Intervista a Magdi Allam di Renato Farina
Politica e Chiesa hanno abdicato: in Europa lo scontro è vicino L’omicidio rituale di Theo Van Gogh, sgozzato nel centro diAmsterdam. L'orrore ha generato risposte diverse. Ce n'è stata una civile, e questo nostro dialogo vorrebbe situarsi a questo livello. Ma c'è stata anche la reazione di chi nel Nord Europa ha assaltato le moschee. Ne ho tratto questa convinzione. Il fronte è l'Iraq. Ma la prima linea di lungo periodo è l'Europa, casa nostra. Sei d'accordo, Magdi? «D'accordo, d'accordissimo. Siamo però in pochi a rendercene conto. La reazione più grave di tutte è la sottovalutazione di questi fatti ad opere della politica e degli intellettuali. Anche le autorità della Chiesa, spesso non capiscono…». (Magdi Allam è tra i massimi esperti al mondo di fondamentalismo islamico e di terrorismo della stessa pasta. Preferisce però si dica di lui: conosce e ama l'Islam, sua madre riposa in un cimitero musulmano; è italiano, si riconosce da islamico nella cultura occidentale e dunque cristiana. Scrive per il Corriere della Sera, dove è stato fortemente voluto dal direttore Stefano Folli. Non è facile parlare con Magdi. Una siepe di uomini lo protegge giorno e notte).
Della Chiesa e dei cardinali parliamo dopo. Prova a definire il contesto di questa guerra interna all’Europa. «Ci stiamo approssimando alla resa dei conti. Due crisi di identità si fronteggiano. Quella occidentale è entrata in crisi con il crollo del muro di Berlino. La fine della contrapposizione ideologica ha svelato una nudità delle anime occidentali». Come se non ci fosse più un senso della vita. «Certo. La religione si è rivelata un’impalcatura vuota. E i riferimenti culturali fumosi. È quello che tu, su Libero, hai chiamato nichilismo gaio». Citavo Augusto Del Noce, e la sua critica a questa nostra vita vuota. Durava da tanti anni. Il poeta Eliot ne parlò così: «Siamo gli uomini vuoti, siamo gli uomini impagliati». «Contemporaneamente, in modo speculare e simmetrico il mondo islamico ha attraversato una crisi di segno opposto. Aveva sconfitto i sovietici in Afganistan. Ha immaginato di eliminare l’altro male: l’Occidente. C’è stata un’involuzione in doppia direzione: una terroristica, un’altra più subdola, che vuole islamizzare l’Occidente, tenendo la carta della violenza esplicita come riserva. Tutto questo è cominciato - ci tengo a sottolinearlo - assai prima dell’11 settembre, è nato alla fine degli anni 70. La deriva terroristica ha trovato una forma compiuta e il suo manifesto organico allorché, nel giugno del 1998, Osama Bin Laden ha battezzato (anche se mi rendo conto dell’improprietà dell’espressione…) il Fronte internazionale islamico per la guerra santa contro ebrei e crociati. Due crisi dunque». Quella occidentale capisco sia tale: ed è una specie di frana, un’implosione. Ma quella islamica, più che crisi, mi sembra troppa salute. «Qui si tratta di intendersi su cosa sia l’Islam. L’Islam della mia esperienza non è questo! Io ho imparato da mia madre la fraternità, la solidarietà sociale forte, il rapporto diretto con Dio, senza bisogno di clero. Il fondamentalismo è segno di una crisi profonda. Il suo risorgere va legato alla sconfitta araba subita da Israele nel ’67. Tramontata l’utopia del panarabismo, queste forze radicali hanno investito sul panislamismo. I suoi momenti salienti sono stati la vittoria khomeinista nel febbraio del '79, l'assassinio del presidente egiziano Sadat nell’81...». Non capivamo nulla. Ricordo nella tipografia del mio giornale la festa dell’uomo delle pulizie, un egiziano immigrato. Mi disse: vedrete, vedrete… «Certo. I fondamentalisti pensavano di prendere il potere all’interno dei singoli stati arabi e islamici e poi di tracimare in Occidente. In Egitto ci provano eliminando il leader, in Algeria usando la democrazia in vista della sua negazione. Bloccato il tentativo, sono passati al terrorismo puro e semplice. Questa è la lezione: la radice del terrorismo è l’Islam adoperato come ideologia per il potere». Da una parte tu neghi che sia il vero Islam. Poi sei il più duro di tutti con gli imam gentili, i quali stringono la mano dei cardinali, assicurando che sono per il dialogo e contro il terrorismo. Come il caso di Milano. Il cardinale Tettamanzi (in assoluta retta coscienza, ovvio) ha spedito una lettera per la fine del Ramadan ed è stata letta e fatta propria da un emiro che sta dalla parte dei fondamentalisti algerini... L’ha pure intervistato la Rai... «L’Islam che in Italia ha preso il possesso di quasi tutte le moschee è di questa stoffa subdola. Accettano le regole democrazia per occupare il territorio...». Come in guerra. La loro guerra è questa. «Certo. In Occidente pretendono il dominio della comunità musulmana. E il modo per averlo è esattamente questa legittimazione fornitagli dalle autorità ecclesiastiche e civili. Io mi batto per farlo capire, ma non ci riesco. Magari tu sei cattolico, e ti ascoltano». Mi scomunicano, altro che, mi sono già arrivati avvertimenti. «È sbagliato, queste persone hanno lo stesso obiettivo dei terroristi. Vogliono uno stato islamico. Gli uni con la violenza, gli altri dal basso. L’Occidente si crede colto, ma è ignorante. I prelati sono portati a scegliere come interlocutore qualcuno che gli rassomigli, dimenticando che nell’Islam non esiste un clero. Quelli che si spacciano per tali, compiono un’usurpazione dottrinale». Che fare allora per impedire che questa guerra già dichiarata e in corso esploda tragicamente? Tu hai scritto che bisogna prendere atto del fallimento di due modelli di convivenza, il multiculturalismo e l’assimilazionismo. «Confermo. Sono insostenibili. Il multiculturalismo è il modello nordeuropeo. Si basa sulla certezza sia possibile convivere pacificamente, nello stesso spazio sociale e giuridico, mantenendo identità e idee di cittadinanza diverse. Ancora prima dell’assassinio di van Gogh, l’ideologo del multiculturalismo britannico, Trevor Philipps, caraibico, nero, sociologo raffinato, ha fatto marcia indietro. Il multiculturalismo ha creato ghetti spaventosi. Quartieri di pachistani islamici, di indiani indù, di musulmani somali. Ha sfilacciato la società, ne causa l’esplosione». Nel multiculturalismo ciascuno ritiene di essere depositario di un Codice morale assoluto. Van Gogh ha offeso la mia identità, ed io la faccio valere: essa ordina l’eliminazione del blasfemo. «Proprio così. È interessante notare come l’assassino di Van Gogh sia un olandese di origine marocchina. Non è tanto l’immigrazione la questione dirompente, almeno nel Nord Europa, quanto l’emergere di cittadini ai quali non è stato chiesto di riconoscersi in una comune civiltà, in valori decisivi quali la libertà e la tolleranza, la sacralità della vita singola. No, a loro è stato detto: ciascuno ha diritto di vivere secondo la propria identità e cultura, ritenendosi tranquillamente europeo». L’Europa come guscio vuoto. «Abbiamo sbagliato tutto. La società olandese e quella belga sono fragilissime. Quando manca questa unità, allora nascono le reazioni di presunti fronti cristiani. È una reazione esecrabile e devastante». L’assimilazionismo è invece francese… «Certo. Impone a ciascuno di rinunciare alla propria identità religiosa e culturale per aderire a un patriottismo che coincide col laicismo. Insopportabile, nefasto. Non è possibile un’omogeneizzazione, gli uomini si ribellano». C’è il modello americano: il meticciato. Una cultura dominante, quella cristiana, sa assorbire e lasciarsi modificare da apporti diversi. Potrebbe essere questo il modello italiano? «In Italia non si è scelto nessun modello. Si reagisce in modo passivo alle emergenze. È la logica delle sanatorie. Oggi gli stranieri sono circa 3 milioni e mezzo, di essi un terzo musulmani. Da noi c’è solo il modello umanitarista del volontariato». Per evitare la guerra in Italia, che cosa proponi? «Lo propongo per tutto l’Occidente: una riscossa. Dopo l’età del vuoto, è il caso di riscoprire cosa costituisce la tradizione di questo popolo occidentale». Un amico mi raccontava di avere aperto a Torino una “scuola dei mestieri”, pasticceri, falegnami e così via. Un gruppo di islamici voleva togliere il crocifisso. Ha detto: se lo togliete, togliete me, il motivo per cui abbiamo aperto questa scuola e voi potete studiare. Quelli si sono arresi: non ha contrapposto un’ideologia, ma la sua vita. «Proprio così! Se l’Occidente non riscopre l’amabilità della sua vita buona, è finita per i cristiani e per gli islamici come me». Che fare? «Partiamo dal buon senso, e da un punto fermo: nessuna deroga al rispetto delle leggi, ai valori percepiti come fondamentali dalla società. Un’identità forte dello Stato, a livello istituzionale. Sul piano religioso, forte riferimento identitario del cattolicesimo. Su quello culturale, la necessità di imparare la lingua italiana». Tu pensi che la cultura cristiana sia baluardo di libertà per tutti. «Certo. Dev’essere dominante ma non dominatrice. Allo stesso tempo è necessaria la ferma repressione di chi rema contro, chi costruisce nelle moschee e nei centri culturali islamici uno Stato teocratico nel nostro Stato. Dobbiamo bonificare quei terreni sia fisici sia mentali oggi terreno di cultura del radicalismo islamico: moschee, banche islamiche, associazioni caritatevoli, scuole». Chiuderle? «No. Vanno riscattate alla legalità trasformate da centri di potere politico a luoghi di preghiera, togliere le moschee a chi le usa per potere e darle per pregare». Scusa. Ma perché non lo fate voi islamici antifondamentalisti questo lavoro, visto che siete la maggioranza, tu dici addirittura quasi il 90 per cento. «Hai ragione. Finora, si è preferito non avere casini. Non è facile per una famiglia islamica tranquilla uscire alla luce del sole: si rischia, e di brutto. Ma ora abbiamo il dovere di esporci. Però per favore dovete essere nostri alleati. Questa maggioranza di musulmani va salvaguardata e consolidata, bisogna darle visibilità mediatica». Posso essere scettico? Ho amici islamici come te. Ma non vedo dietro di loro il popolo che segue invece gli imam. «Siamo minacciati. Per favore evitate di ridicolizzarci». Daresti il voto agli immigrati? «Per me il diritto di voto coincide con la cittadinanza. Ed essa non deve essere esito burocratico, ma la maniera in cui ci si riconosce in una società dove i valori comuni sono forti e cristiani». Questa guerra si vince se si ha il coraggio della nostra identità? «Bisogna essere durissimi, possono esserci identità diverse, ma bisogna scegliere. O la civiltà o la barbarie».
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