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sul senso dell'occupazione
by dalla Statale Monday, Oct. 31, 2005 at 12:36 PM mail:

sul senso dell'occupazione

Sul senso dell’occupazione

Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
(Eugenio Montale)


Se l’attuale occupazione dell’Università Statale di Milano si riduce ad una protesta (finora sostanzialmente inoffensiva consumandosi in un lungo weekend di vacanza) contro il ddl Moratti (peraltro già approvato), essa è priva di senso.

Che senso avrebbe combattere contro la precarizzazione del racket dei privilegi, posto che solo ad una bassissima percentuale di studenti si apriranno le strade della ricerca? Tutti sanno infatti che pochissimi vi hanno accesso, che l’immissione nella ricerca è spesso legata a rapporti di parentela o a cordate di potere, che senza una connivente partecipazione alla spartizione di potere operata dai baroni universitari è difficile anche solo avere un posto per un dottorato. Una lotta degli studenti in difesa di questo stato delle cose sarebbe come un’ipotetica convergenza d’interessi del Terzo Stato con lo statuto dei ceti privilegiati: evidentemente, un non-senso (per quanto di simili episodi non sia priva la storia). Sguardi, affetti e commenti che circolano nei corridoi manifestano questa percezione diffusa ed esprimono un’esigenza per quel senso per ora assente. Non avranno mica ragione i giornalisti?

Bene: se il senso non è già dato, potrà essere creato.

È dunque piacevole che oggi risuoni la buona novella: il senso non esiste. Esso deve essere creato (Gilles Deleuze)

La creazione di senso può avvenire all’interno di un’esperienza di spazi e tempi liberati. E con ciò intendiamo il fatto elementare che, se quest’occupazione si doterà di un significato, quest’ultimo avrà anzitutto un carattere immanente: sarà cioè irriducibile a forme di rivendicazione più o meno efficaci. Già ci possiamo immaginare i funzionari dell’apparato, coadiuvati dalla canea giornalistica, presentarsi e chiedere: “bene, che cosa chiedete?... Sì, certo se ne può discutere, mandateci dei delegati”... E tanti saluti, la festa è finita! Ma non prima di aver eseguito l’ultimo compitino: l’approfondimento sul ddl Moratti...

No! Il senso dell’occupazione risiede anzitutto nel semplice gesto del prendere. A dispetto della parola, l’occupazione è una liberazione, anzitutto, di una porzione di spazio-tempo della nostra esistenza e della “nostra” città: una liberazione che risiede nel prendere, non nel chiedere; nell’autorganizzazione, non nella delega e nella rivendicazione. E questo gesto è sintomo di un’eccedenza vitale, di un’esuberanza dei desideri, di un’esigenza tracotante che agonizza quotidianamente nei percorsi preformati dell’esistente. Costantemente intimorita per un futuro incerto, quotidianamente avvelenata nei polmoni come nelle menti, sistematicamente indotta ad un’esistenza sempre più privata (privata di diritti, di possibilità, di gioia, ma anche privata da forme di socializzazione orizzontali e non prefabbricate), è questa vita offesa a poter esplodere: nella gioia e nella danza, nello studio e nella lotta, una vita che vuole solo riprendere se stessa. Non importa sapere che cosa si è e che cosa si vuole; sufficiente è sapere ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
E proprio per essere manifestazione di quest’eccedenza, il senso dell’occupazione, sebbene indifferibile, potrà essere fedele a se stesso solo se saprà non ridursi a qualsivoglia schema identitario, foss’anche quello dello studente, foss’anche quello dell’universitario.

...sotto la forma-studente sonnecchia sempre una forma-di-vita pronta a ribellarsi contro il suo annichilimento...facciamo in modo che essa si risvegli...


singolarità qualunque

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