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http://italy.indymedia.org/news/2002/09/80257.php Invia anche i commenti.

Governo cinese nazi-comunista-liberista filo statounitense?
by Francesco S. Tuesday, Sep. 10, 2002 at 6:52 PM mail:

Partito comunista cinese:il maledetto governo cinese di nazi-comunisti-liberisti!!!!Adesso che l'ho scritto come fare qualcosa di utile?Come essere attivisti contro le ingiustizie tutte?Non solamente contro gli usa si combatte il MALE!!!

LA LIBERAZIONE DEI PRiGIONIERI POLITICI:
Alcune considerazioni
"Il rilascio dei prigionieri: niente di cui rallegrarsi" è il titolo dell’interessante editoriale pubblicato nel numero di maggio della Tibetan Review. Analizzando le vicende che portarono all’arresto di Ngawang Choephel, Tanag Jigme Sangpo e Chadrel Rinpoche, l’articolo evidenzia la mera formalità del loro rilascio da parte di Pechino che, in realtà, non ha concesso nulla.

In tutto il mondo, istituzioni e gruppi umanitari hanno calorosamente salutato il rilascio di alcuni importanti prigionieri politici, quali Ngawang Choephel, Chadrel Jampa Trinley e Tanag Jigme Sangpo, liberati dalla Cina in questi ultimi mesi. Per l’Unione Europea, l’Australia e altri paesi, queste scarcerazioni rappresentano il trionfo del lavoro in sordina della diplomazia bilaterale su quello che Pechino chiama "confronto diretto", sotto forma di nette risoluzioni di condanna in occasione dei convegni ONU sui diritti umani; per coloro che si battono a favore di tali diritti, gli avvenuti rilasci costituiscono invece il felice epilogo delle dure lotte combattute da chi, in ogni caso, Pechino non aveva alcun motivo di arrestare; per i tibetani, infine, sono il segno tangibile del fatto che la questione del Tibet è finalmente diventata un elemento rilevante nei rapporti della Cina con il resto del mondo oltre a offrire loro, forse, buoni argomenti per appoggiare la grande speranza e la pia fiducia del Dalai Lama nel ruolo della pressione internazionale quale efficace strumento per costringere la dirigenza cinese a risolvere in modo corretto il problema del Tetto del Mondo.

Sfortunatamente tuttavia, i soli a ridere di cuore dell’intera faccenda sono proprio i comunisti cinesi. Dopo ogni rilascio, tutti i commenti si sono tradotti in un deferente omaggio nei confronti della Cina per essersi apparentemente mostrata così indulgente nei confronti dei prigionieri e avere compreso i sentimenti della comunità internazionale sulla questione dei diritti umani. Le espressioni di gratitudine sono state tali che la Cina comunista è sembrata il vero eroe. Nell’euforia del momento, le parole di speranza sul possibile rilascio di altri prigionieri politici, se non di tutti, sono sembrate aggiungersi al nulla perché, in realtà, liberando quei detenuti, Pechino nulla ha concesso.

Tanag Jigme Sangpo è un ammalato cronico settuagenario non più in grado di causare alcun problema al governo cinese. E’ stato rinchiuso in carcere e nei campi di lavoro così a lungo da non possedere più una casa cui fare ritorno una volta rilasciato. E’ un combattente di grande coraggio, sprezzante della propria sicurezza e del benessere personale, ma non è né capo né un organizzatore. Per questo motivo la Cina gli ha concesso di restare in Tibet anziché farlo salire forzatamente su un aereo con destinazione gli Stati Uniti o la Svizzera.

Ngawang Choephel non è né un attivista né una spia come Pechino ha cercato di far credere. E’ soltanto un entusiasta musicista tibetano in esilio con l’innocuo desiderio, del tutto accademico, di raccogliere dati sull’arte teatrale della tradizione tibetana, ormai sul punto di scomparire. Ma il fatto che avesse vissuto in India e studiato per un anno negli Stati Uniti ha fornito alla Cina il succulento pretesto per sollevare un caso politico e rovinare la vita di quest’uomo innocente. Lo hanno definito una spia del governo tibetano in esilio in missione eversiva in Tibet con il finanziamento di alcuni governi stranieri (un ovvio riferimento agli Stati Uniti). Le brutali torture e la condanna a diciotto anni di carcere e di lavori forzati avrebbero dovuto dimostrare la gravità del suo crimine del quale, peraltro, non è mai stata presentata la minima prova o evidenza. Ciò nonostante, dopo avergli fatto scontare sei anni di carcere, la Cina è stata ringraziata per averlo liberato.

Ritenendo sufficiente il suo grado di collaborazione, gli occupanti cinesi avevano affidato a Chadrel Rinpoche la guida del comitato di ricerca della reincarnazione del decimo Panchen Lama. Tuttavia, trattandosi di una delegazione nominata dal governo di Pechino, priva pertanto del riconoscimento e della benedizione del Dalai Lama, l’incarico ricevuto si è rivelato ben presto troppo oneroso. Certo, se si fosse attenuto ai patti, Chadrel Rinpoche sarebbe stato ben ricompensato, ma come lo avrebbero giudicato la storia e il popolo tibetano? Cosa ne sarebbe stato della sua fede nelle istituzioni religiose tradizionali di cui egli stesso era una figura importante? Turbato da questi interrogativi, l’abate di Tashilunpo scelse una via rischiosa e fece pervenire segretamente al Dalai Lama i risultati delle sue ricerche. Di conseguenza, Chadrel Rinpoche, malgrado si sia sacrificato per una nobilissima causa, non è un combattente per la libertà né un difensore dei diritti umani. E non vi è motivo di rallegrarsi per il suo rilascio, poiché aveva già ampiamente scontato la pena che gli era stata ingiustamente inflitta.

Alla luce delle relazioni pubbliche e delle manovre diplomatiche che si intrecciano in questi giorni, la liberazione dei prigionieri politici non significa che la Cina comunista si stia aprendo al riconoscimento dei diritti umani o alle riforme. I rilasci sono senza dubbio ottimi eventi, ma solo per le persone interessate. Non vi è nulla di più: non significano certamente che il governo comunista voglia cambiare il sistema vigente che sopprime i dissidenti e i diritti umani e monopolizza il potere politico. Solo coloro che si rallegrano con la Cina ritengono che a Pechino sia in atto un processo di liberalizzazione. I comunisti hanno invece ampiamente fatto sapere che, i loro, sono soltanto gesti umanitari, destinati a favorire la prosecuzione dei rapporti diplomatici e commerciali.

Per concludere, alla domanda se la Cina abbia finalmente iniziato ad allentare la sua morsa in Tibet, la risposta non può che essere il più assoluto "No". I recenti sviluppi mostrano uno spostamento o, meglio, un aggiustamento della strategia di Pechino, finalizzato al mantenimento dello "status quo", con l’inizio di una nuova fase in cui i governanti cinesi, pur sembrando accettare i diritti umani quale argomento di discussione tra le nazioni, mirano in realtà ad un "non - risultato" finale basato sull’"accordo nel disaccordo" tra le parti.

NOTIZIE

PECHINO BLOCCA L’ACCREDITO DI I.C.T. AL SUMMIT MONDIALE SULLO SVILUPPO
New York, 8 febbraio 2002. Per la prima volta dal 1965 la questione del Tibet è stata sollevata alle Nazioni Unite. E’ accaduto in occasione del dibattito circa la partecipazione di International Campaign for Tibet, il noto gruppo con sede a Washington operante a sostegno della causa tibetana, al Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile che si terrà a Johannesburg, in Sud Africa, dal 26 agosto al 4 settembre 2002. Sostenuto da una mozione della Spagna, l’accredito di I.C.T., che lo scorso anno aveva preso parte alla Conferenza Mondiale contro il Razzismo, è stato subito apertamente contrastato dalla Cina che ha accusato International Campaign for Tibet di perseguire una politica "separatista", ponendo al centro della discussione non tanto i requisiti di I.C.T. a sostenere il punto di vista dei tibetani su una politica di sviluppo sostenibile in Tibet ma focalizzando il dibattito sulla questione, del tutto politica, dell’indipendenza del paese. Dopo avere presentato senza successo una mozione di non azione sulla proposta spagnola, la Cina ha chiesto ai 189 stati membri delle Nazioni Unite di votare una successiva mozione di non partecipazione a favore della quale si sono espressi 93 paesi; 44 i contrari e 16 gli astenuti mentre i restanti aventi diritto non erano presenti o non hanno partecipato alla
votazione. "Ironicamente, è stata la stessa Cina a sollevare la questione dello status del Tibet alle Nazioni Unite" – ha dichiarato Buchung Tsering, direttore di I.C.T. Nel ringraziare i paesi che hanno sostenuto il diritto dei tibetani a far sentire la loro voce (di fatto si è verificata,al momento del voto, una spaccatura tra il nord e il sud del mondo), Tsering ha inoltre rilevato che l’orientamento espresso evidenzia la crescente influenza cinese presso le Nazioni Unite e il forte potere della sua azione di "lobbying".

TRE MESI DI RIPOSO PER IL DALAI LAMA

Dharamsala, 10 febbraio 2002. Dimesso dall’ospedale Lelavati di Mumbay dove era stato ricoverato il 27 gennaio a causa di un’infezione intestinale, il Dalai Lama ha fatto ritorno a Dharamsala. Il leader tibetano, che aveva contratto la malattia alla vigilia del conferimento dell’iniziazione di Kalachakra nella città sacra di Bodh Gaya, dietro consiglio dei medici osserverà tre mesi di assoluto riposo annullando tutti gli impegni precedentemente assunti, compresi gli insegnamenti religiosi, le udienze private e le visite, già programmate, negli Stati Uniti e in Canada. Il 12 febbraio il Dalai Lama ha voluto tuttavia incontrare un gruppo di cinquecento tibetani arrivati dal Tibet. "Non dovete preoccuparvi" – ha detto loro – "ora sto completamente bene". Ha inoltre sottolineato l’importanza della presenza dei tibetani all’interno del paese per preservare le peculiari e ricche tradizioni culturali e artistiche la cui sopravvivenza è ora in pericolo a causa dell’occupazione cinese.

Mentre il Dalai Lama, ormai convalescente, stava per lasciare l’ospedale di Mumbay, l’agenzia Xinhua diffondeva un articolo apparso il 2 febbraio sulla rivista China’s Tibet in cui il governo cinese, con parole forti, chiedeva al leader tibetano di "rinunciare a ogni richiesta di indipendenza e di porre fine al suo esilio per ritornare alla madrepatria". Il 4 febbraio, il governo tibetano in esilio, nella persona di Sonam Dagpo, segretario del Dipartimento Informazioni e Relazioni Internazionali, rendeva noto che l’apertura cinese al rientro in patria del Dalai Lama altro non era se non la retorica ripetizione della consueta proposta subordinata al riconoscimento dell’appartenenza del Tibet alla Cina, precondizione assolutamente inaccettabile dai tibetani. Sonam Dagpo ha inoltre rilevato che simili "aperture" si ripetono puntualmente alla vigilia della visita a Pechino di qualche alto dignitario straniero o della presentazione di una risoluzione sul Tibet da parte della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite. "Il rilascio, dopo sei anni, del musicista Ngawang Choephel così come questo invito a rientrare in patria offerto al Dalai Lama" – ha dichiarato il funzionario tibetano – "fanno parte del piano con cui Pechino vuole mostrare al mondo che intende seriamente risolvere il problema". u

DOCUMENTATE LE PERSECUZIONI RELIGIOSE IN CINA

Washington, 13 febbraio 2002. Il quotidiano Washington Post ha dato notizia della pubblicazione di un rapporto di 141 pagine sulla persecuzione in atto in Cina ai danni della comunità cristiana e di altre minoranze religiose. Il documento, redatto dal Comitato di Ricerca sulla Persecuzione Religiosa in Cina, con sede a New York, raccoglie quanto riportato in otto attendibili dossier sull’argomento trafugati all’estero da un gruppo di cristiani cinesi con la complicità di alcuni ufficiali di polizia. I discorsi e le note di alcuni alti funzionari di varie province cinesi confermano la campagna governativa contro chiese, sette e culti operanti in Cina. Sun Jinxin, vice direttore della pubblica sicurezza nella provincia di Anhui, prende posizione contro il Vaticano "pronto a cogliere ogni opportunità per intervenire negli affari interni delle chiese cattoliche cinesi" ed afferma che le forze di intervento al suo comando "hanno iniziato a cercare, rieducare e convertire alcuni importanti membri del mondo cattolico". Analoghi accenti sono riservati ai membri della setta Falun Gong di cui si vogliono impedire raduni e assembramenti, soprattutto a Pechino. Alcuni documenti fanno esplicito riferimento al ricorso di agenti segreti speciali infiltrati nei vari gruppi i cui membri sono a volte costretti con la forza a lavorare per la polizia di stato. u

PROGETTO DULAN: FERVONO I LAVORI NEL QUINGHAI

Londra, 14 febbraio 2002. Il gruppo londinese Tibet Information Network ha reso noto che la Cina sta alacremente dando corso alla realizzazione del controverso "progetto Dulan", noto anche come piano di "Riduzione della Povertà nella Cina Occidentale". Come i lettori ricorderanno, il progetto, che prevede tra l’altro il trasferimento di 58.000 contadini cinesi in stato di povertà nella contea di Dulan, un’area di tradizione e cultura tibetana situata nella regione del Quinghai, avrebbe dovuto essere finanziato dalla Banca Mondiale. A seguito della mobilitazione di tutti i gruppi operanti a sostegno della causa tibetana, nel luglio 2000 la Banca decise di non erogare il finanziamento. Pechino annunciò allora che avrebbe realizzato l’impresa con le proprie forze. Secondo dati fornite dal Quinghai Daily e ripresi da T.I.N., Pechino intende portare a termine la "parte sostanziale" del lavoro entro il 2002 e ultimare le restanti opere nell’arco dei prossimi due anni. Testimoni oculari riferiscono che quasi tutti gli edifici situati nella strada principale della città di Xingride, nella contea di Dulan, recano la scritta "chai", demolizione. L’entità delle demolizioni indicherebbe la volontà di cambiare completamente la fisionomia dell’area urbana consentendo la creazione di strutture amministrative e commerciali più consone all’accrescimento della popolazione destinata a raddoppiare con l’arrivo degli immigrati la cui presenza comporterà una forte diluizione della presenza tibetana. u

RILASCIATO CHADREL RINPOCHE

Dharamsala, 20 febbraio 2002. Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha reso noto di aver saputo da fonti attendibili che Chadrel Rinpoche, abate del monastero di Tashilunpo e capo del comitato di ricerca della reincarnazione del 10° Panchen Lama è stato scarcerato e si trova ora agli arresti domiciliari nella città di Shigatse. Chadrel Rinpoche era stato arrestato il 17 maggio 1995, tre giorni dopo il riconoscimento da parte del Dalai Lama di Gedhun Choekyi Nyima quale 11° Panchen Lama. Le autorità cinesi avevano dato ufficialmente la notizia del suo arresto solo nel maggio 1997 con un comunicato dell’agenzia Xinhua che riportava la sentenza di condanna dell’abate a sei anni di carcere con l’accusa di aver complottato per dividere il paese e divulgato segreti di stato. Nel dare l’annuncio, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha posto in relazione la liberazione di Chadrel Rinpoche con l’imminente visita a Pechino del presidente Bush, definendo il gesto cinese un mero espediente politico. u

BUSH INVITA PECHINO AD AVVIARE COLLOQUI CON IL DALAI LAMA

Pechino, 21-22 febbraio 2001. Nel corso della sua prima visita ufficiale a Pechino, il presidente Bush, per l’occasione significativamente accompagnato da Paula Dobriansky, Coordinatore Speciale per gli affari tibetani, ha chiesto a Pechino di avviare colloqui con il Dalai Lama e con il Vaticano per una larga intesa sulla libertà di culto. Il 22 febbraio, parlando in diretta alla televisione cinese, Gorge W. Bush ha invitato la Cina a garantire le libertà personali e politiche, a tollerare la diversità e il dissenso e a rispettare il governo della legge. "In una società libera" – ha affermato il presidente americano – "dibattito non significa conflitto e disordine non è rivoluzione". Da parte sua, Jiang Zemin ha riaffermato che in Cina non esistono intolleranze religiose e ha dichiarato che alcuni esponenti del clero, soprattutto vescovi e preti cattolici, sono stati arrestati non per il loro credo ma per aver contravvenuto alla legge praticando il culto al di fuori delle chiese approvate dal governo. Il giorno precedente, 21 febbraio, un imbarazzatissimo Jiang Zemin, non abituato a rispondere alle libere domande dei giornalisti stranieri, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente Bush aveva finto di non capire o di avere dimenticato quanto gli veniva chiesto a proposito della repressione religiosa in atto in Cina. Aveva comunque dichiarato di avere letto, sebbene non credente, la Bibbia, il Corano e le Scritture buddiste. I due capi di stato, pur convenendo sulla necessità di dare corso a dialoghi bilaterali in vari campi e ad ogni livello, non hanno tuttavia raggiunto alcun accordo su alcune questioni chiave quali la proliferazione delle armi, la libertà religiosa e lo status di Taiwan. u

RICORDO DI UNA COMBATTENTE: ANI PACHEN DOLMA

Il 2 febbraio 2002, all’età di 69 anni, si è spenta Ani Pachen Dolma, conosciuta come "la monaca combattente". Figlia di Pomdha Gonor, comandante di un gruppo armato di resistenza contro le forze di occupazione cinesi, Ani Pachen mostrò fin dalla prima giovinezza il suo carattere tenace e ribelle imparando a cavalcare e a maneggiare le armi. Rifiutò il matrimonio e divenne monaca buddista. Tuttavia, quando, nel 1958, alla morte del padre, gli anziani del suo clan le chiesero di sostituirlo al comando, Dolma lasciò il monastero e, alla testa di 600 uomini, per lo più contadini e nomadi, prese il suo posto conducendo la lotta armata contro l’esercito cinese. Quando il suo villaggio fu sopraffatto trovò riparo con la famiglia sulle colline circostanti e continuò a combattere. Fu catturata e arrestata nel 1960, mentre cercava la via dell’esilio. Per ventuno anni, fino a che fu rilasciata, nel gennaio 1981, Dolma dovette sopportare il freddo, la fame, i continui interrogatori e la tortura fisica. Per un anno le furono applicati i ceppi, fu spesso appesa a testa rovesciata e per nove mesi fu rinchiusa in una buia cella di isolamento. Passò undici anni nella prigione di Drapchi dove fu assegnata all’unità di lavoro incaricata della produzione di mattoni. Improvvisamente liberata, Dolma, assieme a centinaia di altri tibetani, lavorò come volontaria alla ricostruzione del monastero di Gaden e prese parte attivamente alle dimostrazioni del settembre e ottobre 1987 e del marzo 1988. Temendo di essere nuovamente arrestata, fuggì in India nel 1989. In esilio ha scritto la sua autobiografia (Sorrow Mountain: The Journey of a Tibetan Warrior Nun), pubblicata nel 2000, "per raccontare alla gente e alle nuove generazioni quello che è successo e quello che sta succedendo al mio paese". u

GLI USA: PECHINO DIA INIZIO A COLLOQUI CON IL DALAI LAMA

Washington, 7 marzo 2002. Il Comitato per le Relazioni Internazionali del Congresso, a chiusura di una speciale sessione sul tema "Considerazioni sulla Politica degli Stati Uniti sul Tibet", ha invitato il governo di Pechino a risolvere la questione del Tibet dando avvio a colloqui con il Dalai Lama. Parlando al Comitato, Paula Dobriansky, coordinatore del Dipartimento di Stato per il Tibet, ha definito "grave" la situazione sul Tetto del Mondo e ha affermato che il paese continua ad essere una delle regioni più povere malgrado i considerevoli investimenti economici compiuti dalla Cina negli ultimi vent’anni. Dopo avere citato le persistenti discriminazioni esistenti in campo linguistico e medico e il continuo flusso migratorio di popolazioni Han, la signora Dobriansky ha tra l’altro dichiarato che, pur manifestando apprezzamento per il recente rilascio di Ngawang Choephel, l’amministrazione degli Stati Uniti non ritiene sufficiente l’occasionale rilascio di alcuni prigionieri politici ma ritiene importante "ridurre il divario su alcune questioni, quali ad esempio quella dei diritti umani, condizione indispensabile per uno sviluppo delle relazioni bilaterali tra i due paesi". "Se il governo cinese non tratta con il Dalai Lama, che strenuamente ricerca il dialogo e una soluzione soddisfacente per entrambe le parti" – ha proseguito il sottosegretario americano – "il movimento di resistenza tibetana potrebbe crescere con il conseguente aumento del rischio di agitazioni politiche". Alla conferenza hanno partecipato, tra gli altri, anche l’attore Richard Gere, nella sua qualità di presidente di International Campaign for Tibet e Lodi Gyari, rappresentante speciale del Dalai Lama negli Stati Uniti. Il primo ha sottolineato l’importanza del ruolo e della figura del Dalai Lama nella soluzione del problema tibetano; Lodi Gyari, dal canto suo, ha riaffermato l’impegno del Dalai Lama a proseguire sulla strada della "Via di Mezzo" nelle trattative con Pechino, malgrado i suoi sforzi non abbiano finora prodotto concreti risultati.

Il giorno 9 marzo Pechino ha respinto l’appello degli Stati Uniti. Kong Quan, un portavoce del ministero degli esteri, ha dichiarato che il Dalai Lama non è soltanto una figura religiosa e, da tempo, sta lavorando per dividere la Cina. "Se il Dalai Lama desidera sinceramente il dialogo con il governo cinese" – ha dichiarato il portavoce – "deve porre fine a ogni attività separatista, dichiarare che il Tibet è parte integrante della Cina e riconoscere che Taiwan è una provincia cinese". u

L’UE A GINEVRA: NO A UNA RISOLUZIONE CONTRO LA CINA

Bruxelles, 11 marzo 2002. I quindici stati membri dell’Unione Europea hanno deciso di non presentare alcuna risoluzione di condanna della Cina per violazione dei diritti umani alla prossima annuale sessione della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite che si terrà a Ginevra dal 18 al 26 marzo. L’U.E. ha reso noto che si limiterà a considerare l’opportunità di appoggiare un documento presentato da altri paesi, eventualità assai remota dal momento che gli Stati Uniti, che dal 1990 hanno sempre presentato una risoluzione di condanna, quest’anno non fanno parte della Commissione e saranno presenti a Ginevra solo in qualità di osservatori. L’Unione Europea ha motivato la sua decisione rendendo noto che, alla luce del soddisfacente dialogo bilaterale esistente con la Cina in materia di diritti umani, ritiene più opportuno dare seguito a questo tipo di approccio.

Pressoché unanime la condanna della decisione dell’Unione Unione Europea, da molti accusata di codardia. "Nessuno ritiene che i dialoghi bilaterali sui diritti umani abbiano prodotto risultati concreti in merito alla questione tibetana" – ha affermato Tsering Jampa, direttore della sede europea di International Campaign for Tibet". Ancora più indignata Alison Reynolds, direttore di Free Tibet Campaign, che ha così commentato: "L’Unione Europea non ha scuse, non ha giustificazioni per una decisione che danneggia l’integrità e l’oggettività della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite: come può l’U.E. pretendere che la Cina si preoccupi seriamente del problema dei diritti umani se essa stessa ha un comportamento ipocrita e usa due pesi e due misure"?

Naturalmente positiva la reazione cinese alla decisione dell’Unione Europea. Il 14 marzo, l’agenzia Xinhua ha riportato una dichiarazione del portavoce del ministero degli esteri della Repubblica Popolare in cui si afferma che la Cina vorrebbe collaborare con l’Unione Europea per ridurre le divergenze nel campo dei diritti umani attraverso un dialogo "basato sull’uguaglianza e il reciproco rispetto".

A Ginevra, i diritti dei tibetani, assieme a quelli degli Uiguri, sono stati perorati dal ministro degli esteri tedesco, dal rappresentante svizzero e, per la prima volta, da quello del Guatemala che ha rivendicato il diritto del popolo Maya, dei Curdi e dei tibetani al rispetto delle proprie libertà politiche, economiche, sociali e culturali. u

DELEGAZIONE T.A.R. AL PARLAMENTO EUROPEO

Bruxelles, 25 marzo 2002. Per la prima volta una delegazione cinese proveniente dalla Regione Autonoma Tibetana è in Europa, per una visita di cinque giorni, su invito del Parlamento Europeo e della Camera dei Rappresentanti del Belgio. La delegazione è capeggiata da Raidi, presidente del Comitato del Congresso del Popolo in Tibet. Il 22 marzo, International Campaign For Tibet, con una lettera indirizzata al presidente Patrik Cox, ha chiesto al Parlamento Europeo di valutare la natura propagandistica della visita e di cogliere questa opportunità per esprimere al gruppo dirigente cinese la propria preoccupazione per la situazione tibetana e sollevare la questione dell’avvio di negoziati da tempo sollecitati dal Dalai Lama. L’agenzia ufficiale di stato Xinhua ha dato grande risalto all’avvenimento riportando la notizia della grande mostra fotografica sul Tibet "cinese", definita "un canale per una migliore, reciproca comprensione", inaugurata per l’occasione all’interno del Parlamento Europeo. Il 27 marzo, l’agenzia cinese ha invece esaltato il grande interesse dimostrato dai parlamentari belgi nei confronti della Regione Autonoma unitamente all’auspicio che la visita contribuisca a consolidare legami e contatti tra Belgio e T.A.R. u

PATTEN AUSPICA L’AVVIO DI COLLOQUI TRA PECHINO E IL DALAI LAMA

Shanghai, 29 marzo 2002. Chris Patten, ultimo governatore di Hong Kong, ora Commissario per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, parlando agli studenti dell’Università Fudan di Shanghai ha così dichiarato: "Vorremmo che iniziassero colloqui tra la leadership cinese e il Dalai Lama in quanto il dialogo faciliterebbe la riconciliazione e gioverebbe all’immagine della Cina a livello internazionale". Rispondendo a un universitario cinese che gli aveva chiesto come mai era stato concesso al Dalai Lama di parlare al Parlamento Europeo, fornendogli così una "piattaforma" da cui parlare, in modo distorto, della situazione dei diritti umani in Tibet, Patten ha affermato che in Europa non esistono dubbi sul fatto che il Tibet è una provincia cinese ma sussistono forti preoccupazioni sulla preservazione delle tradizioni culturali e linguistiche tibetane. Commentando la visita, appena conclusa, della delegazione cinese a Bruxelles, l’ex governatore inglese di Hong Kong ha dichiarato di essere soddisfatto perché, come al Dalai Lama, anche ai dirigenti della Regione Autonoma Tibetana è stata data l’opportunità di esporre il loro punto di vista al Parlamento Europeo. Circa la divergenza di vedute tra la Cina e l’Unione Europea sulla questione dei diritti umani in Tibet, Patten ha asserito che le "risolute e civili discussioni" sull’argomento sono un sintomo della crescente maturità delle relazioni tra le due parti. u

RILASCIATO TANAK JIGME SANGPO

Dharamsala, 4 aprile 2002. Il governo tibetano in esilio ha diffuso la notizia del rilascio di Tanak Jigme Sangpo, il prigioniero politico più a lungo detenuto nelle carceri cinesi. Jigme Sangpo, oggi settantaseienne, è stato liberato il 31 marzo 2002 per motivi di salute dopo un periodo di detenzione durato oltre trentacinque anni. Attualmente si trova a Lhasa, a casa della nipote, Pema Chozom. Arrestato per la prima volta nel 1960, all’età di trentaquattro anni, sotto l’accusa di "corrompere le menti dei bambini con idee reazionarie", fu nuovamente condannato nel 1964 per avere espresso il suo pensiero sulla repressione in Tibet. Nel 1970, sorpreso mentre cercava di far pervenire al Dalai Lama un documento sulle atrocità commesse in Tibet dai cinesi, gli furono inflitti altri dieci anni di carcere. All’età di 53 anni, Jigme Sangpo fu inviato al campo di lavoro di Nyethang, a 60 chilometri da Lhasa, ma, nel 1983 subì una nuova condanna a quindici anni di prigione e privato per cinque anni dei diritti politici per avere attaccato dei manifesti scritti di suo pugno all’ingresso principale del Jokhang, il più importante tempio della capitale tibetana. Questa volta fu accusato di "incitamento e propaganda antirivoluzionaria". Nel 1988, con la stessa accusa, la sua pena fu prolungata di altri cinque anni. Il 6 dicembre 1991, durante la visita di una delegazione svizzera, Jigme, dalla sua cella, gridò forte "Free Tibet" e altri slogan in cinese e in tibetano. Le autorità carcerarie cercarono di minimizzare l’incidente dicendo agli ospiti che la voce era quella di un pazzo ma, il 4 aprile 1992, fu condannato ad altri otto anni di carcere. Avrebbe terminato di scontare l’intera pena il 3 settembre 2011, dopo quarantuno anni di reclusione.

A favore del suo rilascio si sono battuti da alcuni anni molti gruppi di sostegno al Tibet e organizzazioni non governative di tutto il mondo. Il governo americano e quello svizzero hanno sollevato più volte il caso di Tanak Jigme Sangpo con le autorità di Pechino. Negli ultimi due anni gli era stata prospettata più volte la libertà "per motivi di salute", ma Jigme, temendo di essere allontanato dal suo paese con il pretesto delle cure mediche, diceva di essersi abituato al carcere e di non volere essere di peso ai suoi parenti.

A nome del governo tibetano in esilio, Samdhong Rinpoche ha espresso la sua soddisfazione per la liberazione dell’anziano prigioniero. "Chiedo alla Repubblica Popolare Cinese di liberare anche gli altri prigionieri politici" – ha affermato il primo ministro tibetano – "e mi auguro che la leadership cinese trovi il coraggio, la saggezza e la giusta visione per risolvere il problema tibetano attraverso negoziati". u

TIBET JUSTICE CENTER ESCLUSO DAL SUMMIT DI JOHANNESBURG

Berkeley (CA), 5 aprile 2002. Dopo International Campaign for Tibet, anche Tibet Justice Center (il gruppo a sostegno del Tibet con sede a Berkeley, in California, che molti ricorderanno sotto il nome di Committee of Lawyers for Tibet) è stato escluso dalla rosa delle Organizzazioni non Governative ammesse dalle Nazioni Unite a partecipare al Summit Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD) che si terrà a Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002. Il presidente di TJC, Dennis Cusak, ha chiesto a Kofi Annan di indagare sui reali motivi che impediscono alle organizzazioni operanti a sostegno del Tibet l’accredito al vertice. Cusak ha inoltre accusato il segretariato della conferenza di Johannesburg di cedere alle pressioni cinesi dopo che Wang Yingfan, ambasciatore di Pechino presso le Nazioni Unite, in una lettera indirizzata al Segretario Generale si era opposto all’accredito di TJC affermando che "l’obiettivo primario del lavoro del gruppo mirava a separare il Tibet dalla Cina". Wang aveva altresì accusato l’organizzazione californiana di non avere contribuito in alcun modo allo sviluppo economico, sociale e culturale del Tibet.

Kofi Annan ha reso noto che il segretariato del summit, esaminato l’operato di TJC, lo ha trovato "importante per la conferenza" ma, al contempo, ha rilevato l’esistenza di "attività politicamente motivate, riguardanti il Tibet, non direttamente connesse alla questione dello sviluppo sostenibile".

Il giorno 30 maggio 2002 è stato ufficialmente negato l’accredito al WSSD anche al Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia, l’Organizzazione non Governativa con sede a Dharamsala. Ancora una volta la Cina ha impedito la discussione circa l’ammissione del gruppo presentando una mozione di non azione che ha ottenuto l’appoggio di 90 paesi tra i quali il Pakistan e Cuba. Stranamente assenti i rappresentanti di ben 50 paesi e 37 i contrari tra i quali gli Stati Uniti e, in rappresentanza dell’Unione Europea, la Spagna. u

ARRESTATO IMPORTANTE LAMA TIBETANO

Dharamsala,16 aprile 2002. Tenzin Delek Rinpoche, un alto lama tibetano appartenente al monastero di Nyachu, situato nella prefettura autonoma di Karze (Kham orientale), è stato arrestato dalla polizia cinese il giorno 7 aprile 2002, assieme ad altri quattro monaci, sotto l’accusa di avere progettato e organizzato l’esplosione di un ordigno lo scorso anno, a Chengdu. Samdhong Rinpoche, primo ministro del governo tibetano in esilio, in un comunicato ha deplorato l’arresto dell’importante religioso, definito "un fautore, da molti anni, della rinascita spirituale del suo paese", affermando che questo nuovo sopruso non farà che accrescere il risentimento dei tibetani. In realtà Tenzin Delek Rinpoche sconta la sua immensa popolarità e l’incrollabile fedeltà al Dalai Lama apertamente professata in molte occasioni. Nel mirino della polizia cinese per essersi rifiutato di riconoscere il "falso"Panchen Lama voluto da Pechino e per essersi prodigato a favore della popolazione locale, Tenzin era già stato minacciato d’arrestato nel 1997. La sua instancabile attività non era comunque mai cessata. u

SINGOLARE MANIFESTAZIONE ALL’ASSEMBLEA ANNUALE DI BP

Londra, 18 aprile 2002. Una dozzina di azionisti e di votanti per ricevuta procura si sono presentati all’annuale assemblea generale della British Petroleum travestiti da soldati cinesi. In queste insolite vesti hanno accolto con uno scrosciante applauso il discorso del presidente esecutivo, Lord Brown, al termine della sua esposizione sugli investimenti della compagnia inglese in Cina. Con questa insolita manifestazione, i "soldati dell’Esercito di Liberazione" hanno voluto ironicamente rendere edotta l’assemblea circa il sicuro apprezzamento del governo cinese per il costante contributo che la British Petroleum continua a fornire allo sfruttamento delle risorse naturali dell’altopiano tibetano. Come i lettori ricorderanno, BP è la maggiore azionista straniera della compagnia petrolifera di stato cinese PetroChina i cui progetti in Tibet e nel Turkestan orientale fanno parte del cosiddetto "Piano di Sviluppo delle Regioni Occidentali" volto a consolidare, secondo quanto affermato in un comunicato congiunto da Free Tibet Campaign e Students for a Free Tibet, "il controllo di Pechino in queste aree e a indebolire l’identità culturale e il nazionalismo dei tibetani e delle popolazioni uigure". Il comunicato, nel richiamare BP al rispetto di una speciale risoluzione adottata lo scorso anno da una parte degli azionisti con la quale veniva chiesto alla compagnia britannica di rinunciare agli investimenti con PetroChina, esprime altresì lo scetticismo dei due gruppi circa l’effettiva possibilità di BP a dare corso ai ventilati propositi di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani delle popolazioni locali interessate stante il suo attivo e crescente coinvolgimento con la compagnia cinese. u

IN UN VIDEO LA DISTRUZIONE DEL CENTRO MONASTICO DI SERTHAR

New Delhi, 18 aprile 2002. E’ stato presentato ai giornalisti, a New Delhi, un video della durata di dieci minuti che mostra le immagini della distruzione degli edifici del complesso monastico di Serthar da parte delle "squadre di lavoro"cinesi (vedi Tibet News Nr. 35, pag. 5 e Nr. 36, pag. 6). Il documentario è stato realizzato grazie alle sequenze trafugate da due monaci fuggiti da Serthar a piedi, attraverso l’Himalaya. Le immagini non lasciano adito a dubbi: armati di grossi martelli, picconi e sbarre di ferro, gruppi di volontari affiancati da personale di polizia paramilitare radono al suolo le abitazioni dei monaci e delle monache. Un religioso, intervistato, afferma che il 26 giugno 2001 arrivarono al monastero cinquanta camion "pieni di cinesi" che iniziarono a distruggere migliaia di case. Il video mostra inoltre alcune monache che rovistano tra le macerie delle proprie abitazioni alla ricerca dei loro effetti personali. "Mi sento tanto triste" – dichiara una delle religiose – "ho rinunciato alla mia famiglia per raggiungere il monastero e passare la mia vita negli studi religiosi. Quando sono stata espulsa mi sono sentita come un pesce lasciato a morire fuori dall’acqua".

Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha così commentato: "Il documentario smentisce completamente le affermazioni cinesi in materia di libertà di religione. Quest’anno, davanti alla Commissione Diritti Umani, la Cina è riuscita ad evitare una condanna ma di fronte a prove di questo genere il mondo non può continuare a chiudere gli occhi". u

IL PARLAMENTO TEDESCO ADOTTA UNA RISOLUZIONE SUL TIBET

Berlino, 18 aprile 2002. "I Diritti Umani e lo Sviluppo in Tibet": questo il titolo della risoluzione adottata dal parlamento tedesco nella quale si chiede al Congresso Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese di "avviare un negoziato con il Dalai Lama al fine di concordare uno Statuto sul Tibet che tenga conto del diritto dei tibetani all’autodeterminazione e garantisca loro ampia autonomia all’interno della Repubblica Popolare". La risoluzione, appoggiata da tutti i principali partiti della Repubblica Federale, sostiene la prosecuzione del dialogo tra l’Unione Europea e Pechino sulla questione dei diritti umani anche se "finora questo dialogo non ha consentito alcun progresso" in Tibet.

In particolare, a proposito della questione tibetana, definita "un problema sentito da tutti gli stati europei", la risoluzione "fa appello a tutti gli stati membri dell’Unione Europea e al Parlamento Europeo affinché, nei loro contatti bilaterali con la Cina, si adoperino perché, in tempi brevi, inizi un dialogo tra il Dalai Lama e la leadership cinese. Il parlamento tedesco ritiene tuttavia indispensabile per una soluzione duratura della vertenza un dialogo diretto tra le parti così come proposto in numerose occasioni dal Dalai Lama".

IL PRESIDENTE DEL CIO: LA CINA RISPETTI I DIRITTI UMANI

Londra, 24 aprile 2002. Nel corso di un’intervista rilasciata alla BBC, Jacques Rogge, il nuovo presidente del Comitato Olimpico Internazionale, ha dichiarato di ritenere che la Cina, dopo avere ottenuto l’assegnazione dei Giochi Olimpici dell’anno 2008, rispetterà la promessa di migliorare la situazione dei diritti umani. "Tuttavia" – ha proseguito – " il CIO è un’organizzazione responsabile e se la sicurezza, la logistica o il rispetto dei diritti umani non saranno conformi ai nostri standard, agiremo di conseguenza". Rogge, che ha preso il posto di Juan Antonio Samaranch, ha negato che lo scorso anno, a Mosca, il Comitato Olimpico abbia ignorato la situazione esistente in Cina e abbia deciso di premiare Pechino per aprire ai suoi sponsor un potenziale, vasto mercato. "Abbiamo chiesto alla Cina di migliorare al più presto la questione dei diritti umani" ha affermato il neo presidente, chiarendo però che il monitoraggio della situazione non spetta al Comitato Olimpico ma è compito di "specialisti", quali le Nazioni Unite e Amnesty International con i quali il CIO è frequentemente in contatto.

ESPLODE UNA BOMBA A CHENGDU

Londra, 25 aprile 2002. Si è appreso da Tibet Information Network che il 3 aprile una bomba rudimentale è esplosa a Chengdu, la città situata a est della regione nota come Kham, ferendo almeno una persona. L’agenzia Xinhua, nel confermare l’accaduto, ha reso noto che la polizia cinese ha effettuato alcuni arresti ma nulla è trapelato circa gli autori dell’attentato e i motivi del loro gesto. Secondo alcune voci, l’esplosione è opera di tibetani anche se non è esclusa la possibilità che gli attentatori siano lavoratori cinesi esasperati o praticanti di Falun Gong. Xinhua ha fatto sapere che uno studente di nome Zhang ha ricevuto una ricompensa di 20.000 yuan per avere fornito informazioni. T.I.N. ricorda che, in questi ultimi anni, nello Sichuan sono esplose almeno due bombe di cui una a Dartsedo, il 2 agosto 2001, e una seconda, nell’ottobre 1999, nella contea di Kardze. In quest’occasione fu arrestato Sonam Phuntsog, un monaco tibetano. Otto sono invece le esplosioni che si sono succedute a Lhasa negli ultimi sette anni.

CELEBRATA A DHARAMSALA LA "GIORNATA DEI MARTIRI"

Dharamsala, 29 aprile 2002. Il movimento Tibetan Youth Congress ha consacrato la giornata del 29 aprile al ricordo delle migliaia di martiri tibetani caduti per la causa dell’indipendenza del loro paese. La data prescelta coincide con il quarto anniversario della morte di Pawo Thubten Ngodup, l’eroe tibetano che, il 27 aprile 1998, a New Delhi, preferì immolare la sua vita cospargendosi di benzina e dandosi fuoco piuttosto che consegnarsi alla polizia indiana che, con la forza, voleva porre termine a uno sciopero della fame fino alla morte organizzato dai militanti della Gioventù Tibetana.

Ricoverato in ospedale con ustioni gravissime su tutto il corpo, Thubten Ngodup si spense due giorni più tardi. Per ricordarne il sacrificio assieme a quello di tutti coloro che si sono battuti per liberare il Tibet dall’oppressione cinese, è stata scoperta a Dharamsala una statua che lo raffigura. Nel corso della cerimonia, Tenzin Samphel, vice presidente di TYC, ha dichiarato, tra l’altro, che il recente rilascio di alcuni prigionieri politici tibetani, avvenuto in coincidenza con la visita in Cina di alte personalità del mondo politico straniero, altro non è se non un espediente con cui Pechino cerca di salvare la sua immagine di fronte alla comunità internazionale. Ne è prova il recente arresto di Tenzin Delek e di altri patrioti tibetani.

LHASA: DEMOLIZIONE DEI VECCHI EDIFICI TIBETANI

Lhasa, 29 aprile 2002. A partire dal 26 aprile è iniziata a Lhasa la demolizione di numerosi edifici costruiti in stile tradizionale tibetano. Ai residenti sono stati dati cinque giorni di preavviso prima di lasciare le abitazioni, assieme alla promessa di una "corsia" preferenziale nell’assegnazione dei nuovi appartamenti (peraltro più piccoli e con un maggiorato costo d’affitto) negli edifici di cemento armato destinati a sostituire le case tradizionali. Nel divulgare la notizia, Tibet Information Network ha reso noto che uno dei complessi edilizi si trova nell’area adiacente il tempio del Jokhang ed è sotto la protezione dell’UNESCO mentre un altro edificio di tre piani, vecchio di secoli, è situato nelle vicinanze del Lingkor. Alcuni residenti hanno chiesto alle autorità di non dare corso alla demolizione ma il loro appello non è stato accolto. Un portavoce dell’UNESCO, intervistato a Parigi, ha espresso la sua preoccupazione per la situazione ed ha affermato che l’organismo internazionale cercherà di intervenire prima che sia troppo tardi anche se non tutte le case destinate ad essere abbattute rientrano nella lista dei tesori "dell’Eredità Mondiale". E’ rilevante comunque ricordare che nel 2000 le autorità cinesi hanno espulso da Lhasa il "Fondo per l’Eredità del Tibet", un’organizzazione non governativa europea operante nel settore della preservazione del patrimonio architettonico e culturale tibetano.

La demolizione dei vecchi edifici rientra nel nuovo piano urbanistico, approvato dalle autorità di Lhasa, mirante a quadruplicare l’area urbana portandola dagli attuali 53 chilometri quadrati ai 272 previsti entro l’anno 2015. Il particolare accento posto da Pechino sullo sviluppo della città sta privilegiando il settore edilizio a detrimento della preservazione del patrimonio storico-artistico e dello "sky line" della città, già deturpato dalla costruzione di un edificio di tredici piani, a nord del Barkor, destinato a ospitare gli uffici della Pubblica Sicurezza e di un monumento alto trentasette metri, nella piazza del Potala, eretto per commemorare la "pacifica liberazione del Tibet".

Nel deplorare la distruzione degli antichi quartieri, il giorno 2 maggio 2002, Samdong Rinpoche, Kalon Tripa (primo ministro) del governo tibetano in esilio, ha così dichiarato: "Questi edifici sono non soltanto simboli storici. Sono testimonianze fisiche dell’eredità culturale tibetana. Poiché la Cina ha ratificato la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Culturale e Naturale, ha il dovere di garantire la protezione, la conservazione e la trasmissione alle future generazioni di quanto si trova sul suo territorio". u

L’UE FINANZIERA’ UN PROGETTO DI AIUTI IN TIBET

Lhasa, 30 aprile 2002. L’Unione Europea e la Cina hanno congiuntamente concordato, a Lhasa, il finanziamento di un programma di aiuti e riduzione della povertà di cui beneficeranno circa 40.000 abitanti della regione rurale di Bainang, in Tibet. Il programma si articola in nove progetti riguardanti principalmente i settori dell’istruzione, dell’assistenza medica e del rifornimento di acqua potabile. Il contributo dell’Unione Europea sarà di 7,6 milioni di Euro; la Cina investirà nel progetto 16,05 milioni di yuan (1,94 milioni di dollari).

LE AUTORITA’ DI LHASA AGEVOLANO IL RIENTRO IN PATRIA DEI TIBETANI

Londra, 1 maggio 2002. Il gruppo di informazione inglese Tibet Information Network ha reso noto che le autorità di Lhasa sembrano voler incoraggiare i tibetani in esilio a tornare nel loro paese. Secondo una disposizione dell’ambasciata cinese a Katmandu, è consentito ai tibetani che ne fanno richiesta di tornare in Tibet per un anno. La procedura dà seguito a dichiarazioni rilasciate i mesi scorsi dalle autorità della Regione Autonoma Tibetana che auspicavano un rientro in patria dei "compatrioti residenti all’estero per fare visita alla famiglia, ai parenti e agli amici, per rendere omaggio a Buddha o solamente per vedere il paese". L’ottenimento dei permessi, in vigore già negli anni ’80 e divenuto estremamente difficile negli anni ’90, prevede la concessione di un visto di entrata e di uno in uscita. I tibetani, tuttavia, temono che, allo scadere dell’anno di permanenza in Tibet, le autorità nepalesi non concedano loro l’autorizzazione ad attraversare il Nepal per rientrare in India, come ormai frequentemente accade a molti profughi (vedi Tibet News Nr. 36, pag. 10). Inoltre, in alcuni casi, l’ambasciata cinese a Katmandu condiziona il rilascio del permesso alla consegna del "Libro Verde", il documento rilasciato dal governo tibetano in esilio ai minori di 18 anni. Un giovane tibetano ha dichiarato a T.I.N. che non cederebbe mai il suo documento in cambio di un visto d’ingresso in Tibet perché questo gesto significherebbe la sua uscita dalla comunità dei profughi e un futuro incerto nelle mani dei cinesi.

CONTESTATA LA PRESENTAZA SHELL NEL TURKESTAN ORIENTALE

Londra, 15 maggio 2002. Con un comunicato stampa, Free Tibet Campaign ha annunciato che alcuni suoi rappresentanti saranno presenti all’annuale assemblea degli azionisti, che si terrà contemporaneamente a Londra e a Le Hague, e chiederanno alla compagnia petrolifera di salvare la propria reputazione abbandonando il progetto di partecipazione alla costruzione del gasdotto "Ovest-Est", nel Turkestan Orientale. Dopo febbrili trattative (vedi Tibet News Nr. 35, pag. 3), il gruppo Royal Dutch/Shell è a capo di un consorzio che dovrebbe affiancare la compagnia di stato cinese PetroChina nel piano di costruzione di un gasdotto che si snoderà per 4.000 chilometri dal bacino di Tarim, nello Xinjiang (Cina nord-occidentale), fino alla città di Shanghai. Il consorzio dovrebbe detenere il 45% delle azioni mentre il 90% del restante pacchetto sarebbe detenuto da PetroChina. I gruppi operanti a sostegno del Tibet (assieme a Free Tibet Campaign partecipano alla campagna anche International Campaign for Tibet, Milarepa Fund, Students for a Free Tibet e US Tibet Committee) si oppongono al coinvolgimento di Shell nel progetto sia per solidarietà con il popolo Uiguro sia perché PetroChina è impegnata in lavori di sfruttamento delle risorse naturali tibetane di gas.

Sebbene la compagnia sancisca, nei principi ispiratori del proprio operato, di "compiere i propri affari nel rispetto dei diritti umani e di tenere in debito conto la salute, la sicurezza e l’ambiente in conformità ai dettami dello sviluppo sostenibile", si teme che PetroChina possa chiedere a Shell di sottoscrivere l’accordo finale prima che l’azienda petrolifera possa concretamente verificare la compatibilità del progetto con i propri principi guida.

IL DALAI LAMA IN AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA

Melbourne, 20 maggio 2002. Con l’arrivo a Melbourne è iniziata la lunga visita del Dalai Lama in Australia e Nuova Zelanda, primo impegno ufficiale del leader tibetano dopo il periodo di assoluto riposo consigliatogli dai medici per riprendersi dai postumi della preoccupante infezione intestinale che lo ha colpito alla vigilia della celebrazione dell’iniziazione di Kalachakra lo scorso mese di gennaio, a Bodh Gaya. Mentre da Dharamsala giungevano confortanti rassicurazione sullo stato di salute di Sua Santità e sull’imminenza della sua partenza, l’attenzione dell’opinione pubblica si concentrava sul primo ministro australiano John Howard che, in visita a Pechino negli stessi giorni, è stato accusato di cedere alle pressioni cinesi e voler evitare qualsiasi incontro ufficiale tra il governo del suo paese e il capo tibetano. Il quotidiano The Age ha pubblicato la notizia che alcuni alti esponenti della delegazione Australia-Cina per il dialogo sui diritti umani avrebbero incontrato ufficialmente il Dalai Lama che, malgrado il grandissimo interesse suscitato dalla sua visita, non è stato ricevuto dal alcun membro del parlamento. In Nuova Zelanda, il 28 maggio, il leader tibetano è stato invece calorosamente accolto, a Wellington, dal parlamento e, trovandosi il primo ministro Helen Clark in Australia, ha incontrato il facente funzioni, Jim Anderton.

In una lunga intervista concessa a Radio Australia il 21 maggio, il Dalai Lama ha tra l’altro affermato che, malgrado l’assenza di ogni contatto formale tra Dharamsala e Pechino dal 1993, qualcosa all’interno della Cina sta cambiando. Intellettuali, scrittori e alcuni artisti iniziano a comprendere l’importanza del Tibet e della sua cultura. "Sebbene la dirigenza cinese mantenga una diversa opinione" – ha dichiarato -"queste nuove idee finiranno per avere ripercussioni anche sul regime, si tratta senza dubbio di segnali positivi".

DHARAMSALA SI CONGRATULA CON TIMOR EST

Dharamsala, 21 maggio 2002. Dopo 300 anni di occupazione portoghese, il 20 maggio 2002 Timor Est ha celebrato il ritorno all’indipenden-za. Per l’occasione, Samdhong Rinpoche, primo ministro del governo tibetano in esilio, ha inviato al presidente Xanana Gusmao le proprie felicitazioni. "Sono consapevole" – recita tra l’altro il messaggio - "delle importanti sfide che lei e la sua gente dovrete affrontare e vi auguro tutto il coraggio e la saggezza necessari. Sono certo che il suo lavoro e quello del suo governo si ispirerà ai principi del rispetto della lotta dei popoli per l’autodeterminazio-ne, dei diritti umani e della democrazia e si farà garante di tali principi anche nei confronti di situazioni simili alla vostra".

PECHINO RIFIUTA LE CRITICHE SULLE CONDIZIONI CARCERARIE IN TIBET

Pechino, 28 maggio 2002. Con la pubblicazione di ben nove rapporti nell’arco di una settimana, Pechino ha ricusato le critiche di maltrattamento dei prigionieri all’interno delle carceri tibetane. In risposta alle numerose lettere ricevute da organizzazioni internazionali e da membri del congresso degli Stati Uniti, Lu Bo, direttore della prigione di Drapchi, ha così dichiarato: "Nessun prigioniero, a Drapchi, è morto per cause non naturali o per mancanza di assistenza medica. Negli ultimi cinque anni abbiamo contato tra i nostri detenuti quindici decessi, tredici uomini e due donne, ma tutti sono mancati per cause naturali, principalmente per malattie cardiache o cerebrali". A sua volta, il vice direttore del carcere, Wang Huadong, ha affermato che il presidio medico all’interno della struttura è garantito da tredici dottori qualificati e che le cure ospedaliere sono paragonabili a quelle prestate da cliniche private. Ha inoltre stimato in un milione di yuan il costo annuale delle prestazioni sanitarie fornite gratuitamente ai prigionieri

I DIRITTI UMANI IN CINA NEL RAPPORTO ANNUALE DI AMNESTY

Londra, 28 maggio 2002. Anche quest’anno l’importante e atteso rapporto annuale di Amnesty International sulla violazione dei diritti umani nel mondo dedica una rilevante sezione alla Cina. In particolare, dopo avere rilevato l’eccessivo uso della forza da parte della polizia contro le proteste di operai e contadini, Amnesty denuncia la prosecuzione delle campagne contro le cosiddette "organizzazioni eretiche"quali la setta Falun Gong e alcuni gruppi cristiani. Circa 200 praticanti di Falun Gong sono morti in custodia a causa delle torture subite; altri sono detenuti arbitrariamente o sottoposti a sbrigativi processi. Il rapporto evidenzia inoltre l’imprigionamento di alcuni dissidenti, le restrizioni imposte ai giornalisti, agli organi mediatici e all’uso di Internet, il diffuso ricorso alla tortura e alla pena di morte che continua ad essere applicata in modo esteso ed arbitrario. Nel corso dell’anno 2001 sono state sentenziate 4015 condanne a morte: 2468 le esecuzioni, con un picco di 200 esecuzioni il giorno 21 aprile 2001 in seguito a massicci rastrellamenti compiuti in tutto paese allo scopo di "estirpare il male". Il rapporto prende inoltre in esame la situazione nella Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, nella Regione Autonoma Tibetana, nella Mongolia interna e nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong. Sono denunciate le esecuzioni sommarie, le torture, le detenzioni arbitrarie perpetrate nei confronti delle popolazioni uigure, il maggiore gruppo etnico, a maggioranza musulmana, dello Xinjiang con un particolare riferimento all’ondata di arresti ed esecuzioni, all’indomani dell’attacco dell’11 settembre negli Stati Uniti, di persone etichettate come "separatiste" e "terroriste".

Continuano le violazioni dei diritti umani in Tibet dove oltre 250 prigionieri di coscienza, molti dei quali monache e monaci, continuano ad essere detenuti. Alcuni monasteri sono stati chiusi e i religiosi espulsi. Dure le condizioni nelle carceri: i detenuti sono torturati e molti hanno problemi di salute a causa della malnutrizione, delle precarie condizioni igieniche, del duro lavoro e delle percosse loro inflitte.

SENATO USA APPROVA RISOLUZIONE SUL PANCHEN LAMA

Washington, 5 giugno 2002. Il senato degli Stati Uniti ha approvato una Risoluzione con la quale condanna la violazione dei diritti umani in Tibet, chiede il rilascio del Panchen Lama e sollecita l’inizio di un dialogo tra la leadership cinese e il Dalai Lama o i suoi rappresentanti. Il documento, presentato dal senatore Paul Wellstone il giorno 25 aprile, giorno del tredicesimo compleanno del Panchen Lama, era stato redatto con l’intenzione di far conoscere al vice premier Hu Jintao, nell’imminenza della sua visita nella capitale americana, la preoccupazione del congresso per le sorti del piccolo prigioniero politico.

SUMMIT DI ROMA: NULLA DI FATTO PER IL TIBET

Roma, 13 giugno 2002. Il problema di un adeguato sostentamento alimentare delle popolazioni nomadi tibetane ha ricevuto scarsa attenzione da parte dei rappresentanti dei governi riuniti a Roma per il vertice mondiale FAO. La situazione dei nomadi dell’altopiano tibetano è stata sollevata nel forum delle Organizzazioni Non Governative, svoltosi parallelamente al summit. Carol Samdup, portavoce di Canada Tibet Committee, ha così dichiarato: " La politica cinese di rendere stanziali i nomadi e di chiudere il bestiame in recinti minaccia non solo lo stile di vita tradizionale tibetano ma anche la conservazione delle diversità genetiche delle famiglie contadine".


CONFERITO A JETSUN PEMA IL PREMIO "DONNA CORAGGIO"

GRANDE FOLLA AGLI INCONTRI CON PASSANG E CHOYIN
Enorme interesse e grande affluenza di pubblico agli incontri organizzati dalla sezione italiana di Amnesty International assieme all’Associazione Italia-Tibet con Passang Lhamo e Choyin Kurzang, due giovani profughe tibetane recentemente fuggite dal Tibet, che hanno portato anche in Italia la testimonianza della loro drammatica storia e delle torture subite. In ognuna delle nove conferenze in programma (vedi Tibet news Nr. 36, pag. 1) tenutesi dal 17 al 25 febbraio, le loro parole hanno commosso le affollate platee e ricordato le continue sopraffazioni e gli abusi cui il popolo del Tibet è continuamente sottoposto. Il coraggio e la determinazione delle due giovani monache costituiscono un esempio della determinazione con la quale il popolo tibetano lotta per la propria libertà. La serie degli incontri, caratterizzati anche da un grande interesse mediatico, si è conclusa a Roma con una conferenza stampa alla quale hanno partecipato Paolo Pobbiati, responsabile del Coordinamento Estremo Oriente e Pacifico di Amnesty International e Piero Verni, presidente dell’Associazione Italia-Tibet. Entrambi hanno partecipato e condotto l’intera serie delle conferenze. Un particolare ringraziamento a Karma Chukey che, con grande disponibilità, ha superbamente svolto il lavoro di traduttrice.
CONFERITO A JETSUN PEMA IL PREMIO "DONNA CORAGGIO"
Brescia, 26 febbraio 2002. Jetsun Pema, direttrice generale della Tibetan Homes Foundation e sorella del Dalai Lama, è stata insignita a Brescia del premio "Donna Coraggio 2002" riconosciutole dal Comune assieme alla sezione locale dell’Associazione Nazionale Donne Elettrici "per la fermezza e l’impegno nell’affermare il diritto di vivere liberamente i propri diritti". Nel consegnarle la targa, il sindaco di Brescia Paolo Corsini l’ha definita "un altissimo esempio del coraggio di agire che ha in sé l’immenso potere di trasformare le cose". Jestun Pema ha dedicato il premio al popolo tibetano "che oggi non ha ancora una voce ma che ogni giorno continua a credere nei diritti umani e nella libertà di cui la Cina, che ci ha occupato, non ha rispetto. E’ importante poter far conoscere la causa tibetana perché crediamo fortemente in una soluzione pacifica del problema: non sarà la violenza a scacciare la violenza".Accompagnata dal marito, Tempa Tsering, Jetsun Pema, ricevuta da Roberto Cota, presidente del Consiglio Regionale, ha presenziato a Torino, il 28 febbraio, presso la sede del Consiglio Regionale, alla conferenza stampa di presentazione dell’Assemblea Costituente dell’ "Associazione dei Comuni, delle Province e delle Regioni per il Tibet", promossa dalla Regione Piemonte. I giorni 1 e 2 marzo si è recata a Bolzano dove, oltre ai soci locali dell’Associazione Italia-Tibet, ha incontrato il presidente della Provincia autonoma Luis Durnwalder. Nel corso dell’incontro sono state delineate nuove forme di aiuto ai rifugiati tibetani; in particolare, la Provincia favorirà la formazione di tre studenti tibetani che saranno ospitati in Alto Adige e fornirà aiuto ai nuovi centri di accoglienza dei profughi in esilio.
COSTITUITA L’ASSOCIAZIONE DEI COMUNI, PROVINCE E REGIONI PER IL TIBET
Torino, 9 marzo 2002. Su iniziativa della Regione Piemonte e con l’adesione dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), si è tenuta a Torino, presso l’Aula del Consiglio Regionale del Piemonte, l’Assemblea Costitutiva dell’Associazione delle Regioni, delle Province e dei Comuni per il Tibet. Hanno finora aderito tre regioni (Basilicata, Lombardia e Piemonte), sei province (Alessandria, Asti, Cuneo, Lucca, Pavia e Vercelli) e centootto comuni di cui otto capoluoghi di provincia.
Nella sessione mattutina, nel corso della quale hanno tenuto i loro interventi, tra gli altri, Giampiero Leo, Assessore alla Cultura della Regione Piemonte, Olivier Dupuis, Segretario del Partito Radicale Transnazionale, deputato europeo e promotore della risoluzione sul Tibet al Parlamento Europeo, e Gianni Vernetti, deputato e portavoce del costituendo Intergruppo Parlamentare per il Tibet, è stato illustrato l’impegno delle istituzioni europee a sostegno della causa tibetana. Nella sessione pomeridiana l’Assemblea si è proposta l’obiettivo di coinvolgere altri enti locali nella campagna "Una bandiera per uno status di reale autonomia per il Tibet", caratterizzata dall’approva-zione di ordini del giorno sulla questione tibetana e dall’esposizione permanente di centinaia di bandiere tibetane nelle sedi istituzionali di comuni, province e regioni.Nella dichiarazione di costituzione dell’Associazione, i comuni, le province e le regioni hanno richiamato e fatto proprio "l’invito del Parlamento Europeo agli stati membri dell’Unione Europea, espresso nella risoluzione del 6 luglio 2000, di riconoscere, sotto l’egida del Segretario generale delle nazioni Unite, il governo tibetano in esilio come legittimo rappresentante del popolo tibetano qualora le autorità di Pechino continuassero a rifiutare negoziati". L’Associazione ha inoltre deciso di organizzare una campagna di gemellaggio tra i comuni italiani e quelli che, in India, ospitano profughi tibetani, a cominciare da Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio, e di promuovere la propria attività in sede europea. Nella seduta pomeridiana sono intervenuti Claudio Tecchio, coordinatore della "Campagna di solidarietà con il popolo tibetano", Ciampa Tender, responsabile europeo di Tibet Humanity Organisation e Piero Verni, presidente dell’Associazione Italia-Tibet.

GIORNATA DI SOLIDARIETA’ CON IL TIBET
Roma, 10 marzo 2002. Per commemorare il 43° anniversario dell’insurre-zione di Lhasa del 10 marzo 1959, l’Associazione Italia-Tibet ha organizzato a Roma, presso l’Hotel Nazionale, una giornata di solidarietà con il Tibet. L’incontro è iniziato alle ore 10 con un discorso introduttivo di Carmen Leccardi, vice presidente dell’Associazione Italia-Tibet. Dopo la lettura dei messaggi dell’onorevole Gianni Vernetti, coordinatore del Gruppo Interparlamentare per il Tibet (la cui costituzione sarà ufficialmente annunciata nel mese di maggio), e di Claudio Tecchio, responsabile della Campagna di Solidarietà con il Popolo Tibetano, Dechen (in rappresentanza delle donne tibetane in Italia) ha dato lettura, con grande commozione, del messaggio per il 10 marzo dell’Associazione Donne Tibetane. E’ seguito l’intervento di Lama Jimpa, presidente della comunità tibetana in Italia, che ha sottolineato la necessità del lavoro congiunto di tutti i gruppi, senza dispersione di energie. Per l’Associazione Italia-Tibet, Piero Verni ha rilevato l’importanza della costituzione dell’Associazione delle Regioni, Province e Comuni per il Tibet e dell’Intergruppo Parlamentare, segnali, entrambi, di un positivo passo in avanti. Ha inoltre auspicato contatti continuativi con tutte le realtà in grado di contribuire alla destabilizzazione della Cina, a cominciare dai rappresentanti di Falun Gong e le istituzioni. La sessione mattutina dell’incontro si è conclusa con un dibattito e interventi liberi.Nel pomeriggio sono stati proiettati due documentari sul Tibet e, con l’intervento di un rappresentante romano di Amnesty International, è stato presentato il libro "La prigioniera di Lhasa" (casa editrice Fandango), dedicato a Ngawang Sangdrol.

DELEGAZIONE DELLA PROVINCIA DI MILANO A DHARAMSALA
Dharamsala, 28 marzo 2002. Il presidente della Provincia di Milano, Ombretta Colli, accompagnata dai consiglieri Gian Mario Vitali ed Enrico Fini, è stata ricevuta a Dharamsala da Jetsun Pema e dai bambini del locale Tibetan Children Village. I membri della delegazione milanese hanno voluto prendere personalmente contatto con questa istituzione che, dall’inizio degli anni ’60, fornisce ai piccoli profughi assistenza ed istruzione. Hanno inoltre preso visione dei lavori di costruzione del nuovo complesso di Selakui, a Dhera Dun (Uttar Pradesh), che, graz

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