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Lawrence Ferlinghetti, in carcere l’immaginazione
by Aldo Nove Friday, Oct. 14, 2005 at 10:40 PM mail:

Lawrence Ferlinghetti, in carcere l’immaginazione di Aldo Nove

Lawrence Ferlinghett...
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«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche / trascinarsi per strade di negri in cerca di pere rabbiose, / hipsters dalla testa d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte»...: questi i versi più famosi della raccolta di poesie Urlo di Allen Ginsberg, edito da Lawrence Ferlinghetti, assieme allo stesso Ginsberg e a Gregory Corso il più grande rappresentante della Beat Generation.

Fu proprio per questi versi, per questo libro, che Lawrence Ferlinghetti, che ne fu editore, venne arrestato: eravamo a San Francisco, alla fine degli anni Sessanta. Allora, una generazione in rivolta provava a inventare nuovi mondi, attraversando inferni e improvvisando paradisi.

Nel cuore pulsante di un’America ricca di fermenti creativi. C’erano gli hippy e chi ne era scandalizzato. Lo scandalo era la reazione di una nazione benpensante a chi infrangeva le regole del perbenismo andando incontro al presente, "urlandogli" addosso tutta la propria vitalità. Lo scandalo era una diversità voluta ed ostentata, un rifiuto che diventava arte e dissoluzione, ma anche bellezza e insomma vita. Era un altro mondo. E’ pensando a quegli anni, a quegli avvenimenti che fa impressione il recente arresto di Ferlinghetti a Brescia, dove l’ormai anziano poeta è stato scambiato per un "extracomunitario" Possiamo chiederci: "scambiato in che senso"?

Un americano è un extracomunitario. E’ stato detto che ogni poeta è "ebreo, negro e comunista". Potremmo aggiungerci anche "palestinese", ad esempio, o gay o, appunto, "extracomunitario". E’ la diversità a essere respinta. Ma oggi più che mai la diversità che viene rifiutata (e quindi, letteralmente: arrestata) è quella marginale, marginale rispetto alla globalizzazione. Al centro del mondo sta il capitale, lo sappiamo tutti.

Ai margini, sull’orlo del baratro, dove se ti ci ritrovi c’è sempre un’autorità spinta a farti cadere, ci stanno gli estranei al capitale, del resto attratti verso di esso perché non sono dati altri mondi. Perché c’è un mondo solo e tutti gli altri ne stanno fuori e non importa se tutti gli altri sono la stragrande maggioranza degli esseri umani. Banale. Lezioso. Vero. Ecco, il recente "incontro" (sotto forma di arresto) della cultura beat con il leghismo razzista (sembra un delirio, è infatti lo è) è emblema di questa impossibilità.

Ad essere arrestata, e da tempo incarcerata, è l’immaginazione, vampirizzata dalle corporation. Se viviamo sognati dalla Nike e dalla Coca-Cola cosa ce ne facciamo dei poeti e degli extracomunitari? Sono eccedenze inutili e fastidiose. Appena un po’ fastidiose, ma che vanno tolte di mezzo. E’ prossimo l’anniversario della morte di Pasolini. Lo viviamo con commozione ma anche con profondo imbarazzo, con amarezza. Pasolini ci manca anche perché oggi non c’è nessuno che si avvicini alla sua statura di figura capace di guardare diversamente il mondo.

Allo stesso tempo, ci chiediamo se sia possibile farlo, in un sistema rodatissimo di comunicazioni bruciate e autoreferenziali, dove non si riesce più a distinguere il festino letale di Lapo dalle lacrime di Enzo Paolo Turci sull’isola dei famosi. Le dicerie sulle preferenze sessuali del ministro Calderoli dal problema se Eva Henger si sia davvero pentita o meno di essere stata una pornostar, con qualche ciclone di mezzo e un pochettino di Iraq, un tanto al giorno ma non troppo chè ci siamo annoiati. Tutto in un unico flusso freddo e smagliante e disumano.

Cosa c’entra, allora, in tutto questo, Lawrence Ferlinghetti? Nulla. Non c’entra nulla. E’ davvero un extracomunitario. E’ fuori dal gioco. Il gioco nostro non ha senso e continua, ripete se stesso all’infinito, si annoia e si moltiplica espandendosi di volume. Volume degli affari, indici di ascolto. Ferlinghetti, come Corso e gli altri poeti della Beat Generation, ha attraversato il mondo in autostop. Provate oggi a fare l’autostop.

Vi è capitato di recente di vedere qualcuno fare l’autostop? Non si fa più. E’ una modalità di trasporto, ma anche di relazionarsi con il mondo, che implica una disponibilità all’incontro. O allo scontro. Oggi siamo troppo terrorizzati per poterla anche solo pensare. Ferlinghetti girava per le città storiche d’Italia con uno zaino, un paio di mutande, una scatola di tonno, un libro... Immaginatevi oggi una figura di questo genere.

Semplicemente è stata cancellata. Non è pensabile. Non la si suppone e non si pone. Non c’è. Dal beat al bite al megabite al gigabite e ancora implementando il flusso del know how della disumanità. Ben arrivato al potere, Business Assoluto. Arrivederci, immaginazione.

http://www.liberazione.it/giornale/051014/default.asp


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