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http://italy.indymedia.org/news/2006/05/1065779.php Invia anche i commenti.

MACADAN
by macadàn Monday, May. 08, 2006 at 3:15 PM mail: macadan@inventati.org

Nasce macadàn, bollettino libertario con base a Savona, che si propone come sguardo critico sul proprio territorio e non solo. Chi desidera ricervere copie mandi una mail con il proprio indirizzo a: macadan@inventati.org

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SBARCATI SULLA TERRA
Difficile spiegare perché si è deciso di far uscire una pubblicazione che andrà ad aggiungersi alle centinaia di fonti d’informazione simili esistenti. Difficile spiegare cosa questa voglia o possa rappresentare nel teatro delle tante parole.
Le motivazioni faticano a delinearsi nitidamente, disperse e mescolate come sono tra intenzioni e realtà, tra volontà e ragione.
Ciascuno di noi custodisce in sé emozioni, critiche, sentimenti, pensieri che vogliamo esprimere nelle forme che più ci appartengono, sfumandoli della nostra individualità senza delegarne ad altri la rappresentazione.
Abbiamo delle cose da dire e vogliamo farlo direttamente, anche perché crediamo che praticare una forma di comunicazione diretta, autogestita e partecipata, sia già di per sé affermazione della nostra avversione verso il dominio.
Il mosaico delle nostre aspirazioni si compone di infinite tessere, una delle quali è rappresentata da Macadàn, che noi vorremo luogo di comunicazione e insieme laboratorio di esperienze e confronto dove la tensione contro l’esistente infranga apatia e incomunicabilità.
In definitiva è nostro auspicio che questo pagine servano a favorire l’incontro e il confronto con chi, a vario titolo, ne condividerà le idee ispiratrici: non dispensatrici d’informazioni, ma, ci auguriamo, catalizzatori del comune agire.
Chiunque volesse contattarci per inviarci degli articoli o anche per farci sapere cosa ne pensa di Macadàn potrà farlo contattandoci all’indirizzo:
macadan@inventati.org


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IL CEMENTO E LA CITTA' - Panoramica sulle speculazioni all'ombra della Torretta
Savona è oggetto in questi anni di numerosi interventi urbanistici che interessano diverse zone della città e del proprio territorio. I progetti che in questi anni hanno visto la luce, e che promettono di concretizzarsi negli anni a venire, sono la vittoria dei poteri forti di questa città e sono contemporaneamente altrettanti schiaffi ai suoi abitanti, a chi la vive. In questo piccolo spazio cercheremo di dare conto dei numerosi progetti e delle gigantesche speculazioni che, all’ombra della Torretta – e in generale nel nostro comprensorio –, si stanno realizzando ad un ritmo che diventa ogni anno più vorticoso e inquietante.
Ma andiamo con ordine: iniziamo questa carrellata di mostri di cemento partendo dalle più importanti - e se vogliamo più ambiziose - operazioni edilizie per amministrazioni e privati dal punto di vista dell’esposizione economica, dell’impatto sul territorio e della ricaduta sull’ambiente.
Il primo progetto che salta agli occhi è quello del porticciolo della Margonara, il quale prevede di ospitare 700 imbarcazioni – una percentuale importante di queste sopra ai 15 metri di lunghezza – nel tratto di costa che va da Savona ad Albisola. Parallelamente al ricovero per natanti è stato progettato – almeno inizialmente – di costruire, a monte di questo, 9 palazzi alti 3 piano ognuno, in pratica tra l’Aurelia ed il mare. Di recente, tuttavia, i quotidiani locali danno notizia di un cambio radicale del progetto: sostituire le volumetrie distribuite nelle 9 palazzine in un unico, tragico, gigantesco grattacielo: 120 metri l’altezza fatta balenare dalle prime veline; il tutto, comunque, a firma di un architetto di chiara fama, tale Fuksas. Come per il progetto relativo al porto di Savona, che vede protagonista Bofill - il disegnatore del fronte mare di Barcellona - la strategia del Potere è chiarissima: progettare trasformazioni radicali di zone nevralgiche della città affidando – almeno formalmente – il progetto ad un Nome indiscutibile, insindacabile, che possa mettere al riparo da possibili critiche l’Amministrazione, perché i nomi – pare - sono garanzie di qualità a prescindere, anche quando sono portatori di progetti che nessun abitante ha avuto la possibilità di capire, discutere, criticare.
Chiudiamo il discorso sul fronte mare di Savona ricordando che entro pochi mesi vedrà la luce il famigerato Crescent – palazzone di 10 piani lungo qualcosa come 150 metri distribuiti in un arco che, affacciandosi sulla Vecchia Darsena da sopra il Cù De Beu, ostruirà totalmente la vista del Priamar dalla Torretta.
In aggiunta a questi aspetti, rimandiamo il lettore a farsi un giro al porto turistico di Varazze, caratterizzato da una architettura palesemente in scarsa sintonia con l’ambiente circostante.
Mettendo insieme tutti questi elementi risulta che sì, interessa dotare il territorio di strutture di richiamo turistico ma, come nel caso del Golf Club La Filanda interessa ancor di più farcire il progetto di tonnellate di bitume in forma di volumetrie abitative – il tutto poi in zone di grande interesse naturalistico - strumenti questi in grado di far fruttare una speculazione edilizia in maniera esponenziale.
Cambiamo radicalmente oggetto della nostra indagine passando a progetti che riguardano da vicino la Produzione, l’attività commerciale e industriale della zona: sono 2 e sono interventi faraonici, molto rischiosi e assolutamente deleterei. Il primo riguarda il molo container a Vado Ligure (una piattaforma larga 250 metri e lunga 950) che permetterà la movimentazione di merci per la quale si ricorrerà a moderne tecnologie a scapito della promessa occupazionale, mentre sicura sarà l’irreversibile compromissione dell’ambiente e l’impossibilità del suo godimento da parte della gente. Inoltre tale struttura, abbinata all’attuale progetto di raddoppio del Porto di Vado, creerà un’unica colata di cemento molto articolata e complessa che, tra l’altro, eliminerà totalmente l’accesso al mare per gli abitanti di un territorio che va dalla foce del Segno a Bergeggi, circa 3 Km.
Il secondo progetto vede protagonista una delle più importanti aziende del territorio, la 3M - poi Ferrania - che, sprofondata in una crisi occupazionale irreversibile, è oggetto di una progettazione concertata tra Amministrazioni (Comune, Provincia e Regione senza dimenticare il Governo Statale stesso) Sindacati e nuova Proprietà. Obiettivo? costruire una nuova centrale elettrica a carbone usufruendo del nuovissimo e moderno attracco per i grandi cargo a carbone del Porto di Savona di proprietà di Campostano… manca da dire che la centrale a carbone-metano di Vado Ligure dista in linea d’aria da Ferrania meno di 30 Km, una garanzia per la sicurezza dei cittadini e quella dell’ambiente!
Chiudiamo qui questa breve e – per ovvi motivi di spazio – superficiale panoramica di alcuni dei progetti che prevediamo pesantissimi per l’impatto ambientale sul nostro territorio, citando le numerose discariche presenti in zona, da Cima Montà a Boscaccio alla prossima della Filippa, ad altre ancora, molte di queste private, alcune ancora pubbliche ma in procinto di diventare a capitale privato, come siti di rischio ecologico elevatissimo, in zone già stremate da sfruttamenti territoriali estremi come per la zona di Cengio è stata l’Acna; ma, si sa, lo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti è un affare milionario che ben si connette al modello di sviluppo attuale.
Pensiamo che l’idea di progresso occidentale sia guidata da una logica che non tiene minimamente conto delle conseguenze dirette verso le risorse naturali e la loro conservazione ma piuttosto sono frutto di una visione del mondo funzionale al denaro, alla produttività, alla velocità, considerati assiomi di benessere e qualità della vita.
Contemporaneamente alla piccola opera di controinformazione che svolgiamo, rivolgiamo a chiunque stia leggendo queste righe un appello perché rifletta su quanto avviene nel proprio ‘kilometro quadrato’ e si unisca a noi nel manifestare la propria contrarietà a questo modello di società, di sviluppo, di prevaricazione. Noi ci impegnamo a fornire una serie di informazioni sui vari mostri che stanno nascendo e che da tempo esistono nella nostra provincia, i quali riflettono d’altra parte situazioni presenti dovunque nel mondo e alle quali noi diamo un solo e semplice nome: NOCIVITÀ.
Che non si aspettino la solita rassegnazione!
Faremo sentire forte il nostro no!
alcuni incompatibili in cerca di complici


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IL NIDO DEL CUCULO - Le mistificazioni sull'aviaria
Descritto per la prima volta in Piemonte nel 1878, il virus dell’aviaria ha avuto nei primi mesi di quest’anno il suo momento di celebrità inquietando l’opinione pubblica facendo mostra di se sulle prime pagine dei giornali e nei servizi di apertura dei telegiornali. Ora, nonostante il pericolo, reale o presunto, del verificarsi di una pandemia sussista, i tamburi mediatici hanno smesso di battere, così come le ali di milioni di incolpevoli pennuti massacrati senza troppi complimenti in ogni parte del mondo. Giornalisti, esperti vari e politici ci hanno spiegato alla perfezione come la diffusione del virus dell’aviaria ( o meglio del famigerato ceppo H5N1) sia dovuta al contatto tra il pollame allevato in libertà (focolaio del virus) e gli uccelli selvatici (vettori del virus). La logica conseguenza di questa tesi è che gli allevamenti estensivi e all’aperto siano da sottoporre a misure restrittive, per poi magari scomparire nel giro di qualche anno e che le uniche garanzie di sicurezza le possano offrire solo gli allevamenti intensivi, dove gli animali vengono allevati in batteria, in una condizione di assoluta artificiosità.
Questa tesi coincide fin troppo bene con modelli produttivistici di tipo neoliberista (flessibilità dei mercati e dei siti produttivi, uniformità ed elevata disponibilità del prodotto, grossi canali distributivi…) perché presto non si trasformasse in una verità assiomatica in base alla quale governi europei e asiatici hanno impostato le misure di contrasto al diffondersi del virus dell’aviaria. Così, un po’ ovunque, si è assistito ad una forte limitazione degli allevamenti all’aperto, anche di quelli familiari destinati all’autoconsumo.
Prima di continuare nella nostra analisi è bene spiegare cosa sia un allevamento industriale. Esso si basa su criteri produttivistici seriali che passano attraverso diverse fasi: produzione della gallina ovaiola, incubazione delle uova, allevamento dei pulcini, fase di accrescimento, macellazione, lavorazione del prodotto, logistica e commercializzazione. In tutto il mondo le razze prodotte e consumate attraverso le grandi reti distributive si riducono ad un paio di ibridi, denominate COBB 500, ottenute in laboratori di genetica applicata e brevettate dalla Cobb Breeding Company. Questi polli sono frutto di un’accurata selezione che ha privilegiato la capacità d’ingrasso dell’animale, e presentano un elevatissimo indice di conversione biologica che permette di ottenere con 1,5Kg di mangime circa 1Kg di carne. In Italia il 70% del mercato è appannaggio di due sole aziende: Aia e Amadori.
L’intero ciclo vitale di queste creature, che dura circa 35 giorni, si svolge all’interno di capannoni, illuminati giorno e notte, ammassati alla densità di 10/15 polli a metro quadro (equivalenti a circa 30 Kg di carne/mq), in condizioni igieniche spaventose, costretti a vivere in mezzo ai propri escrementi e alle carcasse dei propri simili morti. L’alimentazione è costituita da mangimi industriali, prodotti nel mondo da poche aziende e le cui ricette sono segrete, nei quali però si trova un po’ di tutto, anche grazie alla permissività delle leggi che consentono l’utilizzo persino degli oli per motori esausti! Le principali fonti proteiche sono comunque rappresentate dai residui biologici della macellazione come interiora, teste, piume e zampe tritate.
Ovviamente, seppur selezionati e prodotti in laboratorio, quelli così allevati sono pur sempre animali, cioè esseri senzienti, con una natura che ne determina rapporti relazionali, psicologia, alimentazione, ciclo dormi-veglia, siti di stanziamento ecc…e che quindi reagiscono al crudele trattamento al quale sono sottoposti con stress e malattie. Ed è per questo motivo che ai loro mangimi vengono aggiunte dosi più o meno elevate di antibiotici. Ma, si sa, gli antibiotici servono a combattere i batteri, mentre sono inefficaci nella lotta ai virus, per i quali non esistono rimedi, se non le vaccinazioni preventive. A tal proposito è da registrare la tesi avanzata da alcuni ricercatori inglesi (pubblicata sulla rivista New Scientists) che imputerebbero l’incubazione del virus H5N1 ad una vaccinazione di massa praticata negli allevamenti industriali cinesi nel 1997, utilizzando una forma attenuata del virus che però avrebbe poi funzionato da innesco. Comunque sia nelle prime fasi del diffondersi della malattia, anche organizzazioni quali FAO e OMS (organizzazione mondiale della sanità), posero in evidenza, in vari documenti da esse redatti, la stretta relazione tra il diffondersi del virus ed un tipo di allevamento industriale, salvo in seguito invertire la rotta per puntare la prua sui piccoli allevamenti all’aperto, facendo così affondare i contadini più poveri.
Gli allevamenti intensivi rimangono per molti i principali imputati del propagarsi del virus. Infatti le condizioni di stress al quale sono sottoposti gli animali determinano una riduzione delle naturali difese immunitarie proprie di ogni animale. Se a ciò si aggiungono le precarie condizioni igienico-sanitarie di questo tipo di allevamento, ben si può comprendere come essi offrano le ideali condizioni di propagazione di un virus, che facilmente riesce a diffondersi tra le migliaia di volatili di uno stesso allevamento.
Ma ciascun sito di allevamento non rappresenta un sistema chiuso, ma ha con l’esterno continui e intensi scambi bidirezionali, cioè in entrata ed in uscita. E sarebbe proprio attraverso questi scambi che si trasmetterebbe il contagio.
Ad esempio il guano del pollame (pollina) viene comunemente impiegato come fertilizzante in agricoltura, e come tale sparso nei campi, venendo così a contatto con gli uccelli selvatici contagiandoli (anche se in Cina uno studio eseguito su 13000 uccelli selvatici catturati ha appurato come solo 6 di essi fossero affetti dalla forma virale ad alta patogenicità!).
Inoltre il passaggio di persone e mezzi (ad esempio i camion per i vari trasporti) tra un allevamento e l’altro può essere veicolo del virus, così come può esserlo l’aria stessa. Un altro importante canale di diffusione del virus è insito nei criteri produttivi e commerciali adottatati da queste compagnie transnazionali: il colosso tailandese Charoen Pokphand, il maggior produttore di pollame asiatico (la Thailandia è il quinto esportatore mondiale di carne di pollo), che nei suoi laboratori d’incubazione produce e commercializza in tutta l’Asia più di nove milioni di pulcini all’anno, possiede una fabbrica nella regione cinese del Lanchou, dove il virus H5N1 è massicciamente presente.
Anche i mangimi, prodotti con la lettiera degli allevamenti e con scarti di animali morti, fungono da diffusori del virus. Si provi ad immaginare cosa possa accadere quando un virus ad alta patogenicità penetra all’ interno di un capannone dove, nel clima caldo-umido del sud-est asiatico, si trovano ammassati 100/200mila polli già fortemente debilitati dalle condizioni nelle quali sono costretti a vivere. Incidentalmente va notato che nel Laos, nonostante la sua posizione geografica, dove gli allevamenti all’aperto sono di gran lunga predominanti (coprono infatti circa il 90% dell’intera produzione) su quelli intensivi, si sono registrati solo 45 casi di aviaria 43 dei quali registrati in grandi allevamenti. Nonostante ciò organizzazioni come la FAO stanno promuovendo, in quei paesi, politiche di sviluppo ed incentivazione degli allevamenti industriali, nonché di tutta la logistica e le infrastrutture ad essi correlati. L’apparenza si trasforma in ovvietà e così ancora una volta il rimedio proposto è peggiore del male già provocato. Continuare sulla via di un’omologazione genetica e della produzione industriale, non potrà che aprire la via al rapido diffondersi di future nuove epidemie virali.
Pare evidente, anche a chi disconosce del tutto i meccanismi di replicazione virale, che tra una massa di organismi geneticamente identici una volta insediatosi un virus in un singolo individuo, esso possa diffondersi al resto dei consimili senza trovare resistenza alcuna.
Al contrario, preservare e difendere la biodiversità offrirebbe maggiori e più sicure garanzie di contrasto al contagio virale. Ma non solo, infatti ai fattori di diversificazione varietale, riguardanti piante o animali, si accompagnano differenti contesti produttivi, economici e culturali, spesso non perfettamente inseriti nell’ordine economico mondiale che i grandi imperi politico- finanziari hanno delineato.
E quello che le misure finora prese per combattere l’aviaria andranno certamente a debellare è la fisionomia di un’economia di sussistenza, basata su piccoli scambi o anche sull’autoproduzione alimentare. Nei paesi asiatici maggiormente colpiti dall’aviaria, i contadini ricavano dai prodotti ricavati dal pollame (carne e uova) circa un terzo del proprio fabbisogno proteico, mentre la pollina rappresenta spesso l’unico concime a costo zero capace di sostenere adeguate produzioni di vegetali, a loro volta importantissime fonti alimentari.
In Europa, pur non assumendo le drammatiche connotazioni che si hanno nei paesi poveri, le restrizioni imposte agli allevamenti “liberi” hanno delle implicazioni inquietanti. Da alcuni anni, disparate disposizioni in ambito agro-alimentare vanno a incidere fortemente sulla possibilità di realizzare piccole economie marginali e di sussistenza da parte di tutti coloro che per motivi di ordine culturale, sociale o economico non vogliono o non possono adeguarvisi. L’invito, fin troppo palese, che ancora una volta ci hanno rivolto è quello di abbandonarsi al rassicurante ruolo di consumatore dei prodotti della grande industria, asettica e sicura, come quelle che rendono felici e sorridenti i convivi delle pubblicità.
Così se per la grande industria avicola crisi c’è stata, in prospettiva ne uscirà rafforzata perché ai suoi prodotti (“meno genuini ma più sicuri”) si rivolgeranno le persone spaventate dallo spauracchio di una pandemia che solo in Italia si stima provocherebbe 150.000 decessi. Senza addentrarci nello specifico, su cui ancora molto ci sarebbe da scrivere, va sottolineato che un altro tipo di grande industria ha guadagnato da questa crisi: quella farmaceutica. La Roche, il gigante chimico svizzero, che detiene la licenza per la produzione del Tamiflu ( il cui principio attivo è l’oseltamivir) prodotto, ironia della sorte, con un acido estratto dall’anice stellato che essa importa quasi totalmente dalla Cina e ritenuto efficace contro il virus H5N1, ha visto incrementare di molto i suoi profitti, mentre ha concesso selettivamente sub-licenze perché nei paesi più poveri si potessero fabbricare farmaci generici a base di oseltamivir.
L’industrialismo divora risorse compromettendo l’equilibrio della biosfera, determinato dalla sua stessa logica improntata sulla produzione di massa, sulla speculazione, sul consumismo e, in definitiva, sul profitto ad ogni costo. Impoverisce le comunità delle sue capacità sociali e produttive, riconducendole ad una massificazione omologante in un processo compromettente per l’avvenire dell’umanità e dell’intero sistema ecologico planetario. Sempre più si va delineando lo scenario di un mondo dove gli uomini sono ridotti a consumatori, gli animali trasformati in macchine iperproduttive, e l’ecosfera considerata alla stregua di una merce qualsiasi.
A noi non resta che interpretare il ruolo di untori di un virus, il più antico di tutti, portatore di dissenso, rifiuto e ribellione, sperando che qualcuno ne subisca il contagio!

POSTILLA: l’articolo sopra non ha pretese scientifiche, non è un trattato sul virus H5N1 e nemmeno pretende di rivelare verità indiscutibili. No, esso contiene solo la nostra visione della vicenda, senza altra pretesa se non quella di voler stimolare un’ atteggiamento critico nei confronti della Verità Ufficiale sciorinata dalle tante bocche del potere. Per carenza di spazio molto abbiamo tralasciato di dire, scivolando sulla superficie di molti aspetti che avrebbero meritato maggior approfondimento.

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L'INCONTRO E IL CONFRONTO
Invitiamo chiunque abbia voglia di incontrarci a partecipare ai prossimi appuntamenti che si terranno al C.R.A.L. della Bombardier di Vado Ligure sabato 13 e sabato 27 maggio, approssimativamente dalle 17.30 alle 20.30.
Proponiamo questi momenti di comunanza come parte di un percorso più articolato, di cui anche Macadàn fa parte, che speriamo possa ricevere nuove spinte ed energie attraverso la discussione ed eventuali proposte.
Nel corso di queste serate verranno proiettati due video:
• sabato 13 ‘NO TAV - gli indiani di valle’ - (di Adonella Marena - Italia 2005 - 54’)
• sabato 27 ‘SURPLUS - terrorizzati dall’essere consumatori’ - (di Erik Gandini - Svezia 2003 - 54’)
ci sarà vario materiale informativo cartaceo, il tutto condito da un buon aperitivo a base di birra e focaccia.
IL C.R.A.L. SI TROVA IN VIA TECNOMASIO A VADO LIGURE (ARRIVANDO DA SAVONA, PASSATO IL PONTE DI ZINOLA E’ LA TERZA TRAVERSA SULLA DESTRA, PROPRIO DI FRONTE AL PONTILE DELL’ENEL), NELLA PALAZZINA ALLA SINISTRA DELL’INGRESSO DELL’AZIENDA BOMBARDIER.

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