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19 giorni verso l'eden
by killerina Tuesday, Mar. 11, 2003 at 7:47 PM mail:

Questo articolo, pubblicato sul numero del 18 gennaio 2002 di Tribu' Astratte, raccoglie la testimonianza di Zacharia, uno dei 53 richiedenti asilo sudanesi attualmente ospiti del laboratorio Zeta di Palermo.

Quarantadue anni vissuti in mezzo alla guerra civile e il tentativo di tornare a vivere in un altro paese, magari in Europa. E' questo che ha spinto Zacharia, sucanese a scappare da clandestino e ad affrontare un viaggio pieno di rischi per arrivare in Italia. In Sudan Zacharia faceva il contadino. Coi soldi guadagnati s'e' pagato gli studi in una scuola cattolica. "Da noi non esistono scuole pubbliche - spiega - solo quelle private che devipagare per frequentarle. Quelle delle missioni ti danno tutto gratis ma devi pagare i professori. Dopo la scuola sono tornato nel mio villaggio e ho aperto una scuola libera, solo per insegnare ai bambini del posto a leggere e a scrivere. Ma il governo me lo ha impedito. Mi ha costretto a chiudere, mi hanno portato via e ritirato il passaporto...". Da li la scelta definitiva di partire, con i soldi raccolti tra i fartellie i parenti. "Siamo partiti dal Sudan il primo ottobre scorso - racconta Zacharia - e da li' arrivare in Egitto non e' difficile: a cavallo o su un cammello il confine si passa senza problemi, nessuno ti ferma". I problemi iniziano dopo. In Egitto, tanto per cominciare, gli scafisti prendono i documenti di Zacharia e degli altri. "Ci hanno detto che dovevamo lasciarli a loro - spiega - e che ci avrebbero dato solo problemi". In Egitto si imbarcano dopo avere pagato 3000 dollari a testa (poco meno di 2580 euro), verso la Turchia.
Tanti, troppi su quella nave. Tant'e' che poco dopo la partenza dalla Turchia gli scafisti li radunano in piccoli gruppi (quello di Zacharia era di 22 persone) e li calano in mare in specie di scialuppe a due motori. "Ci hanno dato una mappa, la bussola - racconta ancora Zacharia - e ci hanno detto 'Quella e' la direzione, se la seguite arrivate a Lampedusa'". Ne' Zacharia ne' nessun altro sulla barca aveva mai pilotato alcuna imbarcazione prima. "Eravamo spaventati, non sapevamo che fare - continua - ad un certo punto poi e' finita la benzina dei motori e siamo rimasti fermi, in mezzo al mare, in 22 con solo i remi ad aiutarci in balėa del vento e delle correnti. Saremmo morti sicuramente se non fossimo riusciti ad attirare l'attenzione di una imbarcazione tunisina. Appena l'abbiamo vista abbiamo cominciato a fare segnali con degli stracci per attirare l'attenzione". La nave tunisina si accorge dei sudanesi e si avvicina. "Gli abbiamo spiegato qual era la nostra situazione e gli abbiamo chiesto aiuto - dice Zacharia - lui ha chiamato la guardia costiera italiana e quella tunisina, ma la prima ad arrivare e' stata quella italiana. Appena arrivati gli agenti ci hanno subito chiesto chi fossimo, da dove venissimo".
E' stato quello l'unico momento in cui i 22 uomini hanno potuto spiegare alle autorita' italiane che volevano chiedere asilo politico, dato che scappavano, non senza difficolta', da un paese in guerra e che molti di loro sono perseguitati dal governo sudanese.. "Nessuno di loro parlava una sola parola di inglese, ne' tanto meno di arabo - continua Zacharia - ci siamo spiegati a gesti. Una volta giunti a Lampedusa, nessuno piu' ci ha chiesto niente. Ci hanno marchieti ad uno ad uno con dei numeri sul braccio, scritto con un grosso pennarello, come se fossimo animali. Nessuno di noi aveva documanti, forse era un modo per riconoscerci". Da Lampedusa sono stati trasferiti nello stesso giorno al centro di permanenza temporanea di Agrigento. "Trenta giorni senza vedere un avvocato, senza che nesuno ci chiedesse se volessimo o no l'asilo politico - ricorda Zacharia - e alla fine ci hano dato un foglio d'espulsione. Avevamo 15 giorni di tempo per andarcene". Adesso Zacharia e i suoi amici vivono al centro d'accoglienza Santa Chiara. "Ad Agrigento un nostro compaesano che sta qui da anni ci ha contattati dicendoci che c'era un centro con dei volontari che si sarebbero occupati di noi - continua Zacharia - . E cosi' e' stato. Cetty Genovese, Don Meli e Fulvio Vassallo ci hanno aiutati a fare richiesta per l'asilo politico e abbiamo gia' ricevuto i primi sussidi stabiliti dalla legge italiana. Adesso speriamo di ottenere il permesso di soggiorno il prima possibile per ricominciare a vivere".

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