Tratto dal sito Peace link
La Commissione Mandelli ha mandato, come è noto, completamente assolto
"l'imputato uranio". Del resto era prevedibile perché si è trattato di una
"commissione di parte" nominata dal responsabile della vicenda dell'uranio,
cioè il Ministero della Difesa. La Commissione invece doveva essere una
commissione "super partes" eventualmente nominata dal Parlamento o, quanto
meno, dal Ministero della Sanità visto che era in questione un problema
medico.
Ovviamente assai poco legittimato appare il lavoro di questa Commissione che è
giunta alla stupefacente conclusione che dove c'è uranio c'è salute. Infatti
la media dei tumori nelle località contaminate dall'uranio è inferiore a
quella della media nazionale, almeno per ciò che riguarda i militari. In
sostanza le località colpite dall'uranio diventano località privilegiate per
la salute.
Ma come è stato raggiunto questo strabiliante risultato? Il primo passo è
stato quello di prendere in considerazione solo 28 casi tra quelli segnalati,
il cui numero non è conosciuto esattamente ma è da ritenersi di almeno 60
(qualcuno afferma che siano addirittura un centinaio). Peraltro i casi
segnalati sono solo una parte di quelli prevedibilmente esistenti perché molto
persone colpite non si sono chieste se la loro patologia poteva dipendere da
contaminazione da uranio e non erano al corrente di quanto accaduto, altri non
hanno voluto che si conoscesse il loro nome. Sono stati arbitrariamente
esclusi casi di malattie che pure hanno inciso sulla salute delle persone e
che sono costate, a loro e alle loro famiglie, somme rilevanti per le cure. Ad
esempio per un alpino a Feltre i commilitoni hanno dovuto fare una colletta di
6 milioni perché potesse fare sollecitamente la chemioterapia. E questo
alpino, non avendo fatto conoscere il suo nome (ma solo le sue iniziali) non è
nell'elenco nei casi contemplati dalla Commissione Mandelli.
Il secondo passo è stato quello di elevare in modo improprio il numero delle
presenze da mettere in conto come "popolazione militare" potenzialmente
contaminata nella zona dei Balcani (zona che comprende anche paesi come
l'Albania e la Macedonia dove non vi sono stati bombardamenti all'uranio)
mentre viene esclusa la Somalia, zona nella quale invece le armi sono state
usate.
Il terzo passo è stato quello di stabilire in modo arbitrario una "media
nazionale" dei colpiti dalle patologie tumorali, anche se questa media non
esiste perché esistono solo pochissimi registri dei tumori (ne sono stati
presi in considerazione 9) che riguardano quindi una piccolissima parte del
territorio nazionale.
In sostanza:
1) Si è ridotto arbitrariamente il numero dei casi da prendere in
considerazione.
2) Si è aumentato arbitrariamente il numero delle presenze considerando tra
l'altro come presenze significative anche quelle di coloro che sono stati un
solo giorno nelle aree prese in considerazione.
3) Si è assunto arbitrariamente un numero medio di tumori su scala nazionale.
4) Si sono arbitrariamente associate sotto la denominazione di Balcani aree
che hanno visto i nostri militari soggetti a rischi diversi. In Albania e
Macedonia non vi sono stati rischi, in Kossovo, almeno dopo i primi 5 mesi, i
militari hanno operato adottando (si spera) le norme di protezione emanate il
22.11.99. E quindi stati soggetti a rischi limitati, in Bosnia i nostri
militari hanno operato senza alcuna norma di protezione e quindi con rischi
più elevati (come del resto in Somalia). La Somalia è stata addirittura
esclusa dai conteggi. Inoltre, mentre per la Somalia e la. Bosnia era passato
un tempo sufficiente perché potessero svilupparsi determinate patologie, cosi
non era il caso del Kossovo perché i tempi erano troppo brevi perchè si
potessero riscontrare, ad eccezione di alcuni casi, delle patologie.
Per i suddetti motivi il rapporto ha una scarsissima validità e una elementare
prudenza avrebbe dovuto consigliare di non rendere noti dei risultati che tra
l'altro portano alla delegittimazione di quanto stabilito nelle norme di
sicurezza sopra citate impartite dal comando della Brigata Multilaterale Ovest
(nonché dalle norme impartite dalla Folgore in data 8 maggio 2000).
Queste norme infatti stabiliscono che il personale, proprio per i presupposti
rischi da contaminazione da uranio impoverito, debbono adottare, in presenza
di aree contaminate, delle misure specifiche. Devono infatti indossare delle
tute impermeabili che debbono poter essere lavate dopo ogni esposizione
possibile all'uranio, debbono indossare guanti a perdere e maschere a perdere.
Qualora vigessero le conclusioni della Commissione Mandelli tutte queste
misure non avrebbero più senso e si esporrebbe il personale ovviamente a dei
rischi.
E' importante notare come il presupposto di queste norme di sicurezza sia
l'ipotesi di un legame diretto tra possibile contaminazione e possibili
patologie manifestatesi nel personale.
In merito alla questione un esposto denuncia è stato presentato alla
magistratura militare. Un esposto da (ritenersi però generico) sembra sia
stato presentato dai Codacom alla Procura di Roma.
Il Ministro della Difesa non ha accolto la richiesta avanzata dall'Ana-Vafaf
in relazione a quanto disposto dalla legge 241/90) di far partecipare degli
esperti, da essa designati, ai lavori della Commissione Mandelli e su questo è
possibile un ricorso al TAR del Lazio.
Altre questioni che si pongono sono le seguenti:
a) Risarcimento delle vittime.
I risultati, sia pure altamente discutibili, della Commissione Mandelli (la
quale esclude un nesso tra contaminazione da uranio e malattie) rendono ancor
più difficile la problematica dei risarcimenti e della causa di servizio. Si
sa già che per i tumori sono state sollevate sempre delle gravi riserve circa
il legame sopra citato. Basti pensare, nell'ambito civile, alla vicenda
Enichem di Mestre.
Tuttavia nel caso dell'uranio le succitate norme di precauzione, nonché i
documenti USA riguardanti le misure protettiva in Somalia, provano che
dovevano essere contemplati dei rischi da contaminazione da uranio e quindi
dei legami tra le possibili patologie e gli effetti dell'uranio. I casi sono
due: o non si riteneva che esistesse un nesso tra contaminazione e patologie e
allora non dovevano essere emanate delle norme ed adottati dei provvedimenti
protettivi, oppure i rischi esistevano e giustificavano l'adozione delle norme
e quindi il nesso tra l'uranio e le patologie.
b) Mancata informazione ai nostri reparti di norme di protezione.
Si è sostenuto che i nostri comandi non sapevano nulla prima del 20 dicembre
2000 quando la NATO, in risposta ad una richiesta del Ministero della Difesa,
ha affermato che in Bosnia erano state usate armi all'uranio. Sarà la
magistratura a dover accertare se questo è vero o meno in quanto "per quello
che concerne la Bosnia, i raid aerei degli aerei A 10 erano perfettamente
conosciuti al comandante italiano della base di Aviano. Per ogni raid il
pilota del velivolo deve informare il comando circa la missione compiuta e,
per quanto riguarda l'uso delle armi, deve comunicare il numero dei proiettili
sparati (tra cui quelli all'uranio)".
Il totale di 11.000 proiettili è stato ricavato infatti dalla somma dei proiettili
utilizzati in ogni raid. Quindi
durante le operazioni in Bosnia il Comando di Aviano era certamente al
corrente delle armi che erano state usate ed è altamente auspicabile che il
Comando non si sia tenuto per sè questi dati e che li abbia invece comunicati,
come suo preciso dovere, ai comandi superiori.
Sta di fatto che i nostri reparti sono stati inviati in zone colpite da armi
all'uranio durante tutta la campagna di Bosnia e nei primi 5 mesi nel Kossovo
(così come in Somalia) senza che venissero messe in atto provvedimenti di
protezione.
c) Presenza di uranio nei depositi e nei poligoni italiani.
Due interrogazioni parlamentari, una dei deputati Rizzi e Ballaman e una del
senatore Russo Spena hanno sollevato il problema della possibile presenza di
armi all'uranio (nonché di armi chimiche) nel deposito delle Casermette presso
Cecina. Si fa cenno anche alla possibilità che armi di queste genere possano
essere state portate nei poligoni di Nettuno e Monte Romano. Il Ministro della
Difesa ha invece negato quanto sopra. La magistratura dovrebbe accertare la
verità. Va tenuto presente che purtroppo anche in riferimento alla Bosnia il
Ministero ha costantemente negato, come sopra accennato, che fossero state
impiegato armi all'uranio. Ma la verità era tutt'altra.
Comunque il problema di fondo resta il problema della messa al bando delle
armi all'uranio. A questo proposito vanno ricordate le norme del diritto
internazionale che vietano l'inquinamento ambientale, inquinamento che è stato
riscontrato nei Balcani da una commissione Internazionale.
E' in questo contesto che vanno sviluppate le altre problematiche accennate
dei risarcimenti, dell'impiego di uranio in Bosnia e in Somalia (problema che
comporta la estensione delle indagini in questa area), la problematica
dell'acquisto del lotto di armi inviato in Somalia e acquistato da Israele
" paese per il quale esisteva un divieto di commercio di armi perché paese in
guerra" e infine la problematica dell'uso e della sperimentazione delle armi
all'uranio nei nostri poligoni, con particolare riferimento a Nettuno e Monte
Romano (ma il problema sussiste anche per altri poligoni come Salto di Quirra,
Teulada, Altamura, Dandolo, ecc.) e infine della conservazione di queste armi
in depositi delle Forze Armate.
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