Gli americani: «Se abbiamo sparato è colpa degli italiani».
Gli Stati Uniti scaricano la colpa sugli italiani. Il presidente George Bush ha assicurato una indagine completa sulla sparatoria in cui è rimasto ucciso Nicola Calipari, ma le prime reazioni del comando americano in Iraq e del dipartimento di stato a Washington lasciano temere il contrario. Si capisce sin d’ora che probabilmente i responsabili la faranno franca, come il pilota dei marines che nel 1998 provocò la morte di venti persone sulla funivia del Cermis.
L’eco della tragedia di Baghdad era appena giunto a Washington quando già un portavoce del dipartimento di stato polemizzava con Nicola Calipari e gli agenti del Sismi che si erano permessi di liberare Giuliana Sgrena senza avvertire i colleghi americani. Il comando militare in Iraq intanto sosteneva che la sparatoria era stata provocata dall’imprudenza degli italiani.
Bush ha chiamato Berlusconi venerdì sera, da bordo dell’Air Force One che lo portava in Indiana per un comizio. Il portavoce della Casa Bianca Scott McLellan ha dichiarato: «La conversazione è durata cinque minuti. Il presidente ha presentato le condoglianze al primo ministro italiano e gli ha assicurato una indagine completa sull’incidente». La segretaria di stato Condoleezza Rice a sua volta ha parlato con il ministro degli esteri italiano Gianfranco Fini e ha promesso «il massimo impegno, personale e dell’amministrazione, per il rigoroso accertamento di circostanze e responsabilità».
È evidente il desiderio di aiutare Berlusconi, che dopo la morte di Nicola Calipari deve giustificare la presenza militare italiana in Iraq. James Walston, docente di scienze politiche all’università americana a Roma, ha spiegato al New York Times: «L’incidente renderà più forte il sentimento popolare antiamericano in Italia, ma non cambierà la posizione ufficiale del governo sulle truppe in Iraq».
L’opportunità politica che ispira le dichiarazioni di Bush tuttavia non corrisponde a quello che sta avvenendo in pratica. Il comando americano non dimostra alcuna intenzione di andare a fondo nelle indagini. Un portavoce militare a Baghdad, il sergente dei marines Salju Thomas, in una prima ricostruzione dell’incidente ha sostenuto che i soldati americani hanno sparato perché l’auto degli italiani «si avvicinava a un posto di blocco a grande velocità».
Poco dopo, un comunicato della terza divisione di fanteria americana ha descritto in modo ancora più critico il comportamento degli italiani, che avrebbero «rifiutato di fermarsi a un posto di blocco». Ecco il testo: «I soldati della terza divisione hanno ucciso un civile e ne hanno feriti due altri quando la loro auto, che viaggiava a grande velocità, ha rifiutato di fermarsi a un posto di blocco. Alle nove di sera, ora locale, una pattuglia nel settore occidentale di Baghdad ha visto il veicolo dirigersi velocemente verso il posto di blocco. I soldati hanno cercato di avvertire il guidatore facendo segnali con le mani, agitando le braccia, lampeggiando con luci bianche e sparando colpi di avvertimento di fronte all’auto. Quando il guidatore non si è fermato i soldati hanno sparato nel motore e in questo modo hanno fermato l’auto, uccidendo una persona e ferendone altre due».
Questa versione è stata smentita da Giuliana Sgrena e dall’agente superstite del Sismi. Secondo loro non vi era un posto di blocco. Una pattuglia americana ha aperto il fuoco un secondo dopo avere fatto un segnale luminoso. Il comando americano non ha spiegato come i soldati avrebbero avuto il tempo di fare segnali con le mani, poi con una torcia elettrica, e di sparare ripetuti colpi di avvertimento se veramente l’auto avesse puntato contro un posto di blocco a tutta velocità. Non si capisce neppure come uno sparo contro il motore possa uccidere una persona e ferirne altre due nell’abitacolo.
A Washington, un funzionario del dipartimento di stato ha sostenuto che gli agenti del Sismi «non hanno avvertito né l’ambasciata americana a Baghdad né i comandanti militari americani del rilascio della signora Sgrena, sebbene un coordinatore americano per gli ostaggi avesse lavorato in stretto contatto con loro alla soluzione del caso».
L’esercito americano ha annunciato questa settimana di non avere raggiunto gli obiettivi per l’arruolamento di truppe. E’ in corso una campagna di propaganda frenetica per trovare volontari da mandare in Iraq. In queste circostanze, è estremamente improbabile che vengano presi provvedimenti contro i soldati che in zone pericolose sparano senza pensarci due volte. Non è stato incriminato neppure un militare ripreso dalla televisione mentre uccideva con una raffica un iracheno ferito e disarmato.
Il Pentagono rifiuta di rivelare il nome del soldato che ha sparato a Calipari. Ha indicato soltanto che l’incidente sarebbe avvenuto al posto di blocco numero 504, chiamato “Camp Victory”, su una strada dove sono frequenti gli attacchi dei ribelli contro le pattuglie americane. Ma questo posto di blocco è affidato alla decima divisione di montagna, mentre a sparare sono stati i soldati della terza divisione di fanteria. La verità che Bush ha promesso di accertare è nascosta da una cortina di indicazioni contraddittorie.
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