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Milano: rassegna stampa sulla Mayday Parade
by rassegna stampa Saturday, May. 03, 2003 at 11:11 AM mail:

Un po' di articoli.

Da liberazione:

Migliaia di corpi danzanti alla street parade milanese per reclamare tempo, reddito e garanzie a cominciare dal Sì al referendum May Day, e i precari trovano voce in piazza.


Se è vero che Milano è la città col più alto livello di contratti atipici, non stupisca che il primo maggio all'appuntamento tradizionale del mattino (dei confederali in Piazza Duomo con centinaia di militanti di Lotta comunista da tutto il nord) ci fosse la metà della gente che ha animato, nel pomeriggio, la street parade del precariato sociale.
Era la terza volta che si ripeteva la sfilata, tra Porta Ticinese e il Castello Sforzesco, ribattezzata May Day, giorno di maggio ma anche grido d'aiuto, secondo i codici della navigazione, che i "contorsionisti della flessibilità" hanno ormai tramutato in urlo di lotta per reclamare tempo, reddito, diritti. A partire dall'estensione dell'articolo 18 a tutti i lavoratori.

Una città atipica.
D'altra parte, rimasticare e demistificare loghi e sigle è stato il lavoro principale di un corteo rumorosissimo ma che ha solcato le vie dello shopping senza mai scandire uno slogan. Le parole erano scritte su muri, flyer, adesivi, striscioni e sui corpi danzanti di molti tra i 20-30mila partecipanti. E rimbalzavano su etere e rete grazie alle onde di MayDayRadio, Onda d'Urto, Global radio e Taz Tv. Alcuni gruppi erano vestiti uguali con berrettini e t-shirt proprio come le ciurme dei chain workers (lavoratori alla catena) di fast food o dei call center. Basta un k al posto della c e "Teknocasa" diventa una casa occupata anziché una holding immobiliare; "Co. Co. Co" (collaborazione coordinata e continuativa, la più gettonata tra le forme di sfruttamento) era il verso straziante di "polli" operai, camerieri e impiegati che marciavano con cresta e trampoli dietro il camion del Torchiera. Gli ex "Luther Blisset" romani, già ufologi sovversivi "Men In Red", ora propugnano "Guerriglia Marketing" su un sito omonimo e lanciano la parola d'ordine di rottamare i marchi. I gruppi per il reddito di cittadinanza diffondevano adesivi tra la samba di certi torinesi del pink bloc e il cacerolazo di altri giovanissimi mentre centinaia di ciclisti della Critical Mass arrancavano su rotaie e sampietrini davanti ai due camion del Cantiere e dei gc bergamaschi che hanno dovuto riparare di corsa tutte e quattro le ruote per arrivare in tempo a Milano visto che un provocatore gliele aveva fatte trovare squarciate. Non mancavano spezzoni di precari più "tipici" come quelli delle poste, della scuola e del comune («che ha il record della precarietà tra gli enti locali - spiega Mariangela del Sin. Cobas - con il 18% di lavoratori td contro il 6% della media nazionale»). «Qui sono e qui rimango», "urlava" da un telo dipinto il Leoncavallo: come la storica autogestione di Via Watteau, in città, «sono precarie, sotto sfratto, senz'acqua e luce, tutte le esperienze di occupazione e centinaia di associazioni», spiega Daniele Farina, consigliere comunale disobbediente.
Prima della partenza, mentre al Deposito Bulk si preparavano gli ultimi carri, i 150 giovani comunisti e city strickers romani, giunti con un treno speciale, hanno murato, chiudendolo simbolicamente, il portone della Alerion Real Estate, cui fa capo la Triton, immobiliare padrona di uno stabile da loro occupato un mese fa nei pressi della Città Universitaria. Impressionante la circolazione di colonne di blindati per le vie vuote del centro ma non ci sarà alcuna tensione neppure quando il corteo passerà sotto il balcone, in Corso Garibaldi, di tal Piergianni Prosperini, consigliere regionale di An, transfuga dalla Lega e noto soprattutto per le sue sortite omofobe e xenofobe, che si affaccerà da dietro un enorme, grottesco, tricolore in cerca di pubblicità.
Le parole d'ordine dicevano "Guerra per nessuno, diritti per tutti", raccontavano di vertenze e paure, di solitudine e movimento. Mettendo in scena con ironia e furore la condizione di vita e la voglia di lottare. Indicavano obiettivi concreti (come quello di intasare le linee gratuite di Vodafone il 9 maggio) e cucivano un filo rosso con l'altra piazza e la città che li ha visti passare per nulla impaurita malgrado il consueto battage allarmistico della grande stampa (per evitare di spiegare le ragioni della street parade) che ha preceduto l'evento.

La nuova classe operaia.
Il filo rosso di cui si diceva è il Sì al referendum sull'articolo 18 indicato già nell'appello che indiceva il May Day stilato, oltre che da Cub e Chainworkers, da Gc, Sin. Cobas, Comitato per il Sì, Rifondazione, Cobas e da collettivi, reti, centri sociali di tutto il centro nord. «Un soggetto plurale, i precari - commenta Danilo Corradi dell'esecutivo nazionale Gc - che comincia a produrre eventi sulla propria condizione in una saldatura sui diritti da sviluppare da qui al 15 giugno». «Ma ci aspetta un intenso lavoro porta a porta - avverte Luciano Muhlbauer del Sin. Cobas - per raggiungere il quorum». «Il referendum non riguarda direttamente i precari - chiarisce anche Cristina Tajani, gc milanese - ma può essere il volano per invertire una tendenza».
Alla fine erano tutti visibilmente soddisfatti: «Ecco come trasformare una stanca celebrazione in un momento di conflitto - aggiunge Nicola Fratoianni - c'è gente che sa di non avere diritti e lo viene a dire in piazza. Qui c'è Genova, Firenze, Porto Alegre e il Trainstopping». «Abbiamo recuperato il significato originario del Primo Maggio e la sua attualità», dirà anche Piergiorgio Tiboni, leader storico della Cub. E Rifondazione, unica forza politica in piazza, è stato «il "ponte" tra una generazione e l'altra di lavoratori - spiega Roberto Firenze della segreteria cittadina - uno degli strumenti per il nuovo movimento operaio».

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