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[NoTav] Le radici della protesta in Val Susa
by eco del chisone Wednesday, Nov. 09, 2005 at 10:17 AM mail:

Il no all'alta velocità mette in luce le contraddizioni di uno sviluppo "insostenibile" Le radici della protesta in Val Susa Un no che unisce un'intera popolazione - Il 16 sciopero generale

A pochi chilometri dalle valli olimpiche pinerolesi c'è un'altra valle olimpica in pieno subbuglio, la Val Susa. È esplosa la questione Tav, la sigla che sottintende la linea ad alta velocità. Quel mostro, o quel gioiello, a seconda dei punti di vista, che molti di noi in questi ultimi anni hanno visto piano piano avanzare percorrendo l'autostrastrada Torino-Milano. Adesso quella grande trincea fatta di cemento, acciaio, cavi e plastica dovrebbe penetrare nella Val Susa, entrare per decine di chilometri nelle sue viscere e infine raggiungere la Francia.

Sul piatto da una parte anni di lavoro assicurato, 21 miliardi di euro da spendere, opere di mitigazione a favore della valle e la promessa di un grande sviluppo, dicono a Bruxelles, per l'intera Europa. Dall'altra una popolazione, quella valsusina, quasi la totalità, che dice no insieme ai suoi sindaci, in gran parte di sinistra ma non solo. Un no ai rischi ambientali insiti nell'opera, un no a trasformare la valle in un cantiere per almeno dieci anni e al rischio di malattie da amianto.

Un no fatto di tante sfumature. Un no che da dieci anni ormai cova sotto la cenere: lo avevamo visto con i nostri occhi nei giorni del Giro d'Italia, quando la protesta dei "No Tav" si era intersecata con quella contro l'asfalto spalmato sul Colle delle Finestre.

Un no generalizzato che sia la destra che la sinistra istituzionale hanno pensato troppo in fretta di liquidare come una presa di posizione ideologica di alcune frange di "ambientalisti estremisti”. Ancora lunedì il ministro Lunardi, novello Sarkozy, liquidava la pacifica manifestazione di migliaia di valsusini, di ogni ceto sociale e di ogni età, che dicevano no al Tav, ma anche dei pacchi bomba, come «una fiaccolata di gente che non ha meglio da fare per passare il tempo». Una provocazione di chi evidentemente non ha capito niente della lezione che ci arriva dalla Francia in fiamme.

Don Gianluca Popolla, giovane sacerdote d'origine pinerolese (ha vissuto a Luserna e poi a Pinerolo fino alla maturità liceale), parroco del piccolo Comune di S. Giorio, ad un passo dall'imbocco del grande tunnel, non è certo un perdigiorno, eppure anche lui ha sfilato in corteo. Spiega così quanto sta accadendo: «In questi giorni assistiamo ad una mobilitazione diffusa da parte di persone di ogni età, professione, orientamento politico: dai bambini ai nonni. La manifestazione di sabato scorso ha confermato la volontà di porre un argine invalicabile nei confronti del tentativo di violenza e provocazione. È stato un moto spontaneo e collettivo, non organizzato da qualche soggetto politico in particolare. E tra la gente, accanto all'opposizione al progetto, si avverte serenità, non un atteggiamento di ostilità».

In questi giorni, insieme alla necessità di mantenere ferma la protesta si avverte la preoccupazione di impedire che qualcuno si faccia tentare dalla via dell'illegalità. Rifondazione comunista, tra i principali oppositori del progetto Tav, ha fatto tornare in fretta e furia da Roma, dove partecipa come membro alla segreteria nazionale, il pinerolese Paolo Ferrero nel tentativo di gestire la protesta evitando derive pericolose. Da lui l'invito soprattutto agli organi di stampa locali a capire le ragioni di questa mobilitazione. «In questo momento una corretta informazione e la lotta estesa e non violenta - avverte - costituiscono la via maestra per sconfiggere la logica dei pacchi bomba e dei volantini farneticanti».

La Curia valsusina ha diffuso un documento in cui illustra più ampiamente il contesto in cui si cala la questione Tav: «La comunità credente e la collettività s'interrogano sul modello di sviluppo. È questo il punto chiave, la premessa alla domanda: quanto una comunità locale interagisce rispetto alla comunità globale?». Don Popolla ci tiene a sottolineare: «Questa valle è stata da sempre accogliente, di qui è passato il cammino culturale d'Europa. Per questo non c'è alcun desiderio di boicottaggio rispetto alle Olimpiadi. Sarebbe un boomerang. Semmai i Giochi sono un'occasione unica per sottolineare potenzialità culturali e turistiche. Riecco la domanda sul modello di sviluppo».

Dunque a muovere la protesta della Val Susa non è solo la paura dell'amianto, ma soprattutto la volontà di non subire ancora una volta passivamente il depauperamento ambientale della valle. E se il centro-destra non fa fatica a contrapporre a questa esigenza la supremazia della necessità di «dare una risposta ai problemi infrastrutturali del Paese», la sinistra si trova a fare i conti con le sue contraddizioni. Da una parte la posizione intransingente di Mercedes Bresso e Chiamparino, dall'altra il sostegno convinto alla protesta di alcune componenti della maggioranza in Regione, in particolare Verdi e Rifondazione.

Il 16 novembre la Val Susa si fermerà per uno sciopero generale di protesta contro il Tav. Quel giorno la sinistra inevitabilmente si spaccherà tra chi aderirà alla manifestazione e chi no. Non ci saranno la Bresso, Chiamparino, Saitta, che ritengono essenziale l'opera sia dal punto di vista delle infrastrutture, sia per la ricaduta dell'investimento sul territorio, ma nemmeno i sindacati. Ci saranno invece Rifondazione e Verdi. Ancora Paolo Ferrero: «Invitiamo tutti a partecipare alla manifestazione; ci sono ragioni più che sufficienti per ritenere irrealizzabile quest'opera». Enrico Moriconi, esponente dei Verdi in Consiglio regionale, avverte: «Ancora una volta ci dividiamo tra chi anche nella sinistra pensa che non si possa progettare un futuro diverso e chi invece non vuole piegarsi alle logiche dei grandi potentati economici. Oggi ci si ostina a non capire che il Tav è un'opera dispendiosa e inutile perché le industrie non la utilizzeranno mai per trasportare le loro merci. Allo stesso modo dovremmo domandarci il senso di tante opere olimpiche, delle aree industriali che nascono come funghi senza un minimo di coordinamento, alle grandi trasformazioni su settori come acqua e rifiuti, decise senza coinvolgere e nemmeno informare la gente: la politica ha rinunciato al suo ruolo di mediazione tra diversi interessi e adesso i nodi arrivano al pettine».

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