I pericoli per i giornalisti occidentali hanno creato una nuova figura lavorativa, il "fixeur". Chiusi nelle loro stanze blindate di hotel, a guardare per loro ci sono gli occhi iracheni, tra mille pericoli.
Jean Pierre Perrin
Al "Napoli", una minuscola pizzeria ma la migliore di Baghdad, i clienti sono rari. Tuttavia, Walid, il proprietario, conserva la clientela dei giornalisti occidentali. Ma poiché non possono andare da lui, bisogna prendere le ordinazioni ai loro hotel. Amhed, un interprete iracheno, è venuto a prendere il pasto di una equipe televisiva italiana, che vive in clausura allo Swan Lake. Scoprendo un giornalista francese seduto a tavola, l'interprete si preoccupa: "Cosa fate qua? Restate al vostro hotel e lasciate i "fixer" iracheni a fare il lavoro. Vi riporteranno buone informazioni e voi le scriverete . Ma non vi rendete dunque conto? Voi uscirete dal ristorante e forse al prossimo incrocio una vettura vi bloccherà. Cosa potete fare contro i kalashnikov? Vi porteranno con loro e si rischia di non rivedervi piu' . O forse su un video".
TAGLIAGOLE. Ma, un giorno come questo a novembre, lo sceicco Fakhri al-Quaissy non era dello stesso avviso. Al telefono, si sgola dalla collera: "Dovete venire immediatamente a vedere quello che gli americani hanno fatto da me, Sono sbarcati in piena notte per arrestarmi. Sono riuscito a scappare, ma hanno completamente devastato la mia casa". Vicino alla guerriglia salafista, l'orientamento islamista pià radicale, il religioso sa bene quando i media occidentali possono essergli utili. E non esista a contattarli lui stesso nel momento del bisogno. E stato così a fine novembre, dopo un raid delle truppe americane e della guardia nazionale irachena al suo domicilio. Da qui la sua telefonata a Libération. "D'accordo, gli risponde l'interprete del giornale. Arriviamo subito ma solo se ci garantite che la strada è libera". Chiaramente, non ci saranno brutte sorprese nel quartiere dove risiede il religioso, e che ha la reputazione di essere un famoso sgozzatore da quanto la ribellione si mostra attiva. Lo sceicco promette. La visita permetterà di verificare che la dimora del religioso, che ora si nasconde, è stata completamente rivoltata dai soldati, al punto che non si può neanche entrare nella camera da letto. La visita si farà effettivamente senza inconvenienti, e punteggiata da formule di saluto di tutta la sua famiglia.
Un appuntamento ottenuto con un leader islamista non ha invece una garanzia di sicurezza. Qualche mese prima, un giornalista de Le Figaro, dopo una intervista con un capo religioso alla moschea di Ibn Taïmiya, il principale ritrovo dei salafiti iracheni nella capitale, si era fatto dare la caccia da sconosciuti. Il suo autista era riuscito a distanziare gli inseguitori. "Fortunatamente, avevamo fatto il pieno con della buona benzina", racconta il giornalista.
MIRIADI DI GRUPPI. Senza "fixeur", un neologismo che ci viene dall'inglese, un giornalista occidentale è poca cosa nel caos iracheno. Allo stesso tempo interprete, guida e/o autista, è il Signor Meteo della guerra. E' lui il barometro dei pericoli quotidiani. Lui sa se ci sono dei rischi notevoli a tentare una intervista ad un capo della guerriglia, una minaccia di tempesta andando in alcuni quartieri. E' ancora lui che permette di orientarsi nella miriade di gruppi che compongono la ribellione. Se si sa oggi chi compone l'Esercito Islamico in Iraq, che ha rapito Georges Malbrunot e Christian Chesnot , o come si è costituito il gruppo "Unità e Guerra santa" del giordano Zarqawi, è grazie al fixeur che ha facilitato gli incontri con dei rappresentanti o degli ex membri di questi gruppi, tra i piu' radicali.
E' grazie a lui infine che è possibile uscire dagli hotel fortezza per andare a caccia di informazioni nella capitale irachena, a differenza di una larga parte del paese dove non è già pià possibile andare. Limitare i rischi è anche la sua preoccupazione costante. Come? Cambiando regolarmente di itinerario e tornando in albergo nel mezzo del pomeriggio, moltiplicando gli istinti di prudenza.
SISTEMA DI DIFESA. Da diversi mesi, la guerriglia controlla dei quartieri interi all'interno della capitale, cosa che aggrava ancora di pià la situazione. E' il caso della Via Haifa, dove si combatte quasi ogni notte, a qualche centinaio di metri dal Grand Hotel Mansur, che accoglie soprattutto i giornalisti dell'AFP, della CBS e di Libération. Non avendo completa fiducia nelle guardie dell'hotel, il canale americano ha installato un proprio sistema di difesa con delle guardie pesantemente armate che controllano ciascun visitatore. Dispone anche di un proprio parcheggio.
Ma i rapimenti non nascondono soltanto dai combattenti islamisti. Dopo la caduta di Saddam Hussein, Baghdad e l'Iraq in generale sono diventati il terreno di caccia di bande, alcune formate da ex membri dei servizi segreti del rais decaduto. La maggior parte praticano i rapimenti. La preda piu ambita è l'occidentale che potrà essere rivenduto per decine di migliaia di dollari agli insorti. Queste bande sono soprattutto appostate intorno all'Hotel Al–Hamra, dove soggiornano numerosi giornalisti e contractor occidentali. Un cameraman australiano si è fatto recentemente rapire a qualche centinaia di metri dall'hotel. E' stato poi venduto al gruppo di Zarqawi, prima di essere felicemente rilasciato dal capo della banda, che ha avuto, alla fine, pietà di lui.
STANZE BLINDATE. E' per questo che i giornalisti anglosassoni, ancora numerosi a Baghdad, si serrano nei loro hotel. Ciascuna delle grandi reti di informazione americana o britannica, CNN, ABC, NBC, CBS, impiega in media una cinquantina di guardie di sicurezza irachene armate fino ai denti, persino ex membri delle forze speciali occidentali. La BBC ha fatto così ricorso a delle ex SAS britanniche. All'Hotel Al- Hamra, la NBC dispone anche di un luogo blindato dove il suo personale può rifugiarsi in caso di attacco. Ormai, sono i reporter arabi, soprattutto egiziani e libanesi, che vanno sul terreno e riportano le informazioni ai loro colleghi anglosassoni. Il minimo spostamento è concepito come una operazione militare. Consiste per lo piu nell'andare su una auto blindata a una conferenza stampa nella zona verde, il perimetro ultraprotetto dove si è stabilito il governo iracheno, i principali ministeri e l'ambasciata americana, e ritornare. La minima visita al Palazzo dei Congressi, dove si fa l'accreditamento dei giornalisti all'entrata di questa zona verde, richiede non meno di cinque perquisizioni lunghe e minuziose.
Ormai, tutto si fa negli hotel. Anche le interviste degli uomini politici iracheni. Ma rifugiarsi negli hotel non è privo di rischi perché questi sono regolarmente obiettivo di attacchi a colpi di razzi. In effetti, il pericolo comincia all'uscita dell'aeroporto. Decine di attacchi mortali hanno preso di mira l'autostrada, lunga una ventina di chilometri, che conduce a Baghdad, da cui il suo soprannome di "strada della morte". Le migliori "agenzie di sicurezza" occidentali, come l'americana Blackwater che si occupa di proteggere gli stranieri, vi hanno perduto degli uomini. Così, il tragitto si fa ormai con il piede sull'acceleratore, zigzagando nel mezzo di una circolazione spesso molto trafficata.
LIBERTA' DI PAROLA. Tuttavia, in questa Baghdad del caos, gli abitanti rifiutano raramente di incontrare dei giornalisti occidentali, lamentando che siano diventati anche essi degli obiettivi. E' la differenza con il precedente regime, dove il terrore imbavagliava tutte le bocche. La capitale irachena vive nella paura ma questa non gli ha ancora rubato la parola. Per un giornalista, la ricerca dell'informazione è quindi paradossale. E' allo stesso tempo pericolosa e relativamente facile. Tutti vogliono parlare: i rappresentanti della guerriglia, quelli delle formazioni politiche, gli artisti, gli intellettuali, i laici come i religiosi, l'uomo della strada, anche le vittime dei rapimenti o gli scampati agli attentati. Questa libertà di parola, anche se è sempre piu' associata ad una richiesta di anonimato, è in se stessa un potente incitamento alla presenza di giornalisti stranieri. L'Iraq del dopo Saddam non desidera il ritorno al silenzio, assimilato a quello della dittatura. La ribellione fa così un duplice discorso: se la sua vetrina politica adora che gli si tenda un microfono, il braccio militare fa in modo che non ci sia nessuno, e soprattutto osservatori, tra la guerriglia e le forze della coalizione.
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