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Essere kurdi dopo Genova (2): deportati in Turchia!
by Dino Frisullo Monday, Aug. 13, 2001 at 7:09 PM mail: dinofrisullo@libero.it

"Che sarà di noi profughi, in quest'Italia?" disse il giovane kurdo a Brignole. La seconda risposta viene da Malpensa: non un'espulsione come tante, ma una cambiale pagata dal nuovo governo all'alleato d'oltre Bosforo. Una sfida al diritto d'asilo, una sfida a tutti noi: quei dodici giovani detenuti a Istanbul devono tornare!

A quattro giorni dall'espulsione in Turchia di Halil Ucar (o Ugar?), suo fratello in Inghilterra non ha ancora ricevuto notizie dalla famiglia. Vuol dire una cosa precisa: Halil è in prigione. Nel centro di detenzione dell'aeroporto o, peggio, nel famigerato "Mudurluluk", il centro di tortura della polizia di Istanbul. Con lui sono detenuti, presumibilmente, tutti o gran parte dei dodici cittadini turchi deportati il 7 agosto dal centro di detenzione Regina Pacis all'aeroporto di Malpensa, e il giorno dopo in Turchia.

E' la prima volta che l'Italia adotta apertamente la procedura di espulsione collettiva e sommaria verso la Turchia, comunemente usata da Germania, Belgio, Olanda e altri paesi europei. Lo scrittore Guenther Grass, aprendo a Strasburgo la Conferenza contro la discriminazione e il razzismo del Consiglio d'Europa nello scorso ottobre, denunciò a gran voce, insieme al perdurante bando del Pkk e delle altre organizzazioni kurde in Germania, la deportazione in Turchia di oltre sedicimila profughi in tre anni. In luglio tre kurdi erano al secondo mese di sciopero della fame contro l'espulsione nel centro di detenzione di Buren. Il governo tedesco è in grande imbarazzo da quando la tedesca ProAsyl e l'Associazione turca per i diritti umani hanno provato che i rimpatriati vengono fermati, interrogati, spesso torturati e detenuti: per dieci di loro le Corti tedesche hanno dovuto revocare (tardivamente) i decreti di espulsione, e nel caso di Huseyin Soydut, padre di due figlio, espulso nel giugno '99, hanno dovuto concedergli l'asilo quando, rientrato in Germania, ha mostrato i segni di 45 giorni di tortura ininterrotta.

Halil e i suoi compagni sono ora nella stessa cella, appesi agli stessi ganci, con gli stessi elettrodi in corpo? Quando gli agenti sono andati a prenderli, a Lecce, Dogan Aziz ha urlato che in Turchia l'attende una condanna a dodici anni: l'hanno estradato ugualmente. Dov'è ora Dogan Aziz? Riusciremo a obbligare il consolato italiano a Istanbul a occuparsi del loro destino, e il governo italiano a farli rientrare a sue spese, riconoscendo la flagrante violazione del principio del "non-refoulement", ossia del divieto di espulsione in un paese in cui si rischino persecuzioni?

E' così cosciente il ministero dell'Interno di averla fatta grossa, che il prefetto Pansa, direttore generale della Polizia di frontiera, ha risposto all'europarlamentare e magistrato Di Lello che i dodici "non erano richiedenti asilo, e non si erano dichiarati kurdi". La stessa versione offerta dalla Ps di Malpensa all'avvocato Massarotto del Naga e ai parlamentari Luigi Vinci e Giuliano Pisapia. Falso: l'11 agosto il prefetto di Lecce D'Onofrio ha confermato a una delegazione che i dodici erano tutti richiedenti asilo. Dei loro nomi, undici su sodici si ritrovano spuntando la lista dei ricorsi contro il diniego dell'asilo, pendenti al tribunale di Foggia per iniziativa dei legali dell'Ics (consorzio italiano di solidarietà) e di Medici senza frontiere. Infatti l'Ics ha protestato per la flagrante violazione dell'art. 24 della Costituzione (diritto alla difesa in giudizio) e delle convenzioni europee in materia di rifugiati, nonchè del già citato principio generale di "non-refoulement".

Dal punto di vista formale tuttavia la trappola è stata ben congegnata. I ricorsi alla magistratura contro il diniego dell'asilo purtroppo non sospendono automaticamente l'espulsione, che nel frattempo il prefetto di Foggia aveva notificato alle decine di richiedenti asilo respinti dalla commissione ministeriale. La motivazione delle espulsioni è ridicola: "ingresso illegale in Italia". Come se un kurdo in fuga potesse chiedere tranquillamente un visto regolare... I "rigettati" sono stati trasferiti al centro Regina Pacis di San Foca (Lecce), ormai ufficialmente Cpt (centro di detenzione per espellendi), da dove la polizia li ha prelevati approfittando anche del fatto che nessuno di loro aveva presentato ricorso contro l'internamento, non attendendosi un provvedimento così inusuale come la deportazione in Turchia. Anche se chi scrive ha fondati dubbi sul fatto che fosse davvero la prima volta: su settecento profughi sbarcati a Crotone in luglio, e trasferiti in massa a Borgo Mezzanone (Foggia), la commissione ministeriale ne aveva "rigettati" una cinquantina. Se non sono più al Regina Pacis, dove sono finiti gli altri?

Quanto all'affermazione che non erano kurdi, i legali dell'Ics ne aveva già accertata la falsità. Su dodici, otto erano certamente kurdi: Irfan Sadi, Aziz Dogan, Canip Sadet, Huseyin Sahin, Halil Ucar, Abdurrahim Goktas, e poi (qui la lista fornita dal prefetto di Lecce e quella in nostro possesso divergono) Serkan Karan e Mustafa Ozdemir, oppure Aybar Hasan Huseyin e Haci Uzdemir. Tre sono turchi: Gokhan Bal, Mitat Aslan e Orhan Uysal (quest'ultimo è l'unico a non figurare nell'elenco dei ricorsi presentati dall'Ics). Il dodicesimo, Ferhat Kahraman, risulta turco al prefetto di Lecce e kurdo all'Ics.

A parte la farsa delle liste, che la dice lunga sulla certezza del diritto in Italia (basti pensare che neppure lo "sportello sull'asilo" aperto dal Consiglio per i Rifugiati a Malpensa, in convenzione con la Polizia di frontiera, ha ottenuto l'elenco ufficiale dei deportati!), da che deriva l'incertezza dell'origine etnica? Presto detto. Gli agenti che verbalizzano le "prime dichiarazioni" dei profughi al loro arrivo cercano sistematicamente di convincerli a non dichiararsi kurdi (e a non chiedere asilo politico), perchè "così non sarai costretto a restare in Italia". A questo si aggiunge l'assenza di interpreti di lingua kurda, che obbliga molti profughi a parlare turco dinanzi alla commissione ministeriale. Infine: il console turco, che ha fatto visita agli ignari espellendi, ovviamente li ha "riconosciuti" come turchi e non kurdi (come potrebbe essere altrimenti, da parte di un regime che nega l'identità kurda?). Voilà: il gioco è fatto!

Questo balletto tradisce l'imbarazzo di un paese che è slittato dall'affermazione dell'allora ministro Napolitano (gennaio '98) che "i kurdi in quanto tali sono perseguitati in Turchia", alla firma di un accordo italo-turco sul "controllo dell'immigrazione clandestina" (enonchè "del terrorismo", come in turchia chiamano ogni dissenso!) da parte dello stesso Napolitano e poi, ad Ankara, del suo successore Bianco, fra uno spogliarello e una danza del ventre. Non siamo ancora al livello di Germania, Francia, Belgio o Gran Bretagna, dove le organizzazioni kurde sono fuorilegge come in Turchia e l'identità kurda è considerata irrilevante ai fini dell'asilo politico. Ma ci stiamo arrivando a grandi passi, basti leggere le motivazioni di molte negazioni dell'asilo. Una per tutte: "parla bene il turco e non parla kurdo, dunque per quanto kurdo è ben integrato in Turchia" - in un paese in cui l'uso della lingua kurda è sospetto e il suo insegnamento è vietato!

Contro queste aberrazioni giuridiche sono aperti ricorsi presso i tribunali di Lecce, Brindisi, Parma, Genova, Bari ed altri. In un caso, il Ciac (Coordinamento immigrazione e asilo) di Parma il 17 maggio scorso ha ottenuto dal giudice di Gorizia l'annullamento di due espulsioni comminate dalla locale questura ai danni di due kurdi, che credevano peraltro di avere fra le mani la ricevuta dell'asilo politico. Ma se passa il principio della deportazione immediata, nessun ricorrente potrà più considerarsi al sicuro. Colpirne uno (anzi: dodici) per terrorizzarne cento (anzi: migliaia)!

Torniamo un attimo in Puglia. Non è un caso che i settecento profughi sbarcati a Crotone siano stati trasferiti in massa a Foggia, nella famigerata masseria di Borgo Mezzanone (già reclusorio di minori "espellendi") e nell'aeroporto militare di Amendola, per un esame mai così rapido e sommario dei requisiti per l'asilo. Il Siulp denuncia la riapertura del campo-lager di Bari-Palese, invivibile ammasso di roulottes roventi o gelide sulla pista dell'aeroporto militare. Il "Regina Pacis" diviene ufficialmente centro di detenzione, così come l'ex carcere di Martina Franca. Guardacaso, il 17 giugno l'ambasciatore turco in Italia si reca in visita a Lecce per un convegno all'università e per promuovere scambi commerciali turco-salentini. Preceduto, a Lecce e fin dentro il "Regina Pacis", da una squadra di funzionari di polizia turchi giunti in Italia in applicazione dell'accordo bilaterale (il prefetto leccese nega, ma il Tg regionale ne aveva dato notizia).

Conclusione: il governo Berlusconi, dando un colpo d'ala a scelte politiche che lo precedono, sta decidendo di usare la Puglia come serbatoio dell'esodo kurdo, e come trampolino per il suo parziale rimpatrio. La deportazione dell'8 agosto diviene dunque un "ballon d'essai", una prova generale. Ed è importante che la cosa non sia passata sotto silenzio (per un caso: la telefonata disperata di uno dei deportati a un parente a Milano); ancora più importante è che l'associazionismo salentino abbia reagito, presidiando la prefettura e manifestando davanti al Regina Pacis, e si ponga ora l'obiettivo di un monitoraggio coordinato a livello regionale.

La tendenza europea è infatti la deportazione dei profughi, e in particolare degli "scomodi" kurdi, in luoghi di confino come la cittadina scozzese di Sighthill, dove i kurdi sono mille e pochi giorni fa la settantesima aggressione dei razzisti dello Scottish National Party ha ucciso il 22enne Firsat Yildiz, ex detenuto in Turchia e militante del Pkk. E il controllo anche violento dei profughi internati, come a Berna dove Cemal Gomec, padre di famiglia, è morto in stato di fermo in una caserma di polizia dopo un'irruzione e una perquisizione in casa sua.

Se la Turchia è un ottimo partner economico-militare e un paese "normale" (anzi omogeneo assai, nel liberismo sfrenato, nella connection fra mafia e finanza e nello strapotere di polizia, al futuribile regime berlusconiano), e se nell'intero Medio oriente la Pax Americana scivola verso la guerra (e il governo italiano farà da perno all'asse turco-israeliano spalleggiato dagli Usa), ne deriva che l'esodo kurdo sarà trattato anche in Italia con lo stesso disprezzo di diritti e garanzie già intravisto a Genova. In altri termini: i kurdi sono fra le prossime vittime del giro di vite, anzi della tenaglia fra criminalizzazione degli stranieri e arbitrio degli apparati di polizia. Il loro diritto d'asilo, la loro protezione da respingimenti (Gorizia, Brindisi, Bari) e rimpatri, il loro diritto all'identità nazionale e politica anche nella diaspora, devono diventare patrimonio dell'intero movimento che si è espresso a Genova.

A partire da quei dodici giovani, che ora sono quasi sicuramente in una cella turca. Kurdi o turchi che siano: uno dei tre turchi pare fosse minacciato di morte dagli Hezbollah, in Turchia strumenti del potere, e comunque sta diventando fenomeno di massa la diserzione dei giovani, turchi e kurdi, da un servizio militare che equivale a partecipazione a una guerra negata. Devono ritornare in Italia. Tutti, e subito. Prima che la nuova legge annunciata da Bossi e Fini produca, anche per loro e per tutti i richiedenti asilo, il paradosso per cui se dovessero mai liberarsi e riaffidarsi a uno scafo clandestino, finirebbero in un carcere italiano per il reato di "reingresso illegale"...



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