Demoniocrazia Berlusconi al potere Demoniocrazia Il protagonista: Berlusconi Silvio, palazzinaro milanese e, nell’anno 1994, presidente del governo italiano. L'oggetto: la mafia, la massoneria, gli affari in Sicilia e Sardegna, le misteriose origini, la costruzione del partito azienda. Chi si ricorda di Dell’Utri, Pino Mandatari, della P2 e dello stalliere ? 'Dottor Berlusconi, qual è il segreto del suo successo ?'.'Sono d’accordo con lei, è un segreto'
19-12-2000 - 1857 letture Antonello Mangano Risorse > Segnala questo documento | Monografie Lingue > Questo documento è disponibile in: Italiano
{ Piovre e biscioni} Il protagonista: Berlusconi Silvio, palazzinaro milanese e, nell’anno 1994, presidente del governo italiano. L'oggetto: la mafia, la massoneria, gli affari in Sicilia e Sardegna, le misteriose origini, la costruzione del partito azienda. Chi si ricorda di Dell’Utri, Pino Mandatari, della P2 e dello stalliere ? 'Dottor Berlusconi, qual è il segreto del suo successo ?'.'Sono d’accordo con lei, è un segreto' Antonello Mangano mafia, economia, politica Non è possibile pensare ancora alla mafia con coppola e lupara, da combattere con l'esercito. Il braccio militare dell'organizzazione serve solo come 'extrema ratio' e viene usato solo quando gli altri interessi sono in grave pericolo. La stessa connessione con la politica ha il compito di favorire gli interessi delle cosche. Ma il cuore è l'economia: la mafia è soprattutto una impresa economica, che agisce prin- cipalmente nel settore finanziario e nel traffico di stupefacenti e che cerca di intervenire nel settore 'legale' per ripulire il denaro sporco. In tal modo le attività illegali si intrecciano con quelle legali, fino a confondersi. E gli uomini delle cosche si nascondono dietro i pezzi grossi che reggono i fili dell'economia e della politica. In queste pagine, troveremo più volte il termine 'riciclaggio', su cui si sa davvero poco: solo un banchiere della mafia si è pentito, le inchieste sono poche e trovano mille ostacoli (v. a pag. l'inchiesta 'Mato Grosso'), esistono grandi banche dei paradisi fiscali (Svizzera in testa) legate ai peggiori clan del narcotraffico colombiano e di Cosa Nostra. La massoneria è sempre presente, fa da collegamento, intreccia nomi che nessuno si sarebbe mai sognato di vedere assieme. Banchieri rispettabili, imprenditori di successo, maghi della finanza vicino a criminali della peggior specie. Sembra impossibile, ma è la norma: scindere crimine e grande finanza diventerà sempre più difficile. Da quando la criminalità organizzata di tutto il mondo ha cominciato a gestire il traffico di droga e di armi, i gruppi criminali si sono trovati a gestire migliaia di miliardi, diventando "lobbies" politiche e finanziarie che nessun potere politico o finanziario ha voluto ignorare. In molti paesi del mondo (tra cui l'Italia) esiste un magma di interessi comuni tra gli ambienti criminali, quelli finanziari ed imprenditoriali, la massoneria, gli ambienti politici conservatori: questi utilizzano come bracci esecutivi ambienti dell'esercito, i servizi segreti e le bande criminali. Hanno come obiettivo l'accumulazione di potere e ricchezza, e quindi tendono a controllare ogni centro decisionale. E' chiaro che il concetto di mafia deve adeguarsi alla realtà: "oggi in America la voce mafia è quella dell'establishment bianco, dal gigantesco giro d'affari che coinvolge le multinazionali e le grandi famiglie bianche. I banchieri 'wasp' sono peggio dei delinquenti" (John Landis). E per quel che riguarda l'Italia, vedremo che i manager Publitalia sono peggio dei banchieri wasp. "La mafia pertanto non è una malattia inspiegabile ed inguaribile cronicizzatasi in un corpo sano, né è la responsabile di tutti i mali in una società innocente, ma è il prodotto dell'uso strumentale di attività illegali a fini di accumulazione di ricchezza e di acquisizione di posizioni di potere" (U. Santino) Tra organizzazioni criminali e gruppi imprenditoriali multinazionali si possono trovare differenze nei mezzi, non nei fini, che sono identici: ricchezza e potere. I mezzi, inoltre, tendono a differenziarsi sempre meno: sia perché la criminalità tende a riciclare nella legalità i soldi 'sporchi', sia perché le regole sono spesso fastidiosi impedimenti per le gigantesche macchine del profitto. In ogni caso, alle favole di Stato e Antistato, di misteri che si agitano nell'occulto e nelle tenebre e del Grande Vecchio che nessuno conosce non bisogna più credere. Il mondo che si autodefinisce civile e democratico è diventato il regno del denaro e del potere, da ottenere con qualunque mezzo. E' un sistema dai contorni definiti, non c'è niente di occulto. In Europa, per esempio, si sta formando una pericolosa concentrazione nel campo dei mass media (Berlusconi, Rupert, Kirch, Beisheim, Ringier), che presto avrà il compito di spiegare alle masse che il loro ruolo è lavorare e morire, produrre e consumare, guardare la Tv e non pensare. Già da tempo i becchini delle ideologie ci raccontato tutti i giorni che è inutile pensare, che tanto non cambierà mai niente. E non si discute il ruolo guida della borghesia e dei suoi valori: l'essere umano ridotto a merce, l'alienazione di ogni rapporto umano. Il mondo è abitato da una minoranza che vive in un falso benessere e che si rinchiude illusoriamente in una fortezza difesa dagli eserciti, mentre all'esterno masse sterminate vivono in condizioni drammatiche. In Italia assistiamo alla formazione di una rigida oligarchia che per- segue il potere con tutti i mezzi, instaura una ferrea dittatura sugli altri strati della società e maschera tutto col lavaggio del cervello operato dai mass media. Può essere il modello del futuro. Chi non lo accetta non può fare che una scelta: costruire un mondo dove al centro non sia la brama di potere di pochi, ma i bisogni di tutti gli individui. I bisogni veri, non quelli degli spot. ........... prima parte ........... ...se mi confidassero che passa dalle sue mani anche la tratta delle bianche, ci crederei... Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo la mafia politica ................. Auto incendiate, teste di vitello fatte trovare davanti alle case, spari ed intimidazioni di tutti i tipi. La mafia torna a fare politica direttamente: si comincia nel dicembre del '93, con le minacce al sindaco (della Rete) di Terrasini. Poi l'attentato del 19 febbraio '94, con l'incendio dell'auto della sindaca di San Giuseppe Iato. Il 3 marzo il sindaco di Corleone trova una testa di vitello davanti casa. E poi intimidazioni ad Altofonte (5 marzo), a Piana degli Albanesi (11 maggio) e San Cipirello (18 maggio). Tutti gli attentati sono contro amministratori o candidati della sinistra. campagna elettorale a monreale .............................. A Monreale continua lo stillicidio di attentati: ucciso il cane della candidata a sindaco della sinistra ("è il primo assassinio di mafia della seconda repubblica"); altri attentati coinvolgono un esponente di Rifondazione, un altro del Pds ed un sindacalista Cisl, promotore dell'antiracket. A Monreale la campagna elettorale per le comunali si svolge così. Sono elezioni particolarmente importanti, visto che occorre raccogliere l'eredità della Dc, che qui non era mai andata sotto il 50 %. Il vescovo di Monreale è monsignor Salvatore Cassisa, luogotenente dei Cavalieri del Santo Sepolcro e amico del conte Arturo Cassina. La Curia di Monreale è stata perquisita, nel dicembre del '93, dal Servizio centrale operativo della polizia, che si è soffermata sul segretario del vescovo, don Mario Campisi, poiché dal suo cellulare qualcuno parlò con Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, latitante di Cosa Nostra. Campisi ha ricevuto un avviso di garanzia per associazione mafiosa. E così, per la prima volta, il nucleo di potere di potere di Monreale è stato scalfito. Qui siamo nel regno del Corleonesi, di Bernardo Provenzano, di Giovanni Brusca e di Bagarella. Da dieci anni, a Monreale, non si verificavano attentati. Il 27 aprile, i colpi di pistola contro l'auto di Rosalba di Salvo, candidata a sindaco, hanno rotto il silenzio: "fino a quando non si configura il nuovo potere con tanto di nome e cognome, si intimidisce la contro- parte". Cioè coloro che, comunque, non saranno con i poteri mafiosi. Il messaggio è chiaro: i mafiosi hanno indicato i loro nemici, in modo for- se anche troppo plateale, probabilmente sintomo di una sicurezza ritro- vata, dopo la fine della Dc. Ed i motivi per essere sicuri non mancano: il dodici giugno la sinistra di Monreale ha ottenuto un risultato molto al di sotto di qualsiasi previsione pessimista. --- il manifesto, 28 mag 94, p.13 ritorno all'antico .................. Gli attentati nel palermitano hanno ottenuto l'effetto ricattatorio sulle popolazioni: se volete le sinistre avrete anche le bombe e le minacce continue. Altrimenti scegliete gli altri. La strategia sembra venire dal passato: "attentati 'leggeri', che restano solo un giorno sulle pagine dei giornali ed in televisione" 1, i messaggi arrivano solo ai destinatari locali e l'opinione pubblica nazionale dimentica in fretta. Sembra che lo scopo sia condizionare le elezioni amministrative del 12 giugno: dice Giuseppina Zacco, vedova di Pio La Torre: "il 27 marzo in Sicilia ha vinto il potere di sempre: hanno vinto gli stessi uomini e gli stessi interessi, poco importa se con i vessilli di Berlusconi o di Fini. Hanno concentrato la campagna elettorale facendo leva sull'eterna paura e diffidenza dei siciliani verso lo Stato. E' la Sicilia che ha consegnato il paese alla destra e a Berlusconi, che è ancora peggio del- la destra. Ed è in Sicilia che la sinistra è stata debole, ambigua e subalterna a logiche personalistiche". Una dimostrazione di ciò è stata la risposta delle sinistre isolane alla campagna di fuoco della mafia: i gruppi all'Ars di Rifondazione e Rete hanno votato una mozione che sottolineava il significato politico degli attentati, interpretandoli anche come messaggio al governo per misurarlo sull'atteggiamento che terrà verso Cosa nostra. Ma il Pds ha evitato quest'ultimo punto, presentato una mozione più morbida con Psi e parte di Ppi.2 ---1: m. gambino, avvenimenti 1 giugno '94, p.16 ---2: il manifesto, 21 mag 93, pp.16 sgg. cosa vostra ........... Poi arriva Maroni, ministro dell'Interno leghista, nel secondo anniver- sario della strage di Capaci. Lui è un "autonomista e federalista convinto" e fa la sua proposta: applicare l'articolo 31 dello statuto siciliano che affida al presidente della regione siciliana la responsabilità dell'ordine pubblico. La proposta suscita vaste reazioni negative, ma Maroni aveva messo le mani avanti: "non sono un esperto di mafia". E si vede. "Questa proposta è una follia leghista che fa perdere la visione unitaria e di insieme del problema", protesta Giuseppe Di Lello 1. L'idea della mafia solo siciliana è stata smentita da decine di inchieste che portano in Svizzera, Colombia, Est europeo. Eppure Maroni è convinto che la lotta alla mafia "è più efficace se fatta da Palermo e non da Roma". Il sistema federalista aiuta la mafia ? Luciano Violante cita un episodio: "Che cosa accadrebbe se vi fosse una Cassazione a Palermo ? Un pentito ce lo ha detto: 'Cosa bellissima sarebbe...' Il federalismo in sé non è un problema, dipende da come lo si attua. C'è una tendenza alla separatezza - il "sicilianismo" - da sempre vista con favore dalla mafia, perché vi intravede la possibilità di pesare di più sulle istituzioni locali" 2. Notare che la dichiarazione di Violante precede di un mese la proposta di Maroni. ---1: il manifesto, 21 maggio '94, p.3 ---2: la repubblica, 10 aprile '94, p.5 biondi sbarca a palermo ....................... Sabato 21 maggio: il governo continua a far sentire la sua presenza in Sicilia: dopo Maroni è la volta del ministro di Grazia e Giustizia Biondi: al palazzo di giustizia di Palermo si commemora Giovanni Falcone: Biondi arriva e abbraccia gli avvocati Vito Ganci, Cristoforo Fileccia e Frino Restivo. Si è detto: Biondi è andato a salutare gli avvocati dei mafiosi. Lui ha replicato con eleganza: "la realtà è che noi avvocati siamo meno stronzi di altre consorterie. Come parte civile ho fatto condannare i loro clienti". Ma non si tratta solo di avvocati: "Ganci è coinvolto nell'inchiesta chiamata Pizza Connection, Fileccia è il legale di Totò Riina e Restivo è citato con simpatia sospetta nei verbali del boss Antonio Calderone" 1. Gente poco raccomandabile, quindi. E poi Biondi è stato molto meno caloroso nei confronti di chi la mafia la com- batte: "Caselli è bravo ma unilaterale", "non esistono vicerè della giustizia" [riferito a Caselli], poi accusa il potere giudiziario di avere occupato gli spazi riservati al governo ed al Parlamento ed ancora esprime preoccupazioni su un pentitismo non controllato dalla legge, poco prima dello show in cui Riina chiede di cambiare la legge sui pentiti. A questo punto Biondi è costretto ad una delle sue numerose retromarce, chiarendo che il governo non si muove sulle indicazioni del boss di Cosa Nostra. 2 ---1: giuseppe d'avanzo, repubblica 22 maggio '94. ---2: l'espresso, 2 giugno '94, p.47 lotta dura senza premura ........................ Un ministro dice di non capire niente di mafia e propone di fare la lotta solo a Palermo. Un altro va ad abbracciare non solo avvocati di mafiosi ma anche presunti mafiosi. E il governo che provvedimenti prende contro gli attentatori ? "Le solite" dice Maurizio Gasparri, sotto-segretario di An all'Interno: "potenziamento della presenza delle forze dell'ordine e dell'esercito". "E' un rimedio antico quanto il male. E non è mai stato in grado, da solo, di curarlo", osserva Giuseppe di Lello 1. In effetti non sembra che i pattugliamenti a tappeto abbiano mai dato grandi risultati: "E' in atto un controllo capillare della zona che spesso finisce per penalizzare i cittadini che stanno in doppia fila o che non hanno la marca sulla la patente", dice Maria Maniscalco, sindaca di S.Giuseppe Iato 2. L'idea della mafia come corpo militare, da affrontare militarmente, è totalmente inadeguata: il settore economico-finanziario e quello politico-istituzionale sono almeno altrettanto importanti, ma il governo sembra non capirlo. Ed allora: 1. risposta sul piano 'militare': pattugliamenti, perquisizioni, tra l'altro inutili. 2. Sicilia autonoma, la mafia si combatte a Palermo. In sintesi, il governo ha dato queste risposte. Nella più cauta delle ipotesi, l'esecutivo non ha una chiara percezione del fenomeno. O non vuole averla. Ancora: l'esercito: ormai da tempo alpini e bersaglieri sono in Sicilia, nell'ambito dell'operazione "Vespri siciliani". Nonostante la totale inefficacia dell'operazione, si chiede una più forte presenza del- l'esercito. Che, invece, non è servito a niente: non ha impedito gli attentati, non è intervenuto nelle operazioni antimafia, è incapace di azioni investigative, non ha alcuna conoscenza del settore. Unici effetti, la militarizzazione del territorio ed il miglioramento, pericolosissimo, dell'immagine dei militari. In più un'"utilità" l'esercito può averla in prospettiva: se i siciliani si stancassero di boss e politici collusi e di oppressioni secolari, i mafiosi non sarebbero soli nell'opera di repressione. ---1: il manifesto, 18 maggio '94, p.11 ---2: avvenimenti, 1 giugno '94, p.18 comuni criminali ? .................. Dopo la serie degli attentati mafiosi si moltiplicano le ipotesi. Si dice che la mafia rialza la testa, ma "di fatto non l'ha mai abbassata. Le cosche, specie in questa zona [in provincia di Palermo] non hanno mai interrotto i loro traffici illeciti e soprattutto non hanno mai smesso di cercare referenti politici nelle istituzioni" 1, dice Vittorio Teresi, sostituto procuratore a Palermo. E non esclude un collegamento tra gli episodi siciliani ed il cambio al vertice del governo. Giuseppe Di Lello, ex componente del pool antimafia, osserva che "la mafia ha capito che, in Sicilia, l'antico assetto di potere si è ricomposto. Ecco perché è tornata a colpire forze tradizionalmente antagoniste". Eppure Maroni ha spiegato tutto come un fatto di criminalità comune, a cui rispondere con i carabinieri (e l'esercito). Ma "il problema è più radicale ed impone un mutamento dei rapporti sociali". 2 ---1: avvenimenti, 1 giugno '94, p.17 ---2: il manifesto, 18 maggio '94, p.11 attacco ai giudici .................. "No alla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e pubblico ministero, no al controllo del Pm da parte del potere esecutivo". E' questo il senso del documento elaborato dall'Associazione na- zionale magistrati contro le proposte del governo. Il documento è stato firmato da circa mille magistrati ed è un ostacolo (per ora) insuperabile per il governo, che aveva aperto il mese di maggio gridando alla politicizzazione del Csm e di tutta la magistratura. La soluzione, dunque, sarebbe la separazione delle carriere ed il nuovo ruolo del Pm. Tuttavia, "nella storia dell'Italia repubblicana, l'indipendenza del Pm rispetto all'esecutivo e la unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l'affermazione della legalità e la tutela del principio di eguaglianza davanti alla legge". La possibilità per i magistrati di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, si è di fatto rivelata una occasione di arricchimento professionale ed ha consentito al Pm italiano di mantenersi radicato nella cultura della giurisdizione", dice il documento dell'Anm, in risposta all'ipotesi di separazione delle carriere 1. Sulla dipendenza del Pm, risponde Elena Paciotti, presidente dell'Anm: "in base all'esperienza di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, siamo contrari al controllo politico del Pm. In Francia spesso le indagini sono ostacolate dall'esecutivo. Le indagini non si riescono a condurre con efficacia proprio per questo motivo. Negli Usa, quando hanno bisogno di un Pm indipendente lo devono nominare ad hoc, spesso cercandolo al Congresso tra le fila del partito di opposizione" 1. Scenari quasi da incubo, che tra l'altro offrono un immagine dell'"occidente" che non è quel paradiso di civiltà che si disegna. In effetti il sistema giudiziario italiano non è certo il peggiore, e quindi "si deve spiegare come mai proprio adesso, nel momento in cui ha operato bene, si chiede di arrivare al controllo del Pm da parte dell'esecutivo. Perché non ci si occupa delle vere carenze della giustizia italiana ?" 1 Una prima, banale risposta viene dalle numerose inchieste aperte dai confronti della Fininvest e di alcuni esponenti del governo (v. più avanti). Per loro sarebbe un sogno se potessero fare quanto accaduto in Francia: "quando un magistrato ha tentato di indagare sulla corruzione è stato spostato e i giudici che protestavano sono stati caricati dalla polizia" 2. Ma le idee di assoggettamento del Pm all'esecutivo, separazione tra le carriere del Pm e della magistratura giudicante e riforma del Csm sono ben più antiche: risalgono infatti al "Piano di rinascita democratica" di Licio Gelli, Gran Maestro della loggia massonica Propaganda Due, alla quale Berlusconi è iscritto (tessera n. 1816). Il programma piduista si esprime così: "unità del Pubblico Ministero; riforma del Csm, che deve essere responsabile verso il Parlamento, responsabilità del Guarda- sigilli verso il Parlamento sull'operato del Pm". Il guardasigilli è Alfredo Biondi, le cui azioni è bene seguire con attenzione. In un paragrafo successivo si vedrà come il programma politico di "Forza Italia" e del governo sembrano una fotocopia del "Piano" P2. ---1: il manifesto, 5 maggio '94, p.9 ---2: giacomo caliendo, sost. proc. gen., il manifesto 5 maggio '94, p.9 attacco ai pentiti .................. Prima Cesare Previti, avvocato della Fininvest, poi Alfredo Biondi, poi la maggioranza in coro: la legge sui pentiti va rivista. Occorre abolire la temporalizzazione delle confessioni, vanno cancellati i colloqui in- vestigativi che la Dia può effettuare... Senza specificarne i motivi, gli uomini della maggioranza si producono in una polemica sulla gestione dei pentiti, che coincide con l'attacco frontale nei confronti della magistratura, dell'informazione non completamente allineata ed anche con la campagna di fuoco della mafia della provincia palermitana. Il mese di maggio del '94 sarà probabilmente ricordato per questa spaventosa serie di coincidenze, a cui si aggiungono i proclami di Riina contro pentiti e comunisti. Andiamo con ordine: Cesare Previti, con un'intervista al "Giornale" inizia la polemica: denuncia la "gestione distorta e strumentale che può essere fatta dei pentiti", quali obiettivi di una misteriosa "manovra", e ipotizza che "che qualche pentito di dubbia credibilità possa coinvolgere esponenti del gruppo Fininvest e di Forza Italia" 1. E' il primo aprile: pochi giorni prima il pentito Salvatore Cancemi aveva parlato del pizzo pagato dalla Fininvest ad un membro della mafia palermitana 2. Biondi, diventato ministro della Giustizia al posto di Previti, che era meno presentabile, ha comunque preoccupazioni simili: "non ho mai nascosto le mie preoccupazioni per l'eccesso di politicizzazione dei giudici e che il fenomeno dei pentiti, utilissimo nella lotta alla mafia, possa però stravolgere le regole dello stato di diritto" 3. E’ il turno del ministro dell'Interno Roberto Maroni, che conferma il rischio che arrivi qualche pentito 'pilotato' da Cosa Nostra: "sappiamo che stanno lavorando per mettere a segno un colpo clamoroso in questa direzione" 4. Peccato che il ministro non fornisca ulteriori elementi, che la sua dichiarazione sia (casualmente ?) sfruttata per operazioni di depistaggio pro-mafia (vedi più avanti pag. ) e peccato che la sua dichiarazione venga al termine di una lunga serie di 'emergenze nazionali' segnalate al Paese: dopo i fischi "sovversivi" di Brescia (rivolti a Scalfaro, in occasione dell'anniversario di Piazza della Loggia), Maroni paventa il ritorno della criminalità politica, poi spiega che l'emergenza numero uno è la mafia, poi racconta che il pericolo che grava sulla Nazione è l'usura ed infine rivela che Cosa Nostra prepara falsi pentiti, senza dare (come al solito) ulteriori indicazioni. Va bene che è all'inizio, però si è guadagnato un tasso di credibilità molto prossimo allo zero. Un tasso invidiabile, se confrontato con quello di Tiziana Maiolo, presidente della "commissione giustizia": dalla tribuna del convegno radicale sulle convenzioni Onu in tema di droga, la Maiolo ha chiesto più rigore per i pentiti, perché "non si combatte la mafia considerando Totò Riina un interlocutore politico". Naturalmente, per prima cosa Riina è tutto fuorché un pentito; in secondo luogo i pentiti non sono interlocutori politici; in terzo luogo sarà proprio Riina a considerare il governo un interlocutore politico. Tiziana Maiolo continua il suo intervento: vanno abbandonate tutte le emergenze, compresa la "legge antimafia che va rivista perché era buona nelle intenzioni ma ha distrutto il nuovo codice di procedura penale". Col passare del tempo, saranno sempre più numerosi gli interventi sulla necessità di abolizione del carcere duro per i mafiosi, comprese le restrizioni ai contatti con l'esterno. Il tutto, nell'indifferenza dell'opinione pubblica. L'ultimo aspetto che la Maiolo considera, è la protezione e sistemazione dei pentiti: "non possono essere affidati agli stessi organi di polizia giudiziaria che indagano sulla loro credibilità. Non possono vivere in caserma, devono andare in carcere, subire un processo, una condanna e poi potranno avere sconti di pena" 4. Non c'è chi non veda quanto aumenti la sicurezza di un pentito che dorme in carcere. ---1: il giornale, 1 aprile '94. ---2: l'espresso, 3 giugno '94, p.49 ---3: gazzetta del sud, 11 maggio '94, p.21 ---4: il manifesto, 28 maggio '94, p.12 la patente .......... Ovviamente, non basta osservare che la legislazione sui pentiti è lacu- nosa per favorire la mafia. Occorre quindi vedere come si intente cambiarla: dall'analisi delle proposte nate negli ambienti governative, emerge un tipo di atteggiamento molto preoccupante. Il ministro Biondi, nel corso del dibattito organizzato a Palermo dalla Fondazione Falcone, ha proposto di attribuire alla Superprocura antimafia il potere di selezionare chi ha diritto alla "patente" di pentito. In tal modo si assicurerebbe al governo una prerogativa importante: un pentito accusa la Fininvest ? Non è attendibile. La decisione ultima spetterebbe al "super" procuratore, che è nominato dal Csm d'accordo con il governo. "Avrà l'autonomia necessaria ? Buscetta ha tirato in ballo due presi- denti del Consiglio, tre ministri e otto deputati. Sarebbe ancora possibile ?" 1. Raffaele Della Valle, avvocato e capogruppo FI alla Camera, propone "un termine massimo in cui vuotare il sacco, come si fa in America", per finirla con "lo scandalo delle rivelazioni a gogò". Luigi Li Gotti, avvocato dei pentiti Buscetta, Mutolo e Marchese, osserva che negli Usa un il collaboratore può essere sentito in più di una inchiesta, mentre secondo Della Valle il giudice non potrebbe più utilizzare il pentito una volta scaduto il 'tempo massimo'. Le ultime trovate provengono da Tiziana Parenti, che protesta per "i pentiti usati a sostegno di teoremi politici", e dal gruppo di lavoro insediato al Viminale, che propone che i pentiti scontino la pena in carcere ("in reparti differenziati") e non in caserma. Insomma, le proposte tendono ad annullare le misure di sicurezza per i pentiti, far decidere la loro credibilità al governo (che magari è chiamato direttamente in causa...): una strategia precisa di autodifesa, se si pensa alle numerose inchieste aperte grazie alla collaborazione dei pentiti, che coinvolgono anche (e soprattutto) la Fininvest. ---1: l'espresso, 3 giugno '94, p.50 storie di pentiti ................. Nel giugno '94, sono 704 i pentiti sotto tutela in Italia. Tra questi, Buscetta, Calderone, Mannoia e Contorno, hanno permesso la realizzazione del maxi-processo. Recentemente, Buscetta e Mannoia hanno chiamato in causa Giulio Andreotti, mentre Contorno ha svelato il ruolo dell'agente del Sisde Bruno Contrada. I pentiti della camorra Alfieri, Galasso, Ammaturo e Cuomo hanno lanciato accuse a Gava, Pomicino, De Lorenzo, Di Donato. Molti pentiti, accanto alle accuse, si sono spesso addossati decine di omicidi. Cancemi, La Barbera e Di Matteo (v. anche più avanti) si sono addirittura assunti la responsabilità della strage di Capaci. Baldassarre Di Maggio ha collaborato facilitando l'arresto di Totò Riina, Salvatore Annacondia ha svelato gli scenari del crimine a Bari, accusando il procuratore capo De Marinis. Saverio Morabito ha messo insieme alcuni pezzi dei misteri d'Italia: "Seppi", ha dichiarato a verbale, "che un boss della ‘ndrangheta, Antonio Nirta, era stato infiltrato nelle Br dal generale dei carabinieri Antonio Delfino e aveva partecipato al sequestro Moro". Giuseppe Pellegriti ipotizzò il coinvolgimento di Salvo Lima nell'omicidio Mattarella, ma fu rinviato a giudizio da Falcone per calunnia 1. ---1: l'espresso, 3 giugno '94, p.48 arresto per lo scudiero ....................... Il 3 maggio '94 è una giornata di fuoco: il tribunale della libertà dà il via libera per l'arresto di Marcello Dell'Utri, manager Publitalia, da sempre fedelissimo di Berlusconi e regista dell'operazione "Forza Italia". La maggioranza si scatena in accuse contro i magistrati "politicizzati" che vogliono criminalizzare forze che hanno vinto le elezioni. Come al solito, nessuno parla del merito della vicenda, limitandosi ad accusare i giudici. Berlusconi non sfugge alla regola: "hanno preso un granchio colossale, è un fatto che riguarda la Fininvest" e poi "sono certo che la Corte di Cassazione metterà le cose a posto". La vicenda riguarda false fatture, l'accusa è di falso in bilancio. Questa è solo una delle innumerevoli disavventure giudiziarie della Fininvest, e non è la prima per Dell'Utri. Negli anni '80 le inchieste che lo riguardavano furono due: l'accusa era quella di associazione mafiosa, i coimputati il fratello Alberto ed il mafioso Vito Ciancimino. ............. seconda parte ............. A questo punto si apre il capitolo dei rapporti tra le componenti che formano il mondo di Berlusconi ed i poteri occult(at)i, da sempre protagonisti determinanti della vita politica italiana. Gli attacchi continui, reiterati e rischiosi condotti nei confronti di pentiti, magistrati e mass media (cioè coloro che possono potenzialmente svelare il marcio che c'è dietro il Cavaliere) diventeranno chiarissimi dopo aver visto lo scenario che si nasconde dietro sorrisi e cieli azzurri. "una persona integerrima" ......................... La richiesta di arresto per falso in bilancio, accolta il 3 maggio dal tribunale della libertà, porta alla ribalta un personaggio che non ama troppo la notorietà: Marcello Dell'Utri, siciliano, numero uno di Publitalia '80, ha vissuto la scalata al potere di Berlusconi fin dall'inizio, quando (nel '77) faceva l'amministratore unico di "Milano 2 spa". Poi la creazione di Publitalia, polmone finanziario di Berlusconi, fino a "Forza Italia" ed all'avventura politica. Ma la carriera di Dell'Utri avrebbe potuto concludersi molto prima, se una delle inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato si fosse conclusa male per lui. Tuttavia, i magistrati sono ancora in tempo: pochi giorni prima delle elezioni l'Ansa riprese una dichiarazione emersa dagli ambienti giudiziari di Palermo secondo cui "si indaga su Dell'Utri in relazione ad una vicenda di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico inter- nazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra direttamente o indi- rettamente all'amministratore delegato di Publitalia" 1. C'è almeno un'altra inchiesta in corso su Dell'Utri: si svolge a Milano, l'accusa è di bancarotta fraudolenta e riguarda il fallimento della società di costruzioni 'Bresciano sas' di Mondovì, di cui Dell'Utri era amministratore delegato insieme al finanziere siciliano Rapisarda. Dalle disavventure presenti a quelle del passato: nel 1987 è iniziata l'inchiesta giudiziaria milanese che ha accostato il nome di Dell'Utri a quello di personaggi in odore di mafia, come lo stesso Filippo Alberto Rapisarda, amico di Ciancimino e datore di lavoro di Dell'Utri 15 anni fa, a Milano. Il 16 marzo '94 quell'inchiesta è stata riaperta: riguarda, tra l'altro, il fallimento della già citata 'Bresciano', "in ordine al delitto di bancarotta pluriaggravata". Dall'87, Dell'Utri ha continuato ad avere ottimi rapporti con Rapisarda: il 14 ottobre '89 la moglie di Dell'Utri, Miranda Ratti, ha fatto da madrina al battesimo della figlia di Rapisarda. Più recentemente, nel quartier generale di Rapisarda, in via Chiaravalle 7, è nato un club Forza Italia. Silvio Berlusconi ha dovuto più volte difendere il suo collaboratore: dopo la richiesta di arresto lo ha definito "una persona integerrima". In un interrogatorio del 26 giugno 1987 ha spiegato i rapporti tra Dell'Utri e Rapisarda: andò a lavorare dal finanziere siciliano perché gli fu offerto di più, fu una esperienza negativa e "fui io stesso a dirgli di tornare da me": nessun altro particolare. Ma sentiamo cosa dice lo stesso Rapisarda a questo proposito: "Dell'Utri Alberto e Caronna Marcello mi erano stati raccomandati da Gaetano Cinà di Palermo che conoscevo da tanti anni. Dopo qualche mese si presentò da me Dell'Utri Marcello accompagnato da Cinà Gaetano, ed in quella occasione il Cinà mi pregò di far lavorare con me i fratelli Dell'Utri. (...) Conoscevo Cinà da anni, fin dagli anni '50, avendolo conosciuto insieme a Mimmo Teresi e Stefano Bontade. Effettivamente ho assunto Marcello Dell'Utri nel mio gruppo societario perché era difficilissimo poter dire di no al Cinà Gaetano, dal momento che non rappresentava solo se stesso bensì il gruppo in odore di mafia facente capo a Bontade, Teresi, Marchese Filippo" 2. Quindi l'assunzione di Dell'Utri avvenne grazie alla raccomandazione di un boss mafioso, espressione di uno dei gruppi più potenti. Ancora Rapisarda racconta, in un altro interrogatorio (27 novembre 1987) delle compromettenti amicizie di Dell'Utri: "era frequentatore ed amico del Brucia Domenico, in quanto ricordo che fu lui ad invitarmi al ristorante del Brucia nei primi del '75. Del resto il Dell'Utri aveva stretto contatto con quel giro di siciliani, tant'è vero che veniva spesso nei suoi uffici della Bresciano in via Chiaravalle un suo amico che io non conoscevo, e poi seppi dai giornali che era Ugo Martello (...), il ricercato. Mi disse che si trattava di un suo carissimo amico che aveva gli uffici in via Larga, che la sua società era rimasta creditrice, che era una persona di tutto rispetto, e che quindi quel debito verso la società del suo amico, fallimento o non fallimento, andava pagato, se non si voleva incorrere in dispiaceri. Dell'Utri poi si vantava di essere amico di Marchese Filippo di Palermo. Seppi poi che in appartamenti del palazzo di piazza Concordia n.1 in Milano, all'epoca in cui era Dell'Utri a gestire quello che era rimasto del gruppo Inim, erano andati ad abitare Bono Alfredo, Emanuele Bosco e Mongiovi Angelo e un ragioniere di famiglia mafiosa di Raffadali". Come si spiegano le tante conoscenze tra Dell'Utri e questi personaggi (in odore) di mafia ? E' sempre Rapisarda che azzarda una risposta: "Dell'Utri mi disse che la sua conoscenza con tutti questi personaggi mafiosi era dovuta al fatto che si era dovuto interessare per mediare fra coloro che avevano fatto minacce o estorsioni a Berlusconi e il Ber- lusconi stesso. Il Dell'Utri mi disse anche che la sua attività di mediazione era servita a ridurre le pretese di denaro dei mafiosi". 3 ---1: il manifesto, 3 maggio 94, p.4. ---2: Interrogatorio del giudice Giorgio Della Lucia (tribunale di Mila- no), 5 maggio 1987. ---3: ibidem finanzieri, mafiosi e dell'utri ............................... Filippo Alberto Rapisarda, dunque, è passato da amico e datore di lavoro di Dell'Utri ad accusatore, ed infine ancora amico. Ma vediamo chi è Rapisarda: agli inizi degli anni '70, dopo lunghi anni di carcere, il finanziere si trasferisce dalla Sicilia a Milano, con ingenti disponibilità finanziarie che vengono fatte risalire a don Vito Ciancimino, celebre commercialista e politico Dc, già sindaco di Palermo e pluricondannato per associazione mafiosa e reati connessi. 1 Un altro dipendente di Rapisarda è stato Alberto Dell'Utri, fratello di Marcello. Alberto è stato in carcere per la bancarotta della "Venchi Unica", una delle tante società che Rapisarda acquistò con i soldi degli amici di Ciancimino. Per il fallimento di una di queste società Marcello Dell'Utri ha subito il rinvio a giudizio di cui si è detto prima. Ancora Dell'Utri: in una delle tante polemiche pre-elettorali, si discute delle rivelazioni di due pentiti, Cancemi e La Barbera, che ritroveremo più volte. Più precisamente, si litiga su un fatto marginale, lasciando da parte i problemi principali. Il fatto meno importante è la rivelazione fatta da Luciano Violante, in qualità di Presidente della Commissione Antimafia, delle accuse dei pentiti. Accusato di violazione del segreto istruttorio, Violante si dimette, le Procure negano l'esistenza di indagini su Berlusconi smentendo anche l'accusa rivolta a Violante di aver rovinato le indagini: perché non si possono rovinare indagini che non esistono. Insomma, una gran confusione che svia l'attenzione pubblica da ciò che veramente conta: le rivelazioni dei pentiti Cancemi e La Barbera, i quali accusano i fratelli Dell'Utri, la Fininvest e di conseguenza lo stesso Berlusconi di avere rapporti con Cosa Nostra. Si parla di indagini presso le procure di Caltanissetta, Catania, Palermo e Firenze. In particolare, Cancemi e La Barbera parlano di grandi speculazioni edi- lizie nel centro di Palermo, programmate da esponenti di Cosa Nostra e della Fininvest. Facile intuire che l'uomo Fininvest in questione è Marcello Dell'Utri; le famiglie di Cosa Nostra, invece, sarebbero quelle di Santa Maria del Gesù e di Porta Nuova. I pentiti aggiungono che, nel- l'ambiente di Cosa Nostra, Berlusconi è genericamente considerato un amico. L'ultima accusa riguarda gli accordi per la gestione della Standa in Sicilia e della Grande Distribuzione in generale. Tutte le accuse acquisiscono credibilità se si pensa ai "comprovati rapporti di Dell'Utri con esponenti di Cosa Nostra". 2 Infatti, riprendendo l'interrogatorio di Rapisarda del 5 maggio 1987, si legge che "quando Marcello Dell'Utri lavorava negli uffici di via Chiaravalle [per Rapisarda, ndr] venivano frequentemente a trovarlo Ugo Martello, Stefano Bontade, Domenico Teresi e Gaetano Cinà [noti boss mafiosi, ndr]. Negli ultimi mesi del 1978 incontrai, in Piazza Castello, Mimmo Teresi e Stefano Bontade, che mi invitarono a bere un caffè insieme a loro. Teresi, nella circostanza, mi disse che stava per diventare socio d'affari di Silvio Berlusconi in una società televisiva privata, dicendomi che ci volevano dieci miliardi, e mi chiese un parere, fra il serio e lo scherzoso, se era un buon affare. Ritengo che Angelo Caristi sappia qualcosa in merito alla società tra Silvio Ber- lusconi e Mimmo Teresi. Mi risulta che il Teresi e lo Stefano Bontade operassero insieme nelle imprese immobiliari e negli affari in genere. Successivamente ricordo che Caristi mi disse che Marcello Dell'Utri gli aveva offerto la protezione di Filippo Marchesi al fine di fargli acquisire immobili sulla piazza di Palermo 3. Io dissi al Caristi di tenersi molto lontano da quella gente, trattandosi di mafiosi molto pericolosi." 4 ---1: Archivio "Berlusconi, Cuccia & co.", Biblioteca e Centro Documentazione 'Mafia Connection', pag. 5. ---2: ibidem. ---3: la dichiarazione di Rapisarda resa nel 1987 coincide con le accuse del '94 di Cancemi e La Barbera, che parlano di speculazioni edi- lizie a Palermo gestite da Dell'Utri e boss di Cosa Nostra, come riportato in precedenza. ---4: interrogatorio giudice Giorgio Della Lucia, 5.5.1987, cit. un mafioso ad arcore .................... "Si è accertato che il dottor Dell'Utri, con cui Vittorio Mangano conversa amichevolmente nel corso dell'intercettazione (...) è Marcello Dell'Utri, domiciliato in via Chiaravalle 7, fratello di quell'Alberto Dell'Utri nato a Palermo l'11 settembre 1941, domiciliato anche lui a Milano in via Chiaravalle 7, nei cui confronti in data 2 aprile 1979, fu emesso dal sost. proc. della Repubblica di Torino dott. Bernardi ordine di cattura per bancarotta fraudolenta. Tale provvedimento fu emesso anche nei confronti di Rapisarda Filippo Alberto, nato a Sommantino il 14 novembre 1931, nei confronti di Alamia Francesco Paolo, nato a Villabate (Pa) il 5 gennaio 1934 e nei confronti di Breffani Giorgio. I predetti, legati al noto Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, l'uomo politico più discusso e più chiacchierato di quella città, originario di Corleone, indiziato da tempo di collusione con la mafia, erano e sono tuttora interessati, assieme al medesimo Vito Ciancimino, alla Inim Internazionale Immobiliare Spa, con sede in via Chiaravalle 7, a Milano. (...) Il suddetto provvedimento di cattura fu emesso dal magistrato di Torino nel corso della procedura fallimentare della "Venchi Unica". L'aver accertato quindi attraverso la citata intercettazione telefonica il contatto' tra il Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare la pericolosità criminale, e il Dell'Utri Marcello, ne consegue necessariamente che anche la Inim Spa e la Raca Spa [società per cui Dell'Utri lavora, ndr] sono società commerciali gestite anch'esse dalla mafia e delle quali la mafia si serve per riciclare il denaro sporco provento di illeciti" 1. In questo rapporto del 1981, la Criminalpol aggiunge alle vicende che già conosciamo (i rapporti Dell'Utri-Rapisarda-Ciancimino) una nuova storia: quella di Vittorio Mangano, noto boss mafioso, portato alla corte di Berlusconi da Dell'Utri. "Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d'onore appartenente a Cosa Nostra, della famiglia di Pippo Calò, capo della famiglia di Porta Nuova. Agli inizi degli anni '70 Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali per i quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Mangano era una "testa di ponte" dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia, era una delle poche persone di Cosa Nostra in grado di gestire questi rapporti", disse il giudice Paolo Borsellino in una intervista 2. Lo stesso uomo di cui parla Borsellino andò a lavorare, come stalliere, da Berlusconi. Siamo nei primi anni '70: Mangano, come tanti mafiosi emergenti, si trasferisce a Milano: alloggia al prestigioso 'Duca Di York', cena in ristoranti di lusso, sfoggia belle macchine e frequentazioni di prestigio, come quelle dei finanzieri Monti e Virgilio. Ogni sera Mangano telefona ai boss Alfredo Bono e Salvatore Inzerillo: prende ordini e riferisce le novità 3. E' piuttosto strano che un tipo del genere, a cui i soldi certo non man- cano, vada a fare lo stalliere. Eppure, il 1 luglio 1974, Mangano viene assunto nella villa di Arcore, dove prende alloggio. Chi frequentava al- lora casa Berlusconi ricorda che Mangano era l'unico dipendente a cui il Cavaliere dava del lei. La presenza di un mafioso (che ha già collezionato circa 16 processi e un paio di condanne) alle sue dipendenze sarà per Berlusconi motivo di imbarazzo: sentiamo come si giustifica: "Avevo bisogno di un fattore, chiesi a Marcello Dell'Utri di interessarsi anch'egli di trovare una persona adatta, ed egli mi aveva appunto presentato il signor Mangano". Dunque Berlusconi ammette la conoscenza tra Dell'Utri ed un boss di Cosa Nostra. Poi aggiunge che "dopo un pranzo nella mia villa, il signor Luigi D'Angerio era rimasto vittima di un sequestro; nell'ambito delle indagini emerse che il Mangano Vittorio era un pregiudicato..". Subito dopo Berlusconi cambia versione: "non ricordo come il rapporto lavorativo del Mangano cessò, se cioè per prelevamento delle forze dell'ordine o per suo spontaneo allontanamento" 4. Nel '94, in piena campagna elettorale, Berlusconi offre una nuova versione: "un giardiniere mafioso ? Certo, è lo stesso uomo che licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite"5. Idem Dell'Utri: "fu immediatamente licenziato" 6. Sulle motivazioni della presenza di Mangano ad Arcore, c'è una con- vincente versione: dopo il tentativo di sequestro di D'angerio davanti alla villa di Arcore, Berlusconi rimase terrorizzato dalla possibilità che la sua preziosa persona finisse in mano ai rapitori. Quindi andò in Svizzera con la famiglia ed il fido collaboratore Romano Comincioli. Lasciata la famiglia oltreconfine, Berlusconi assunse Mangano, grazie alla presentazione di Dell'Utri, su segnalazione dei boss che abbiamo ripetutamente incontrato: Gaetano Cinà (collegamento tra mafia e massoneria), Mimmo Teresi, Stefano Bontade. E così sono tutti contenti: Berlusconi, che può dormire sonni tranquilli; i boss, che piazzano il loro uomo in una posizione interessante 7. ---1: rapporto 0500/c.a.s. della Criminalpol, 13.4.1981, pp. 175-176. ---2: intervista di Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo, 21.5.1992. ---3: Gambino/Fracassi, Berlusconi - biografia non autorizzata, pag.20. ---4: interrogatorio di Berlusconi al giudice Giorgio Della Lucia, 26 giugno 1987. ---5: dichiarazione di Berlusconi al Corriere della sera, 20 marzo '94. ---6: " " di Dell'Utri alla "Stampa" del 21 marzo '94. ---7: Gambino/Fracassi, cit., pagg. 19-21. i cavalli e il cavaliere ........................ "Caro Marcello, ho un affare molto importante da proporti e ho il ca- vallo che fa per te". "Caro Vittorio, per il cavallo occorrono piccioli e io non ne ho. Sapessi quanti problemi mi crea mio fratello [Alberto, ndr]" "I soldi fatteli dare dal tuo amico Silvio" "Ti dico che sono nei guai, ho bisogno di soldi per quel pazzo di mio fratello. E Silvio non 'surra' [non scuce, ndr]" Questa telefonata tra Vittorio Mangano e Marcello Dell'Utri è stata intercettata nel 1980. Il mafioso parla dalla sua lussuosa stanza del- l'hotel Duca Di York, mentre Dell'Utri conversa dalla sua abitazione di via Chiaravalle 7. I problemi di Alberto Dell'Utri che tanto preoccupano Marcello sono quelli relativi alla società Inim, di Alamia e Ciancimino, sospettata dalla Criminalpol di servire per il riciclaggio del denaro proveniente dal traffico di droga. Ma per Alberto i problemi finiscono dopo il periodo di carcere: per lui arriva l'assunzione in Publitalia. Dopo l'intercettazione, viene avanzata l'ipotesi che il 'cavallo' della telefonata sia, in realtà, una partita di droga. Paolo Borsellino, nell'intervista citata, disse che "Mangano risiedeva abitualmente a Milano, da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale dei traffici di droga che conduceva alle famiglie palermitane. Mangano risulta l'interlocutore di una telefonata intercorsa tra Milano e Palermo nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita d'eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come "magliette" o "cavalli". Il Mangano è stato poi condannato per questo traffico di droga" 1. Quindi, Mangano usava abitualmente dire "cavalli" per droga: tuttavia, quando la vicenda viene fuori, "il Giornale", diretto dal "grande giornalista indipendente" Montanelli, assicura che proprio di quadrupedi si trattava, e che il suo editore con Cosa Nostra non c'entra niente 2. Ma alcuni esperti sostengono che "al telefono la mafia parla poco, e quando è costretta a farlo parla un linguaggio cifrato. Quella dei mafiosi, più che una lingua, risulta un insieme di allusioni e di ammiccamenti. Una volta la polizia inseguì per mesi un trafficante che pro- metteva l'arrivo di molti "cavalli". Per un po’ gli investigatori si con- vinsero di avere a che fare con gente del giro delle scommesse clan- destine. Poi sentirono i "prezzi dei cavalli" (migliaia di dollari) e cominciarono a sospettare. Alla fine, ascoltarono il trafficante che invitava gli acquirenti [dei presunti "cavalli"] in aeroporto: era droga" 3. In ogni caso, "il legame tra Dell'Utri e Mangano non si può né negare, né cancellare: quella specifica telefonata del 1980 può trovare una spiegazione nella riconosciuta abilità di Mangano nel trattare la compravendita dei cavalli. Ed è una spiegazione che lo stesso Dell'Utri ha offerto: sì, Mangano gli propose uno splendido cavallo, che si trovava in una scuderia di Arcore. Ma lui non era interessato all'animale, né riteneva che potesse esserlo Berlusconi"... 4 ---1: l'Espresso, 8.4.94, 81: intervista di Calvi-Moscardo, cit. ---2: il Giornale, 12 ottobre 1984. ---3: La Stampa, 13 gennaio 1994. ---4: Panorama, 22 ottobre 1984. l'ultima intervista di borsellino .................................. L'intervista rilasciata (il 21 maggio '92) da Borsellino ai giornalisti Calvi e Moscardo, fornisce molti altri particolari sui rapporti Mangano- Dell'Utri - Berlusconi. Innanzitutto, Borsellino conferma i rapporti tra Mangano e Bontade, uno dei boss di cui si sospetta la conoscenza con Dell'Utri. Poi ribadisce l'uso di "cavalli" al posto di droga, che riscontrò nell'intercettazione della telefonata tra Mangano e uno degli Inzerillo. La tesi fu "asseverata nell'ordinanza istruttoria e fu accolta in dibattimento, tant'è che Mangano fu condannato". Su Dell'Utri, Borsellino afferma che, pur non essendo imputato nel maxiprocesso, esistono indagini che riguardano il manager Publitalia e che riguardano insieme Mangano. Borsellino, poi, precisa che l'indagine si svolge a Palermo (siamo nel '92) e coinvolge sia Alberto che Marcello Dell'Utri. Al momento non si sa che fine abbia fatto tale indagine. Per quel che riguarda la famosa conversazione di argomento equino, il giudice dice che "nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errori, si parla di cavalli che dovevano essere mandati in albergo [Borsellino sorride, ndr]. Quindi non credo che si potesse trattare di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all'ippodromo, o comunque al maneggio. Non certamente dentro l'albergo". Probabilmente, l'albergo in questione è il Plaza, di proprietà di Antonio Virgilio, che frequentava abitualmente Mangano. Successivamente, gli intervistatori ricordano a Borsellino le accuse di Rapisarda, secondo cui Marcello Dell'Utri gli è stato presentato dal boss Cinà, della famiglia di Bontade. Il magistrato risponde che si trattava "di famiglie appartenenti a Cosa Nostra, i cui membri in gran parte si conoscevano tutti e quindi è presumibile che questo Rapisarda riferisca una circostanza vera". Sui rapporti tra mafia e grande industria, Borsellino spiega che, "al- l'inizio degli anni '70, Cosa Nostra diventò un'impresa anch'essa, cominciò a gestire una massa enorme di capitali, frutto del monopolio conquistato nel traffico di stupefacenti. Una massa enorme di capitali, quindi, dei quali cercò lo sbocco. (...) Così si spiega la vicinanza tra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupano di certi movimenti di capitali. (...) Naturalmente, [Cosa Nostra] cominciò a se- guire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o ad inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare quei capitali di cui si erano trovati in possesso". L'intervistatore, a questo punto, scende nei particolari, chiedendo se dunque è normale che la mafia si interessi a Berlusconi. Borsellino ri- sponde che "è normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere impiegare questo denaro. Sia dal punto di vista del riciclaggio, sia per far fruttare questo denaro. Naturalmente, questa esigenza per la quale l'organizzazione criminale ad un certo punto si è trovata di fronte, è stata portata ad una naturale ricerca degli strumenti industriali e commerciali per trovare uno sbocco a questi capitali. Quindi non meraviglia affatto che Cosa Nostra, ad un certo punto della sua storia, si è trovata in contatto con questi ambienti industriali". Il giornalista chiede se uno come Mangano può essere l'elemento di connessione tra questi due mondi. Borsellino ribadisce che Vittorio Mangano "da due decadi già operava a Milano, era inserito in qualche modo in una attività commerciale. E' chiaro che era una delle persone, vorrei dire delle poche persone di Cosa Nostra, in grado di gestire questi rapporti" 1. ---1: l'Espresso 8.4.94: intervista cit. piovre e biscioni ................. L'ennesimo rapporto Criminalpol su Marcello Dell'Utri parla chiaro: "è collegato al boss mafioso Mangano Vittorio e uomo di fiducia di Berlusconi Silvio e di Rapisarda Alberto Filippo" 1. Un altro collegamento tra mafia e Berlusconi è contenuto nel rapporto Criminalpol che comprende l'intercettazione della telefonata tra Mangano e Dell'Utri: si tratta di un'altra conversazione, in cui parlano i mafiosi Giliberti ed Ingrassia: "Berlusconi... è il massimo, no ? Difatti è la nostra prossima pedina.." 2. Il rapporto porterà al famoso "blitz di San Valentino", del 14 febbraio 1983, contro la 'mafia dei colletti bianchi': tra gli arrestati, gli industriali Luigi Monti e Antonio Virgilio (proprietario dell'hotel Plaza), amici di Vittorio Mangano, riciclatori di denaro proveniente dal traffico di droga, dalle bische clandestine e dai sequestri di persona. Una delle condanne riguarda Ugo Martello, che secondo Rapisarda era amico di Dell'Utri. Gli industriali imputati risultano essere correntisti della Banca Rasini, in cui lavorava Luigi Berlusconi, padre di Silvio. Proprio questo istituto, noto per essere "la banca di fiducia della mafia finanziaria (o "mafia dei colletti bianchi"), darà i finanziamenti necessari e sarà al fianco della Edilnord sas, la prima società di Berlusconi 3. La Banca Rasini risultò (dai procedimenti giudiziari) uno strumento di riciclaggio del denaro sporco, usato sia da finanzieri come Monti e Virgilio che da mafiosi come Giuseppe Bono. La banca ha organizzato con loro una imponente serie di operazioni illecite, finite con il rinvio a giudizio di Antonio Vecchione, direttore generale della Banca. In questa, che rimane una delle più importanti inchieste sulla mafia a Milano, fa la sua comparsa anche Vittorio Mangano, il mafioso amico di Dell'Utri e "stalliere" di Berlusconi 4. ---1: Rapporto Criminalpol 28 marzo 1985, intitolato "Indagini su esponenti del crimine organizzato facenti capo al gruppo mafioso Cuntrera-Caruana ed a Rapisarda Filippo Alberto". ---2: Rapporto Criminalpol 13 aprile 1981. ---3: Giovanni Ruggeri - Mario Guarino, Berlusconi: inchiesta sul signor tv, Kaos edizioni, 1994, pagg. 49 sgg. ---4: Archivio "Berlusconi, Cuccia & Co.", cit., pag. 2. un fiume di denaro dalla svizzera ................................. Non è solo la Banca Rasini, l'istituto di fiducia della mafia milanese, a finanziare l'esordiente Berlusconi. Tantissimo denaro arriva dalla Svizzera, senza che ancora si sappia come e perché. Quel poco che si conosce, riguarda alcuni nomi delle società che vengono create, cambiate, fuse, affidate a prestanome a ritmo vertiginoso, usando con abilità il sistema delle scatole cinesi, in modo che non sia possibile risalire alla proprietà effettiva. Tra queste società vi è la "Finazierungeselleshaft fur Residenzen Ag" di Lugano, o la "Eti ag holding" o la "Cofigen sa". E' inutile chiedersi chi ci sia dietro queste sigle. Tuttavia, su questa galassia inesplorata (composta da capitali svizzeri e Srl lombarde), alcuni funzionari dell'Antiriciclaggio di Milano ebbero occasione di affermare che "all'improvviso queste società a responsabilità limitata si svegliano, e deliberano aumenti sproporzionati di capitali, ad esempio da 20 milioni a due miliardi. La cosa puzza. Se poi l'aumento viene sottoscritto con denaro giacente nella Confederazione elvetica, c'è la quasi certezza che si tratta di soldi della mafia, ricavati soprattutto dal traffico di droga" 1. Dopo le prime esperienze poco fortunate, Berlusconi rimane nel campo dell'edilizia col progetto di Milano Due. Il territorio del Comune di Segrate che ospiterà il megaprogetto appartiene al conte Leonardo Bonzi, il quale tratta la cessione delle sue terre con varie ditte, tra cui la Edilnord di Berlusconi. Il conte deciderà di vendere a quest'ultima in seguito ad atti tipici della sana concorrenza che Berlusconi sbandiera sempre: intimidazioni, minacce ed atti vandalici 2. ---1: Ruggeri/Guarino, cit., p. 40. ---2: ibidem, p. 45. il finanziatore massone ....................... Seguire il vorticoso giro di sigle che forma la galassia di società che hanno finanziato Berlusconi all'inizio della sua carriera è un'impresa dura, quasi impossibile. Tuttavia due società meritano un interesse speciale: la prima è la "Banca Svizzera Italiana", che fa capo a Tito Tettamanti. La seconda è la "Fimo", fondata da Ercole Doninelli. Tettamanti è un misterioso personaggio vicino all'Opus Dei, alla massoneria ed agli ambienti dell'estrema destra. Proprietario del gruppo Saurer, una delle più importanti lobbies svizzere, Tettamanti è al centro di relazioni che coinvolgono ex-amministratori Fiat e Banco Ambrosiano, faccendieri come Fiorini e personaggi come Giallombardo. Il suo socio Giangiorgio Spiess è uno degli avvocati di Licio Gelli. Un altro, John Rossi, fu incaricato da Larini e Fiorini di opporsi alla rogatoria sul Conto Protezione di Gelli-Craxi-Martelli. La Banca Svizzera Italiana (Bsi) è inoltre coinvolta nella maxi-tangente Enimont. La sigla compare in altre inchieste giudiziarie: il traffico di rifiuti tossici, il caso Kollbrunner (traffico di titoli rubati), il caso Techint. Nel 1994, questo distinto signore ha voluto percorrere una strada parallela a quella di Berlusconi, decidendo di salvare il Canton Ticino dai comunisti cattivi. Il suo programma politico prevede la fine di ogni prestazione dello Stato e la privatizzazione di tutto il privatizzabile. La Bsi, preoccupata che la sua immagine potesse essere offuscata dalle inchieste dei giudici, ha intrapreso una seria opera di public relations a carattere culturale: il fiore all'occhiello è stato la pubblicazione del volume "Terra d'asilo", in cui si magnifica il ruolo del Ticino nel dare ospitalità agli imprenditori italiani durante la seconda guerra mondiale. In Italia, il libro è stato presentato a Palazzo Giustiniani, sede della massoneria: presente Giovanni Spadolini, che esaltato il ruolo degli incappucciati nello sviluppo della finanza italiana 1. ---1: Avvenimenti, 9 febbraio '94, pp.12-13. la finanziaria dei criminali ............................. Un'altra delle società che hanno concesso generosi (e misteriosi) finan- ziamenti all'esordiente Berlusconi è la Fi.Mo., una finanziaria svizzera coinvolta nei casi più gravi di tangenti e riciclaggio. Tra i clienti della Fimo, oltre all'uomo Fininvest Adriano Galliani, c'è PierFrancesco Pacini Battaglia, che ha usato la finanziaria per smistare le tangenti Eni e Montedison. Da molto tempo, inoltre, la Fimo è il canale preferito dei grandi narcotrafficanti per riciclare il denaro sporco. Per una di queste storie, è finito in carcere Giuseppe Lottusi, commercialista milanese, condannato a vent'anni dal Tribunale di Palermo. Lottusi aveva concordato con Giancarlo Formichi Moglia, rappresentane dei trafficanti colombiani, una transazione di 600 kg di cocaina tra il Sud America ed il clan mafioso dei Madonia. Per realizzare l'operazione, Lottusi si era messo in contatto con un funzionario della Fimo, Enzo Coltamai. Il 16 giugno 1988 ed il 13 febbraio 1990 partono circa 10 miliardi da Chiasso a Ginevra, che finiscono su un conto bancario. L'inchiesta della magistratura crede che il denaro sia il frutto della vendita della droga, grazie ad eloquenti intercettazioni telefoniche tra Lottusi e Coltamai della Fimo. Nel novembre del '93 l'inchiesta si conclude con la condanna di Lottusi, mentre la Fimo si salva: i giudici credono alla sua "buona fede". Ma l'assoluzione non frena lo scandalo: all'epoca della transazione fatta per i Madonia, il presidente della Fimo è Gianfranco Cotti, parlamentare democristiano svizzero. Cotti si dimette subito, ma la procura di Lugano gli toglie ogni preoccupazione, assolvendolo il giorno prima dell'inizio delle indagini... Il sostituto di Cotti è Elio Fiscalini, che può vantare discrete referenze: coinvolto in una storia di tangenti pagate alla Socimi di Milano (di cui è presidente !), socio in un'altra società coinvolta nella solita vicenda di mazzette, coinvolto indirettamente nello scandalo Poggiolini e nel traffico di titoli rubati noto come 'caso Kollbrunner', in cui compaiono anche i piduisti Gelli ed Eugenio Carbone. Agli atti di questa inchiesta, ci sono due lettere del '92, in cui Carbone scrive a Berlusconi dicendogli frasi come "ho parlato con Gelli" e "forse Licio le avrà detto..." 1. Proprio questa società, quindi, nei primi ani '70, fornì denaro in abbondanza al Berlusconi imprenditore edile: per la precisione fu una società del gr
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