Libero ogni giurno racconta una storia di ordinario razzismo verso le donne nelle comunità islamiche, all'ombra delle moschee. In italia.
Un razzismo su cui cala la colpevole indifferenza della gente e delle istituzioni.
CREMONA - Non solo violenza tra lemura di casa, ma anche fuori. Donne pedinate, spiate dai mille occhi dei “fratelli” islamici anche per strada. All’uscita dal lavoro o al supermercato. Loro, i fanatici del Corano, sono sempre pronti a riferire all’imam, ad additarle. A castigarle. Quel che succede qui in Italia è addirittura peggio di quanto accade al Cairo, a Rabat, o nei Paesi più conservatori come l’Arabia Saudita. Le “tentazioni” del mondo occidentale rendono i mariti immigrati ancora più sospettosi e feroci nei confronti di mogli e figlie. A Cremona, all’ombra di una moschea oggi sotto sequestro perché sospettata di fiancheggiare il terrorismo, gli uomini si erano perfino inventati la “volante islamica”. Una squadra formata da quattro fondamentalisti. La ronda era incaricata di controllare e punire le donne non sottomesse ai dettami della sharia (la legge islamica). Amel Ben Harrat, tunisina, trent’anni, in Italia da dieci, è una delle tante che ha subito vessazioni e violenze di questo improvvisato tribunale dell’inquisizione. «Le credenti si lascino scendere il velo fin sul petto e non mostrino i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti (XXIV, 31).
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