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IRAQ «La resistenza agli occupanti e la sua politica»
by Il Manifesto Thursday, Mar. 03, 2005 at 1:53 PM mail:

INTERVISTA

INTERVISTA
«La resistenza agli occupanti e la sua politica»
La situazione attuale e il futuro dell'Iraq in un'intervista allo sheik Jawad al Khalisi, uno dei leader dell'Iraqi National Foundation Congress, coalizione di forze politiche irachene che alcuni vedono come un primo possibile nucleo di un fronte unitario contro la guerra e l'occupazione Usa
HERBERT DOCENA*
Il 19 marzo dello scorso anno, migliaia di sciiti iracheni marciarono dalla loro moschea a Khadimiya, passarono davanti alla base Usa e passarono il fiume Tigri per incontrare migliaia di iracheni sunniti usciti dalla loro moschea ad Adhamiya. Questa dimostrazione di forza e di unità fu organizzata da alcuni gruppi dell'Iraqi National Foundation Congress (Infc) vasta coalizione di forze politiche irachene che alcuni vedono come un primo possibile nucleo di un fronte unitario contro l'occupazione. Fondata nel maggio 2004 ne fanno parte gruppi progressisti, nazionalisti e islamisti di varie tendenze che si opposero al regime di Saddam Hussein, hanno rifiutato di far parte di qualsiasi organismo politico insediato dagli Usa, lottano contro la divisione del paese su basi etniche e confessionali e sostengono il diritto degli iracheni a «resistere all'occupazione coi mezzi ritenuti più opportuni», ma condannano le decapitazioni, la presa di ostaggi, l'uccisione dei civili. Tra i membri dell'Infc, il dr. Muthanna Aharith al Dhari, dell'Associazione degli ulema musulmani, principale raggruppamento dei religiosi sunniti; l'esponente sciita di Najaf, Ayatollah Ahmad al Baghdadi e Wamidh Nadhmi, accademico dell' università di Baghdad, nazionalista arabo e portavoce della coalizione. Il movimento di al-Sadr ha un posto di «osservatore» nella segreteria. Della situazione in Iraq e delle proposte dell'Infc parliamo con lo sheik Jawad al Khalisi, influente studioso, noto esponente religioso e uno dei leader dell'Infc. Dirige la scuola di Khadimiya nei pressi di Baghdad.
Può dirci come è nata questa prima forma di opposizione politica all'occupazione?
Dopo l'occupazione militare, politica ed economica dell'Iraq e la distruzione dello stato iracheno è apparso subito necessario unire tutte le forze che si opponevano all'occupazione sulla base di un idea che avevamo già sviluppato alla vigilia della guerra.
Il Congresso di fondazione ha avuto luogo lo scorso maggio. Cosa è successo da allora?
Passo dopo passo il Congresso è divenuto una delle principali forze che rappresentano l'opposizione all'occupazione. Non abbiamo contatti diretti coi gruppi armati della resistenza ma questi ci mandano messaggi e considerano la conferenza una struttura politica che in qualche modo rappresenta le loro aspirazioni.
Al di fuori dell'Iraq molti sostengono di rappresentare la resistenza...
Siamo una coalizione politica, non abbiamo alcuna organizzazione armata. Alcuni settori della resistenza hanno però sostenuto che le posizioni espresse dal Congresso costituiscono un denominatore comune a livello «nazionale».
Quali sono le vostre principali richieste?
I punti della nostra piattaforma sono molto chiari: ritiro immediato delle forze di occupazione e un ritorno agli iracheni della piena sovranità sul loro paese; mantenimento dell'unità nazionale; legittimità della resistenza all'occupazione con ogni mezzo necessario; rifiuto di ogni divisione etnica o religiosa.
Cosa risponde a coloro che sostengono che il ritiro delle forze straniere provocherebbe il caos?
Tutti siamo preoccupati dalla possibilità di un vuoto politico. Quando noi diciamo «immediato ritiro dell'occupazione» non diciamo che avverrà in un giorno ma che è necessario fissare un calendario. Fissata la data del ritiro , si potrà procedere alla costruzione di forze di polizia e militari realmente «nazionali». Non credo che quando gli occupanti lasceranno il paese la situazione peggiorerà di molto rispetto ad oggi.
C'è chi sostiene che dopo il ritiro vi sarà una guerra civile...
Sono solo tentativi di legittimare una lunga occupazione Usa dell'Iraq.
Secondo i funzionari Usa coloro che combattono contro l'occupazione sarebbero «forze anti-irachene» o «baathisti»...
La resistenza è una resistenza irachena - una resistenza popolare - che si va allargando sempre più. Nelle organizzazioni combattenti ci sono senza dubbio ex ufficiali dell'esercito che hanno messo la loro professionalità al servizio della resistenza ma la componente principale è quella che potremo definire islamica moderata, popolare e patriottica.
Cosa intende con «islamico popolare»?
Significa che il popolo iracheno - non necessariamente la parte organizzata -- combatte l'occupazione di propria iniziativa e generalmente nel farlo presenta una commistione di motivazioni religiose e patriottiche. Quella religiosa è molto forte sia per i tentativi Usa di colpire la nostra identità sia perché per affrontare un esercito così potente la gente ha bisogno di sentire che sta combattendo contro l'oppressione e che così facendo assolve anche a un dovere religioso.
Alcuni sostengono che non si dovrebbe sostenere la resistenza perché sarebbe diretta da Baathisti e «fondamentalisti»...
Sono gli occupanti a diffondere questa idea. Un deputato francese ha detto che la resistenza irachena somiglia a quella francese: un giorno sconfiggerà gli occupanti e prenderà il potere in Iraq. Quando parlo di «forze islamiche» all'interno della resistenza, intendo la corrente islamica moderata che difende la propria cultura e la propria nazione e tuttavia non è ostile ad altre culture e ad altre nazioni. Non è ostile al popolo americano ma si oppone al progetto della dominazione Usa sulla nostra regione e sul mondo. Fedeli di Saddam e islamici «duri» rappresentano un 5-10% della resistenza. Di questa frazione, i secondi costituiscono la maggioranza. Ci sono poi molti baathisti non saddamisti. Il punto centrale è la lotta all'occupazione.
Ci sono possibilità che i gruppi della resistenza formino un fronte unito?
La condizione dell'Iraq sotto occupazione non consente oggi la formazione di un fronte unito. In un'area si trovano talvolta sei o sette gruppi di guerriglia formati dagli abitanti per combattere l'occupazione, ma ciascuno è indipendente dall'altro. Talvolta, tra questi gruppi sorgono problemi. Dopo un anno e mezzo di esperienza assistiamo però ora al combinarsi di gruppi differenti e pensiamo che questa tendenza si rafforzerà nei prossimi mesi. Il fattore principale che spinge all'unità è costituito dal fatto che i protagonisti della resistenza non sono i politici ma gente assolutamente normale.
(Ricercatore associato a Focus on Global South)

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