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Per Bush un pericoloso«obiettore»contro la guerra:il New York Times
by Maurizio Molinari Tuesday, Aug. 27, 2002 at 11:25 PM mail:

SULLA POSIZIONE DEL QUOTIDIANO UN INFUOCATO DIBATTITO IN USA

corrispondente da NEW YORK - L'offensiva contro l'Iraq per ora non inizia ma in America infuria la guerra di carta su come e quando rovesciare Saddam Hussein. Nelle ultime due settimane il «New York Times» del nuovo direttore Howell Raines è diventato la punta di lancia dell'ampio fronte di opinione che critica l'approccio finora avuto dall'amministrazione Bush.

Il momento di inizio dell'offensiva del quotidiano newyorkese è stata la presa di posizione di Brent Scowcroft, ex consigliere di Bush padre, contro l'attacco. Intuita una frattura dentro l'Amministrazione, Raines ha affondato i colpi, registrando giorno dopo giorno altri pareri critici in casa repubblicana: Henry Kissinger, Lawrence Eagleburger, Dick Armey, Jim Baker.

Ogni giorno o quasi si sono susseguiti articoli, reportage ed editoriali per smontare tesi per tesi la strategia della Casa Bianca, favorevole a un attacco preventivo contro Saddam. La scelta di Raines ha portato a un aumento nella vendita di copie e ha trasformato il «Times» nel bersaglio delle critiche della stampa conservatrice: dal «Washington Times» al «Weekly Standard», dal «New York Post» al «Wall Street Journal», vero capo-cordata della controffensiva in atto.

Il «Journal» ha battuto il primo colpo con un editoriale nel quale strigliava il «Times» per aver ripreso l'articolo di Scowcroft - uscito proprio sul «Journal» - in prima pagina come fosse una notizia: «I commenti vanno trattati nelle pagine degli editoriali, non in quelle sui fatti del giorno». A rincarare la dose è stato Paul Gigot, caporedattore della pagina dei commenti del «Journal»: «Se il “Times” vuole assomigliare a quei giornali europei come il Guardian o Le Monde che per tradizione sono ideologici e partigiani deve semplicemente ammetterlo pubblicamente senza nascondersi più dietro la difesa di una presunta obiettività». E ancora: «Nella stampa moderna le battaglie d'opinione si fanno, e dure, ma nello spazio dei commenti, non delle notizie».

Nella campagna anti-New York Times la stampa conservatrice ha raccolto l'adesione del predecessore di Raines, Bill Keller, che, con un articolo uscito sabato, ha contestato in punta di penna la scelta di arruolare l'ex Segretario di Stato, Henry Kissinger, nel partito anti-guerra: «Includerlo fra gli scettici significa rappresentare male ciò che pensa e scrive». Seymour Topping, altro ex direttore del «Times», si è invece schierato con Raines: «Forse classificare Kissinger fra i contrari è stato un errore ma si tratta di un personaggio noto per le sue posizioni ambigue, anche molti altri americani hanno mal compreso ciò che voleva dire, e comunque escludo che il giornale abbia intrapreso deliberatamente una campagna sull'Iraq scegliendo ideologicamente cosa scrivere e cosa no. Raccontare per filo e per segno quanto ci costerebbe la guerra non è fare politica ma buona informazione».

Il duello di opinioni ha contagiato anche le tv: i talk show domenicali su Cnn e Fox hanno dato voce agli opposti pareri, raccogliendo share di pubblico superiori alla media. Fra i più strenui difensori del «New York Times» è sceso in campo E.J. Dionne, penna di punta della pagina degli editoriali del «Washington Post», che ha respinto al mittente le accuse sollevate dai conservatori: «Quanto scrive il Times dà fastidio e fa male perché il giornale di Raines pone con chiarezza domande aspre, dure: ma che cos'è questo se non una lezione di buon giornalismo? Chi la pensa diversamente, invece di attribuire al “Times” complotti politici che non esistono farebbe bene a limitarsi a rispondere alle domande poste». La guerra di carta continua.

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