Le motivazioni della sentenza di condanna di un paracadutista della Ederle appena tornato in Italia
Dopo l’Iraq, stupro meno grave
Il collegio ha ritenuto un’attenuante la missione Usa
La gravità di uno stupro va attenuata se a commetterlo è stato un militare appena tornato dalla guerra, per le tremende prove che è stato costretto a subire. «Appare verosimile che l’imputato, nel suo lungo periodo di permanenza in Iraq, abbia quantomeno assistito a scene di violenza che nulla avevano a che fare con la necessaria violenza bellica». È un passaggio della motivazione della sentenza con cui il collegio ha condannato un soldato americano ritenuto responsabile di violenza sessuale e lesioni. Il parà è stato condannato in novembre a cinque anni e otto mesi e a versare 100 mila euro alla vittima, una nigeriana di 27 anni. Perchè la picchiò selvaggiamente, la ammanettò e poi la violentò con modalità orribili causandole lesioni che la costrinsero a restare in ospedale per 20 giorni. I fatti risalgono al 22 febbraio 2004. James Michael Brown (assistito dall’avv. Antonio Marchesini), 28 anni, che all’epoca abitava a Torri di Quartesolo, era stato arrestato dalla Squadra mobile della questura in collaborazione con i carabinieri della Setaf qualche ora dopo. Gli investigatori erano partiti da una denuncia angosciata e strappalacrime per le brutalità subite. Il soldato statunitense era accusato di aver selvaggiamente violentato la nigeriana, che era riuscita a scappare dopo due ore e mezza di angherie. Da quanto aveva raccontato agli agenti, l’africana (che ha sempre detto di non essere una prostituta) era stata fatta salire in auto per un passaggio verso casa, e poi condotta in una stradina laterale di via Fermi, dove era stata ammanettata e costretta a subire ogni genere di violenze. Oltre a pratiche sadomaso, era stata anche picchiata più volte con pugni in testa. Brown era tornato dall’Iraq da una settimana, tanto che il legale della ragazza, l’avv. Pietro Adami, aveva chiesto invano che venisse chiamato in causa come responsabile civile il governo americano. «Il prolungato logorio psicologico al quale è stato sottoposto l’imputato e la minore importanza che necessariamente ha finito per dare alla vita ed alla incolumità altrui», ha scritto il collegio, «non possono non aver influito sulla commissione dei reati per i quali si procede e sui modi con i quali i reati stessi sono stati consumati». I giudici si sono focalizzati sul curriculum di militare in missione: «È fatto conosciuto quello della continuazione della guerra in Iraq anche dopo la rapida occupazione del Paese. Anzi ad una guerra condotta con enorme dispendio di mezzi, con esito scontato, si è sostituita una guerriglia contro un nemico invisibile della quale non si vede la fine, estremamente logorante». E il compito di Brown è stato sia quello di far prigionieri e di evitare agguati. «L’Iraq è divenuto teatro di violenza extrabellica e come è accaduto in occasione di altri conflitti (il pensiero va al Vietnam) quelli dei quali si viene a conoscenza non sono che la punta dell’iceberg».
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