Breve introduzione alle tecnologie legate all'estrazione petrolifera.
Il Petrolio
1. Cenni alla tecnica di scavo
Il petrolio è attualmente la fonte di quasi tutti i combustibili liquidi. Data la
sistematica ricerca dei suoi giacimenti, e l'intensivo sfruttamento di questi ultimi
decenni, oggi non si spera più di trovare il petrolio a profondità inferiori ai duemila
metri, e spesso le perforazioni superano i 5000 metri.
Al fine di ricercare la presenza di giacimenti, si usa la prospezione geofisica, in grado
di individuare i terreni sotto i quali sia probabile la presenza di formazioni petrolifere,
intendendo con questo termine un complesso di rocce impregnate di idrocarburi liquidi o
gassosi, spesso unite alla presenza di acque salate o salso-iodiche.
L'individuazione di tali siti avviene usando metodi di misura gravimetrica. Il principio
di base è che la presenza di masse eterogenee dal resto della crosta terrestre, come
giacimenti metalliferi o petroliferi, determinano sempre delle anomalie nel valore
dell'accelerazione di gravità per cui, misurando tale valore, è possibile determinare la
presenza del giacimento. Anche nelle ricerche minerarie estese alle zone sottomarine il
metodo gravimetrico dà buoni risultati.
Le misure gravimetriche, sia in superficie che su fondali marini, costituiscono l'unico
metodo di indagine non dannoso e non distruttivo per l'ambiente naturale.
Tuttavia, l'ultima parola spetta sempre ai petrolieri, che nel loro gergo dicono che l'unico
modo per sapere con certezza se c'è petrolio è quello di "far buchi", e questo è un metodo
terribilmente dannoso e distruttivo dell'ambiente.
I buchi si fanno montando sul posto le caratteristiche torri chiamate "derricks", torri che
per motivi di stabilità sono sempre a base triangolare.
La trivellazione vera e propria avviene mediante sistemi a rotazione: al centro del derrick
è posizionato un disco che ruota (azionato da un motore), al cui centro viene fissato un
tubo lungo circa trenta metri, che porta all'estremità inferiore una "testa di
perforazione": un sistema di rulli dentati sulla quale sono fissati dei diamanti neri
(diamanti artificiali), che ruotando macina la roccia.
Via via che la trivella scende nel terreno, si aggiungono nuovi tubi all'estremità
superiore.
Durante l'operazione di scavo viene immessa nel tubo una fanghiglia formata da una
particolare composizione di argilla, sali di bario e altre sostanze che, per la loro
viscosità e per il loro alto peso specifico, assolvono a vari compiti: poiché il fango è
immesso sotto pressione, risale lungo l'intercapedine tra la perforatrice e le pareti del
pozzo, lubrificando continuamente la trivella, evitando franamenti durante lo scavo e
trascinando all'esterno i detriti prodotti. Il rivestimento definitivo del pozzo avviene
affondando in esso, man mano che si scende, dei tubi avvitati l'uno sull'altro. Quando la
pressione del terreno non permette l'ulteriore affondamento con tubi dello stesso diametro,
all'interno di questi se ne affondano altri di diametro inferiore, e così via. In questo
modo, spesso da un diamtro superiore abbastanza grande si arriva ad uno inferiore di poche
decine di centimetri: il minimo indispensabile perché si possa utilmente estrarre il
petrolio.
Con questa disposizione, l'insieme dei tubi del pozzo assume l'aspeto di un telescopio
rovesciato. Per garantire la tenuta stagna del pozzo, al fine di evitare perdite di
pressione del petrolio e per aiutare i tubi a resistere alle fortissime spinte del terreno,
si riempie lo spazio che eventualmente rimane tra i tubi e le pareti del pozzo con uno
speciale cemento, il geocem, di notevole fluidità iniziale ma di altissima resistenza
finale alla compressione.
Alla fine, raggiunta la formazione produttiva, per evitare la fuoriuscita di acqua o di
gas, i quali danno al petrolio la spinta necessaria per uscire spontaneamente evitando
l'oneroso sollevamento artificiale, si continua l'affondamento per un breve tratto oltre
lo strato produttivo con un tubo chiuso all'estremità inferiore. Si cala quindi all'interno
del pozzo, e sotto il livello del liquido, un opportuno apparato che spara proiettili a
raggiera, permettendo al petrolio di filtrare attraverso i fori così prodotti, spinto dalla
fase gassosa sovrastante, fino a raggiungere la superficie. Qui intanto si toglie il motore
che ha mosso l'albero di perforazione e si collega l'ultimo tubo con l'apparato, detto in
gergo "albero di natale", con i manicotti per l'attacco delle tubazioni, attraverso le quali
il petrolio sarà convogliato ai serbatoi di sedimentazione. A questo punto il derrick viene
smontato per essere riutilizzato altrove.
2. Incidenti frequenti durante lo scavo
a) Rottura degli utensili o loro caduta nel pozzo. In tal caso si possono ripescare con
appracchi appositamente costruiti; quando ciò non sia possibile vengono rimossi dalla
verticale del pozzo mediante scoppi di dinamite o attacco con acidi.
b) Schiacciamento dei tubi di rivestimento per le alte pressioni del terreno, franamento
delle pareti del pozzo. Si ricomincia lo scavo daccapo.
c) Incendio del pozzo. E' l'incidente più grave e più temuto. Può essere estinto solo
provocando delle forti esplosioni in punti il più vicino possibile alla bocca d'incendio,
per provocare così uno spostamento d'aria troppo veloce ai fini della combustione. Questo
metodo spesso si risolve in un insuccesso, a causa dei rottami metallici incandescenti che
si trovano nel cratere dell'esplosione, i quali riaccendono subito il pozzo dopo lo
spegnimento. E' necessario allora operare un altro scavo inclinato che raggiunga il pozzo al
di sotto della messa in fiamme per ostruirlo con potenti iniezioni di cemento.
3. Estrazione e produttività del pozzo.
Raggiunto l'orizzonte petrolifero, possibilmente nel suo punto più produttivo, si scavano
altri quattro pozzi disposti a croce ad una certa distanza dal primo. Si usano per accertare
la consistenza e l'estensione del giacimento; poi se ne scava un altro più in fuori e così
via.
La durata del pozzo, oltre che dall'effettiva quantità di petrolio presente, dipende anche
da altri fattori contingenti. Con le tecniche più moderne, che non sono quelle attualmente
usate, non si riesce ad estrarre più del 80-85% del greggio presente, nei casi più
fortunati. I fattori negativi che influenzano la durata della vita produttiva del pozzo sono
molti. Dalla perdita di pressione della fase gassosa dov'è presente (questi sono i
cosiddetti giacimenti primari), alla distruzione del pozzo.
La fase gassosa a volte migra attraverso le fratture sotterranee anche per centinaia di
chilometri, fino a raccogliersi per formare un vero e proprio giacimento sotterraneo, come
quello della pianura Padana. Essa è formata dai primi e più semplici idrocarburi, che sono
i soli che a temperatura e pressione normali ad essere gassosi: metano, etano, propano e
butano.
4. Cosa otteniamo dal petrolio? Perché tante raffinerie?
Una volta giunto in raffineria, il greggio si presenta come un liquido nero denso, oleoso,
con iridescenze azzurre o verdastre, secondo la provenienza. E' formato da un ampio insieme
di idrocarburi, le molecole di tali idrocarburi possono essere lineari, ramificate, chiuse
ad anello.
Ciascun idrocarburo ha caratteristiche chimico-fisiche diverse. Tuttavia, idrocarburi con
struttura molecolare quasi simile presentano caratteristiche chimico-fisiche simili. Quindi,
per gli scopi industriali, è di interesse pratico separare tali classi di componenti.
A questo scopo, dopo aver liberato il greggio da eventuale acqua che rimane in emulsione,
preriscaldandolo o centrifugandolo, lo si immette nelle torri di distillazione e
frazionamento che tutti conosciamo (sono le torri super-illuminate presenti in tutte le
raffinerie.).
L'immissione nelle torri avviene allo stato di vapore, a circa 400 °C.
La parte che a questa temperatura non passa allo stato di vapore resta all'esterno. Si
tratta di un residuo solido/cremoso che forma pece ed asfalto, notoriamente usati per le
pavimentazioni stradali, per l'impermeabilizzazione di murature, ecc.
All'interno della torre i vapori, salendo, si raffreddano, e quindi condensano le varie
frazioni di petrolio che a quelle temperature sono liquide. Tali frazioni, che all'interno
della torre sono costrette a passare attraverso un sistema di piatti forati, vengono quindi
raccolte ad altezze diverse.
In basso si raccoglieranno gli Oli pesanti, che condensano a 350 °C, poi poco più in alto
gli Oli medi, poi gli Oli lampanti, che condensano a circa 280 °C, e nella parte più alta
gli Oli leggeri, che condensano al di sotto del 200 °C.
Dalla frazione degli oli pesanti si ottengono molti prodotti di impiego diffuso, tra i
quali: oli lubrificanti, le vaseline, le paraffine, ecc.
Dalla frazione degli oli medi si ottengono combustibili per motori industriali a combustione
interna.
Dalla frazione degli oli lampanti si ricavano il benzolo greggio ed il petrolio da ardere.
Infine, dalla frazione degli oli leggeri, si ricavano gli eteri di petrolio, usati
principalmente come solventi e come smacchianti, le benzine avio, le benzine per auto e le
benzine solventi usate per l'estrazione di grassi.
I processi di distillazione frazionata del petrolio, ai quali abbiamo accennato in modo
semplificato per motivi di spazio, non danno rese elevate nelle frazioni leggere, le
benzine: solo il 16/20% del petrolio sarà trasformato in oli leggeri
Evidentemente tali quantità già da tempo sarebbero state assolutamente insufficienti per
soddisfare la richiesta mondiale, per cui sono state sviluppate e perfezionate tecniche per
ricavare benzine dalle frazioni che per natura non ne contengono. Sono nati così i vari
processi di piroscissione, portando cioè ad alta temperatura idrocarburi ad elevato peso
molecolare, i quali, rompendosi la loro lunga molecola, formano idrocarburi più leggeri:
questi sono detti processi di "cracking".
ciao
|