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http://italy.indymedia.org/news/2004/09/620147.php Invia anche i commenti.

Documento di analisi
by Lungarini Occupato Friday, Sep. 10, 2004 at 9:58 AM mail:

Lo stato di guerra permanente falsamente motivato dalla “sfida del terrorismo internazionale” che da tre anni ormai segna il panorama politico mondiale, rappresenta la manifestazione palese del capitalismo.
L’esigenza di controllo delle risorse energetiche mondiali, risorse ormai in via di esaurimento, spinge la più grossa macchina statale e militare a porsi a servizio di gruppi e potentati economici e militari, dando vita ad una sporca strategia imperialista travestita da crociata.
Gli appetiti petroliferi e le commesse della ricostruzione hanno determinato che anche altre nazioni del cosiddetto “occidente civile e democratico” partecipassero alla sanguinaria esportazione della democrazia.
Le truppe italiane sono dislocate nei pressi di Nassirya a guardia degli stabilimenti petroliferi dell’ENI e, ben lungi dall’interesse umanitario, costituiscono il braccio armato dell’imperialismo italiano.

La guerra è sempre stata per il capitalismo uno tra i principali strumenti di ristrutturazione degli equilibri politici ed economici, oltre che uno tra i favoriti espedienti per risollevare economie a rischio di stagnazione grazie all’aumento delle spese belliche.
E’ impossibile non evidenziare tra l’altro come la guerra non faccia che nutrire ed alimentare l’adesione delle masse popolari all’estremismo religioso che tanto falsamente dichiara di voler combattere.
Da molti anni a questa parte l’economia capitalista ha sancito una netta divisione tra un Nord del mondo, di cui fanno parte i paesi a capitalismo più avanzato, e un Sud costituito da intere aree geopolitiche che fungono esclusivamente da bacini di risorse economico-naturali e di forza lavoro a basso costo.
La strategia seguita è quella di sfruttare 3/4 della popolazione mondiale, delegando a quest’ultima il grosso della produzione industriale, creando per il restante 1/4 un universo fatto di opulenza che nasconde la falsa convinzione di un benessere dietro il quale si celano in realtà marginalizzazione, precarietà e difficoltà di poter sostenere una conflittualità di classe.

Negli ultimi decenni, nei paesi a capitalismo avanzato, per ridurre la consapevolezza e la tangibilità del conflitto tra capitale e lavoro si è tentata una marginalizzazione e un isolamento delle figure lavorative, al fine di far venir meno l’antitesi al carattere prettamente privato dell’appropriazione del profitto del capitale e della sua accumulazione.
In quest’ottica è possibile ricondurre le più recenti riforme del mondo del lavoro (Pacchetto Treu e legge Biagi) che hanno di fatto legittimato la precarizzazione e lo sfruttamento di centinaia di migliaia di lavoratori, aprendo spudoratamente agli interessi della classe padronale.
E’ importante ricordare come sia il Centro Sinistra che l’attuale Centro Destra siano stati portatori di queste modifiche; come non sottolineare infine la prassi delle burocrazie dei sindacati confederali di accettare contratti decentrati che nello stesso luogo di lavoro frammentano la classe lavoratrice e rendono impossibili mobilitazioni unitarie.

In un’Europa in cui merci e capitali del Nord del mondo possono circolare liberamente, esseri umani e merci provenienti dal resto del pianeta sono invece respinti da barriere e muri fisici e legislativi.
I flussi migratori dovuti alle guerre, alla miseria, allo sfruttamento e alla distruzione prodotti dall’attuale modello economico vengono gestiti attraverso la disumanizzazione, la spersonalizzazione e la spoliazione dei diritti dei migranti che ne fanno parte.
Il nostro paese vive una quotidiana e reiterata situazione di disumana illegalità – ammesso che sia umana la legalità; migliaia di donne e di uomini, senza aver commesso nessun reato, sono detenuti in strutture di vera e propria carcerazione preventiva, dove ogni elementare diritto (quale ad esempio poter disporre dell’assistenza legale) viene sistematicamente violato e consapevolmente calpestato. Assistiamo a continue espulsioni sommarie di chi, scappando da guerra e miserie, spesso avendo diritto all’asilo politico, si vede costretto dal timbro di una questura ad essere rimpatriato senza che la sua richiesta d’asilo sia presa in considerazione. Anche per i “fortunati” che riescono a trarsi fuori dall’inferno dei CPT si prospetta un’esistenza fatta di lavoro nero, ricattabilità e sfruttamento.
Inaccettabile è il nesso sancito dalla Bossi-Fini tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, perché di fatto getta tra le maglie del lavoro nero e del caporalato migliaia di lavoratori, garantendo unicamente gli interessi dei padroni e della mafia, che del lavoro sommerso rappresenta una delle principali espressioni e polo di interessi.

L’esigenza quindi di spazi autogestiti in cui poter fare interagire le molteplici linee di conflitto troppo spesso occultate dal sistema, si afferma in una realtà cittadina come quella palermitana con forza e urgenza. Individuiamo la necessità di sostenere la lotta dei migranti, dapprima per il riconoscimento dei loro più elementari diritti, in seguito - dopo il loro inserimento lavorativo - per il supporto alla loro lotta di lavoratori contro lo sfruttamento.
Il conflitto dei migranti non può andare disgiunto dalla lotta contro la precarizzazione e la flessibilità di lavoratori tutti, che pensiamo debba unirsi alla lotta e all’organizzazione popolare contro l’endemica disoccupazione di questa città.

Gli spazi sociali, mirando all’emersone di quelle contraddizioni nascoste tra le pieghe del tessuto cittadino, contribuiscono alla tematizzazione di quel malessere materiale, sociale e conseguentemente culturale, da cui il fenomeno mafioso nasce e trae nutrimento.
Gli spazi sociali autogestiti costituiscono dei baluardi di informazione e di cultura alternativa, dunque concreti strumenti di crescita e sviluppo delle potenzialità di quelle soggettività altrimenti destinate a subire acriticamente la violenza del totalitarismo mediatico. La società attuale infatti basa il controllo totalitario delle coscienze su una gestione delle forme di comunicazione e del linguaggio che mira a fornire una visione della realtà filtrata dai poteri forti e dai loro interessi, demolendo la possibilità cognitiva di pensare e conseguentemente di comunicare e agire forme alternative di realtà sociale e relazionale.
Disporre di spazi in cui poter infrangere le monolitiche illusioni della dittatura mediatica per ricomporre sentieri comunicativi e di elaborazione in cui si possano ancora prospettare e porre in essere realtà che trascendano la semplice autoevidenza dei fatti nella loro funzionalità e pragmaticità ideologicamente asservita, pensiamo possa essere una risorsa importante per sviluppare una concezione del reale in cui possano ancora trovare spazio ed essere pensate forme di emancipazione e di sviluppo dialettico delle contraddizioni della società capitalistica.
In un momento come quello attuale in cui con sempre più insistenza vengono attaccati i diritti delle donne all’autodeterminazione del proprio corpo, della propria vita e della propria sessualità, luoghi in cui poter elaborare, discutere e lottare contro le reazionarie, sessiste, paternalistiche e patriarcali mai sopite tendenze della società italiana diventano sempre più necessarie. Per di più le potenzialità di spazi liberati inseriti nel tessuto urbano palermitano garantiscono la possibilità di creare un centro informativo popolare sui temi dell’aborto, della contraccezione e dell’emancipazione femminile.
La possibilità di sostenere e di dare politicamente un contenuto e una coscienza al malessere e alle contraddizioni della città permette inoltre – attraverso la riappropriazione e la gestione degli spazi sociali – di combattere l’antipolitica populista, razzista e nazionalista del neofascismo e delle destre, alimentate dalla falsa coscienza dello sfruttamento di cui si è vittime e dalla negazione dei diritti, oltre che l’arbitrio e la sopraffazione della mafia e del suo potere.
In linea con le esperienze di socializzazione, liberazione e riappropriazione degli spazi che in questi anni, dal CSOA Goliardo in poi, si sono succedute in questa città, rilanciamo la necessità di conquistare luoghi di libera partecipazione politica, presidi di elaborazione

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