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[notav] Incubo Tav
by carta Tuesday, Nov. 29, 2005 at 1:45 PM mail:

La storia inizia il 7 agosto 1991 con la nascita di Tav Spa, la società a capitale misto pubblico e privato deputata a costruire in Italia quasi 900 chilometri di linee ferroviarie per i treni ad alta velocità. In realtà, dopo il disastroso risultato economico del tunnel sotto la Manica non vi era assolutamente traccia di privati disposti a rischiare capitali nella costruzione di grandi infrastrutture, e presentare Tav Spa come una società a capitale misto era un mero artificio.

Marco Cedolin
27 novembre 2005
La storia inizia il 7 agosto 1991 con la nascita di Tav Spa, la società a capitale misto pubblico e privato deputata a costruire in Italia quasi 900 chilometri di linee ferroviarie per i treni ad alta velocità. In realtà, dopo il disastroso risultato economico del tunnel sotto la Manica non vi era assolutamente traccia di privati disposti a rischiare capitali nella costruzione di grandi infrastrutture, e presentare Tav Spa come una società a capitale misto era un mero artificio. Lo Stato garantì il finanziamento del 40 per cento in conto capitale, e finanziò il restante 60 (quello dei privati) attraverso prestiti bancari, accollandosi gli interessi fino al completamento dell'opera. Il 10 marzo 1998 le Ferrovie dello Stato, che detenevano la maggioranza del capitale pubblico, acquisirono il 100 per cento di Tav Spa e dal primo gennaio del 2003, ormai nell'ambito della "legge obiettivo", Tav Spa è entrata nell'orbita di Infrastrutture Spa, il cui azionista unico è la Cassa Depositi e Prestiti.
Tutto questo gioco di scatole cinesi, nato una quindicina di anni fa dalla fervida fantasia dell'allora ministro al bilancio Paolo Cirino Pomicino. e perfezionato dal governo Berlusconi sotto il nome di "project financing", ha come unico scopo permettere allo Stato di contrarre enormi debiti senza però iscrivere nel proprio bilancio, evitando così che essi incidano nei parametri del Patto europeo di stabilità.
I privati esistono veramente ma rivestono il ruolo di "general contractor", perfezionamento di un'altra "intuizione" del buon Cirino Pomicino. Fiat, Iri ed Eni (i "general contractor") sono concessionari con l'esclusione della gestione, hanno cioè tutti i poteri del committente pubblico nella gestione dei subappalti, nella direzione dei lavori, negli espropri, ma non hanno , (caso unico in Europa) la gestione diretta dell'opera, per cui il loro solo interesse, essendo disancorati dalla successiva gestione, sarà quello di fare durare i lavori il più a lungo possibile al fine di fare levitare al massimo la spesa. Inoltre il "general contractor", a differenza del concessionario tradizionale di lavori o servizi pubblici, potrà affidare i lavori a chi vuole anche con trattativa privata, ed essendo un privato non sarà mai perseguibile per corruzione, perché eventuali tangenti potranno essere giustificate come "provvigioni".
La conseguenza di tutto ciò è che il progetto dell'Alta Velocità, che nel 1991 aveva un costo previsto di 26.180 miliardi di lire, rischierà di costare, in un lontano futuro, circa 80 miliardi di euro, e gli italiani ne pagheranno i debiti fino al 2040 ad un ritmo di 2 miliardi e 300 milioni di euro l'anno.

Ci sarebbero molte altre cose da raccontare concernenti questi 14 anni nei quali il progetto Alta Velocità ha preso forma e mosso i suoi primi passi, anni nei quali la zona del Mugello è stata devastata dalle gallerie con conseguenze idrogeologiche irreversibili, anni nei quali personaggi legati a doppio filo alla politica e all'imprenditoria come Necci, Pacini Battaglia, Icalza e molti altri si sono spartiti tangenti miliardarie, sono stati indagati, hanno corrotto giudici, vinto e perso processi, il tutto continuando a mantenere posizioni preminenti. Anni di grossi guadagni per chi, come l'attuale ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi, attraverso la Roksoil, azienda di famiglia, si è aggiudicato un numero infinito di opere e consulenze, o chi, come Romano Prodi, fondò la Nomisma, società bolognese indagata nel 1992 nell'ambito di una consulenza miliardaria sull'Alta Velocità, le cui conclusioni, dopo un'analisi quanto mai approfondita e retribuita, si condensavano nell'enunciato secondo cui "la velocità fa risparmiare tempo".
Anni nei quali 13.779 lavoratori del progetto Tav hanno lavorato a ciclo continuo con turni anche di 48 ore, in gallerie dove l'aria era inquinata, la luce poca ed i rischi molti. Basti pensare che nei soli primi 6 mesi di lavori sulla tratta Torino - Novara si sono verificati 350 infortuni dei quali 2 mortali.

Ma la storia che voglio raccontarvi è una storia ad Alta Velocità, dove non esiste tempo per soffermarsi a riflettere, valutare i giudizi degli esperti, confrontarsi con le istituzioni locali. Esiste solamente una montagna di denaro sulla quale gettarsi con voracità ed una montagna di roccia da sventrare al più presto per garantire il bengodi. Il progetto per la costruzione della Linea ferroviaria Alta Velocità - Alta Capacità Torino - Lione si è rivelato fin da subito come il più scellerato ed economicamente dispendioso dell'intero programma Tav e la nostra storia vuole entrare nel merito delle motivazioni che hanno spinto decine di migliaia di persone ad osteggiarlo con veemenza fin dalla nascita.
L'intenzione dei progettisti è quella di costruire un tracciato che partendo da Settimo Torinese (periferia nord est di Torino) attraversi buona parte della Valle di Susa per poi sbucare in Francia attraverso un tunnel di 52 chilometri sotto il massiccio dell'Ambin. Questo tracciato, accreditato come parte integrante di un fantomatico "Corridoio 5 Lisbona - Kiev", viene definito irrinunciabile dalla maggior parte dei politici di ogni colore, nonché dalla Confindustria e da tutti i poteri forti che attendono di spartirsi le enormi somme di denaro garantite dall'opera per almeno i prossimi 15 anni. Le ragioni addotte si sono sempre limitate ad affermazioni secondo le quali la Torino - Lione sarebbe indispensabile al rilancio del Piemonte, che senza di essa resterebbe isolato dall'Europa, oppure a proclami secondo i quali l'opera risulta indispensabile per l'innovazione del sistema dei trasporti italiano e garantirà un enorme ritorno sia dal punto di vista economico che da quello occupazionale. E' stata anche ventilata, senza troppa convinzione, la necessità di garantire attraverso l'opera la gestione del supposto futuro incremento dei flussi passeggeri e commerciali, nonché ipotizzato un futuro trasferimento alla rotaia del traffico su gomma tramite le navette in grado di trasportare i Tir, con conseguenze positive sull'inquinamento ambientale.

Quella di un Piemonte isolato dal resto d'Europa è un'affermazione assurda. Lungo la sola la Valle di Susa passa infatti attualmente circa il 35 per cento delle merci che valicano le Alpi, veramente troppe per una regione in stato d'isolamento.
La Valle di Susa è una valle alpina larga in media solamente 1,5 chilometri con abbondanza d'insediamenti abitativi ed industriali. Già oggi vi passano un'autostrada, due strade statali, una linea ferroviaria passeggeri e merci a doppio binario, un fiume, molteplici strade provinciali, acquedotti, condutture del gas, linee elettriche aeree ed interrate. Dovrebbe essere evidente come una realtà naturale già così fortemente violentata non sia assolutamente in grado di sostenere il peso di nuove pesanti infrastrutture.
La costruzione della Torino - Lione comporterà nella sola parte italiana l'estrazione dalle gallerie di 16 mila metri cubi di smarino (almeno sei volte il volume della piramide di Cheope), per i quali occorreranno 2.500.000 passaggi di camion solo per stoccare nelle varie discariche i materiali di risulta. I recenti studi d'ingegneria dei trasporti affermano che quando, tra una quindicina di anni, l'opera sarà terminata, solo l'1 per cento dell'attuale traffico su gomma si trasferirà sulla ferrovia. La contropartita di questo deludente risultato sarà pagata in maniera salatissima dai cittadini della Valle e della cintura di Torino: si calcola che durante questi 15 anni almeno 500 camion circoleranno giorno e notte per il trasporto dei materiali di scavo, con il conseguente aumento d'inquinanti, polveri e rumore.

Oltre ai grossi rischi di natura idrogeologica concentrati nella bassa valle, ad elevato rischio alluvionale, le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi in maniera drammatica anche sulla città di Torino, gli studi hanno messo in evidenza due punti di estrema criticità del progetto. Il primo riguarda la galleria di 23 chilometri Musinè - Gravio, che dovrebbe attraversare un terreno con rocce ricche di amianto. Secondo le analisi commissionate dalla Rete Ferroviaria Italiana ai geologi dell'Università di Siena, il volume previsto di materiale estratto contenente amianto dovrebbe essere di almeno 1.150.000 metri cubi. Non risulta sia stato previsto alcun piano di sicurezza per impedire la dispersione delle fibre d'amianto. La metà del materiale estratto contenente amianto (paragonabile per volume ad un grattacielo alto 400 metri) è previsto sia stoccata in un sito a cielo aperto nei pressi del comune di Almese, senza nessuna protezione e giocoforza esposto ai forti venti di fhon che spesso soffiano nella valle (mediamente per 40 giorni all'anno) in direzione Torino.
In un dossier curato dal dottor Edoardo Gays, oncologo dell'ospedale San Luigi di Orbassano viene sottolineato come l'amianto, per il quale non esiste per l'uomo una soglia minima di tollerabilità, causa, tra altre affezioni, il mesotelioma pleurico, un tumore maligno che si manifesta anche dopo 15 o 20 anni dall'inalazione delle particelle, che porta al decesso in media entro 9 mesi dal momento della diagnosi ed ha un tasso di mortalità nell'ordine del 100 per cento. Il dottor Gays afferma che in queste condizioni le morti per mesotelioma rischieranno di aumentare di oltre 100 volte su scala regionale.
Il secondo punto critico è costituito dal tunnel di 52 chilometri che dovrà correre sotto il massiccio dell'Ambin, preceduto da una galleria di prospezione lunga oltre 7 chilometri e del diametro di 6 metri. All'interno dell'Ambin sono presenti numerosi giacimenti di uranio, come documentato dal Cnr fin dal 1965. Per maggior precisione il materiale presente è pechblenda, particolarmente radioattiva. Una parte dello smarino estratto sarà perciò con tutta probabilità carica di radioattività ed estremamente pericolosa sia in fase di scavo che di stoccaggio. L'uranio si disperde nell'aria e può essere inalato, contamina le falde acquifere e corsi d'acqua che possono essere utilizzati per l'irrigazione. Se inalato o ingerito, l'uranio provoca contaminazione interna e può essere causa di linfomi e leucemie
Occorre anche sottolineare che la distribuzione delle falde acquifere all'interno del massiccio dell'Ambin è estremamente complessa e le conseguenze degli scavi rischiano di compromettere gravemente il sistema idrografico dell'area, come già è avvenuto nel corso degli scavi delle gallerie per la linea Alta Velocità Firenze - Bologna nella zona del Mugello.

Anche gli studi sull'utilità e il ritorno economico del tracciato mostrano imbarazzanti incongruenze. I traffici di lunga distanza sull'asse Lisbona - Kiev, il "Corridoio 5", sono ad oggi irrilevanti. Il traffico passeggeri di lunga distanza si muove e si muoverà in aereo, poiché risulta ampiamente dimostrato come le ferrovie ad Alta Velocità non siano assolutamente competitive nelle distanze superiori ai 500 chilometri. I traffici merci di lunga distanza sono estremamente esigui, e la velocità non è un requisito fondamentale (basta osservare il successo delle ferrovie statunitensi, con velocità commerciali nell'ordine dei 30 chilometri l'ora) anzi contribuisce ad aumentare i costi a dismisura, favorendo sull'asse in oggetto l'alternativa marittima.
L'attuale linea ferroviaria Torino - Modane è oggi utilizzata solamente al 38 per cento della sua capacità. Le navette per il caricamento dei Tir sono state usate solo durante il breve periodo di chiusura del Fréjus, altrimenti partono ogni giorno vuote.
Gli unici due treni giornalieri del collegamento ferroviario diretto Torino - Lione sono stati soppressi per mancanza di passeggeri. Una scarsità di traffico davvero disarmante, per una direttrice così importante da giustificare l'investimento di 21 miliardi di euro (la metà dei quali di competenza italiana).
Negli anni passati, quando ancora la pesante crisi economica europea non si era manifestata, il governo aveva affidato ad una società molto quotata, la Setec Economie, il compito di valutare i benefici dell'opera. La società aveva analizzato i volumi tendenziali di traffico per gli anni a venire, stimando, con un ottimismo che alla luce della contrazione odierna del mercato non può che far sorridere, un volume di traffico che avrebbe dovuto attestarsi nel 2015 intorno ai 174 treni al giorno. La linea esistente, una volta effettuati gli interventi di potenziamento previsti, molti dei quali già in corso, dovrebbe consentire già nel 2008 una capacità di circa 220 treni al giorno, un numero ampiamente compatibile con qualsiasi ottimistica previsione.
Alla luce di questi dati si stenta a comprendere per quale arcana ragione anziché perseguire lo sfruttamento della linea attuale ottimizzandone le potenzialità s'intenda invece portare a termine un progetto totalmente inutile come quello della linea ferroviaria Alta Velocità, finalizzata ad una capacità di trasporto superiore di oltre 5 volte agli attuali livelli di traffico, oltretutto alla luce del fatto che questi livelli anziché in crescita esponenziale come si prevedeva nel passato sono scesi del 9 per cento solamente nell'ultimo anno.
Il costo esorbitante, stimato in circa 11 miliardi di euro per la sola competenza italiana e passibile (come l'esperienza ci insegna) di ulteriori incrementi durante i 15 anni di lavori, non potrà assolutamente essere ammortizzato con i ricavi da un traffico immaginario.

La storia ovviamente non finisce qui e come tutte le storie potrà riservare infinite sorprese anche a coloro che si sentono onnipotenti quando tengono in mano il bastone del potere. I contestatori NoTav della Valle di Susa potrebbero un giorno di questi apparire al resto d'Italia nella loro veste reale: non uno sparuto gruppo di estremisti ecologisti, no global, luddisti, nemici del progresso, bensì semplicemente cittadini coraggiosi disposti a mettersi in gioco per difendere i loro diritti, la loro salute e la loro terra.

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