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La strage annunciata di Montenario a Roma... e la globalizzazione
by Dino Frisullo Monday, Aug. 27, 2001 at 8:11 PM mail: dinofrisullo@libero.it

Due italiani bruciati vivi in un ghetto per immigrati e italiani poveri. Una rapina finita in tragedia, una tragedia dai mille nessi con la rapina globale...

Due morti. Una giovane sarda di Chilarsa (Oristano), Monica Nastasi di 31 anni, ragazza-madre di una bimba di tre anni, che tornava dalla notte di lavoro in un bar. E un operaio romano di 43 anni, Marco De Marco, separato dalla famiglia, che si alzava per andare a lavorare nella sua cooperativa di facchinaggio.
E' stata la più terribile delle morti. Monica, l'hanno vista bruciare viva aggrappata alle sbarre della porta incastrata dall'esplosione, che hanno trasformato in prigione e bara il loculo dove dormiva. Marco è stato trovato nudo sotto la doccia aperta, in un estremo tentativo di sfuggire alle fiamme.
Alle otto del mattino del 25 agosto, nel residence di via Pieve di Cadore 21 nel quartiere Montemario a Roma, quartiere benestante pieno di ambasciate dietro via della Camilluccia, due lavoratori sono stati ammazzati dagli strozzini che speculano sul caro affitti e sul bisogno disperato di case.
Poteva essere una strage. Nello stabile, costruito negli anni '70 come convitto per studenti e poi trasformato abusivamente in residence dalla Srl Cadore (poi diventata Srl Casa del Pordoi), in 127 loculi allineati su sei piani con porte e finestre sbarrate da grate sui stretti ballatoi in comune, senza estintori nè scale antincendio nè uscite di emergenza, erano ammassate centinaia di persone: 100-200 per i proprietari, in realtà almeno trecento. Per lo più italiani secondo i proprietari, in realtà in grande maggioranza immigrati dalle Filippine, da SriLanka, Bangladesh, Romania, Albania...
L'esplosione si è verificata nel miniappartamento dei due fratelli albanesi Shalp, ambedue lavoratori regolari. Una fuga di gas dalla bombola o, più probabilmente, dai tubi marci della cucina fornita insieme al poverissimo "mobilio". In un residence sarebbe vietato l'uso delle bombole a gas, e infatti i proprietari sostengono che si tratta di un "condominio". Ma nel sito della società (http://www.pordoi.it) e nei contratti d'affitto si parla di residence.
In realtà non solo le cucine sono a bombola, ma l'impianto centralizzato di riscaldamento a gas metano, funziona in misura così ridotta che d'inverno, per non congelare, tutti fanno uso di stufette, in genere a gas per non aggravare le bollette elettriche. E il rischio raddoppia. I divisori di fortuna fra l'altro sono infiammabili, come dimostra la tragedia di Monica, morta al di là di un muro di fuoco ni cui s'era trasformata la parete divisoria dall'appartamento attiguo.
Le fiamme altissime hanno intrappolato i due lavoratori italiani, hanno distrutto altri sei miniappartamenti e resi inagibili altri sedici, i cui occupanti sono riusciti a fuggire. In molti dei loculi, di dimensioni variabili fra 10 e 18 mq, sono ammassate intere famiglie con bambini. Solo il caso ha limitato la strage.
Nel '91 la Circoscrizione aveva denunciato la struttura come residence abusivo. Nel '95 l'associazione Senzaconfine, dopo aver ricevuto segnalazioni da parte di immigrati sfrattati in malo modo, aveva inoltrato un esposto alla magistratura romana, allegando copia dei contratti-bidone.
Nessun esito: la proprietà, evidentemente ben coperta, ha avviato la vendita di una parte dei miniappartamenti trenta su 127) a privati, i quali probabilmente erano puri prestanome che subaffittavano (fra loro un magistrato e un ufficiale dei Cc), ed ha ottenuto una registrazione come "abitazione privata". Un normale condominio, insomma. Nel quale 97 appartamenti risultano appartenere però ad un unico proprietario, l'ingegnere romano Giuseppe Callarà. Pare che altri ghetti del genere siano di sua proprietà, ad esempio sulla via Cassia.
Un suo affittuario racconta però di essere stato costretto a pagare alcuni mensili arretrati "nello yacht di Callarà, un politico di Capri, già candidato sindaco per An". Il Callarà in questione esiste, ma si chiama Federico. Un parente-socio, o la stessa persona? Il gestore della società è un altro bel tipo: tale Giorgio Guelpa, agli onori delle cronache per aver fondato e presentato alle elezioni con Moana Pozzi il "partito dell'amore", precedenti per truffa, ma presidente di tre squadre di football...
Un'idea dei prezzi: il sito Internet della società propone tre soluzioni, il "miniappartamento", la "mansarda", il "bilocale". Tutti buchi. L'affitto varia rispettivamente da 620.000 lire a 1.000.000 a 1.200.000 lire al mese, più le spese di riscaldamento (?!), luce, pulizie, cambio lenzuola, per un contratto semestrale. Aumenti del 10% per un trimestre, del 20% per un bimestre, fra il 70% e il 90% per un contratto di un mese (con l'abbuono, bontà loro, delle spese supplementare per gli affitti più brevi). Moltiplicando, lo stabile frutta ai proprietari fra un miliardo e un miliardo e mezzo all'anno.
Il contratto prevede il pagamento interamente anticipato, nessuna restituzione in caso di recesso anticipato, e la possibilità di sfratto immediatamente esecutivo con cambio delle chiavi in caso di necessità per il proprietario. Un giorno di ritardo, raccontano, e trovi un nuovo lucchetto a casa tua. Il tutto ricorrendo a un escamotage, crediamo illegale: considerare l'affittuario "custode" (a pagamento, s'intende) del loculo affittato.
Il comandante dei vigili del fuoco Luigi Abete scuoteva la testa. Ogni tanto una chiamata: ascensori bloccati, fighe d'acqua... Impianti non a norma, ovvio. E quei divisori, chiede in una lettera ufficiale al comune di Roma, chi può averli autorizzati, per trasformare un palazzo in alveare?
La polizia, dal canto suo, era intervenuta più volte nel palazzo. Ma non per verificare i rischi: solo per cercare e "stanare" gli immigrati irregolari. L'ultima volta in gennaio. Non ne aveva trovati molti, del resto: la maggior parte degli immigrati sono regolari, ma sono obbligati dall'assurdità delle leggi ad essere titolari di un contratto d'affitto per rinnovare il soggiorno o per chiedere il ricongiungimento familiare. E' così che la burocrazia apre la strada alla speculazione e alla rapina.
Ora la polizia raccoglie gli elementi per un procedimento per omicidio colposo. Fra essi, la testimonianza di chi scrive, che ha visto con i suoi occhi il ragioniere distribuire ad immigrati fogli freschi di stampa, dicendo loro "dite di essere entrati il 25 agosto, questo è il contratto". Ma qui bisognerebbe procedere per ben altri reati, per la strage mille volte evitata per un soffio, e non solo contro i proprietari, ma contro tutte le istituzioni che hanno consentito per anni ed anni questa ed altre rapine.
Questa ed altre: Roma è piena di palazzine cadenti, vere topaie riempite di immigrati da speculatori e faccendieri. Un nome per tutti: il commendator Cristello, un uomo di salde amicizie democristiane (un tempo) e vaticane (sempre), proprietario di quattro o cinque formicai-residence.
Non solo immigrati: ormai in queste strutture s'incontra una umanità mista, dal pensionato alla ragazza-madre, dall'operaio precario allo studente fuori sede, fianco a fianco con gli "extracomunitari". I vecchi e nuovi poveri, di tutti i colori. Solidali fra loro, nella vita quotidiana e nelle tragedie. Questa solidarietà si toccava con mano, nelle lacrime di molti immigrati amici dei due italiani morti, dopo i tentativi disperati di salvarli. E nella rabbia, che però subito si trasformava in rassegnazione e omertà nei confronti di coloro dai quali dipende il loro tetto.
E' la stessa solidarietà elementare che diventa invece lotta comune nelle case e nelle scuole in disuso occupate, a Roma e Ostia e altrove. Ancora fin troppo poche.
Tutto questo c'entra qualcosa con la protesta di Genova e le sue ragioni? C'entra, e molto. Persino nel simbolo ricorrente delle sbarre, le stesse che trasformano le case in celle, le città in prigioni, i centri d'accoglienza in lager. E il fuoco che divampa oltre quelle sbarre, nel "residence" di Roma come nel "centro di permanenza" di Trapani...
C'entra, e molto. Bisognerà che di queste ragioni quotidiane si nutra il movimento contro la globalizzazione della rapina. Che sappia calare le sue grandi ragioni nel vissuto delle tante donne e uomini piccoli che popolano i ghetti come via Pieve di Cadore, da individuare uno per uno. Fra le grandi e le "piccole" ragioni c'è un legame da ricostruire. Il processo agli speculatori assassini di Roma deve diventare una battaglia comune, il loro disprezzo per la dignità e la vita umana è lo stesso dei padroni di Rio, di Città del Messico, di Lagos. E di Genova.

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Titolo Autore Data
un altro mondo possibile parte da Montemario Andrea Monday, Aug. 27, 2001 at 8:11 PM
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