Aumentano i soldati italiani malati di cancro da uranio impoverito
Gli ultimi otto sono reduci dall'Afghanistan e dall'Iraq. Malati. Come 266 altri soldati che erano stati in missione in Somalia, Bosnia e Kosovo. "Ma noi", precisa il presidente dell'Osservatorio militare Domenico Leggiero, "non vogliamo trarre conclusioni affrettate perché tutti e otto erano già stati anche nei Balcani". Il Golfo fonte di una nuova ondata di pazienti per leucemia, linfoma di Hodgkin e non Hodgkin, cancro, disturbi diffusi? Presto per dirlo. Ma certo l'allarme si sta diffondendo. Almeno ad ascoltare Antonio Savino, presidente dell'Unione nazionale arma carabinieri: "I nostri che rientrano così come quelli che sono ancora a Nassiriya, tempestano di telefonate il call center perché sono preoccupati. Appena avvertono dei sintomi strani sono presi dal panico, ci chiedono istruzioni su come si devono comportare".
E raccontano storie non edificanti di incuria e gravi mancanze della logistica: nessuno ha detto loro di proteggersi quando si trovano nelle vicinanze di un carro armato colpito, magari, con bombe all'uranio impoverito. Niente mascherine, niente tute speciali che sono invece in dotazione alle altre forze della coalizione. Né si può rimproverare ai nostri militari, secondo Savino, di essere sprovveduti e non cautelarsi dopo le numerose polemiche sull'uranio impoverito: "Spesso si tratta di carabinieri che arrivano da una stazione sperduta del territorio, totalmente all'oscuro e che ripongono la loro fiducia nei comandanti". Le testimonianze, unite a fotografie che documentano soldati italiani e bimbi iracheni mentre giocano ignari accanto alle carcasse di mezzi militari, sono state inserite in un libro bianco che sarà consegnato ai membri della Commissione d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito i cui lavori dovrebbero iniziare a breve e dopo un ritardo causato dalla lentezza con cui Forza Italia ha nominato i suoi rappresentanti.
Una Commissione istituita dal ministero della Difesa aveva già lavorato, per la verità, negli anni scorsi. Era quella presieduta dal professor Franco Mandelli e aveva stilato tre relazioni. Dapprima aveva escluso connessioni tra le neoplasie maligne e l'uranio impoverito e, per correzioni successive, aveva suggerito che erano necessari approfondimenti. Naturalmente c'erano state polemiche sui metodi utilizzati e su presunti errori grossolani commessi. Perché va bene la medicina, ma entra in campo anche la matematica: se il numero di casi non è statisticamente diverso rispetto a un campione analogo di popolazione che non è stata sui teatri di guerra, ecco che si smonta la tesi della pericolosità dell'uranio. Questo è, grosso modo, ciò che è avvenuto. Le cifre non sono neutre e la loro alterazione produce un risultato o il suo opposto. Sta di fatto che il ministero della Difesa riconosce un centinaio di malati. L'Osservatorio militare ribatte coi suoi 274 casi, compresi 34 già morti. E aggiunge che, semmai, è una stima per difetto: sarebbero in molti coloro che non denunciano, per pressioni o per paura. Morale, l'incidenza di quelle specifiche malattie è di cinque volte superiore alla media nazionale. E si tratta di soldati, dunque di giovani presumibilmente di sana e robusta costituzioni, abili e arruolati.
L'avvocato Angelo Tartaglia di Roma, specializzato nel ramo, titolare di diverse cause di risarcimento milionarie lascia intuire un quadro ancora peggiore: "Ho basato quasi tutto su ricerche di tipo statistico e le conclusioni sono inequivocabili. Con incidenze percentuali ancora superiori a quelle stimate sinora e che produrrò in tribunale". E non è finita. I 'danni collaterali' riguardano, giurano sempre all'Osservatorio militare, i numerosi aborti spontanei delle compagne dei soldati colpiti (almeno diciotto), i problemi gravi all'apparato genitale di giovani che si trovano pressoché nell'impossibilità di fare figli o che debbono ricorrere all'inseminazione artificiale .
Insomma, la commissione Mandelli aveva chiuso con messaggi più o meno rassicuranti. Ma i casi si moltiplicano, così come le missioni dei nostri soldati all'estero, in zone dove prima sono passati americani e alleati con le loro bombe all'uranio impoverito o peggio. Da qui la necessità di una nuova indagine. Non che vi riponga grandi speranze l'ammiraglio Falco Accame, presidente dell'Associazione nazionale dei familiari delle vittime delle Forze Armate, però ammette che a qualcosa serve: "Una commissione è un luogo dove si possono deporre tante carte". A futura memoria, perché non si dica che non si sapeva, che non era stato denunciato. È assai probabile che, una volta messa in condizioni di operare, la commissione ascolterà la dottoressa Antonietta Gatti, responsabile del laboratorio di biomateriali dell'università di Modena e Reggio Emilia, oltre che coordinatrice di un progetto europeo sulle nanopatologie cui collaborano anche le università di Cambridge e di Magonza. Sotto l'occhio del suo microscopio elettronico sono passati una trentina di campioni di biopsia di soldati ammalati o deceduti (non solo italiani, anche canadesi e francesi, Parigi in totale conta 38 vittime e oltre 400 ammalati secondo Domenico Leggiero). La sua conclusione, sorprendente, è capace di coniugare le tesi di Mandelli e dei suoi detrattori. Cioè: le bombe sono la causa indiretta delle malattie. Non c'entra l'uranio, ma i metalli che l'uranio distrugge all'impatto sui bersagli.
(L'Espresso.it) 21/2/2005
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