dalla ragione di Stato e quindi non si rischia nulla. Non a caso i fascisti si considerano "soldati", quindi membri di un esercito, e "politici", quindi uomini di Stato. Allo stesso modo, come abbiamo visto, di fronte al detestato "mondo moderno" e alla necessità di abbatterlo, il fascista non sa fare altro che insultarlo e ricorrere al passato. Non solo non è capace di creare propri valori, ma non è capace neanche di criticare quelli vecchi, di metterli in discussione: li accetta in blocco, sacralizzandoli come Tradizione. Non sa combattere per se stesso, così come non è capace di fare la rivoluzione per se stesso, così come non sa affermarsi in quanto se stesso, unico, ma solo in quanto diverso dagli altri, differenziato. Insomma, deve sempre trovare qualcosa su cui scaricare la responsabilità delle sue scelte. La libertà assoluta, ecco ciò che la Destra teme più di ogni altra cosa, ciò che bolla come sovversione. Ma anche la Sinistra teme la sovversione, che considera solo caos e a cui dà un nome preciso: anarchia!
10. UN PROFICUO CONFRONTO
Fare una mappa completa dei vari gruppi, riviste, case editrici, circoli culturali, librerie che compongono il mondo della destra radicale in Italia è naturalmente impresa ardua, se non impossibile, almeno per noi che per ovvi motivi non abbiamo accesso a tutto il loro materiale. Ecco perché l'elenco che segue, peraltro incompleto, deve venir preso come una semplice panoramica che ci aiuti a capire meglio e ad avviare un proficuo confronto. Siamo certi che i nostri lettori, da persone intelligenti quali sicuramente sono, sapranno apprezzare il nostro sforzo e farne buon uso. Non chiediamo altro. Cominciamo con il fronte antimondialista, quindi con la rivista che per lungo tempo ne è stata l'organo di stampa, Orion, la cui redazione è a Milano presso la libreria La bottega del Fantastico, in via Plinio 32. Il recapito della loro Società Editrice Barbarossa, nonché sede della tipografia dove si stampa Orion è in via Cormano 18, sempre a Milano. Il direttore di questa simpatica rivista è Marco Battarra, la responsabile Alessandra Colla, il leader del gruppo Maurizio Murelli (che potrete sicuramente trovare nella loro libreria), alcuni collaboratori sono Renato Pallavidini, Carlo Terracciano, Luigi Antonio Fino (che sta a Bari), Elio Evandro, Gianantonio Vialli. Per trovare le edizioni dell'Uomo Libero e la corrispondente rivista si deve andare a Laveno Mombello, in provincia di Varese, dove in via Pradaccio 8 si trova la loro sede, ma forse è meglio rivolgersi direttamente al loro animatore, il revisionista Sergio Gozzoli (che per intenderci è il tizio apparso in televisione nei programmi di Lerner e di Costanzo), a Sesto San Giovanni, dove esercita la professione di medico in Viale Marelli 19, con residenza in Via N. Sauro 16. L'altro redattore di questa rivista, il revisionista Pietro Sella, pare sia domiciliato in viale Monte Nero 48, sempre a Milano. Il Circolo A. Romualdi, che pubblica il giornale Aurora, si trova in Via Risorgimento 26 a Cento (FE). Presso il circolo Contropinione si ritrovano gruppi come Forza Nuova e funge anche da agenzia stampa; è situato nel centro di Milano, a due passi dal Duomo, in Corso Matteotti 8. Il gruppo Nuova Azione, scioltosi per confluire nel Movimento Politico Antagonista, aveva recapiti postali a Milano, Genova, Firenze e Manduria (TA). Terzo Fronte è attivo sia a Genova che a Corsico, in provincia di Milano. In Piemonte c'è il circolo Der Sturm, che si trova in via Altitalia 2 a Moncalieri (TO), mentre a Saluzzo (CN) c'era la vecchia sede di Orion. Segnaliamo ancora la rivista Nuove Angolazioni, in via S. Eframo Vecchio 28 a Napoli, a cui dovrebbero far riferimento gruppi come il circolo Controcorrente e l'Organizzazione Aurora. In provincia di Brescia si trova il circolo Orizzonti Aperti, in via Chiesa 71 a Carmignone, mentre a Ghedi è presente l'associazione culturale Noi Stessi. A Reggio Emilia c'è il circolo Oltre la linea, mentre il circolo Il Punto ha organizzato iniziative sia a Udine che a Gallarate, sebbene non sappiamo se si tratta del medesimo. Per richiedere il materiale del Movimento Tradizionalista Romano bisogna invece rivolgersi alla redazione di La Cittadella, in viale Italia 71 a Messina. La redazione del giornale La Spina nel Fianco è a Latina, in Via Cesare Battisti 2. Se poi volete incontrare Claudio Mutti, vecchio amico di Freda e collaboratore di Orion, dovrete recarvi in quel di Parma, da dove dirige le edizioni All'Insegna del Veltro, in viale Osacca 13, oppure nella sede delle edizioni La Sfinge, in via Marchesi 30, sempre a Parma. Franco Freda invece si è da anni spostato a Brindisi, in via Magaldi 1, dove hanno sede le sue Edizioni di AR. Allo stesso indirizzo avevano anche recapito le edizioni Il Cavallo Alato, che ora si devono essere spostate a Padova. Il Fronte Nazionale, da lui creato e per la cui costituzione è finito in prigione, ha la sede nazionale in via Bergamo 13/a, a Milano. Di Stefano Delle Chiaie non siamo riusciti a sapere molto, tranne che guida la Lega NazionalPopolare. Quanto al suo amico Mario Merlino, indimenticato da noi anarchici, sappiamo solo che insegna in un istituto romano. Mario Tuti, come sappiamo, si trova in carcere, ma i suoi camerati si danno comunque da fare, in Toscana e altrove. Uno dei luoghi dove è possibile trovarli è il Caffé dell'Ussero, a Pisa, sul Lungarno Pacinotti. A Roma il gruppo Meridiano Zero, guidato da Rainaldo Graziani, dovrebbe avere un paio di sedi, una in via Catania e l'altra in via Castelfidardo 60. Quanto poi al Movimento Politico Occidentale, la sede di Via Domodossola è stata chiusa dalla polizia, ma uno dei leader, Maurizio Boccacci, vive ad Albano (RM); gli altri sono Alberto Devitofrancesco e Roberto Valacchi. Da segnalare, sempre a Roma, la libreria Europa, in via Sebastiano Veniero 74/76. Anche la redazione di Indipendenza si trova a Roma, in Via Carlo Alberto 39, presso il gruppo Kronos 1991, oppure da Fabrizio Mezzo, Via D. Galimberti 27 (sempre a Roma), che ha un recapito postale anche a Brescia (casella postale 152). Già che ci siamo ricordiamo anche la rivista Tendenze, che ha la redazione presso Pietro Casatrecchia, in Via Atalarico 35, a Ravenna. Le edizioni della Sentinella d'Italia si trovano a Monfalcone, in provincia di Gorizia, in via Buonarroti 4, mentre a Trieste c'è una simpatica libreria chiamata Il Sentiero, in via San Francesco 40. A proposito di librerie, a Rimini c'era Il Cerchio; non sappiamo se sia ancora aperta, di certo è attiva una casa editrice di destra che porta questo stesso nome, ma non ne conosciamo il recapito. Fondatore e animatore principale della Nuova Destra è senza dubbio Marco Tarchi, il cui domicilio è in Via O. da Pordenone 3 a Firenze, mentre la redazione delle riviste dirette dallo stesso Tarchi (Diorama Letterario e Trasgressioni), nonché sede del circolo La Roccia di Erec, è in Via Laura 10, sempre a Firenze. Un'altra rivista della Nuova Destra è Elementi la cui redazione è presso il Centro Direzionale "Quattro Torri" a Ellera Scalo (Perugia). Direttore di questa rivista, nonché di un'altra rivista, Futuro Presente, è Alessandro Campi, corrispondente da Perugia del settimanale l'Italia. Tutto fa quindi supporre che si tratti di quell'Alessandro Campi che vive in via Lancellotti 6, a Perugia per l'appunto. Facile è stato rintracciare i recapiti delle numerose case editrici di destra. Ad esempio, le edizioni Settecolori si trovano in Viale Accademie Vibonesi, Palazzo D'Urzo a Vibo Valentia. Le edizioni Sveva sono in Piazza Imbriani 6 a Andria (Bari). A Genova è possibile trovare sia le edizioni I Dioscuri, in via Dante 2/176, che Il Basilisco in Vico dei Garibaldi, 41r. Restando in Liguria, c'è da segnalare ancora le edizioni Il Tridente, site in via Costantini 50 a La Spezia, oppure La Casa del Libro che si trova in via Pratolino 24 a Ponzano Magra, sempre in provincia di La Spezia. Le edizioni Arktos sono a Carmagnola, in provincia di Torino, in via Gardezzana 57. Mentre la Sear è a Scandiano (RE) in piazza Spallanzani 9. Le edizioni Il Labirinto invece sono a Montepulciano (SI) in via dell'Opio nel Corso 3. Scendiamo infine in Sicilia dove troviamo: a Catania le edizioni Il Cinabro in via Crociferi 54 e a Palermo le edizioni Thule in via Granna 95.
INDICE Estremismi all'opposto? La verità sull'olocausto Nazismo: un alimento della democrazia Il fascismo come rivoluzione sentimentale Gli anarchici e la paura della libertà Un proficuo confronto
RETRO DI COPERTINA:
Per combattere il fascismo è importante conoscerne i tratti, le manifestazioni, la strategia che nella sua versione radicale è tutta incentrata sulla sintesi fra Destra e Sinistra. Ma questo non basta. Dobbiamo soprattutto conoscere il nostro progetto, dobbiamo anche sapere i motivi che spingono noi a lottare contro questo mondo. Per riuscire a comprendere il senso reale - non quello ideologico - delle posizioni contrapposte. Questo libro, affrontando diversi argomenti, rappresenta un insolito tentativo volto in questa direzione.
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