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Omicidio Fava: ancora sul processo
by killerina Sunday, Jan. 05, 2003 at 6:58 PM mail:

Articolo tratto da "I Siciliani nuovi" - giugno 1995

Noi non sappiamo se le parole che pubblichiamo - scritte l'estate scorsa dal Gip catanese Antonino Ferrara, nell'ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa contro il cavaliere del lavoro Gaetano Graci - le rileggeremo, un giorno, tra le carte del processo Fava. Noi non sappiamo se, sulla linea di questo documento, la magistratura catanese emetterà, nei prossimi mesi, provvedimenti nei confronti del cavaliere Graci in relazione all'omicidio Fava. Noi non sappiamo, infine, se il cavaliere Graci sia o meno il mandante di questo delitto. Sappiamo invece che, ai giudici, restano alcuni mesi per indagare. Che in questi mesi - il tempo stabilito dal Gip per la chiusura delle indagini preliminari - si dovrà decidere la sorte dell'inchiesta. Che quest'inchiesta potrà fermarsi al momento militare, ai mandanti "esecutivi" del delitto; ovvero esplorare fino in fondo - per condannare i colpevoli, o per assolvere gli innocenti - il livello dei mandanti "politici". Il documento che pubblichiamo, comunque, rimane un punto fermo. Esso è la prima ricostruzione seria, che arrivi dai palazzi giudiziari, del delitto Fava come delitto di mafia. La prima che segua una pista, una direzione che da undici anni noi indichiamo come la più logica: la prima che ricerchi il movente del delitto nell'attività giornalistica di Giuseppe Fava. Lo offriamo ai lettori, per non dimenticare. Ed aspettiamo, con vigile fiducia, che l'inchiesta si compia. Hanno invero riferito i collaboranti che Nitto Santapaola risolveva tutti «i problemi» che nell'esercizio della sua attività imprenditoriale il Graci incontrava. «Problemi» che andavano dalla «esigenza» di «sistemare» - con le persone con le quali aveva rapporti di lavoro - questioni sindacali, alle «lezioni» che occorreva infliggere ai clan contrapposti che «disturbavano», con le loro «pretese», la gestione dei lavori della azienda del Graci, al bavaglio alla stampa che dava un'immagine dei clan e degli imprenditori non proprio esaltante, rivelandone gli intrecci perversi e le collusioni. Si tratta di comportamenti nei quali confluisce una serie di interessi: da un lato l'interesse dell'imprenditore alla tutela - con mezzi illeciti - della propria attività; dall'altro l'interesse dell'organizzazione ad assicurarsi - come emerge dalle dichiarazioni dei collaboranti - l'appoggio dello stesso imprenditore per ottenerne "utilità" di vario tipo. Infine non va trascurato, anzi assume particolare rilevanza in questo procedimento, l'interesse "strategico" della organizzazione acché venga stroncata ogni forma di dissenso verso l'organizzazione stessa. (...) Come si vedrà più ampiamente nel prosieguo della presente ordinanza, l'interesse strategico dell'organizzazione, in talune circostanze, può coincidere con l'interesse specifico degli imprenditori "vicini" all'organizzazione stessa. (...) E' qui opportuno rimarcare che i rapporti tra Graci e l'organizzazione capeggiata da Santapaola risultano essere di natura tale che, da un lato, si istituisce tra i due soggetti uno scambio continuo di utilità; dall'altro si verifica, in alcune circostanze, una piena coincidenza tra gli interessi dell'organizzazione criminale e quelli dell'imprenditore. E' quest'ultimo il caso - come emerge dall'ordinanza di custodia cautelare allegata dal Pm agli atti del presente procedimento - dell'intervento del Santapaola per spegnere la voce "scomoda" del giornalista Giuseppe Fava, e dei contrasti esistenti tra quest'ultimo e il Graci. Appare opportuno, al proposito, richiamare un episodio riferito dal Castelli circa un colloquio telefonico per certi versi drammatico, tra Graci e Fava: «... ho avuto modo di ascoltare, essendo la porta del predetto studio aperta, una telefonata fra il cavaliere ed il giornalista Fava... Posso dire che il cavaliere, con voce alterata, comunicava al suo interlocutore di non menzionare fatti di cronaca nera nella prima pagina del giornale e di rappresentarli con poca eclatanza, comunque astenendosi dal riportare episodi che direttamente o indirettamente facessero riferimento a Nitto Santapaola ed a persone a quest'ultimo vicine...

Dal tenore del discorso e della circostanza che Graci ribadiva che a comandare doveva essere lui unitamente agli altri proprietari, ho dedotto che l'interlocutore non era assolutamente d'accordo con il cav. Graci, rivendicando la sua autonomia». Per Santapaola il silenzio della stampa su certi fatti di cronaca era essenziale al prosperare della organizzazione dallo stesso diretta: è questa una strategia della mafia
che suole circondare i suoi loschi traffici dal silenzio più assoluto.
Ma nel caso di specie, come vedremo, non è solo la mafia ad avere un siffatto interesse: il silenzio della stampa, in questo caso, risponde più precisamente a un duplice interesse: quello di carattere strategico del Santapaola, disturbato da ogni forma di dissenso verso l'organizzazione; quello, di carattere più diretto, del Graci, a
prevenire la pubblicazione di notizie inerenti ai suoi affari e ai suoi intrecci con la stessa organizzazione (intrecci che risalgono, come si è detto, alla fine degli anni '70). Un intervento così pesante, così duro del Graci nei confronti del giornalista Fava, la cui autonomia egli pretendeva di sottomettere alle esigenze delle cosche, si può solo
spiegare con un interesse preciso, diretto, che trova la sua ragione nei saldi ed intensi legami di natura illecita tra il Santapaola e lasua organizzazione, da una parte, e lo stesso Graci dall'altra. (...) Ora, l'episodio della telefonata riferito dal Castelli si caratterizza proprio perché mette in evidenza ancora una volta l'interesse - comune
al Graci ed alla organizzazione capeggiata dal Santapaola - ad ottenere il silenzio stampa sulla mafia, sulle sue attività illecite, sulle mille connivenze in cui essa prospera. Il tentativo di condizionare il giornalista, vietandogli di pubblicare un certo tipo di notizie, manifesta a ben vedere il timore che Fava incominci a svelare, più
concretamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento, citando episodi specifici, i perversi intrecci che legavano la organizzazionedi Santapaola al Graci stesso. E che l'attività di Fava costituisse unaspina nel fianco della organizzazione che stava tanto a cuore al cavaliere e a Santapaola, lo si evince non solo dall'intensità dello scontro di Graci con Fava ma anche e soprattutto dall'importanza che il
cavaliere annetteva al controllo delle notizie pubblicate da Fava, e in particolare di quelle concernenti la mafia catanese. A tale proposito il Castelli riferisce: «Le divergenze tra il Fava ed il gruppo dei proprietari del Giornale del Sud furono oggetto di svariate discussioni, successive all'episodio sopra ricordato, fra appartenenti
al gruppo Graci. Ricordo, fra l'altro, di aver sentito Dino Aiello, i cui uffici erano contigui a quelli di Graci, dire all'avv. Alfio Tirrò di controllare ogni sera la stesura del giornale prima che andasse in macchina. Poco prima della conversazione telefonica di cui ho detto, ricordo che Nitto Santapaola - che all'epoca non era ancora latitante - ebbe a lamentarsi, in nome proprio e quello degli altri componenti il
suo gruppo malavitoso, con Dino Aiello del tenore degli articoli che mano a mano Pippo Fava faceva pubblicare; tali lagnanze vennero fatte a Dino Aiello nel suo studio, all'interno del quale mi trovavo anche io.
Nella citata occasione Santapaola disse ad Aiello che alcuni appartenenti alla malavita catanese avevano avuto l'idea di dare fuoco ai locali ed ai macchinari del giornale e che egli li aveva per il momento frenati sapendo a chi appartenevano le strutture e le apparecchiature del giornale; comunque aveva rappresentato a Dino
Aiello che Pippo Fava la doveva finire di pubblicare articoli che lo riguardassero. Ma Pippo Fava non finì di dare risalto nei suoi articoli, e alla criminalità organizzata e ai suoi collegamenti di questa con grossi gruppi imprenditoriali catanesi». Va sottolineato come l'intervento di Santapaola, « in nome proprio e degli altri componenti il suo gruppo malavitoso» rivesta in sostanza una natura strategica, di tutela dell'organizzazione nel suo complesso. Ben si può comprendere, allora, il comune interesse di lui e del Graci al silenzio stampa, e il timore che prima o poi, sul "Giornale del Sud" da Fava diretto, potessero comparire notizie ben più sgradevoli di quelle lettefinora. E' dato immaginare che proprio questa fosse la maggiore
preoccupazione che assillava tanto Santapaola quanto il Graci. (...)
Non appare ipotizzabile che il Cavaliere potesse ignorare quali erano le leggi della mafia, quali le punizioni che infliggeva ai «riottosi » e, soprattutto, quali esiti tragici avevano gli «aggiustamenti» agli «intoppi» operati dal Santapaola; e ciò non solo e non tanto perché ilGraci era proprietario di un giornale che certamente leggeva, come
dimostra il fatto che si era interessato al suo direttore, ma soprattutto perché, ad onta delle coperture e delle omertà, certi fatti erano di dominio pubblico. Non appare ipotizzabile che egli non si domandasse come mai certi «intoppi» dopo la cura Santapaola cessassero come di incanto. Ciò può spiegare il particolare interesse di
Santapaola a zittire il Fava. Emblematico (e nello stesso tempo assai inquietante, perché dimostra come per la mafia Fava fosse diventato un «intoppo» e anche perché evidenzia, ancora una volta, che le «preoccupazioni» del Santapaola e del cav. Graci sono comuni) è quanto, - a proposito di alcuni articoli pubblicati dal mensile diretto dal Fava, I Siciliani - emerge dalla ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti degli autori del delitto Fava. «La Amato - è detto in quella ordinanza - ha tenuto a precisare che più volte aveva sentito lamentare "Nitto" Santapaola del giornalista per gli articoli che scriveva contro la mafia e contro i "cavalieri del lavoro" di Catania, articoli che il latitante si procurava sollecitando la donna a comprare i giornali ove gli stessi erano riportati e ciò al fine di verificare se il Fava continuava nella campagna di stampa contro la mafia in genere ed il suo clan in particolare». Ed è proprio questo interessedel Santapaola per le notizie che apparivano sul giornale a denunciarela vera natura del delitto. (...) Un altro collaborante, Pattarino, ha aggiunto (...): «Spesso Nitto Santapaola manifestava dei motivi di risentimento nei confronti del giornalista proprio per gli articoli che lo stesso scriveva contro di lui, contro la mafia catanese e contro gli imprenditori catanesi collusi con il gruppo Santapaola. Ricordo che "zio Nitto" leggendo i giornali controllava sempre le firme degli articoli contro la mafia per verificare se essi fossero stati scritti da Giuseppe Fava. In particolare Santapaola non tollerava gli articoli di stampa che denunciavano pubblicamente le collusioni tra i cavalieri del lavoro di Catania e la sua organizzazione criminale. Santapaola in realtà aveva cominciato a meditare l'uccisione di Giuseppe Fava fin dalla pubblicazione dei primi numeri del giornale "I Siciliani" (...) Santapaola arrivava al punto di mettere un segnale nei fogli di giornale che riportavano gli articoli di Fava per poterli poi mostrare ad Ercolano quando questi veniva a trovarlo. Per tale ragione ho detto pocanzi che nel nostro ambiente era noto il movente dell'omicidio di Giuseppe Fava». (...) Va poi rimarcata con forza la ragione per la quale Santapaola si adirava a causa degli articoli di Fava: gli erano sgraditi, infatti, proprio quegli articoli che denunciavano le collusioni tra l'organizzazione mafiosa e i cavalieri del lavoro di Catania; articoli che costituivano, come sa chiunque segua con un minimo di attenzione le vicende catanesi, l'asse portante di quellarivista. Santapaola non era estraneo al mondo degli imprenditori. I
rapporti con essi, peraltro notori, si evincono anche da alcune dichiarazioni di collaboranti. Ed è proprio a questo genere di rapporti che occorre fare riferimento per chiarire la comunanza di interessi tra l'organizzazione capeggiata dal Santapaola da un lato e l'imprenditore Graci dall'altro, per mettere il bavaglio a un giornalista come Fava, (...) quando una impresa si avvale sistematicamente dell'intervento di mafiosi per «appianare» i problemi prima indicati, con metodi mafiosi, anziché adoperare i rimedi che l'ordinamento appronta a tutela degli interessi ritenuti lesi, quando si hanno comuni interessi a mettere il bavaglio alla stampa, non vi è dubbio che quando ciò accade, l'intervento mafioso diventa esso stesso ordinario strumento di al tenore del discorso e della circostanza che Graci ribadiva che a comandare doveva essere lui unitamente agli altri proprietari, ho dedotto che l'interlocutore non era assolutamente d'accordo con il cav. Graci, rivendicando la sua autonomia». Per Santapaola il silenzio della stampa su certi fatti di cronaca era essenziale al prosperare della organizzazione dallo stesso diretta: è questa una strategia della mafia che suole circondare i suoi loschi traffici dal silenzio più assoluto. Ma nel caso di specie, come vedremo, non è solo la mafia ad avere un siffatto interesse: il silenzio della stampa, in questo caso, risponde più precisamente a un duplice interesse: quello di carattere strategico del Santapaola, disturbato da ogni forma di dissenso verso l'organizzazione; quello, di carattere più diretto, del Graci, a prevenire la pubblicazione di notizie inerenti ai suoi affari e ai suoi intrecci con la stessa organizzazione (intrecci che risalgono, come si è detto, alla fine degli anni '70). Un intervento così pesante, così duro del Graci nei confronti del giornalista Fava, la cui autonomia egli pretendeva di sottomettere alle esigenze delle cosche, si può solo spiegare con un interesse preciso, diretto, che trova la sua ragione nei saldi ed intensi legami di natura illecita tra il Santapaola e la sua organizzazione, da una parte, e lo stesso Graci dall'altra. (...) Ora, l'episodio della telefonata riferito dal Castelli si caratterizza proprio perché mette in evidenza ancora una volta l'interesse - comune
al Graci ed alla organizzazione capeggiata dal Santapaola - ad ottenere il silenzio stampa sulla mafia, sulle sue attività illecite, sulle mille connivenze in cui essa prospera. Il tentativo di condizionare il giornalista, vietandogli di pubblicare un certo tipo di notizie, manifesta a ben vedere il timore che Fava incominci a svelare, più concretamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento, citando episodi specifici, i perversi intrecci che legavano la organizzazione di Santapaola al Graci stesso. E che l'attività di Fava costituisse una spina nel fianco della organizzazione che stava tanto a cuore al cavaliere e a Santapaola, lo si evince non solo dall'intensità dello scontro di Graci con Fava ma anche e soprattutto dall'importanza che il cavaliere annetteva al controllo delle notizie pubblicate da Fava, e in particolare di quelle concernenti la mafia catanese. A tale proposito il Castelli riferisce: «Le divergenze tra il Fava ed il gruppo dei proprietari del Giornale del Sud furono oggetto di svariate discussioni, successive all'episodio sopra ricordato, fra appartenenti al gruppo Graci. Ricordo, fra l'altro, di aver sentito Dino Aiello, i cui uffici erano contigui a quelli di Graci, dire all'avv. Alfio Tirrò di controllare ogni sera la stesura del giornale prima che andasse in macchina. Poco prima della conversazione telefonica di cui ho detto, ricordo che Nitto Santapaola - che all'epoca non era ancora latitante - ebbe a lamentarsi, in nome proprio e quello degli altri componenti il suo gruppo malavitoso, con Dino Aiello del tenore degli articoli chemano a mano Pippo Fava faceva pubblicare; tali lagnanze vennero fatte a Dino Aiello nel suo studio, all'interno del quale mi trovavo anche io. Nella citata occasione Santapaola disse ad Aiello che alcuni appartenenti alla malavita catanese avevano avuto l'idea di dare fuoco ai locali ed ai macchinari del giornale e che egli li aveva per il momento frenati sapendo a chi appartenevano le strutture e le apparecchiature del giornale; comunque aveva rappresentato a Dino Aiello che Pippo Fava la doveva finire di pubblicare articoli che lo riguardassero. Ma Pippo Fava non finì di dare risalto nei suoi articoli, e alla criminalità organizzata e ai suoi collegamenti di questa con grossi gruppi imprenditoriali catanesi». Va sottolineato come l'intervento di Santapaola, « in nome proprio e degli altri componenti il suo gruppo malavitoso» rivesta in sostanza una natura strategica, di tutela dell'organizzazione nel suo complesso. Ben si può comprendere, allora, il comune interesse di lui e del Graci al silenzio stampa, e il timore che prima o poi, sul "Giornale del Sud" da Fava diretto, potessero comparire notizie ben più sgradevoli di quelle lette finora. E' dato immaginare che proprio questa fosse la maggiore preoccupazione che assillava tanto Santapaola quanto il Graci. (...) Non appare ipotizzabile che il Cavaliere potesse ignorare quali erano le leggi della mafia, quali le punizioni che infliggeva ai «riottosi » e, soprattutto, quali esiti tragici avevano gli «aggiustamenti» agli «intoppi» operati dal Santapaola; e ciò non solo e non tanto perché il Graci era proprietario di un giornale che certamente leggeva, come dimostra il fatto che si era interessato al suo direttore, ma soprattutto perché, ad onta delle coperture e delle omertà, certi fatti erano di dominio pubblico. Non appare ipotizzabile che egli non si domandasse come mai certi «intoppi» dopo la cura Santapaola cessassero come di incanto. Ciò può spiegare il particolare interesse di Santapaola a zittire il Fava. Emblematico (e nello stesso tempo assai inquietante, perché dimostra come per la mafia Fava fosse diventato un «intoppo» e anche perché evidenzia, ancora una volta, che le «preoccupazioni» del Santapaola e del cav. Graci sono comuni) è quanto, - a proposito di alcuni articoli pubblicati dal mensile diretto dal Fava, I Siciliani - emerge dalla ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti degli autori del delitto Fava. «La Amato - è detto in quella ordinanza - ha tenuto a precisare che più volte aveva sentito lamentare "Nitto" Santapaola del giornalista per gli articoli che scriveva contro la mafia e contro i "cavalieri del lavoro" di Catania, articoli che il latitante si procurava sollecitando la donna a comprare i giornali ove gli stessi erano riportati e ciò al fine di verificare se il Fava continuava nella campagna di stampa contro la mafia in genere ed il suo clan in particolare». Ed è proprio questo interesse del Santapaola per le notizie che apparivano sul giornale a denunciare la vera natura del delitto. (...) Un altro collaborante, Pattarino, ha aggiunto (...): «Spesso Nitto Santapaola manifestava dei motivi di risentimento nei confronti del giornalista proprio per gli articoli che lo stesso scriveva contro di lui, contro la mafia catanese e contro gli imprenditori catanesi collusi con il gruppo Santapaola. Ricordo che "zio Nitto" leggendo i giornali controllava sempre le firme degli articoli contro la mafia per verificare se essi fossero stati scritti da Giuseppe Fava. In particolare Santapaola non tollerava gli articoli di stampa che denunciavano pubblicamente le collusioni tra i cavalieri del lavoro di Catania e la sua organizzazione criminale. Santapaola in realtà aveva cominciato a meditare l'uccisione di Giuseppe Fava fin dalla pubblicazione dei primi numeri del giornale "I Siciliani" (...) Santapaola arrivava al punto di mettere un segnale nei fogli di giornale che riportavano gli articoli di Fava per poterli poi mostrare ad Ercolano quando questi veniva a trovarlo. Per tale ragione ho detto pocanzi che nel nostro ambiente era noto il movente dell'omicidio di Giuseppe Fava». (...) Va poi rimarcata con forza la ragione per la quale Santapaola si adirava a causa degli articoli di Fava: gli erano sgraditi, infatti, proprio quegli articoli che denunciavano le collusioni tra l'organizzazione mafiosa e i cavalieri del lavoro di Catania; articoli che costituivano, come sa chiunque segua con un minimo di attenzione le vicende catanesi, l'asse portante di quella rivista. Santapaola non era estraneo al mondo degli imprenditori. I rapporti con essi, peraltro notori, si evincono anche da alcune dichiarazioni di collaboranti. Ed è proprio a questo genere di rapporti che occorre fare riferimento per chiarire la comunanza di interessi tra l'organizzazione capeggiata dal Santapaola da un lato e l'imprenditore Graci dall'altro, per mettere il bavaglio a un giornalista come Fava, (...) quando una impresa si avvale sistematicamente dell'intervento di mafiosi per «appianare» i problemi prima indicati, con metodi mafiosi, anziché adoperare i rimedi che l'ordinamento appronta a tutela degli interessi ritenuti lesi, quando si hanno comuni interessi a mettere il bavaglio alla stampa, non vi è dubbio che quando ciò accade, l'intervento mafioso diventa esso stesso ordinario strumento di impresa. (...) Che la associazione prosperi, riporti un insuccesso e si indebolisca, non è del tutto indifferente per il Graci e l'Aiello. Infatti, ove per una fortunata evenienza l'associazione capeggiata dal Santapaola fosse stata sgominata, chi avrebbe garantito «le coperture con i gruppi criminali che controllavano la zona dove doveva sorgere l'opera» ? Chi avrebbe consentito il prosperare della azienda sotto l'ala protettrice del Santapaola, con tante bocche fameliche in giro che pretendono il pizzo? Chi avrebbe impedito ai vari Fava di scoprire e portare alla attenzione della opinione pubblica i perversi connubi tra mafia ed imprenditoria? Il Santapaola, sotto questo profilo, costituiva una efficiente assicurazione! Ecco perché, come dicono i collaboranti, il Santapaola, l'Ercolano e soci erano di casa negli uffici del Cavaliere. (...) La protezione (...) importa una serie di vantaggi che vanno dalla possibilità di espandere le proprie attività in territori rigidamente controllati dalla mafia e altrimenti preclusi alle imprese, alla tutela (attuata anche mediante l'omicidio) contro i tentativi di estorsione, all'esercizio della forza di intimidazione per sgominare la concorrenza, all'imposizione del bavaglio alla stampa ove essa disturbi gli interessi dei protetti. (...) E come ogni contratto che si rispetti, vi sono delle clausole non scritte ma che ciascuno è tenuto a rispettare e di cui il Graci non poteva non sapere l'esistenza: la «protezione» durante la esecuzione delle opere la organizzazione la esercita con tutti i mezzi. Che possono essere ricondotti ad una sola metodologia: quella della violenza. Quando Graci e Aiello accettano la "protezione" di Santapaola, non possono non sapere che quest'ultimo non dispone di un corpo di vigilantes, ma di squadre di mafiosi; è logico dedurre che, nello stipulare il contratto con la sua organizzazione, il Graci e l'Aiello abbiano anche accettato i metodi con i quali la organizzazione gli assicurava la «tranquillità» e gli risolveva gli «intoppi». E men che meno possono ignorarlo quando, in continuità di tempo, continuano ad intrattenere questo rapporto, avendo verificato di persona le modalità di risoluzione degli "intoppi". Come si è visto prima, ciascuna delle parti pretende dall'altra l'esatto adempimento dell'accordo: il cavaliere ha delle «difficoltà» con i malavitosi di Messina ed allora si rivolge ai «vertici di Cosa nostra» perché gli risolvano «gli intoppi»; sorgono analoghi problemi nella Sicilia occidentale, allora il Santapaola, il Madonia o i loro emissari, su richiesta del Graci, si preoccupano di «appianare» le cose. E si è visto con quale efficacia e determinazione è intervenuta l'azione della mafia! Vi sono questioni di natura sindacale, occorre cioè «calmare» gli operai, ecco pronta la «mediazione» di Santapaola. Non è necessaria la mediazione degli organi istituzionali: vi è quella più efficace e tempestiva delleorganizzazioni mafiose. A loro volta Santapaola e soci hanno necessità di investire denaro proveniente dalle attività illecite: ecco il Graci dare il suo aiuto; occorre togliere dai guai qualche affiliato,impigliato nelle maglie della legge; ecco che ci si rivolge al cavaliere per cercare la strada giusta; occorrono soldi per far fronte alle spese del clan: ecco allora farsi avanti il cavaliere. Vi è qualcuno che «disturba» la pax mafiosa, sollecitando l'opinione pubblica a ribellarsi al predominio dei clan; ecco allora tanto il Santapaola quanto il Graci che si mostrano preoccupati per le notizie che il Fava pubblica sul giornale; si cerca allora di impedirne la diffusione. Con quali metodi? Ovviamente, i soliti!

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