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Una medaglia d'argento per il parà accusato ingiustamente di atrocità in Somalia
by AGOSTINO Thursday, Aug. 28, 2003 at 1:46 AM mail:

Una medaglia d'argento per il parà accusato ingiustamente di atrocità in Somalia

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la storia del col. franco carlini raccontata da luciano garibaldi
Una medaglia d'argento per il parà accusato ingiustamente di atrocità in Somalia

Due anni fa, nella sede dell'Associazione paracadutisti di Milano, e un anno dopo in quella di Monza, tuonò, con parole durissime, in difesa dei diritti del colonnello Franco Carlini e in accusa di coloro che si erano resi responsabili del suo calvario. Ora che al colonnello è stata finalmente assegnata la medaglia d'argento al valor militare, Luciano Garibaldi, giornalista e storico, autore di numerosi libri sul fascismo, sulla seconda guerra mondiale e sul terrorismo, specialista nello smascherare i sepolcri imbiancati, dovrebbe essere soddisfatto. Una battaglia vinta anche grazie ai suoi interventi e ai suoi articoli. E invece non è così. Lo storico ligure è nauseato e schifato come prima e - se possibile -più di prima. Gliene domandiamo la ragione.
«È presto detto», risponde Luciano Garibaldi: «l'atto riparatore non può limitarsi a un riconoscimento di puro valore morale come una medaglia d'argento. La gente perbene esige che al colonnello Carlini lo Stato chieda scusa e gli offra un incarico di alto prestigio, come egli merita e come, finora, non è stato fatto».
Affinché i lettori de la Padania
possano valutare appieno la gravità del "caso Carlini", occorre riassumere, a grandi linee, la vicenda di cui stiamo parlando con Luciano Garibaldi. Il tenente colonnello Franco Carlini, classe 1949, nato a Rocca Priora (Roma), ufficiale di carriera dei Bersaglieri (Divisione "Centauro"), è l'ufficiale che in un primo tempo (sei anni fa) fu accusato di avere violentato e strangolato un ragazzino somalo durante l'operazione "Ibis 2" a Mogadiscio, e poi (due mesi fa) è stato insignito della medaglia d'argento al valor militare per come si comportò durante l'operazione "Joint Endeavour" in Bosnia Erzegovina.
«Una storia», dice Luciano Garibaldi, «che è la cartina di tornasole di questa Italia, di questo Paese popolato di galantuomini come Carlini; ma anche di mascalzoni come i giornalisti che presero per buona l'infamante accusa basata sulle parole di un aiutante di colore che probabilmente voleva vendicarsi per qualche rimprovero subìto; di magistrati che a suo tempo impiegarono quattro anni a prosciogliere Carlini mentre sarebbero bastati quattro secondi per chiedergli scusa; di generali vigliacchi che si girarono dall'altra parte anziché fare fuoco e fiamme per difenderlo. Detto questo, non c'è dubbio che al colonnello Carlini vadano rifuse tutte le sofferenze subìte ad opera di una parte del nostro Paese, la parte vile e codarda che continua a esistere, a campare, ad andare tronfia di se stessa».
Cominciamo dall'inizio. Quando e come scoppiò il "caso Carlini"?
«Fu esattamente nell'estate del 1997 che una montagna di fango venne lanciata addosso ai militari italiani della missione "Ibis 2" inviata nel 1994 in Somalia. I giornali, tutti i giornali italiani, dai più grandi ai più piccoli, non esitarono a dare per scontato che i nostri soldati si fossero macchiati di orribili nefandezze ai danni della inerme popolazione civile: giovani somali torturati con cavi elettrici, ragazze stuprate con razzi illuminanti dai parà della "Folgore" e, infine, un maggiore dei bersaglieri che prima strangola un ragazzino negro e poi lo sodomizza, mentre un suo pari grado ascolta tutto, ghignando, nella stanza accanto, e un sottufficiale monta la guardia affinché il "mostro" possa consumare il suo misfatto».
Ma come fu possibile una simile montatura?
«Basta rileggere i titoli dei giornali del tempo. Cosa che fece due anni fa una giovane e brava giornalista, Maria Lina Veca, per documentare in un libro dal titolo Scandalo Somalia: anatomia di un falso. Il caso Carlini, un militare in ostaggio (Editrice Nuovi Autori, Milano), una per una, tutte le responsabilità di quel vergognoso linciaggio. "Una campagna di stampa", scrisse Maria Lina Veca, "di denigrazione e di odio riguardo l'operato delle nostre Forze Armate in Somalia, in modo da dare adito ad un coro di luoghi comuni e di insulti verso i cosiddetti Corpi Speciali come per esempio la Folgore". Una vecchia storia, che trova le sue radici in una puerile fissazione patologica dei giornalisti di matrice sessantottina o comunque comunista (vale a dire - e lo sottolineo con forza - praticamente tutti i vertici e i sottovertici dell'attuale "quarto potere" italiano)».
Quale fissazione?
«Questa: i paracadutisti, i bersaglieri e in genere i volontari delle Forze Armate sono "fascisti". E la cosa più sconfortante è che, sotto sotto, continuano a pensarla così anche dopo avere elevato peana a favore dell'intervento americano prima in Afghanistan poi in Iraq».
Abbiamo capito a chi si riferisce. Andiamo avanti.
«Certo, anche perché la faccia marcia di questi personaggi non conosce limiti. Infatti, quando i nodi vennero al pettine, quando cioè, dopo una peraltro inaccettabile gestazione durata quattro anni, la magistratura ordinaria rimise tutto in un archivio dichiarando che non era successo nulla, che nessuno aveva strangolato né stuprato nessuno, che erano tutte invenzioni di qualche cinico paparazzo e di un interprete somalo - peraltro rapidamente diventato uccel di bosco - un po' perverso di suo, e un po' pagato da qualcuno per creare un polverone, quella stessa stampa tacque. Anziché vergognarsi, cospargersi il capo di cenere e, dopo avere presentato solenni scuse agli innocenti messi in croce, mettersi a indagare per scoprire chi aveva avuto interesse a far scoppiare quel finto scandalo a freddo nell'estate 1997, tre anni dopo l'operazione "Ibis 2"».
Forse anche peggio della stampa si comportarono i superiori di Carlini. Non è così?
«È esattamente così. E mi riferisco a quei vertici delle Forze Armate che non soltanto non sentirono l'elementare dovere di convocare autonomamente conferenze-stampa per gridare che quelle atroci accuse erano volgari calunnie, ma proibirono alle vittime innocenti, come il valoroso colonnello Franco Carlini, di convocarle in proprio, le conferenze-stampa, onde inchiodare pubblicamente alle loro responsabilità i suoi accusatori. E, anziché ricompensare il colonnello dei torti subìti affidandogli un comando all'altezza della sua esperienza, del suo valore e delle sue universalmente riconosciute capacità di uomo di pace ma anche di guerra, lo confinarono a fare il guardiano di un museo».
Di un museo? Quale museo?
«Per la precisione, del Museo di Castel Sant'Angelo a Roma. Cose da pazzi! Ci voleva una giornalista, giovane, onesta e coraggiosa come Maria Lina Veca, per sollevare finalmente il coperchio di una storia che non fa certo onore né alla stampa né alla magistratura né ai vertici delle Forze Armate. Per non parlare delle autorità politiche, le peggiori in assoluto, essendosi impegnate a restituire l'onore agli innocenti, ma essendosi poi scordate del loro impegno».
Quali autorità politiche?
«Di sinistra, ovviamente. Infatti, all'epoca dei fatti, cioè della vergognosa campagna di stampa (e di "giustizia") contro Carlini, alla guida del governo c'era Massimo D'Alema».
E dopo? Quando al governo è arrivata la destra?
«Posso citare quanto dissi due anni fa, nel presentare a Milano il libro della Veca. "Staremo a vedere", dissi in quella occasione, "quanto tempo ancora il colonnello Carlini dovrà rimanere sepolto in un museo". In seguito ho scritto vari articoli, duri e senza mezzi termini, com'è mio costume, mentre vi sono stati parlamentari che hanno sollecitato il governo a porre rimedio al male fatto dai loro predecessori. Ebbene, c'è voluto un po' di tempo, ma ora finalmente un importante segno di ravvedimento da parte dello Stato è rappresentato dalla medaglia d'argento conferita a Carlini per aver salvato la vita, nel 1997, a Sarajevo, a un giornalista bosniaco "che stava per essere ucciso da una frangia estremista della popolazione locale", come recita la motivazione. Che definisce Franco Carlini "limpida figura di ufficiale che, con la sua instancabile e preziosa opera, ha contribuito fortemente all'elevazione dell'immagine dell'Italia e della Forza Armata nel contesto internazionale"».
Questa medaglia d'argento è sufficiente, secondo lei, a rifondere Carlini del danno subìto?
«No, assolutamente no, e spero vi sia qualcuno "in alto loco" che legga questa intervista e intervenga al più presto. La medaglia dev'essere soltanto l'inizio. Vogliamo vedere Carlini generale e comandante di importanti missioni italiane all'estero. E vogliamo che i giornalisti che diedero per certe le infami e cervellotiche accuse, almeno si vergognino un po'. Non tanto. Solo un po'. E chiedano scusa, pubblicamente, al colonnello Carlini».
L'ufficiale fu vittima di giornalisti prevenuti, magistrati "svagati" e generali vili. L'onorificenza al valor militare conferita da Ciampi per aver salvato la vita nel 1997 a Sarajevo a un giornalista bosniaco












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