ottimista a breve proprio no, sul lungo periodo magari si.
x garabombo, le mistificazioni non le ho dimenticate, hai mai visto questo? (p.s. siete in due garabombi, tu dovresti essere il n° 3 :))
TUTTE LA BALLE SULL'IRAQ.
by mazzetta Saturday March 06, 2004 at 01:22 PM A voi quasi tutte le mistificazioni degli ultimi anni sull'Iraq.
I governi di Usa e inglese sono da tempo accusati di aver “truccato” le informazioni relative alla situazione irachena. Una analisi su questo punto, per quanto incompleta, è possibile basandosi su fonti americane ed internazionali certe, confrontando il millantato con la realtà emersa. Varie le tecniche che presiedono la creazione dell’illusione ad uso dei media compiacenti, tecniche che, pur non conseguendo quasi alcun successo presso i media non americani, e poca presso quelli britannici, hanno saturato invece i media Usa, che hanno accettato acriticamente bugie facilmente smascherabili ed affermazioni improbabili.
Il Rapporto Conetta, e gli altri riscontri proposti, accusano i governi in questione, ma pongono in realtà una questione che è ancora più importante dei pur luttuosi eventi irakeni, per i destini internazionali, e per quelli del balocco che ancora amiamo chiamare “democrazia occidentale”.
La necessità di una corretta informazione, esigenza che diventa ancora più fondamentale quando i cittadini debbano formarsi un’opinione su una questione tanto importante come dichiarare o meno una guerra. L’enorme inganno, provato al di là di ogni ragionevole dubbio, non è pagato solo dalla disgraziata popolazione irakena, ma rischia di uccidere la concezione stessa di “democrazia” come l’abbiamo maturata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il Dr. David Miller, dello Scotland’s University of Stirling Media Research Institute, ha analizzato il complesso dei sondaggi d’opinione relativi alla Guerra in Iraq nel mondo, scoprendo che solo in 3 paesi: Usa, Gran Bretagna ed Israele, le opinioni pubbliche erano in favore dell’intervento. Ancora più scioccante è scoprire che gli americani stessi erano, a gennaio dello scorso anno, per l’83% in favore dell’intervento sotto un mandato Onu, e solo il 33% in favore di un’azione unilaterale. Questa è la prima dimostrazione, gli americani sono ancora convinti di essere in compagnia di decine di paesi, i cui cittadini approvano le modalità della “war on terror”.
La prima vittima di questa guerra è il cosiddetto “quarto potere”, cioè la libera informazione, o meglio, l’informazione fornita dai corporate media, i colossi dell’informazione mondiale, le fila dei quali sono tirate in Occidente, da pochi, scelti personaggi dell’oligarchia che tutto decide e tutto ordina. Con la libertà del quarto potere muore anche la figura del cittadino informato e libero di formarsi, ed esprimere, quella opinione che legittima le decisioni democratiche. In realtà il cadavere era tale da parecchi anni, ma gli eventi che hanno portato alla guerra irakena hanno permesso di dichiararne inequivocabilmente il decesso legale. Non è diversamente concepibile il fatto che una tale massa di non-verità manifeste, abbia potuto conquistare i titoli dei corporate media, mentre i brandelli di verità, quando comunicati, siano sempre stati occultati in invisibili trafiletti nelle pagine interne, dati ai cittadini senza l’enfasi che invece ha caratterizzato la diffusione delle “balle spaziali”.
Alcuni degli esempi più significativi:
"Mohamed Atta (attentatore-capo del 9/11) incontro’ un agente irakeno a Praga nella primavera del 2001, quindi in qualche maniera l’Iraq è coinvolto” Questo è uno dei cavalli di battaglia di Richard Perle, autorevole esponente dei think tank della destra Usa. Bush, riportando questa affermazione come una possibilità, ottenne il doppio effetto di ingenerare questa convinzione nell’opinione pubblica, e l’elogio dei media per la sua “cautela” nel trattare l’argomento. Insieme a Frank Gaffney, Perle sostenne, nel 1995, il coinvolgimento irakeno anche nell’attentato di Oklaoma City ( http://slate.msn.com/id/2070410/). Una bufala enorme. Richard Perle si è dimesso questa settimana “per non causare problemi alla campagna per la rielezione del Presidente”. Il legame Iraq-Atta è stato smentito dalla stessa Amministrazione Usa, la quale ha diffuso una lettera di un importante affiliato di al-Quaeda che incita a promuovere la guerra civile nel paese occupato, ma che nella parte “sorvolata” dagli americani, chiarisce esplicitamente come al-Quaeda non avesse alcun legame con il regime sconfitto.
Il 66% degli americani crede ancora che Saddam sia responsabile per gli attacchi del 9/11. Nessuna prova è mai stata fornita del coinvolgimento di alcun cittadino irakeno nell’attacco alle torri gemelle. Agli stessi ambienti risalgono le teorizzazioni che vorrebbero l’intero mondo musulmano una minaccia alla sicurezza Usa, e quelle che vorrebbero convincere che la guerra al “terrorismo” sarà infinita.
“Sappiamo che gli irakeni hanno addestrato membri di al-Quaeda all’uso delle armi chimiche e batteriologiche” . Da un discorso di Bush, ottobre 2002. Affermazione non supportata neppure dalla fonte, il capo della Cia Tenet, il quale descrive questa informazione come non riscontrata o dubbia, in una intervista (http://www.latimes.com/news/nationworld/nation/wire/la-na-cia11oct11.story), fatto smentito anche successivamente insieme alla presenza di appartenenti di al-Quaeda in iraq precedentemente all’invasione Usa.
“Sappiamo, da disertori irakeni, che sul finire degli anni ’90 l’iraq possedeva laboratori chimico-batteriologici mobili, laboratori dei quali nessuno ha dimostrato la distruzione” (circostanza smentita dall’ispettore Onu, Hans Blix -http://truthout.org/docs_02/020603A.htm) Glen Ragwala, massima autorità inglese sull’Iraq, mai ospitato nei dibattiti Usa, nota come le prime dichiarazioni di tali disertori non facessero accenno a tale eventualità, “emersa” solo in un momento successivo. A sostegno di questa affermazione vennero mostrate foto satellitari di comunissimi camion.
“Gli inglesi hanno appreso che Saddam ha recentemente trattato quantità significative di uranio in Africa!” Affermazione per la quale nessuno dei due governi è mai riuscita a fornire alcuna prova, e della quale si è poi scoperta l’origine peregrina ( http://traprockpeace.org/weapons.html). Il procedere della polemica ha coinvolto i servizi ed un ambasciatore, nella disordinata ricerca di un capro espiatorio sul quale riversare la responsabilità della menzogna. (http://www.alcatraz.it/redazione/news/show_news_p.php3?NewsID=1832)
“Le armi di distruzione di massa sono controllate da un tiranno che le ha già usate provocando migliaia di vittime!” Affermazione che attacca la moralità di operazioni incoraggiate e supportate logisticamente dagli Usa (guerra con l’Iran), o alle quali gli stessi americani hanno fornito copertura (l’amministrazione Reagan dopo l’attacco di Halabja del 1988, contro i curdi, impedì al Congresso elevare sanzioni contro l’Iraq). Affermazione legittima eventualmente per il governo svedese, non certo per i Repubblicani americani, dalla parte di Saddam in quelle occasioni. Peter Galbraith, ex ambasciatore Usa e professore al National War College di Washington: “I Curdi non hanno dimenticato che il Segretario di Stato Colin Powell era il consigliere della sicurezza nazionale che orchestro’ la decisione di Reagan di concedere il permesso a Hussein di gassare il loro popolo”. (http://www.boston.com/globe/magazine/2002/1215/coverstory_entire.html)
“Vi ricordo che i primi ispettori che andarono in Iraq, e che furono rifiutati, riferirono all’AIEA che agli irakeni mancavano sei mesi per ottenere la bomba atomica. Non so che altra prova serva!” (Bush alla conferenza stampa del 07/09/2002 insieme a Blair). Tre settimane dopo un articolo del Washington Post smentisce l’esistenza di un tale rapporto, anzi, nel rapporto indicato da Bush, El baradei scrive: “ non ci sono indicazioni che rimanga in Iraq nessuna capacità fisica per la produzione di materiale utile alla fabbricazione di armi atomiche” ( http://www.washtimes.com/national/20020927-500715.htm). Fino ad oggi non si registrata alcuna precisazione della Casa Bianca su tali dichiarazioni, evidentemente false.
La lista; il Segretario di Stato Usa Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo scorso febbraio: 500 tonnellate di gas nervini, 25.000 litri di antrace, 38.000 litri di botulino, 29.984 munizioni e ogive da lancio di vario tipo, dozzine di missili Scud di lunga gittata, centrifughe per l’arricchimento militare dell’uranio, 18 laboratori mobili per la produzione di armi biologiche, aerei senza pilota per consentirne lo spargimento. Nulla, ma proprio nulla, di tutto questo è stato trovato, o ne è stata dimostrata l’esistenza. Per sostenere questa lista sono state mostrate foto satellitari ee effetti speciali, rivelatisi una montatura. A titolo di esempio, una centrifuga è un monolite di metalli pregiati della dimensione di circa 4 metri per lato, difficile trasportarla e nasconderla passando inosservati.
“Il rischio di non far nulla, come di presumere il meglio da parte di Saddam Hussein, non è un rischio da poco” Affermazione che trascura del tutto l’embargo al quale era sottoposto il paese, le due no-flight zones, e le ispezioni Onu, su questo il parere di Gimmy Carter (http://alternet.org/print.html?StoryID=15084), non esiste il “non far nulla” contro il quale si scagli Bush, in realtà la comunità internazionale stava facendo di tutto.
“Abbiamo scoperto che l’Iraq possiede una flotta di velivoli teleguidati capaci di trasportare armi biologiche e chimiche. Temiamo stiano studiando il modo per usarli per colpire gli Stati Uniti” In questo discorso dell’ottobre 2002, Bush omette il particolare, non insignificante, della scarsa autonomia di questi “droni”, la possibilità irachena di raggiungere per mare, non intercettata, le coste Usa e di sferrare un attacco con queste armi è stata calcolata in un miliardo a uno. (http://www.thedubyareport.com/malleablefacts.html), questa l’intervista di Dana Millibank sul Washington Post, il cui link è scaduto. Un solo esemplare di aereo telecomandato è stato rinvenuto dagli americani, ed era, per loro stessa ammissione, un prototipo scadente.
“Saddam ha avuto numerosi meeting con i suoi scienziati nucleari, che chiama “i miei mujahedeen nucleari, cioè i miei sacri guerrieri nucleari”. Fanatismo islamico e terrore nucleare, cosa chiedere di più? In realtà il termine Mujahedeen indica “chi combatte per una causa”, non ha quindi un senso inequivocabilmente guerresco, tant’è che Saddam si rivolge anche ai medici dicendo “ I mujaehdeen che sviluppano il sistema sanitario irakeno”. In realtà Saddam, in quel discorso parla di energia nucleare e non di armi. (http://traprockpeace.org/weapons.html)
"La nostra intelligence ha saputo che Saddam ha cercato di comprare tubi di alluminio ad alta resistenza” (utili alla produzione di WMD). In reltà i tubi sembrano perfetti per l’artiglieria convenzionale. Lo stesso Washington Post esclude potessero avere un qualsiasi uso “atomico”:( http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/articles/A35360-2003Jan23.html). Affermazione sostenuta anche da Powell, poi autorevolmente smentito (http://www.sptimes.com/2003/02/06/Worldandnation/A_strong_case__but_is.shtml).
“Gli unici scopi possibili per il quale l’Iraq si è procurato queste armi è dominare, intimidire o attaccare”. Una totale bestialità, le armi atomiche, in particolare, sono sempre state considerate un deterrente, cioè arma difensiva, e non interpretate come armi utili all’invasione o attacco di conquista di un nemico. Secondo questa interpretazione, per esempio, Israele si sarebbe armato atomicamente per bombardare i vicini, un evidente nonsense; nella storia delle armi atomiche solo gli Usa hanno impiegato tali armi, e non certo perché militarmente necessarie.
“L’America non può ignorare la minaccia che si addensa su di noi, non possiamo attendere la prova finale, la pistola fumante, che potrebbe giungere sotto forma di fungo (atomico)”. Totalmente privo di senso, la comunità internazionale non permette un riarmo atomico dell’Iraq, ma anche se lo avesse fatto, sarebbero stati necessari parecchi anni prima della costruzione della prima arma atomica. A complemento, si può notare che nessuno ha mai sostenuto che l’Iraq possedesse missili intercontinentali, o comunque a lungo raggio.
“Dobbiamo pensare che Saddam Hussein usi al-Quaeda per fare il lavoro sporco, senza lasciare le sue impronte”. (http://thenation.com/capitalgames/index.mhtml?bid=3&pid=124 Alla luce delle considerazioni precedenti vien da chiedersi: un tentativo di ipnotizzare gli interlocutori? Perché “dobbiamo pensare”?
“Saddam Hussein ha attaccato l’Iran nel 1980 e l’iraq nel 1990” Due verità assolute, il trucco sta nel trascurare il piccolo particolare che l’Iraq attaccò l’Iran su mandato americano, supportato dagli americani, per combattere i nemici degli americani. Bush si avvale ancora dello stesso staff che all’epoca sosteneva Saddam. Sorvolando su questo particolare, Bush cerca di occultare strumentalità della sua accusa.
"Rapporto Conetta: Disappearing the Dead: Iraq, Afghanistan, and the Idea of a "New Warfare” prodotto dal Project on Defense Alternatives del Commonwealth Institute in Cambridge, Massachusetts. Una estesa richerca del Dr. Carl Conetta, raccoglie e svela le menzogne, ed i trucchi usati dall’Amministrazione Usa e Gran Bretagna per ingannare i propri cittadini sul numero delle perdite e sull’andamento della guerra in Iraq. In: http://www.comw.org/pda/0402rm9.html trovate il rapporto completo e una bibliografia molto accurata.
Questo rapporto per quanto completissimo, non esaurisce tuttavia la quantità di dirty tricks messa in campo dalla disinformazione governativa di questi 2 paesi. Il primo rilievo dello studio di C. Conetta, riguarda il fatto che per l’amministrazione Usa, il terreno dell’informazione è uno “spazio di battaglia”, nel senso che per condurre in porto efficacemente una guerra, in particolare una “volontaria”, cioè una guerra che si decide volontariamente di intraprendere senza l’esistenza di un pericolo reale che minacci la nazione, occorre acquisire la stessa supremazia, sia nell’agone mediatico che sui campi di battaglia. Il richiamo costante è all’esperienza mediatica fallimentare della guerra in Vietnam. Per combattere questa guerra viene istituito, nel 2001, l’Osi, ufficio per l’influenza strategica,chiuso, almeno ufficialmente nel 2002 dopo che la rivelazione della sua esistenza aveva fatto scoppiare uno scandalo. L’Osi aveva/ha come compito principale, quello di influenzare le opinioni pubbliche straniere nella loro percezione delle operazioni americane. Facendo mente locale alla situazione italiana, viene da pensare che alcuni “intelligenti” commentatori Tv, già al soldo della Cia per loro stessa ammissione, siano stati arruolati alla bisogna, tra questi: vecchi generali, politologi e giornalisti, ognuno vada con la mente a certe, a prima vista, inspiegabili dichiarazioni e faccia le sue considerazioni.
“Spinning e Framing”
Sono le due tecniche, sottolineate da Conetta, attraverso le quali i governi hanno cercato di guidare la produzione dei media. Con il primo verbo Conetta intende l’operazione volta a rivoltare, in senso favorevole, il significato di un evento, in modo da fornire ai media una “interpretazione autentica” della notizia come viene loro porta. Tecnica che non sopravviverebbe ad una minima analisi critica, se questa esistesse. Con Framing, invece, si intende lo spezzettamento, la frammentazione, di argomenti complessi, utilizzando singole affermazioni o avvenimenti, decontestualizzate in modo che propongano un significato completamente diverso di “verità” altrimenti, formalmente, perfette.
L’apparato mediatico schierato a fianco dei marines, è stato guidato da una serie di strategie e di menzogne. Seguendo l’ordine indicato da Conetta, la prima, più pregnante trovata ad uso dell’informazione irregimentata, è stata la definizione del nuovo “warfare” (il modo di guerra), cioè della guerra “nuova”. “Con una combinazione di strategie creative e tecnologie avanzate, stiamo ridefinendo la guerra nei nostri termini. In questa nuova era di warfare , possiamo colpire un regime, senza colpire una nazione.” (Bush: 16/4/2001).
Questo poteva essere vero nel caso della caccia limitata ad Osama, non certo sollevando due guerre convenzionali a due entità nazionali. Conetta accredita circa 50.000 morti in queste guerre, il che porta ad oltre 200.000 i colpiti, seguendo la proporzione classica di 1 morto = 4 feriti. Questo porta ad un numero elevatissimo le persone che hanno sofferto lutti a causa delle operazioni statunitensi, con le comprensibili ripercussioni in ordine a odio verso gli Usa e a numerose reazioni violente verso i soldati americani. Da sottolineare come le operazioni americane successive al 9/11 abbiano portato ad una espansione del fenomeno, grazie alla sconfinata arroganza dei comportamenti dell’Amministrazione americana i giovani musulmani si sentono ancora di più discriminati e soggetti a valutazioni e politiche arbitrarie, e si avvicinano maggiormente ai fondamentalisti.
Se Conetta ritiene corretta la stima relativamente modesta di 5000 insorgenti iracheni (in realtà secondo altre, numerose fonti sottostimata), ammette che il malcontento è molto elevato, un recente sondaggio condotto in 4 città irakene rivela che il 49 per cento degli intervistati attribuisce gli attacchi alla “resistenza” e solo il 29% a lealisti del partito Baath. Solo il 36% degli abitanti di Baghdad pensa che gli attacchi ai soldati Usa siano: completamente, parzialmente o casualmente “ingiustificati. Sondaggi ancora più significativi indicano come in 6 nazioni europee (Francia, Germania, Italia, Russia, Spagna e Turchia), si siano costituite maggioranze favorevoli all’allentamento dei legami dei rispettivi paesi con gli Usa. Dall’inizio dell’invasione afgana, inoltre, è aumentato notevolmente il numero degli attentati di matrice islamica nel mondo, in parallelo con il crollo verticale della simpatia per gli americani nei paesi a maggioranza musulmana. Questo è accaduto perché, al di fuori degli Usa si è avuta la percezione dell’alto tributo di sangue versato, e perché sono state svelate alle opinioni pubbliche le bugie americane, solo in Italia resta una percentuale del 60% che conserva una visione “favorevole” degli Usa (dal 76% del pre-guerra).
Filoamericanismo ad oltranza o disinformazione? Da questa esigenza di praticare un “management” dell’informazione sulla guerra e sul numero delle vittime, derivano una serie di trucchi bugie, dimostratesi assolutamente controproducenti. Un’analisi condotta da Sam Gardiner, ex colonnello Usaf, ha identificato almeno 50 false asserzioni, tutte riportano il segno di una pesante manipolazione dei media. Le armi di distruzione di massa (WMD), i contatti tra Iraq ed al-Quaeda, le violazioni da parte degli irakeni delle leggi di guerra, la resa di divisioni irakene, la vicenda del soldato Jessica Linch, la situazione del dopoguerra, l’esecuzione da parte degli irakeni di prigionieri di guerra, i danni ed i morti civili e pure il ventilato sostegno dei governi francese, tedesco, russo e siriano all’Iraq, sono tutte, inequivocabilmente, rappresentazioni false della realtà ad uso dei media. Tra gli sforzi attivi e creativi, vanno annoverati: soldati irakeni che compiono atrocità sui propri civili, travestiti da americani; l’accumulo preventivo, senza inumazione dei cadaveri nel pre-guerra, da esibire in gran numero nel dopoguerra.
Alla stessa categoria appartengono le affermazioni del vice-ammiraglio Lowell Jacoby, direttore della Defense Intellingence Agency, che testimoniava al congresso affermando che gli irakeni, probabilmente, si avviavano a distruggere le proprie scorte alimentari, impianti energetici ed infrastrutture di trasporto, al fine di creare un disastro umanitario da attribuire agli Usa.
Un esempio di plateale menzogna è poi rappresentato dal bombardamento di due mercati di Baghdad, circa 70 vittime civili, per le quali gli esperti del Pentagono indicarono immediatamente la responsabilità irakena, riconducibile a missili antiarei ricaduti al suolo. Pur trascurando l’assoluta non-probabilità dell’evento, gli americani non hanno abbandonato la loro linea, neppure di fronte ai rottami di un missile Usa rinvenuti da un reporter inglese sul luogo, semplicemente hanno virato dalla sicura responsabilità irakena, alla definizione di “evento incerto”. Paradossale anche la pretesa della “illegalità” delle difese irakene, i quali sotto il bombardamento di “Shock and awe”, avrebbero dovuto rispettare le indicazioni Usa, non supportate da alcuna regola internazionale, e piazzare le loro artiglierie antiaeree in posizioni scoperte, onde minimizzare la possibilità, da parte americana, di coinvolgere bersagli indesiderati.
Questa pretesa è stata demolita con le seguenti osservazioni da esperti militari e legali di ogni paese:
a) una guerra che mira a sovvertire un regime implica sicuramente combattimenti urbani, perlomeno durante la presa della capitale nemica;
b) Una difesa dei massimi obbiettivi, la sovranità nazionale, o la sopravvivenza di un regime, porta la considerazione delle “necessità militari” a livelli molto alti (le “necessità militari” legittimano i comportamenti in guerra secondo le leggi internazionali);
c) prescindendo dalle precedenti considerazioni, ogni attacco combinato aria/terra ad una città la trasforma in zona di combattimento dando luogo ad intensi scambi tra attacco e difesa. In questo caso è evidente che chi attacca si assume i rischi delle conseguenze della battaglia.
Queste menzogne, inganni ed omissioni, sono stati portati avanti, secondo Conetta, basandosi su 4 pilastri, concetti veicolati ai massmedia, e da questi sostenuti acriticamente:
a) guerra di precisione (precision warfare); la superiore tecnologia Usa consentirebbe una tale selettività dei bersagli da rendere incomparabilmente inferiori ad altri eventi bellici le cd. “perdite collaterali”. Questo rappresenta un nonsense logico se si considera che: la precisione vantata è nella misura di una quindicina di metri nel 50% dei casi di armi che giungono a bersaglio; quelle che effettivamente vi arrivano hanno un CEP (margine di errore circolare) a volte di alcune decine di metri, e parliamo sempre di quintali di esplosivo, inoltre l’esito di ogni colpo sparato dipende dalle condizioni di battaglia, climatiche etc. Non esiste nessuna attività civile per la quale sarebbe accettata la definizione di “precisione” tanto vantata dai militari. Mai questa precisione è mai stata accertata da indagini empiriche sul campo, ma solo dedotta da calcoli e simulazioni; inoltre solo 1/3 del potere esplodente consumato sugli irakeni era portato da armi cd. “intelligenti”. Il resto bombe stupide; 6 kilotoni di esplosivi veicolati da armi intelligenti e 12 kilotoni di stupide armi convenzionali. La definizione di “guerra di precisione” rappresenta un inspiegabile ed imprevedibile successo del marketing marziale.
b) Limitazione dei danni: valgono le condizioni di cui sopra, ancora più facilmente riscontrabili dalla conta dei danni alle infrastrutture irakene. Inoltre la valutazione di danno “necessario” è demandata agli operatori sul teatro di battaglia e secondaria rispetto alle esigenze operative: “Ho personalmente approvato bersagli che avrebbero potuto causare 3.000 morti, e sollevato questioni su missioni nelle quali si rischiavano meno di 20 vittime civili” (avvocato militare attivo nel processo di scelta dei bersagli).
Quindi, per i due punti precedenti, vale un relativismo elevatissimo, contrario alla esibizione di certezze mostrata sui media.
c) Agnosticismo sulle perdite
d) Dichiarata irrilevanza delle stesse perdite; Secondo queste ultime due tattiche: non siamo sicuri di quanti siano i morti, non ci interessa, non contano.
La considerazione di guerra con poche perdite umane andrebbe estesa, ovviamente, al numero complessivo delle vittime, non solo alle proprie. Effettivamente un rapporto di 60:1 tra le perdite militari sui due fronti indica davvero “pochi morti” americani ( 4:1 nella guerra arabo-israeliana, rapporto che fu giudicato eccezionale); questa considerazione non porta però a considerare questa guerra come una rivoluzione, almeno non in questo senso. I conflitti più recenti, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi hanno prodotto esattamente la stessa dimensione di “casualties” della guerra irakena.
A questo atteggiamento attiene anche lo scarico della responsabilità sugli attaccati. Così se: gli afgani/irakeni hanno “reso necessaria la guerra”; sarà loro anche la responsabilità delle vittime; allo stesso modo affermazioni come: “ è quasi impossibile ottenere informazioni fattuali sulle vittime civili”, “…..non penso che in nessuna guerra si sia mai avuta la certezza sul numero reale delle vittime”, “…il numero delle vittime non può mai essere determinato con precisione”; dimostrano la volontà di evitare il tema.
Comportamenti conseguenti impediscono poi la dichiarazione di qualsiasi numero al riguardo delle vittime irakene, e vanno dalla pretesa di criteri rigidissimi per dichiarare una morte come “causata da operazioni belliche”, allo scartare centinaia di reports sui morti tacciandoli di “imprecisione”. Una evidenza clamorosa è data dal fatto che il numero dei morti dichiarati dal Centcom americano è inferiore a quello complessivamente documentato dai media, sommando i singoli episodi riportati dalla stampa di vari paesi, episodi rilevati e documentati sul campo (il criterio utilizzato comrende solo gli “incidenti” riportati da almeno due testate internazionali, e solo se almeno una di queste appartiene al cosidetto primo mondo).
Di più: da ottobre l’autorità provvisoria Irakena non fornisce più statistiche sui deceduti per cause violente, causa “impossibilità nel fornire dati corretti”. Ergo: da allora gli irakeni muoiono solo per incidenti o cause naturali, almeno per la statistica. Perché non contare i nemici morti?
“Perché non è una misura dell’efficacia delle operazioni militari, non importa quanti soldati nemici uccidi, ma se l’operazione ha successo” (lt.col. Dave Lapan, portavoce del Pentagono). Ovviamente si tratta di una clamorosa balla, stime del genere sono state fatte frequentemente ad ogni livello, e pure condivise con gli operatori dei media presenti sul campo, sono calcoli che hanno in realtà una loro importanza, semplicemente non hanno mai visto le pagine dei giornali Usa. A quale esercito non importa la consistenza degli avversari? Parrebbe incredibile, ma è bene continuare a ricordarlo, che questa guerra ha avuto la maggiore copertura mediatica della storia.
Centinaia di giornalisti sul campo, embedded e non, sono riusciti solo a trasformarsi in megafoni della visione americana. Gli articoli di approfondimento sul campo sono stati ospitati occasionalmente senza mai avere l’onore di un titolo di testa o divenire oggetto di polemica. Armi ad alta imprecisone: così Conetta definisce le munizioni idealmente sparate verso le opinioni pubbliche mondiali, colpi che hanno avuto l’effetto esattamente contrario a quello ricercato, mentre hanno spiegato il loro effetto sull’opinione pubblica interna, anche se, ad osservare le coperture riservate agli eventi bellici dai media domestici, potevano addirittura sembrare inutili in quanto superflue.
Una tale massa di imprecisioni, forzature e menzogne manifeste non avrebbero potuto arrivare a costituirsi come realtà, nella mente degli americani, senza la complicità dei cosidetti “corporate media”, quella parte di editoria sostenuta dal denaro dei colossi multinazionali, assolutamente piegata ai desideri dell’elitarismo e dell’arroganza dell’amministrazione neoconservatrice. Una colossale opera di mistificazione, che ha mietuto vittime illustri arrivando a colpire persino la BBC, rea di aver messo in discussione alcune di queste supposte “verità”. Un sistema di controllo dell’informazione e di propaganda, ancora più efficace e permeante di quelli di alcuni regimi autoritari di infelice memoria.
Una mistificazione alla quale si presta anche gran parte della stampa italiana, sui temi esteri come sull’allarme interno verso gli inesistenti progetti di attentati, e gli arresti ad arte di “terroristi” mai dimostrati tali nel nostro paese, a questo proposito occorre ricordare come per riuscire a proporre la notizia eclatante, i nostri servizi abbiano montato veri e propri falsi, imprigionando ingiustamente decine di persone. Paradigmatico il caso dei pakistani che avrebbero voluto avvelenare gli occupanti dell’ambasciata Usa di Roma: false le trascrizioni delle intercettazioni, a verbale che si parlava in italiano mentre per la perizia della difesa sui nastri originali sono occorsi due interpreti; false le prove: il presunto veleno è rappresentato da una sostanza utilizzata nella vinificazione, assolutamente non idonea al piano inventato, la documentazione trovata a questi poveretti consiste in normalissime mappe turistiche, in possesso di qualsiasi turista che sbarchi a Roma; false le esigenze cautelari che mantengono in galera gli innocenti dopo mesi di menzogne.
Episodio paradigmatico, ma non unico; sono una ventina i casi di arresti campati per aria, di persone delle quali non è poi stato dimostrato alcun reato attinente al terrorismo sul nostro territorio . In questo senso è fortissima la sensazione di un pesante vassallaggio dell’informazione nostrana agli input Usa, specchio fedele della politica piaggesca del nostro governo; governo al quale fa capo il controllo quasi totale dei media italiani, non ci sarebbe quindi da stupirsi, se non per l’enormità e l’anomalia della situazione nel nostro paese.
Mistificazione che viene confermata anche negli effetti sui cittadini, dal sondaggio segnalato prima: in tutto il mondo al di fuori di Usa, Gran Bretagna e Israele, l’Italia ha la percentuale meno elevata di persone che sentono cambiata la loro percezione degli Usa dopo l’attacco all’Iraq, fenomeno che và di pari passo con la pessima informazione veicolata da gran parte della stampa e dei media in generale.
Sull’importanza di una corretta informazione del corpo elettorale su questioni di questa rilevanza, rimando alle parole di G. Sartori: "Il nesso costitutivo tra pubblica opinione e democrazia è di solare evidenza: la prima è il fondamento sostantivo e operativo della seconda. […] Per essere in qualche modo sovrano il popolo deve dunque possedere ed esprimere un "contenuto": e l’opinione pubblica è appunto il contenuto che dà sostanza e operatività alla sovranità popolare". C’è di più. Poiché "la pubblica opinione che fa da architrave alla democrazia è un’opinione "autonoma" [e] non è tale perché ubicata nel pubblico, ma perché fatta dal pubblico".
Che “contenuto” possono esprimere il nostro popolo, e quello americano, basandosi su questo pattume informativo? Resta solo un’avvertenza, a proposito delle prossime dichiarazioni di Bush, per la quale ricorrero’ alle parole di Donald Rumsfeld, Segretario della Difesa Usa: “Bene, prima di tutto egli è un bugiardo, Egli mente ogni singolo giorno….. Ora, mi sembra che ogni volta che riferite qualcosa di suo, dovreste premettere: Ecco un uomo che ha sempre mentito, e consistemente!” Queste frase è stata rivolta a Saddam, il 19 gennaio dello scorso anno. Pare perfetta anche per Mr. W.Bush. (http://www.democraticunderground.com/articles/03/01/25_rumsfeld.html)
|