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http://italy.indymedia.org/news/2004/11/682010.php Nascondi i commenti.

Chiusura Morini: cariche
by ROR Saturday, Nov. 20, 2004 at 6:59 PM mail:

Alla fine del corteo per la chiusura del Morini ci sono state cariche sferrate. Sentiamo la corrispondenza.

audio: MP3 at 3.4 mebibytes

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F
by F Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:29 PM mail:

L'intervistato parla di "provocazioni" cioè???

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un fumogeno....
by vanni Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:44 PM mail:

la "provocazione" e' l' accensione di un fumogeno.

a quando il ritorno alle beneamate bottiglie molotov ?
o dobbiamo sempre prenderle ?

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f
by f Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:48 PM mail:

Concordo cazzo.
Quantomeno l'autodifesa dei cortei.

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o meglio.......
by rafaniello Saturday, Nov. 20, 2004 at 7:49 PM mail:

o meglio..........
rosso.gif, image/gif, 234x319


o meglio.....

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diritto di resistenza
by keoma Saturday, Nov. 20, 2004 at 8:10 PM mail:

Diritto di resistenza Paolo Virno - Movimento 16.11.2004


Come concepire l'uso della forza nell'epoca in cui va in rovina lo Stato moderno e il suo monopolio della decisione politica?


[da: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Novembre-2004/art85.html ] Seattle, Nizza, Praga, Genova: il movimento new global ha guadagnato visibilità e autorevolezza grazie alla ripetuta, drammatica rottura dell'ordine pubblico. Negarlo non è certo un reato: come non lo è, del resto, sostenere che i bambini nascono sotto i cavoli. E' solo una sciocchezza autolesionista. Se non si vuole «uscire dal Novecento» a passo di gambero, discettando cioè sugli eccessi della Comune di Parigi e aggrottando il sopracciglio al ricordo della protervia sanguinaria di Cromwell, conviene porsi una questione spinosa: come concepire l'uso della forza oggi, nell'epoca in cui va in rovina lo Stato moderno e il suo «monopolio della decisione politica»? Sarebbe facile spiegare a Giampaolo Pansa (che su la Repubblica di ieri ha intonato un livido mantra contro il movimento del 1977) perché fu cosa buona e giusta cacciare Luciano Lama dall'Università di Roma nel febbraio di quell'anno lontano. Facile, ma ozioso. Ciò che conta è orientarsi nel presente, dopo che molte delle vecchie bussole si sono scassate. Tutto consiglia di non indulgere ad alcuna forma di feticismo riguardo alla non-violenza e alla violenza. E' certamente stolto identificare la radicalità di una lotta con il suo tasso di illegalità. Ma non lo è meno elevare la mitezza a inossidabile criterio-guida dell'azione. D'altronde, non c'è di che preoccuparsi troppo: il passaggio del conflitto dalla latenza alla visibilità si incarica sempre di travolgere gli «eterni principi» adottati di volta in volta dai politici di professione. Sull'antica, ma non consunta, questione delle forme di lotta la discussione gira in tondo, indulgendo a sofismi privi di arguzia e a citazioni passepartout. A ben vedere, essa sconta gli effetti a catena di un drastico mutamento di paradigma teorico. Un mutamento tale, da scindere ciò che pareva indisgiungibile e da accostare quanto si collocava agli antipodi. In breve: la lotta contro il lavoro salariato, a differenza di quella contro la tirannia o contro l'indigenza, non è più correlata all'enfatica prospettiva della «presa del potere». Proprio in virtù dei suoi caratteri assai avanzati, si profila come una trasformazione interamente sociale, che con il «potere» si confronta da presso, ma senza sognare un'organizzazione alternativa dello Stato, mirando bensì a rattrappire e a estinguere ogni forma di comando sull'attività delle donne e degli uomini e, quindi, lo Stato tout court. Come dire: mentre la «rivoluzione politica» era considerata la premessa inevitabile per modificare i rapporti sociali, ora questo bottino ulteriore diviene il passo preliminare. La lotta può espletare la sua indole distruttiva, solo se già spicca in alto rilievo un altro modo di vivere, di comunicare, perfino di produrre. Solo se, insomma, si ha qualcosa da perdere oltre le proprie catene. Il tema della violenza, idolatrato o esorcizzato, è stato comunque legato a filo doppio alla «presa del potere». Che cosa accade, allorché si considera quella esistente l'ultima possibile forma di Stato, meritevole di venir corrosa e di andare in rovina, non certo di venir rimpiazzata da un Iperstato «di tutto il popolo»? La non-violenza diventa forse il nuovo culto da officiare? Non sembra proprio. Semmai, ecco un ossimoro imprevisto, il ricorso alla forza deve essere concepito in relazione a un ordine positivo da difendere e salvaguardare. L'esodo dal lavoro salariato non è un gesto concavo, un meno algebrico. Fuggendo, si è obbligati a costruire diverse relazioni sociali e nuove forme di vita: ci vuole molto gusto per il presente e molta inventività. Pertanto, il conflitto verrà ingaggiato per preservare questo «nuovo» che intanto si è istituito. La violenza, se c'è, non è protesa ai «domani che cantano», ma a prolungare qualcosa che già esiste, seppure informalmente. Di fronte all'ipocrisia, o alla svagata dabbenaggine, che contrassegna oggi la discussione su legalità e illegalità, conviene rivolgersi a una categoria premoderna: lo ius resistentiae, il diritto di resistenza. Con questa espressione, nel diritto medioevale, non si intendeva affatto l'ovvia facoltà di difendersi se aggrediti. Ma nemmeno una sollevazione generale contro il potere costituito. Netta è la distinzione rispetto alla seditio e alla rebellio, nelle quali ci si scaglia contro l'insieme delle istituzioni vigenti, per edificarne altre. Il «diritto di resistenza» ha, invece, un significato assai peculiare. Esso può venir esercitato allorché una lega artigiana, o la comunità tutta, o anche un singolo, vedano alterate dal potere centrale certe loro prerogative positive, valevoli di fatto o per tradizione. Il punto saliente dello ius resistentiae, ciò che ne fa l'ultimo grido in tema di legalità/illegalità, è la difesa di una effettiva, tangibile, già avvenuta trasformazione delle forme di vita. I passi grandi o piccoli, gli smottamenti o le slavine, della lotta contro il lavoro salariato ammettono un illimitato diritto di resistenza, mentre escludono una teoria della guerra civile.


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concordo
by io Saturday, Nov. 20, 2004 at 8:50 PM mail:

d'accordo con i commenti precedenti per l'autodifesa...
in piazza non si va a fare una passaggiata, in piazza si va per partecipare ad un momento di lotta... e non è una vuota metafora

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senza nascondersi
by pongo Saturday, Nov. 20, 2004 at 11:20 PM mail:

credo che sia da una parte troppo difficile dall'altra tropo facile militarizzare i cortei. da una parte se4mpre più spesso siamo costretti a subire le angherie della polizia italiana spronata dagli annunci bellicosi dei vari ministri dell'interno, dall'altro c'è la consapevolezza non solo di un'impossibile rapporto di forza, ma soprattutto dello scoglio del consenso: non bisogna nascondersi dietro un dito. gli scontri, senza comunicazione sociale, sono perdenti!
tornare alla pratica della militarizzazione dei cortei comporterà sì una sovraesposizione mediatica, ma soprattutto
non è più in grado di ribaltare i rapporti di forza! gli scontri di piazza statuto del luglio sessanta avevano un impatto sociale non solo su genova ma su tutta l'italia perchè da una parte il movimento comunista internazionalista era ancora assolutamente autorevole e dall'altro lato la legittimità del governo era appesa a labili fili che si intrecciavano in parlamento nel giro di una settimana, cioè le nmaggioranze erano frutto di accordi politici all'interno del parlamento. ciò comportava la possibilità di aprire delle crepe all'interno della maggioranza di governo e di modificare i rapporti di forza interni alle correnti: x quanto faccia schifo questi millimterici spostamenti erano in grado di determinare la caduta di un governo e l'apertura di una fase di crisi in cui si ridefinivano (momentaneamente) i rapporti di forza tra le forze politiche.
con il maggioritario se una qualunque maggioranza intende militarizzare i conflitti sociali
lo può fare perchè si appella alla legittimità elettorale, cioè al voto diretto dei citadini che vuol dire tutto o niente , ma comunque è una roba differente da una legittimità strappata in parlamento.
questo solo per dire che se pure è necessario continuare a ribadire sempre e comunquie l'autonomia nelle scelte e nelle pratiche politiche, il problema di """conquistare il governo""", è una questione che tutte le teste pensanti d'italia devono porsi.
il che non vuol dire un referendum su bertinotti però la dimensione istituzionale del potere va assunta come un terreno di intervento del movimento che nel corso degli ultimi 5 6 anni è riuscito a far passare una serie di cose a livello locale...

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cariche
by napape Sunday, Nov. 21, 2004 at 11:32 PM mail:

premetto che io sabato c'ero e che mi sono anche presa le manganellate...ma mi spiegate come si fa a voler andare contro il Potere, l'autodifesa nei cortei e altre menate varie...essendo ubriachi e strafatti di canne?
Ma che cavolo di atteggiamento é?
me lo volete spiegare?
Conformisti dell'anticonformismo?
Non vinceremo mai così....quando lo capirete?
Svegliatevi e pensate con la vostra testa!
E soprattutto .... manifestazioni animaliste e NON politiche!

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strafatto sari tu
by anarcovegansxe Tuesday, Nov. 23, 2004 at 5:58 PM mail:

e comunque chi lotta per la liberazione umana ed animale è molto meno politico e politicante delle associazioni che sulla pelle degli animali fanno i loro scambi coi politici

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