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Social forum asia: si conclude oggi
by no Wednesday, Jan. 08, 2003 at 1:03 PM mail:

Si chiude il Forum sociale asiatico, fotografia delle differenze dei movimenti L'India, con la sua immensità, l'ha fatta da padrona, ma nella settimana di confronti ad Hyderabad anche il resto dell'Asia si è fatto vedere. E mai come oggi sono stati gli ultimi di tutte le società a essere protagonisti MARINA FORTI INVIATA A HYDERABAD (INDIA)

I paria al centro della scena
Si chiude il Forum sociale asiatico, fotografia delle differenze dei movimenti
L'India, con la sua immensità, l'ha fatta da padrona, ma nella settimana di confronti ad Hyderabad anche il resto dell'Asia si è fatto vedere. E mai come oggi sono stati gli ultimi di tutte le società a essere protagonisti
MARINA FORTI
INVIATA A HYDERABAD (INDIA)
E'arrivato anche l'ex presidente della repubblica indiana, K. R. Narayanan, a salutare la chiusura del Social forum asiatico. Con lui parla la vecchia scuola di Nehru, quella dell'India laica e non allineata: «Da Hyderabad si leva una nuova voce nuova», ha detto il mite diplomatico che è stato il primo dalit (una volta erano chiamati «intoccabili», fuoricasta, il gradino più basso della gerarchia sociale hindu) ad arrivare alla più alta carica dello stato (è rimasto in carica fino al luglio scorso quando gli è succeduto lo scienziato nucleare Abdul Kalam: segno dei tempi). Una voce moderata, quella di Narayanan, ma già basta rivendicare il modello di democrazia «inclusiva e redistributiva» su cui era costruita l'India post- indipendenza per trovarsi controcorrente. L'ex presidente auspica che «il mondo rimanga multipolare e pluralistico, e non sia dominato da una sola potenza». Parla di combattere «il nuovo ordine capitalista», di privatizzazioni a profitto di pochi. Il Forum sociale, conclude, «ha fatto sentire la voce degli esclusi di questa globalizzazione. E se il popolo dell'India si leva nulla potrà fermarlo». Se poi è non solo l'India ma l'intera Asia... Narayanan è stato solo il primo di una lunga lista di oratori a rivolgersi a una folla immensa assiepata sulla spianata del Nizam College, il campus universitario di Hyderabad che per una settimana ha ospitato 14mila persone venute da tutta l'Asia. E la diversità dei presenti è la cosa che ha colpito tutti qui, visitatori stranieri o indiani. Non si tratta solo dell'incredibile varietà di linguaggi espressivi, o degli infiniti piccoli cortei che sfilano incessanti tra i padiglioni montati per questo forum, come se ogni gruppo arrivato fin qui avesse l'urgenza di farsi vedere e sentire. Affermazioni di sé, come il gruppo di adivasi (tribali, le popolazioni indigene dell'Asia meridionale) che veste panni e turbanti rossi con cuciti infiniti piccoli sonagli cosicché ogni passo diventa una danza rumorosa; o i contadini di un certo villaggio di questo stato, l'Andra Pradesh, che con rullo di tamburi, danza di sari colorati e cartelli dai testi assai elaborati spiega come diversi anni di siccità, l'arrivo delle sementi Monsanto e la liberalizzazione delle importazioni agricole abbiano congiurato per buttarli sul lastrico. Una colonna sonora continua.

Gli indiani hanno il vantaggio del numero, è ovvio: siamo nel centro dell'India, un miliardo di abitanti. Ma non è meno varia la presenza del resto dell'Asia, non solo tra gli oratori ma nella miriade di volantini, comunicati, riunioni di coordinamento tra movimenti consimili: così gli indonesiani di Business Watch Indonesia volantinano schede di denuncia di scandali e corruzione, organizzazioni di dalit indiani o nepalesi trovano inaspettate fratellanze con i barrakumin giapponesi (anche il Giappone ha i suoi paria), studentesse birmane in esilio, rappresentanti della fragilissima «società civile organizzata» del Turkmenistan. O gli attivisti del «Consiglio internazionale della salute popolare», movimento partito dal Bangladesh ma esteso fino al Nicaragua che si batte per l'accesso universale alle cure di base.

«E' un po' come i pellegrinaggi», sorride Ashish Nandi, politologo e ricercatore del Center for the Study of Developing Societies, (una delle istituzioni di ricerca e critica più interessanti, e lui stesso una delle figure più rispettate dell'India progressista): «E' simile perché qui vedi ogni tipo di persona, attivisti, sindacalisti, film-makers, documentaristi, artisti popolari, artigiani, lavoratori, intellettuali, teatranti. Dall'estrema sinistra ai liberali classici, i marxisti e i gandhiani, e anche un certo numero di lunatici», ride. «C'è una ragionevole quantità di caos e questo avrà permesso di incontrare, stringere rapporti, conoscere. Personalmente sono venuto per conoscere gente nuova, giovane, e ho imparato molto».

Gli oratori si alternano sul podio, anche se la platea ormai è di sedie vuote: sono tutti all'ombra dei pochi alberi, i tendoni, negli stand delle librerie (mai viste tante librerie in un Social Forum, e piene di gente che sfoglia legge e compra), o a rifornirsi d'acqua, o tra i baracchini ristorante: si rischia l'insolazione, e gli altoparlanti assicurano l'ascolto. Se la varietà umana è uno spaccato dei movimenti che popolano l'Asia, i titoli di seminari, mostre fotografiche e rassegne di film sono un compendio di quello che una volta chiamavamo «complessità». In rapida successione si passa dal seminario su «globalizzazione e rifiuti» a quello su «strategie per eliminare la pratica della pulitura manuale delle latrine», che poi significa eliminare l'imcombenza che nella vecchia gerarchia delle caste era riservata ai fuoricasta, intoccabili: la base materiale di una discriminazione trasmessa alla nascita.

La presenza organizzata di dalit è massiccia, ed è sia un segno di una nuova assertività politica: sono venuti a dire che non c'è democrazia se diritti e dignità di una parte della società sono ignorati. Ancora: cartelli annunciano l'assemblea su «empowering gramsabha per il diritto alle risorse»: gramsabha sono i consigli popolari di villaggio. Sotto uno dei tanti tendoni sparsi nella spianata del Nizam College il Dalit Social Forum un pomeriggio tiene un'assemblea su «il diritto all'acqua»: c'è chi illustra metodi tradizionali di raccolta e conservazione dell'acqua piovana, chi spiega come la Coca-Cola (che qui imbottiglia e vende anche acqua purificata) depaupera le falde acquifere a cui attingevano interi villaggi. Poi c'è la serie di titoli più evidenti: economie alternative, gestione forestale, privatizzazione dell'acqua e Wto, debito e aggiustamenti strutturali, disarmo nucleare, pace, guerra (per la precisione: «globalizzazione e guerra», «globalizzazione e stili di vita», «globalizzazione e oppressione dei dalit»...).

«La parola globalizzazione è usata da ciascuno in modo diverso, e a volte a sproposito», riconosce T. M. Thomas Isaac, economista e deputato dello stato meridionale del Kerala, «ma il punto non è questo: il Social forum asiatico ha messo insieme persone e forze diverse che condividono l'opposizione al processo di riforme economiche in corso in tutta l'Asia e al governo centralizzato del'èeconomia mondiale». Il suo stato, all'estremo meridione dell'India, ha fama di esempio positivo dello «sviluppo umano»: non è tra i più ricchi dell'India ma è quello dove la mortalità infantile è minore, il tasso di crescita della popolazione più basso, l'alfabetizzazione più alta, l'istruzione delle donne migliore, l'accesso alla sanità universale... «E' il risultato di una lunga storia di mobilitazione popolare», dice: «Il caso del Kerala mostra che per dare accesso universale ad alloggi, salute e istruzione, uno stato non ha bisogno di essere ricco. E' questione di priorità di spesa e redistribuzione».

Gli altoparlanti diffondono ancora esortazioni a opporsi al progetto neocoloniale delle istituzioni finanziarie internazionali e alla guerra imperialista, ma ormai sono sommerse dalla banda popolare che apre la grande marcia finale attraverso il centro di Hyderabad. E così si conclude il social Forum Asiatico, in una festa da colpo di sole.





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