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In onda i pestaggi del San Paolo
by dal manifesto Saturday, Feb. 18, 2006 at 1:05 PM mail:

In aula il video delle botte. Carabiniere conferma i «cordoni».

La telecamera a tratti sobbalza, ma la ripresa è nitida, si sentono rumori, urla, si vedono lampeggianti di «volanti» e «gazzelle», poliziotti, carabinieri. Infine una rincorsa, che si conclude con un ragazzo bloccato, buttato a terra da un carabiniere e un poliziotto e preso a calci e manganellate, ripetutamente. Nel corso dell'udienza di ieri al tribunale di Milano per i fatti del San Paolo seguiti all'omicidio di Davide «Dax» Cesare nella notte del 16 marzo 2003 e per i quali sono sotto processo quattro appartenenti ai centri sociali (per resistenza e lesioni) e due carabinieri e un poliziotto (per abuso d'ufficio, percosse, lesioni personali, e «porto di armi od oggetti atti ad offendere» per il carabiniere visto con la mazza da baseball in mano) è stato il turno del video che inchioda due degli imputati e più in generale l'intero operato delle forze dell'ordine presenti quella sera. Il filmato - girato da un abitante di una casa di fronte al pronto soccorso - arriva al termine degli esami dei testi del pm, durante i quali è emerso un quadro chiaro dei fatti, ribaditi in alcuni particolari processuali ieri dal carabiniere Massimiliano Musica, che ha confermato «i cordoni» con cui vennero effettuate le cariche fuori e dentro il pronto soccorso, negati invece dalle difese di poliziotti e carabinieri, più propense a suggerire alla corte che vi fu qualche «eccesso» e niente più. L'esame degli agenti giunti sul posto aveva già confermato il problema della «catena di comando» (non c'erano funzionari, arrivarono solo a mattanza finita) che si risolse con le iniziative dell'allora tenente dei carabinieri Marco Iseglio, oggi capitano a Porto Torres, così come le testimonianze dei medici e infermieri presenti - considerati come testi più attendibili dalla corte - avevano confermato le scene di violenti pestaggi all'interno della struttura, a fronte di nessuna resistenza o lancio di oggetti da parte degli attivisti.

Ieri è stato anche il turno delle dichiarazioni spontanee degli imputati dei centri sociali. «Gli agenti ci deridevano, gli urlammo di andarsene», hanno ripetuto i quattro attivisti, «si muovevano alla ricerca di una vittima: ho visto una mia amica mentre veniva massacrata, tirata per i capelli e sbattuta con la testa contro la porta». Alla fine, oltre alla disperazione si ricordano alcune frasi: «"Li abbiamo scassati", dicevano le forze dell'ordine, "gli abbiamo fatto paura"». Le loro dichiarazioni sono state ascoltate molto attentamente dalla corte, specie quando hanno proposto un mutamento di prospettiva sulla lettura dei fatti, ricondotti in un ambito politico più generale: «Troppo corporativo il modello organizzativo, largamente inapplicata la legge di riforma del 1981: tutte condizioni che provocano l'ostracismo delle soggettività democratiche interne alle forze di polizia». Un'attenzione suffragata dalla necessità dei «centri sociali» di «uscire dal ghetto» e affrontare in modo lucido e disincantato le problematiche dei rapporti con le forze di sicurezza. Il 23 febbraio, sarà il turno degli imputati delle forze dell'ordine. La sentenza è prevista il 23 marzo.

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