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Intervista di Chomsky rilasciata a La Jornada [it]
by _ Saturday, Sep. 22, 2001 at 10:40 PM mail:

Noam Chomsky: L'INIZIO DI UN NUOVO TIPO DI GUERRA

La risposta che si prepara sarà "un regalo a Bin Laden"
Per la prima volta le vittime del potere imperialista si scagliano contro di
esso. La reazione all'atrocità aumenterà la repressione, dice.
Washington, N.Y. 14 Sett.
Il tremendo attentato di martedì scorso segna l'inizio di una nuova forma di
guerra che farà comodo soltanto agli "uomini duri" degli Stati Uniti e alla
loro controparte terrorista all'estero, mentre i poveri, soprattutto i
palestinesi, ne pagheranno i costi, ha affermato Chomsky in un'intervista a
"La Jornada".
Martedì, spiega Chomsky, si è verificato il primo attacco al territorio
nazionale americano da due secoli, ed è la prima volta che le vittime
"storiche" della politica statunitense nel terzo mondo colpiscono con un'
azione militare il cuore del potere imperialista.
Tre giorni dopo l'attentato Chomsky ha parlato con "La Jornada", prendendo
posizione su quella che il presidente Bush ha definito la prima guerra del
XXI secolo. Chomsky, Professore al Massachusetts Institute of Technology
padre della moderna linguistica e feroce critico del potere, ha commentato
diversi aspetti di una congiuntura che lui considera come uno spartiacque
storico.
L'attacco terroristico agli Stati Uniti è stato un tremendo colpo inferto i
poveri e gli oppressi di tutto il mondo. I palestinesi saranno annientati
per questo. E' un regalo fatto all'estrema destra sciovinista degli Stati
Uniti e anche a quella di Israele, così come la risposta che si preparano a
dare sarà un regalo a Bin Laden. La rappresaglia è la reazione che lui e i
suoi amici si aspettano, questo favorirà il consenso di massa e porterà
nuovi, forse peggiori attentati che intensificheranno la guerra.
Prendiamo come esempio un microcosmo: l'Irlanda del Nord, dove gli uomini
duri stanno da entrambe le parti e uccidono senza preoccuparsi delle
conseguenze, o se muoiono persone della loro parte. Questo dà loro sempre
nuove possibilità di uccidere. Se ci spostiamo ora al livello delle
superpotenze e delle incontrollabili bombe suicide, vediamo che sono i duri
di entrambe le parti a trarne vantaggio, il resto subisce. Gli Stati Uniti
stanno ora preparando il tipo di guerra a cui l'Occidente è abituato e cioè
l'attacco massiccio del nemico. Il problema è che stavolta sarà diverso. Bin
Laden e i suoi alleati vogliono provocare questo tipo di attacchi e con ogni
probabilità risponderanno con altri attentati. Cose come quella accaduta
martedì sono in realtà inarrestabili.
Sebbene tutta l'aviazione americana fosse in volo quel giorno, non c'è stato
molto che potesse fare. I terroristi erano assassini suicidi, assolutamente
con4enti di morire. Nel 1983 un attentato suicida con un camion-bomba
neutralizzò il più grande apparato militare del Libano. Non è stata un'
azione di poco conto, nessuno può fermare questo genere di azioni. Non
voglio nemmeno nominare quello che, se ci si pensa, salta subito agli occhi:
quanto difficile pensate che sia trasportare una bomba al plutonio da 15
libbre (neanche 7 kg) passando per la frontiera messicana o canadese?
Pensate che sarebbe davvero tanto al di là delle mie o delle vostre
capacità, o di quelle di sofisticati terroristi? A questo stiamo aprendo la
strada.
Quello che è accaduto martedì è stata un'atrocità tremenda, senza alcun
dubbio. Ma a questo tipo di terrore è assoggettata gran parte del mondo, un
esempio è stato la distruzione della metà delle scorte farmaceutiche del
Sudan (un attacco di rappresaglia degli Stati Uniti contro Bin Laden). Il
Sudan è uno stato africano molto povero: cosa succede quando distruggono
metà delle sue scorte farmaceutiche? Nessuno se ne preoccupa in Occidente. I
tentativi di calcolare i costi di queqta azione americana hanno dato come
risultato decine di migliaia di morti. Ma nessuno se ne preoccupa. La gente
pensa che la storia si realizzi in questo modo.
LA JORNADA: siamo di fronte a un nuovo tipo di guerra?
E' più di una nuova guerra. Lo è per molte ragioni, per il modo in cui la
stanno descrivendo: "O con noi o con la prospettiva sicura di morte e
distruzione". Si può pensare a un parallelo storico per questo? Nemmeno i
nazisti arrivarono a questo punto. E' un nuovo tipo di guerra anche dal
punto di vista storico. Chi parla di spartiacque ha ragione: è la prima
volta nella storia statunitense dal 1812, che il loro territorio è
attaccato; in questi giorni si sentono fare molti paragoni con Pearl Harbor,
ma sono sbagliati. Nel caso di Pearl Harbor, il 7 dicembre, i giapponesi
attaccarono due colonie degli Stati Uniti, le Filippine e le Hawaii. Ma un
attacco alle colonie non è un attacco agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti
hanno attaccato i territori degli altri, sono stanziati in metà del
territorio messicano e hanno aggredito il Canada un paio di volte, ma
nessuno aggredisce gli Stati Uniti. Questo è vero anche per l'Europa. L'
Europa è stata teatro di sanguinose guerre interne, ma non è mai stata
aggredita da quello che è chiamato terzo mondo, dalle ex colonie, è
piuttosto l'Europa ad aggredire loro. Questa è la prima volta che le vittime
colpiscono i colonizzatori: mai l'Europa o gli Stati Uniti hanno subito un
attacco dai popoli delle colonie o dalle regioni che hanno dominato. E' un
evento estremamente raro dal punto di vista storico. Quando la Gran Bretagna
ha conquistato gran parte del mondo non è stato bello, ma nessuno l'ha
attaccata. O forse il Messico ha bombardato gli Stati Uniti quando hanno
occupato la metà del suo territorio? Penso che avrebbero potuto. Oppure il
Nicaragua avrebbe potuto mettere bombe a Washington DC ma non l'ha fatto.
Questi paesi sono dal lato sbagliato del fucile e molti pensano che è lì che
devono restare. Per questo si inorridisce in Europa e negli Stati Uniti,
quando i palestinesi rispondono a Israele. E' terribile. Ma si assume che
tutto debba restare confinato nei territori occupati. Così funziona la
storia per l'Europa e per gli Stati Uniti.
LA JORNADA: Ci sono allora alternative a questo conflitto?
Certamente, l'alternativa è di prestare attenzione a come si è arrivati a
questo punto. Non è quello che si è letto negli editoriali del N.Y.Times,
secondo cui gli estremisti ci attaccano perché siamo così superiori. Non è
la verità. I terroristi stanno perpetrando terribili atrocità per rispondere
alle atrocità di cui noi siamo responsabili e che non si sono mai fermate.
Se si pensa che i responsabili facciano parte di un gruppo mediorientale
(come probabilmente è), si cominceranno a contare gli attentati in quella
parte del mondo, cosa di cui l'Occidente non si preoccuperà, a differenza
delle vittime.
Prendiamo ad esempio l'Iraq negli ultimi 10 anni: era lo stato arabo più
sviluppato, il fatto che fosse governato da un mostro, non interessava all'
Occidente; gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo hanno appoggiato quando ha
commesso le sue peggiori crudeltà. Negli ultimi 10 anni questo paese è stato
devastato e ora è uno dei più poveri del mondo. Non si è agito contro Saddam
Hussein, che ne è uscito rafforzato, bensì contro la popolazione irachena.
Quante persone sono morte? Non lo sappiamo. Due anni fa Madeleine Albright
aveva parlato di cifre come mezzo milione di bambini morti, come risultato
delle sanzioni americane e ha affermato: è un prezzo alto, ma siamo pronti a
pagarlo. Ma non significa che gli iracheni siano pronti a fare lo stesso. La
rabbia è forte in tutto il paese per questo.
In Libano gli attacchi israeliani appoggiati dagli Stati Uniti hanno ucciso
40 o 50 mila persone negli ultimi 20 anni. Ci chiediamo: a chi interessa?
Alle persone di quella regione interessa!
Guardiamo cosa sta succedendo nei territori occupati: gli elicotteri e i jet
israeliani attaccano insediamenti civili, nei quali si sa perfettamente che
questi elicotteri provengono dagli Stati Uniti e sono stati ceduti per
questo scopo. In quei territori la gente sa che gli Stati Uniti si sono
opposti agli sforzi per raggiungere accordi diplomatici che rispondessero ad
un consenso internazionale sulla questione israeliano-palestinese: gli Stati
Uniti non vogliono che Israele si ritiri dai territori occupati. La gente di
quei luoghi comprende tutto questo e sa che si potrebbero citare esempi da
tutto il mondo. In questo momento c'è circa un milione di persone che muore
di fame nel nord del Nicaragua e nel sud dell'Honduras, dove la gente
ricorda le attività statunitensi di non molto tempo fa.
LA JORNADA: Cosa implica tutto questo per gli Stati Uniti?
Penso che proprio come le prossime mosse degli Stati Uniti rappresenteranno
un regalo per Bin Laden e quelli come lui, la tragedia di martedì scorso sia
un regalo per gli uomini duri di casa nostra. Si tratta di un'eccezionale
opportunità di imporre rigidità, disciplina, di sostenere programmi come la
militarizzazione dello spazio e altre cose simili e, come ha segnalato oggi
Paul Krugman, probabilmente la riduzione delle tasse alle imprese. Perfetto!
E sperano - forse sbagliando - di essere in grado di annientare il dissenso
interno. In generale le atrocità e le reazioni ad esse rafforzano le spinte
più brutali e repressive ovunque. Così vanno le cose, la loro dinamica è fin
troppo nota.

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Una modesta proposta...
by dino frisullo Saturday, Sep. 22, 2001 at 10:40 PM mail: dinofrisullo@libero.it

Una proposta che credo anche Chomski condividerebbe, avanzata dalle Donne in nero durante la manifestazione del 20 settembre a Roma: individuare in ogni città una piazza centrale nella quale concentrarsi tutti, senza bisogno di convocazioni e atti burocratici, a partire dal momento in cui in Afghanistan, in Iraq o altrove esploderà il primo proiettile americano. In cento città. Restare lì, cantando o in silenzio, lanciando slogan o digiunando, o semplicemente stringendosi insieme, uomini e donne che rifiutano anche la sola idea di sentirsi parte di questa guerra assurda. Nel nome delle vittime, quelle di New York e tutte le altre di cui parla Chomski, e le nuove che in quel momento saranno sotto le bombe. Che nessuno resti in casa, a subire la fascinazione perversa della televisione. Che nessuno resti in casa, come vorrebbero coloro che a partire da quel momento saranno pronti a scavare "zone rosse" nella geografia e nella topografia di tutta Italia, in nome della guerra e degli interessi nazionali. Noi obiettiamo, non siamo in guerra, e la nostra nazione è il mondo.

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