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«Iraq sempre peggio» parola della Cia
by se lo dicono loro Saturday, Dec. 11, 2004 at 11:42 AM mail:

Forte aumento della violenza e degli scontri fra gruppi rivali. Il capo dell'Agency a Baghdad lancia l'allarme in un rapporto inviato al momento di lasciare l'incarico e approdato al New York Times

«Iraq sempre peggio» parola della Cia
Forte aumento della violenza e degli scontri fra gruppi rivali. Il capo dell'Agency a Baghdad lancia l'allarme in un rapporto inviato al momento di lasciare l'incarico e approdato al New York Times
FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
La situazione in Iraq continua a peggiorare e un suo recupero non è prevedibile a breve tempo: lo dice il capo della Cia a Baghdad in una specie di rapporto finale inviato a Washington al momento di lasciare il suo incarico. «Un aumento della violenza è altamente prevedibile - dice il funzionario - a meno che non ci sia un rapido miglioramento da parte del governo in termini di affermazione della sua autorità e di incremento dell'economia». Non si sa esattamente quando questo rapporto - finito ieri sulle pagine del New York Times - sia stato spedito a Washington, ma è certo che è stato redatto dopo la «vittoria» di Falluja vantata dal governo e ovviamente prima delle dichiarazioni disinvoltamente ottimistiche fatte l'altro ieri da George Bush, che di fronte al «presidente» iracheno Sheik Ghazi al-Yawar, in visita a Washington, ha ribadito la scadenza del 30 gennaio per la celebrazione delle elezioni, perché «un rinvio manderebbe un segnale sbagliato». Un segnale sbagliato, secondo l'atteggiamento della presente amministrazione, era anche il rapporto in questione, visto che John Negroponte, l'ambasciatore americano a Baghdad che lo ha letto prima che venisse inoltrato, ha voluto «mettere a verbale» una propria nota per dire che le affermazioni del capo della Cia a Baghdad sono «troppo dure» e che i progressi fatti sono maggiori di quelli che lui indica. Il generale George Casey, il nuovo comandante militare in Iraq, non ha invece avuto alcuna obiezione in merito a quel rapporto, almeno inizialmente. In un secondo momento, stando a coloro che hanno raccontato il contenuto del rapporto al New York Times, pare che il generale abbia finito per esprimere qualche «obiezione», il che fa pensare che così gli sia stato «suggerito».

L'uomo che ha redatto il rapporto - il cui nome per legge non può essere divulgato - è considerato un funzionario «molto rispettato nell'ambito della Cia», tanto che gli è stata affidata la guida della «stazione» di Baghdad, la più grande che ci sia (comprende circa 300 agenti) dai tempi di quella leggendaria di Saigon, all'epoca del Vietnam. Il suo rientro a Washington dopo un anno era già previsto e quindi non è necessariamente una «punizione», ma è certo che ciò che lui ha scritto non piacerà al suo nuovo capo, Porter Goss, cioè l'uomo che sotto la parola d'ordine «il nostro lavoro deve sostenere l'amministrazione e le sue scelte politiche» sta procedendo alla «grande epurazione» che ha già visto la partenza dei più importanti funzionari della Cia. (E il fatto stesso che questo rapporto sia finito sul New York Times ha tutto il sapore della lotta sorda ancora in corso nelle segrete stanze di Langley, il quartier generale dell'agenzia, dove c'è ancora evidentemente chi cerca di «resistere»).

Il rapporto, in ogni caso, non dice certo cose nuove. Già nell'agosto scorso ci fu il National Intelligence Estimate (un compendio delle informazioni raccolte da tutte le agenzie di spionaggio) in cui il migliore (più speranzoso) sviluppo indicato per l'Iraq era una «tenue stabilità» e il peggiore era «una catena di avvenimenti indirizzati verso la guerra civile». Ma fra allora e oggi c'è stata Falluja, la cui «presa» è stata venduta come «una svolta decisiva verso la democrazia». Ora, il capo della Cia di Baghdad dice in pratica che quel massacro non è servito a nulla e i «resistenti» della Cia fanno in modo che le sue parole diventino di dominio pubblico (tanto che ieri facevano impressione i «salti» delle tv fra i loro studi - da cui riferivano del rapporto venuto da Baghdad - e la base dei marines di Pendleton, in Calfornia, per trasmettere in diretta un discorso che Bush era andato a tenere lì. Il suo contenuto? Tutto va bene, l'Iraq è «ben incanalato» verso il suo futuro democratico, anche se «è possibile che con l'avvicinarsi delle elezioni la violenza aumenti perché i terroristi faranno di tutto per impedire le elezioni. Ma falliranno».

Ieri, quando negli Stati Uniti erano le undici e mezzo del mattino, il totale dei soldati morti in action ha raggiunto la cifra tonda di mille. Il totale dei morti americani è stato in realtà di 1.275, ma quelle in aggiunta non sono state morti avvenute in action perché a causarle, spiega il Pentagono, sono stati incidenti, suicidi e «cose del genere».



http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Dicembre-2004/art42.html

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