Pienamente riuscito lo sciopero generale contro il Tav. Una tappa importante nella lotta contro il treno della morte. Prossimo appuntamento: il blocco dei lavori che dovrebbero prendere l'avvio entro il mese a Venaus. La Resistenza continua.
Grandissima manifestazione popolare. Chi dice 70.000, chi arriva ad azzardare centomila. Lo sciopero ha bloccato interamente la Valle: solo i treni passavano e, rallentando al massimo nei punti in cui la ferrovia corre parallela e vicina alla strada, i macchinisti fischiavano a lungo mentre dai finestrini i passeggeri salutavano a pugno chiuso e sventolando bandiere No-Tav. Tutte le fabbriche della valle (5.000 addetti), tutti gli esercizi commerciali, compresi bar e distributori, tutte le scuole, uffici postali, banche, officine artigiane, allevamenti, erano chiusi. Sulle porte dei negozi bandiere e cartelli No-Tav e la scritta: “Per una valle viva, oggi sciopero: No Tav”. Il divieto imposto dalla Commissione di garanzia che aveva intimato alla CUB di revocare lo sciopero è stato ignorato dai valligiani che hanno scioperato sia nel privato dove non esistono limitazioni sia nel pubblico, dove le leggi antisciopero vengono usate come una clava per reprimere i movimenti sociali. La decisione della CUB di ignorare la richiesta di revoca dello sciopero ha incontrato ampia solidarietà. Anche nei confronti dei vigili del fuoco, la cui adesione alla giornata di lotta è stata all’insegna del rifiuto della militarizzazione del corpo, non sono mancate le provocazioni. La questura ha infatti richiesto il loro intervento per liberare da chiodi la strada che conduce al Seghino, il sito ove era stata portata nottetempo una trivella per i sondaggi. I vigili hanno seccamente rifiutato dichiarando che la gestione dell’ordine pubblico non rientra tra le loro competenze che sono di soccorso alla popolazione. Lungo le strade della Valle i cartelli, gli striscioni, le bandiere erano dappertutto. Significativa la volontà di respingere al mittente le provocazioni di Pisanu e di Lunardi. Numerosi i cartelli ironici in cui si stigmatizzava la frase del ministro sui “pelandroni” della Val Susa che perdono tempo a manifestare e quelli contro il tentativo di criminalizzazione della lotta in Valle. Non sono mancati i politici di professione venuti alla marcia a caccia di consensi ma la loro presenza non era che un elemento di contorno in una giornata i cui grandi protagonisti sono stati i valligiani e le tante persone solidali accorse soprattutto dalla provincia e dal resto del Piemonte. Ferma e chiara l’opposizione ad un progetto di morte e la resistenza contro uno Stato che non solo ignora la volontà popolare ma arriva brandendo manganelli, esibendo scudi, caschi e fucili sparalacrimogeni. Non si contavano gli striscioni contro l’occupazione militare della valle, contro l’imposizione violenta della trivella a Seghino di Mompantero entrata provocatoriamente in funzione il giorno prima dello sciopero generale. Andata letteralmente a ruba la lettera aperta al Presidente della Comunità montana Bassa Val Susa, Antonio Ferrentino, da noi diffusa in migliaia di copie alla manifestazione. Nella lettera veniva denunciata l’esplicita criminalizzazione degli anarchici da parte di Ferrentino che, in un’intervista al quotidiano “La Stampa”, aveva insinuato che dietro al pacco contenente esplosivo fatto rinvenire sulla statale del Moncenisio e i proiettili inviati alla governatore Mercedes Bresso, non ci potessero essere che gli anarchici, gli stessi che si erano permessi di criticare pubblicamente le scelte di chi, come lui, si è prodigato nella ricerca di improbabili scorciatoie istituzionali. Di fatto la criminalizzazione degli anarchici è il preludio al tentativo di criminalizzare la resistenza della popolazione al TAV. Non a caso Ferrentino ha provato a contrapporre lo sciopero alla pratica dei blocchi dei cantieri, delle strade e della ferrovia. In questo modo ha, nei fatti, condannato le pratiche che hanno consentito sinora di tenere fuori dalla valle il TAV. Il gioco di Ferrentino e di chi come lui ha tentato di gettare ombre sulla lotta contro il Tav, è sinora fallito. Nonostante l’allarmismo dei giornali e dei politici, allarmismo che ha giustificato l’imponente dispiegamento di tutori del disordine statale, lo spezzone di corteo in cui sono sfilati gli anarchici con i loro striscioni e bandiere è stato accolto con la consueta simpatia sia alla partenza della marcia da Bussoleno sia all’arrivo a Susa. La giornata del 16 novembre ha sicuramente rappresentato una tappa importante nella lotta contro il TAV, quella nella quale i valsusini hanno detto chiaro e forte che non vogliono che la valle divenga un corridoio per treni superveloci che collegano periferie anonime attraversando un deserto. Ma una tappa è una tappa non è ancora l’intero viaggio. La meta è ancora lontana. In regione i politici di ogni colore sono nettamente schierati per il TAV e l’hanno pubblicamente ribadito in questi giorni. Dall’incontro del 14 novembre tra la presidente della Regione Bresso, il presidente della Provincia Saitta, il sindaco di Torino Chiamparino e Ferrentino è emerso in modo chiaro che l’unica preoccupazione degli amministratori piemontesi è arrivare alle Olimpiadi di febbraio ed alle elezioni di aprile senza conflitti in corso. In questi giorni cercheranno di inventare un compromesso che consenta di dilazionare nel tempo la questione TAV per rendere meno aspro lo scontro con la gente della Val Susa. Naturalmente Lunardi e la sua cricca, come già è avvenuto nell’ultimo mese, potrebbero decidere di scompaginare ancora una volta le carte, tentando un’ulteriore azione di forza. Questi i giochi della politica. Fuori, in valle come a Torino, spetta alla gente tenere saldamente in mano quello che hanno conquistato con la loro lotta: la facoltà di decidere da se del proprio destino, affrontando, se necessario, la repressione dello Stato. Il prossimo banco di prova potrebbe essere molto presto. Entro fine mese è previsto un nuovo tentativo di LTF, il general contractor che ha in appalto questa tratta dell’Alta Velocità, di prendere possesso dei terreni di Venaus per far partire i lavori della galleria di ispezione. In valle è chiaro a tutti che non saranno certo le mediazioni politiche a bloccarli. Solo l’azione diretta popolare e di massa può fermare il treno della morte.
Resistere al Tav si può. Sulla vita, la salute e la libertà della gente non si tratta!
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