Pubblicato nel febbraio marzo scorsi. Se necessitano le figure informatemi. Carlo Boccadifuoco STRATEGIE E GEOPOLITICA DELLO SCACCHIERE ASIATICO
Figura 1. Bacino del vicino e medio oriente.
GLI INTERESSI DELL’OCCIDENTE
DI CARLO BOCCADIFUOCO bdrc2tiscali.it
Che le guerre non si fanno per amore di una donna o per la libertà di qualcuno è un fatto che ormai dovrebbe essere noto a tutti, allora l’antica saggia domanda “cui prodest?” torna prepotentemente di moda e la risposta, se ci si pensa, è brutale. Poche categorie sociali traggono immensi giovamenti, mentre gli altri, i tanti, hanno diritto a possedere lutti, rovine e fame, specialmente i perdenti. Lanciamo una rapida occhiata all’economia di guerra che ha supportato la passata invasione dell’Iraq e chiediamoci, con intelligenza, perché avvenne e chi ne trasse benefici. Attraverso una stima reale ma approssimativa il costo di quell’operazione, potremmo sostenere che avesse implicato, per il suo esercizio, una spesa di circa ottantamila miliardi di lire, in altre parole quaranta miliardi di dollari o d’euro. Sorge spontaneo domandarsi come una simile spesa può emergere dalle economie nazionali anche se “robuste” come quella statunitense e, se esiste qualcuno, governo o persona, che voglia spendere una così grossa cifra del proprio sistema produttivo per salvare genti che non conosce e che mai vedrà. No! E’ un’operazione antieconomica che farà gridare al “crucifigge” sia l’opposizione parlamentare sia l’elettorato che non approveranno la costosa manovra. “Se la guerra che compio è una necessità, il sacrificio deve ripagarmi” questa è la dura legge del mercato. Esaminiamo, come già abbiamo asserito, la vicenda con razionalità. Nell’ordinarietà delle cose, ognuno afferma che chi esegue spese deve sostenerle, dunque, implicitamente, in qualche modo si è finanziato. Per il concetto del finanziamento dell’azione, è verosimile che l’esborso per sostenere i costi dell’operazione bellica “Desert Storm” del 1991 si valuti in 40 miliardi di $ così ripartito: “10 miliardi di $ sostenuti dagli U.S.A. e, 30 miliardi di $ investiti dalla “Al-Mamlaka al - ‘Arabîya as - sa’ûdîya” di allora e dal “Dawlat al-Kuwait”. Problema dei governi interessati: come trovare i fondi senza sofferenza? Risposta degli stessi governi: innalziamo il costo del barile di petrolio! Molti ricorderanno che il prezzo del barile era allora attestato intorno ai 15 $ ma, con l’avvento della guerra del golfo, esso si accrebbe sino a 42/43 $ al barile. Dato che l’aritmetica è semplice, otteniamo che il guadagno stimato sulla stessa quantità di vendite si triplichi, attestandosi intorno ai 60 miliardi di $. Ottima soluzione, vero? Ma il gettito di quest’entrata dove andò a finire? Chiunque ha frequentato il mondo arabo sa che da loro è invalsa la regola che nel business si procede alla divisione paritaria dei ricavi. Dunque 60 miliardi di $ diviso due, U.S.A. e Paesi Arabi aderenti, indicano che ognuno incamerò 30 $ miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, attraverso le loro cinque compagnie petrolifere di bandiera, più due private sempre americane, con una spesa di 10 miliardi di $ ottennero un guadagno lordo di 30 miliardi di $ così proporzionalmente ripartito: 21 miliardi di $ d’appannaggio per il governo americano e, 9 miliardi di $ alle due società petrolifere private americane. Gli Stati Uniti da quella guerra “umanitaria” hanno dunque ricavato, come utili, circa 20 miliardi di $. Queste sono manovre economiche! Bisogna proprio affermare che l‘operazione commerciale fu ottima anche perché apparsa al popolo dei “piagnoni” come una sollevazione dei buoni contro i cattivi. Ma chi sostenne in realtà i costi di quella guerra? Tutti i Paesi importatori di petrolio ed in particolare l’Italia, in altre parole noi tutti, pagammo con lacrime e sacrifici. I politici di casa nostra, allegri gaudenti e dançeur per tutto il decennio tra gli anni ’80 e 90, ci aiutarono, bontà loro, a capire che il Paese Italia era sul lastrico. 1°) Perché ci avevano già a lungo salassati con le tasse nonostante gli enti ed i servizi pubblici non funzionassero, poi perché i soldi dell’erario furono mal spesi o involati. Ma questo concetto non lo comunicarono. Anche “Mani Pulite”, che prese il via da un ammanco ai “Martinit” di “£ 7.500.000” non concluse nulla, perché il “pool” si guardò bene dall’andare a curiosare in casa delle sinistre politiche italiane. Ma questi concetti i nostri governanti omisero di riferircelo. 2°) I nuovi venuti al governo, “in qualità di primi attori”, personaggi di secondo piano di fronte ai grandi geni dell’escamotage, ci costrinsero a rifondere il debito pubblico, tra l’altro, con le due manovrine, Dini ed Amato, rispettivamente di £ 30.000 miliardi e di £ 100.000 miliardi. Premesso che noi tutti sostenemmo i costi di quella guerra, ora dobbiamo chiederci: “Chi percepì quelle maggiori entrate? Come fu investito il surplus di denaro? La risposta è semplice: “Qual è il Paese, interessato a quella guerra, in cui l’industria degli armamenti è prima nel mondo e non ha cortei ululanti di contestazione?” Risposta, gli Stati Uniti. Essi incamerarono nell’indotto “guerra” il 100% circa del denaro rastrellato per porla in opera. Altro che solo i trenta miliardi di dollari dei conti che abbiamo svolto. Quella guerra significò per quel Paese lucrosi appannaggi e rafforzamento dell’economia interna. Sembra proprio che le questioni umanitarie non emergono!
IL BENESSERE DEL POPOLO AMERICANO NON SI BARATTA
Ronald Reagan E’ però necessario affermare che l’uomo, per quella logica che abbiamo prima invocato e per sua naturale inclinazione, sembra possedere una spiccata tendenza a dimenticare ogni beneficio ricevuto a dispetto di quella peculiarità, che la natura gli ha fornito, della consapevolezza del sé, del passato, presente e futuro. Similmente, anche le nazioni mostrano di disattendere la passione della sfera emotiva che crea anche quei rapporti umani che usualmente definiamo con il termine riconoscenza. Infatti, sembra proprio che l’intera Europa, inclusa l’odierna Russia, cessi di ricordare il contributo non indifferente di sangue, oltre duecentomila morti, che gli Stati Uniti soffrirono durante la seconda guerra mondiale per scatenarla dal possibile regime hitleriano. Certo, ciò avvenne anche nel loro interesse, ma l’avvento delle democrazie europee non si sarebbe avverato senza anche quei morti. Non sostengo che riconoscenza significa accettare passivamente la volontà del benefattore, il senso critico ha il dovere di prevalere sulle passioni e queste non devono manifestarsi preminenti, per egoismi personali, sulle azioni con indirizzo comunitario. E’ di questi giorni il balletto indecoroso che Presidenti e Primi Ministri europei mostrano, in televisione, danzando al suono del nuovo ritmo del “Io ci sto e tu no” tutto per mostrarsi intelligenti, bonari, caratterialmente forti e decisi. La pantomima del francese Chirac, che mira al nobel per la pace, è vergognosa ed inammissibile, mentre Scrhoeder, anche lui eletto per “un pugno di voti” recita a soggetto, dimenticando le sue asserzioni durante la campagna elettorale che lo ha portato al cancellierato. Intanto la Turchia esegue la sua danza della guerra tra i suoi si e no, perché prevede che potrà sistemare, finalmente, la questione Curda. Le cose non vanno meglio in casa nostra dove il popolo dei furbi domina incontrastato usando il cavillo, ormai assurto alla dignità di metodo sin dall’unificazione del Regno d’Italia. Esso, a questo punto, governa la scena politica nazionale insieme alla complice burocrazia, in modo tanto indissolubile da mostrarsi indistinguibili. Siamo perciò maestri nell’arte del “forse che si, forse che no”, fatto che ci porta ad interpretare la legge per gli amici e ad applicarla per i nemici. Insomma, mi sembra che un certo dispotismo di periferia, quello becero e tracotante dei prepotenti, non sia scomparso ma serpeggi ovunque, specialmente nei pubblici uffici e, da questo concetto escludo categoricamente solo i militari. La nostra attuale maggioranza di governo non si amalgama e non propone, ad oggi, un atteggiamento definito ma, al contrario, solo d’orientamento frammentario, mentre l’opposizione, litigiosa su qualsiasi cosa, tralascia di ricordare il suo comportamento quando deflagrò la guerra del Kosovo. In quel periodo il governo di sinistra mostrò una propensione che fu suffragata con senso di responsabilità dal centro destra, si badi bene, solo per posizione geografica perché è plutocratico e capitalista, non certo socialista come quello estinto. In quello stesso periodo, l’On. Cossutta si recava in Serbia dal Presidente Milosevic per esternargli la sua simpatia di compagno. [Per molto meno, nel Paese dei suoi sogni, la Russia di Lenin e colleghi, la sua azione sarebbe stata premiata con l’intervento del boia e della corda.]
I MILITARI COMBATTONO LE GUERRE MA SONO L’ECONOMIA E LA POLITICA A VOLERLE Possiamo con un po’ di fantasia e raziocinio ipotizzare che la riduzione degli armamenti, in ogni Paese, potrebbe avvenire se si riducesse proporzionalmente il budget economico destinato alle spese militari. E’ possibile anche ragionevolmente sostenere che chi meno desidera gli eventi guerreschi è l’esercito, perché è il primo a subirne le conseguenze. E’ perciò necessario che io esprima con chiarezza sin da ora, che chi sceglie la guerra e la dichiara, sono i politici e non i militari, ma gli squilibrati, in ogni modo, sono ubiquitari. L’esercito, in ogni Paese, è solo esecutore d’ordini che deve rispettare per il giuramento prestato alla bandiera in qualità di difensore della Patria e della Nazione. Ma il compimento dei propri doveri, da cui emergono i diritti del cittadino, gravano, similmente, anche su tutti coloro che vivono nella nazione secondo i loro compiti. E’ dunque ridicolo criticare i militari, come in questi giorni sta avvenendo, e non capire che l’impiegato assenteista, o peggio, non è meno responsabile del malessere sociale che viviamo. In ogni settore socio economico nazionale è l’insieme delle leggi che determina il comportamento del cittadino e, tali norme, sono promulgate dai governi troppo spesso impastoiati dai voleri dei partiti politici che sono i veri centri di potere affaristico. Il milite della G.d.F. che eleva una sanzione amministrativa verso l’evasore, chiunque egli sia, non deve essere bollato con epiteti irriverenti ed infamanti, egli ha svolto, in quell’agire, il suo dovere d’esecutor lex. Purtroppo, la solita accozzaglia di genti rumorose e oculate solo per i propri interessi, possiede la funzione del loquere che non è connessa all’organo centrale che si trova racchiuso nella scatola cranica. Tale insieme disordinato di genti, lo stesso che pretende l’uso dell’automobile, del treno puntuale, della sanità capace, del detersivo per la lavatrice e, scusate, anche della carta igienica più morbida possibile, non rammenta che sono i politici a codificare e promulgare le leggi. Questi stessi distratti cittadini rimuovono i propri sensi di colpa, tralasciando di ricordare che per ottenere il benessere che reclamano, qualcuno dovrà, ahimè, avere meno di quanto gli è necessario. Anche coloro che si dichiarano “disobbedienti” o “no global” o “pacifisti”, pur avendo molte ragioni nel loro dire, compiono errori grossolani perché si atteggiano a “non violenti” per poi ricorrere alla forza a loro piacimento. Anche le responsabilità del politico, in ultima analisi, sono da mitigare perché soddisfano gli appetiti del loro elettorato che prepotentemente afferma la volontà di possesso di qualcosa. Questa è l’amara verità. Tutti noi vogliamo diritti e ripudiamo i doveri, ci scandalizziamo davanti al bimbo sofferente e non pensiamo che nel suo stare male abbiamo una colpevolezza precisa. Non ci battiamo contro i corruttori ed i concussi, non badiamo alle miserie altrui se non le vediamo per poi subito scacciarle dalla mente, non pensiamo che per il tozzo di pane che buttiamo tanta umanità sofferente si sbranerebbe per ottenerlo. Ci atteggiamo a moralisti ed a censori dei costumi e non ci rendiamo conto che siamo fanatici sepolcri imbiancati.
L’esame che segue ha il fine di proporre una lettura più particolareggiata delle motivazioni nascoste dell’imminente conflitto bellico “preventivo”. Prenderemo in considerazione diversi aspetti che, in una sola parola, possiamo condensare nel concetto di “geopolitica riguardante il continente centro asiatico” e, dimostreremo che Saddam Hussein ed i suoi pozzi petroliferi sono solo il motivo occasionale per giungere ai nuovi mercati che presto dovranno aprirsi in zone ancora a noi sconosciute. La prossima lotta armata militare non sarà breve né facile ed avrà l’esigenza di rispettare le condizioni meteo che si verificano, con l’avanzare del caldo, nei territori desertici specie nel centro sud dell’Iraq, la regione di Bassora, An Nasiriya, An Najaf, Karbala. La guerra combattuta prevalentemente con il mezzo “aereo”, almeno nelle fasi iniziali, sarà irta di stenti e distruttiva. La sequela degli eventi bellici, tra guerra e guerriglia dei miliziani, che avverrà per il controllo dei territori islamici, proporrà la fase in cui l’occupazione militare terrestre diverrà sanguinosa e dovrà misurarsi con un’arma che definirei propria delle genti dell’Islam moderno: “L’Orgoglio” e la volontà di non avere gli occidentali nei loro territori. In ogni caso è probabile che la grande battaglia avverrà per la conquista di Baghdad.” La lotta oscura che già vede eserciti regolari che combattono i “terroristi”, come ormai siamo abituati a definire i derelitti, sarà militarmente avvilente e grondante sangue. Desidero con brevi righe aprire una parentesi, per domandare perché la stampa non utilizza il termine “miliziano” o “partigiano” al posto di quello obbrobrioso di terrorista, eppure, proprio da noi questi termini sono stati usuali. Si narra che la storia è magister vitae, allora il dilemma ha due corna, o siamo tutti quanti pessimi allievi o essa non insegna. Non possiamo restare insensibili al grido di dolore d’interi popoli sottomessi, non possiamo ancora risentire il proclama di Ronald Reagan che annunciava: “Il benessere del popolo americano non si baratta”, perché mi chiedo – ma tutti gli altri popoli cosa sono?- Allo stesso modo non possiamo assistere immoti alle parole proferite dai facinorosi della Jamail Islamica che vogliono uno scontro di civiltà. Ricordiamo che in ogni caso la violenza è il primo ed unico rifugio degli imbecilli. Io ho digiunato nel giorno delle “ceneri” e non perché sia seguace del papa e del cattolicesimo e Voi?
Figura 2. La portaerei Ark Royal in navigazione.
L’EREDITA’ DEGLI ANNI ‘90
Prima di addentrarci nell’argomento da trattare, pur rammentando il debito di riconoscenza che anche l’Italia ha verso gli U.S.A., desidero rammentare che già da oltre un decennio è in atto una strategia politica, proprio degli Stati Uniti d’America, che mira a destabilizzare l’unità europea. Essa si manifestò con l’avvento della guerra contro la Serbia di Milosevic e con il rafforzamento del marco che sosteneva in gran parte, in quel tempo, la nuova divisa europea non ancora circolante. Quella guerra avvenne per precise motivazioni: 1°) per la volontà europea d’impedire all’Islam di fare il proprio ingresso in Europa, 2°) per l’interesse U.S.A di combattere la forza del “Marco”, che in realtà si doveva leggere “Euro”. L’importanza del Kosovo era dunque strategica nella politica americana ed europea, la Serbia diede lo spunto per il suo controllo e ad altre vicissitudini, con motivazioni economiche eguali a quelle della prima guerra del golfo. Cinque furono i segni distintivi di quella politica: 1) poter controllare le non indifferenti potenzialità economiche kosovare derivanti dai giacimenti minerari di rame, bauxite, argento, 2) controllare la via percorsa dall’oppio cinese per giungere in Europa, 3)utilizzare la ricostruzione della regione come trampolino di lancio per la futura conquista dei mercati dei Paesi centro asiatici, 4)rafforzare la traballante economia statunitense, 5)creare un dissidio interno tra le forze economiche politiche che si avviavano verso la c ostruzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Di questi concetti, i primi tre descritti sono comunitari agli interessi dell’Europa e degli Stati Uniti, gli ultimi due sono invece propri della politica statunitense. Queste le molteplici ragioni che condussero a quella guerra e, ciò si evince attraverso una semplice riflessione sui fatti, così come furono riportati dalla stampa. Da qualche tempo è anche filtrata la notizia, attendibile per la serietà delle fonti che l’anno trasmessa, che dal punto di vista della logica aberrante del benessere ad ogni costo, il controllo e la ricostruzione dei Paesi bombardati, serbi e kosovari, era già stata distribuita a società appaltatrici appartenenti ai Paesi che sostenevano il massimo sforzo militare prima che l’operazione bellica iniziasse, e ciò proporzionalmente all’impegno guerresco dei loro governi. A loro volta, le società appaltanti, tutte vicine agli organi governativi, con i loro stanziamenti terranno le genti di quei Paesi sotto il giogo che imporranno, in ciò tutelate dai loro governi. Inoltre, fatto d’importanza estrema, il Kosovo con l’Albania si riveleranno ottime basi sul Mediterraneo, sfruttabili per la prossima penetrazione verso gli stati del centro Asia di cui tra breve ci occuperemo. In quelle latitudini è dunque mutato solamente il padrone. Tutto questo è oggi ancora possibile perché la questione balcanica è in divenire per la sua mancata composizione durante la seconda guerra mondiale. Il contrasto, ancora perdurante tra i Paesi che si trovano subito aldilà del Mare Adriatico, è addebitabile a tre diverse motivazioni storiche: 1°) alla scaltrezza politica di J. Stalin che doveva e voleva rafforzare militarmente l’Unione Sovietica nella piattaforma continentale europea; 2°) allo scarso interesse, di allora, dimostrato da sir W. Churchill che premeva per fare avvenire lo sbarco alleato in Normandia. In tal mondo aprendo un nuovo fronte bellico che, con una manovra a tenaglia, avrebbe stretto la Germania nazista in una morsa; 3°) all’inadeguata lungimiranza dell’amministrazione di F. Delano Roosevelt che si trovò, alla fine del conflitto, a combattere l’ondata del “maccartismo” e della “guerra fredda”. Nemmeno la recente guerra, che ha interessato l’intera regione, ha definito la geografia politica dei luoghi, anzi essa ha posto, in modo particolare, lo Stato della Macedonia in una condizione di continua emergenza. Secondo la mia interpretazione, la regione balcanica troverà la sua fisionomia solo dopo che si comporrà l’instabilità geopolitica specialmente centro asiatica delle ex repubbliche sovietiche. In ogni modo, nonostante il tentativo destabilizzante della politica americana avverso la nascente “Confederazione Europea”, le forze economiche riunite riuscirono a resistere al tentativo di essere disgregate da quell’azione politica e continuarono la loro marcia d’unificazione economica. Il nuovo imminente evento bellico suggerisce però, tra i suoi fattori negativi, anche nuovi germi per lo sgretolamento economico e politico europeo. I primi sintomi già si sono verificati per il disaccordo delle nazioni sulle risoluzioni O.N.U. da porre in atto contro l’Iraq, anche se ritengo che Francia e Russia, non certo gratuitamente, potrebbero allinearsi ai voleri dell’amministrazione Bush. In ogni modo un duro colpo già è stato inferto all’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’unità europea è barcollante.
Poco prima dell’ufficializzazione del crollo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche per collasso economico dichiarato nel 1991 ma già facilmente appezzabile negli anni precedenti, secondo me sin dal fallimento del piano quinquennale di Nikita Sergeevič Kruscev, giunse, nel 1988, alla vetta politica sovietica, succedendo a Jurij Andropov, M. Sergeevič Gorbaciov che, nel clima di distensione, nel 1989 favorì la caduta dell’infame muro di Berlino eretto già dal 1961. Il grande impero sovietico, sotto l’azione di forti pulsioni disgregatrici interne insoddisfatte dell’economia nazionale e, per gli interessi del mondo occidentale forse troppo frettolosamente posti in opera, si era dissolto lasciando i propri Paesi satelliti, ancora impreparati ad auto governarsi, in una situazione di precarietà economica ma con una gran quantità d’armamento sofisticato. Il grave dramma della caduta del nemico comunista non si rivelò una vittoria del mondo occidentale ma, al contrario, si mostrò una tragica condizione che costrinse il capitalismo a far luce sulle sue più profonde ed intime contraddizioni. Le masse più colte e meno compromesse compresero che l’apparente libertà d’azione offerta dal capitalismo fosse in realtà una condizione liberticida, mentre la grande finanza, bramosa di appropriarsi dei mercati della nuova Russia, proponeva il novello schema della globalizzazione. Inoltre, fatto nuovo e gravissimo, tutti i Paesi medio orientali filo comunisti, in qualche modo influenzati e controllati dalla scomparsa Unione Sovietica, rimasti “orfani del tutor” approntarono una politica estera non lineare, spesso però giustificata, aprendo un gran numero di “falle” nelle democrazie occidentali capitaliste. Intanto la situazione dell’ex Unione Sovietica precipitava ed il Presidente Gorbaciov, nonostante la glasnost e la perestroyka, volute per dimostrare la disponibilità del P.C.U.S. e la ratifica di molti accordi raggiunti con George Bush senior e con R. Reagan, dovette anche concedere la libertà politica e nazionale, durante il 1991, alle Repubbliche Baltiche – Estonia, Lettonia, Lituania. Il malessere interno all’U.R.S.S. non si sopì però con queste concessioni, perché altri popoli, tra loro diversissimi per etnia, costumi e cultura ormai bramavano il loro autogoverno. Queste, in sintesi, le cause scatenanti di tanti piccoli focolai bellici, passati quasi inosservati nei territori delle zone di trapasso tra Europa e piattaforma asiatica medio orientale. In questo contesto internazionale costituito dal nord est europeo in dissoluzione, dall’occidente del continente che tentava di coalizzarsi economicamente, mentre gli americani premevano per ampliare i loro mercati e con i Paesi arabi, da sempre bistrattati per la politica cieca dei loro governanti e dagli interessi occidentali, deflagrò, il 16 Gennaio 1991, la “Prima Guerra del Golfo” nota come operazione “Desert Storm”. Si addusse a motivazione di quell’evento bellico, approvato dall’O.N.U., la manovra che Saddam Hussein , Presidente Irakeno, aveva posto in essere per ottenere il controllo dei territori kuwaitiani che considerava la diciannovesima provincia dell’Iraq. Subito le borse mondiali, per i grandi speculatori, ebbero gravi contraccolpi ed il prezzo del barile di greggio giunse a quote altissime. Il nostro Paese, tra i maggiori importatori di petrolio, si ritrovò quasi alla bancarotta e le misure per tentare il risanamento furono dolorosissime. Dopo una lotta armata senza storia, il 6 Aprile dello stesso anno, gli iracheni firmarono la cessazione delle ostilità. Si sottomettevano, con tale trattato, anche alla risoluzione di pagare i danni di guerra procurati al Kuwait e di accettare altresì di dichiarare il tipo e la quantità d’armamenti di cui erano in possesso e di smantellare i loro arsenali militari. Ben presto la stampa occidentale rese noto che le risoluzioni previste dall’O.N.U., in tema d’armamento, non erano rispettate e che Baghdad non collaborava convenientemente. Si decisero così una serie di sanzioni amministrative ed economiche contro l’Iraq. In seguito alle sanzioni, i gruppi “Sciiti” allocati nel sud del Paese e quelli “Curdi” autoctoni del nord, verso il confine turco, scatenarono violente rivolte che furono causa di sanguinose repressioni. Per questo motivo l’Alleanza Occidentale creò una zona di sicurezza per i Curdi nel nord dell’Iraq.
Il primo secolo del nuovo millennio trova la geopolitica planetaria apparentemente organizzata ma, in realtà, essa è molto frammentata per gli appetiti e le necessità d’energia dei Paesi tecnologicamente avanzati. I due grandi blocchi cui eravamo abituati, rappresentati dal Patto Atlantico ( N.A.T.O. Aprile 1949) e dal Patto di Varsavia (14 Maggio 1955), sono in cattiva salute il primo ed è scomparso il secondo, lasciando come retaggio le grandi potenze mondiali tradizionali alla ricerca di una nuova configurazione geostrategica. L’Europa che è confluita in confederazione economica, la Russia impoverita territorialmente ma con una grande potenza offensiva e gli U.S.A. che nonostante la loro apparente forza ed integrità sono preda di una grave crisi economica ed esistenziale perché, tra l’altro, provati dagli attentati subiti. Questi Paesi devono però misurarsi con le forze emergenti rappresentate particolarmente dalla Turchia, Saudi Arabja ed Iran nel vicino e medio oriente, dal Pakistan e dall’India nel sud dell’oriente, dalla Cina e dall’emergente Corea nel lontano oriente. Motivo della grave crisi mondiale che è in atto, già serpeggiante dal 1980 anno della morte di Josip Broz detto Tito, è la volontà del mondo islamico di far breccia nel cuore della vecchia Europa così come in passato già era riuscito a fare. L’altro grave motivo d’instabilità, di cui già si è riferito, è l’improvvisa scomparsa dell’Unione Sovietica. Lo scontro, sul nuovo terreno di confronto, sarà inevitabile per la necessità imperante della ridistribuzione delle fonti energetiche che producono economia e benessere. A mio avviso, l’unico possibile deterrente al disastro che si profila all’orizzonte è di matrice scientifica. Le nuove tecnologie potranno proporre, forse in tempi brevi, reali fonti energetiche alternative ai motori chimici offrendole a costi limitati. Sarà così possibile una riconversione industriale da cui nessun Paese deve restare escluso e la nuova fase economica politica potrà, per il suo necessario pragmatismo, soppiantare le equivoche logiche di necessità faziose supportate da morali illogiche e metafisiche. Durante l’attesa che questa possibilità si verifichi, la situazione attuale è quella che ora descriveremo. Nella storia umana, sin dall’età del ferro e più ancora per i viaggi dei “Polo”, la favolosa Asia è valutata come il crogiolo dell’evoluzione culturale dell’homo faber. Essa è un enorme serbatoio di razze e formazioni culturali che si sono succedute sulla via della seta. Ponte, quasi naturale nel congiungimento tra Occidente ed Oriente, è la stretta striscia di terra delimitata a nord dalle prime propaggini della catena montuosa degli Urali ed a sud dal “Mar Caspio” e dal lago “Aral”. Questo stretto corridoio era l’ultima Thule di due mondi diversi rappresentati, già dall’età del bronzo, dalle popolazioni Paziryk nell’Asia centro occidentale e dagli Sciti, poi Variaghi, nell’Europa centro orientale. L’immensa Asia, quadrivio di contatto con l’Europa, nei nostri tempi pone in contiguità geopolitica i modus vivendi derivanti dalla ormai nuclearizzata Cina, dalle fortemente emergenti regioni Islamica e dal bacino indiano, anch’esso in possesso d’armamento atomico. Per quanto riguarda il continente europeo, una storia a sé svolge la sterminata ex U.R.S.S. che ora, dopo il tracollo economico dichiarato nel 1991, chiede di far parte del trattato di Maastricth. Grave handicap dell’Asia è la mancanza di vie d’acqua navigabili che solchino convenientemente l’entroterra. Ciò fa sì che, ogni suo commercio deve svolgersi sulla terraferma attraverso territori orograficamente assai disagiati per il clima e la presenza di vastissimi altipiani desertici, assolutamente inospitali per l’uomo. Queste particolari condizioni, di gran parte del territorio, hanno inciso in modo specifico nel creare economie di sussistenza che giustificano l’attuale arretratezza economica e tecnologica dei popoli dell’interno e del nord. Il continente asiatico possiede però enormi ricchezze non ancora realmente sfruttate, rappresentate, in particolare, da giacimenti petroliferi e di minerali pregiati che scatenano gli appetiti mai sopiti di tutte le grandi potenze. Gran parte di tali risorse si trovano nelle cinque Repubbliche esterne ex sovietiche, Paesi ora poverissimi, dove il reddito pro capite annuo è inferiore a quello mensile di un nostro salariato. Questi territori, già da qualche tempo, per le loro ricchezze naturali sono la vera ragione del contendere tra le nazioni tecnologicamente avanzate. Proprio in vista di questi non lontani sfruttamenti la conquista dell’Iraq di Saddam Hussein rappresenta, per la posizione geografica e per la sua “cattiva” politica estera, solo una pedina di comodo nel gran conflitto d’interessi per l’occupazione delle regioni limitrofe che si trovano a nord del suo territorio. L’occupazione del Paese, attraverso i favori di un governo compiacente, permetterebbe di “sfruttare” le sue risorse petrolifere e di realizzare ottime basi d’appoggio tattico e logistico per arginare “gli appetiti” dei Paesi limitrofi. La presenza nel territorio procurerebbe inoltre la libertà, senza molti sforzi, di giungere ad “impadronirsi” delle regioni asiatiche ex sovietiche per assicurarsi i nuovi approvvigionamenti minerari di cui questi sono ricchissimi. Per l’economia statunitense la manovra è di gran valore strategico dato che il suo sistema produttivo non ha più la capacità di trainer che possedeva e, le sue scorte energetiche chimiche, seppur non in riserva, tra non molti anni andranno ad esaurirsi. La guerra all’Iraq del cattivo Hussein, che ha accesso al mare, non è dunque motivata dai crimini che costui ha commesso, ma dagli interessi economici che si fanno scudo di quelle nefandezze usandole come schermo dietro cui defilarsi.
AL-JUMHǛRIYA AL ،IRẬQỈA
Figura 3.
L’economia ha sempre retto le sorti nel mondo, non la giustizia e la verità. Chi ricorda le scelleratezze della guerra dei “boxers” tra Inghilterra e Cina. I primi dovevano rivendere a prezzo maggiorato, ai secondi, l’oppio che avevano da questi già comperato. Chi ricorda la guerra per il mantenimento del possesso delle “Malvinas”, solo poche miglia distanti dalla costa argentina ma rivendicate ed ancora mantenute sotto il proprio controllo dagli inglesi. Chi ricorda la sporca guerra del Vietnam condotta nell’interesse di pochi gruppi economici. Chi ricorda che non è solo l’Iraq di Saddam Hussein ad avere perpetrato stragi contro il popolo Curdo. Chi ricorda…l’elenco è interminabile. In ogni modo se gli Stati Uniti potessero controllare l’Iraq attraverso un governo compiacente, oltre che poter disporre delle non indifferenti fonti di petrolio presenti nel territorio, disporrebbero anche di favorevoli basi d’appoggio tattico e strategico che si aggettano verso le cinque ex Repubbliche Esterne della scomparsa Unione Sovietica. Queste terre, come più avanti esamineremo, sono la grande “miniera” del futuro per l’industria estrattiva e petrolifera. Anche se durante il diciannovesimo secolo, la politica europea specialmente inglese e, in minor misura quella tedesca e francese, comprese l’importanza geostrategica ed economica di quei luoghi asiatici, l’Inghilterra stimò più prudente mantenere le proprie colonie nel sud del continente per non cozzare con gli interessi degli Czar, mentre la Francia e la Germania non ebbero grandi opportunità di conquista in quelle latitudini. Durante il successivo ventesimo secolo, occupato da due guerre mondiali e con un equilibrio militare precario, nessun Paese europeo provò ad entrare in competizione con il bolscevismo sovietico. Mosca, infatti, valutava tutta la regione centro asiatica come suo esclusivo spazio vitale da cui trarre migliori sorti economiche ed attraverso cui giungere al sempre agognato porto sul Mar Mediterraneo sottraendo il Bosforo ed i Dardanelli alla Turchia. Anche la potenza militare degli Stati Uniti fu tenuta a freno dalla massiccia presenza, nel bacino centro asiatico, delle truppe sovietiche disposte nelle repubbliche del Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan ed Uzbekistan. Queste cinque repubbliche poco note in precedenza, indipendenti dal 1991, hanno acquisito importanza durante il corso degli ultimi anni per la valutazione dei loro possedimenti minerari e per essere confinanti con l’Afghanistan, Paese che è giunto sulle cronache mondiali per il suo regime oltranzista e per l’ospitalità offerta al terrorismo internazionale. La regione afgana è stata sottoposta a massicci bombardamenti ma, stranamente, essi non sono stati indirizzati sulle vere centrali di redditi illeciti che creano enormi capitali sommersi con le coltivazioni di papaveri da oppio. Attualmente il poverissimo Afghanistan è “sotto sorveglianza speciale” effettuata da un vasto spiegamento di forze dell’Alleanza Atlantica con mansioni antiterroristiche. Il Paese dei papaveri da oppio, della strenua resistenza all’occupazione della scomparsa Unione Sovietica, lasciato nella sua solitudine e terribile povertà dai Paesi occidentali ricchi ed opulenti, è divenuto necessariamente preda dei miliziani islamici. Io ritengo che anche in questo caso la motivazione che lega gli eventi bellici è sempre la stessa, infatti, la dissestata economia americana, con l’azione svolta più dimostrativa che sostanziale, ha voluto incrementare una sua nuova ripresa economica mostrando al mondo la forza del Paese. Insomma il vero obiettivo dell’operazione afgana non era la caccia a Bin Laden, come non è l’Iraq di Saddam Hussein il motivo delle tensioni nel sud di quelle regioni, bensì tutto conduce a comprendere che il prossimo passo, quello vero, sarà la conquista dei giacimenti minerari dell’Asia centrale che erano in qualche modo appartenenti all’U.R.S.S. Nella strategia mediorientale degli anni ‘70 del secolo ventesimo, Bin Laden fu armato ed economicamente aiutato, dagli stessi Stati Uniti D’America, per la lotta contro il fanatismo anti americano che mostrava velleità sui territori circostanti. Anche Saddam Hussein fu aiutato dagli stessi Americani nella scalata al potere in funzione anti ayatollah, fondamentalisti sciiti che erano succeduti, sin dal 1978, alla dinastia Pahlavi che si era trasformata in un regime assolutista prostrato ai voleri di Muhammad Reza Pahlavi. Oggi, la propaganda occidentale che non si era mai occupata dei fatti personali di Saddam Hussein, improvvisamente ci rivela che è un sanguinario, definendolo un “criminale pazzo” che ha a lungo studiato e fatte proprie le opere fondamentali di Stalin e di Hitler che, nell’esercizio del potere, sono divenuti “pazzi criminali”. L’Hussein irakeno conquistò il potere nel 1975 con un bagno di sangue già all’indomani del suo insediamento alla presidenza del Paese. Si racconta che sin da giovane vagava, durante la sua tristissima infanzia nel villaggio dove risiedeva ed in cui lo zio esercitava il potere, armato di una spranga di ferro per difendersi e assaltare i nemici. Non si sentiva amato e compreso nemmeno in famiglia. La sua avventura politica iniziò con l’ingresso nel Baath, Partito Socialista per la Rinascita Araba che nutre idee nazionaliste, provò a fondare un movimento inter arabo per il consolidamento del nazionalismo islamico ma il suo progetto fallì. Altre cose racconta la stampa, in questi giorni, con dovizia di particolari. Ciò che mi preoccupa è che ciò avvenga solo ora e, mi chiedo, se questo signore non sia il Girolimoni di questo secolo. In considerazione di questi funesti avvenimenti che accompagnano la nostra vita giornaliera, un Paese Asiatico ha però già compiuto la prima mossa di controffensiva al piano americano, la Corea. Questo Paese ha ultimato il perfezionamento della sua arma atomica ed i vettori adatti per il suo trasporto, annunciando ufficialmente al mondo intero la sua capacità bellica. Sembra però che questa grave notizia sia già dimenticata e la stampa, quella ruffiana, la ha già relegata nel limbo.
Figura 4. Loockheed F-117 NighthawK durante il lancio di una bomba LGB a guida laser del tipo GBU -27/B Paveway III
LE REPUBBLICHE DELLE RIMLAND EUROASIATICHE
Quest’importante capitolo di storia politica moderna europea si riallaccia al periodo in cui l’impero degli zar dominava la Russia. Dopo la conquista militare zarista della piattaforma asiatica centrale, il regno di Russia mostrò la sua decadenza ormai profondamente avviata e, l’espansione ad oriente verso zone economicamente represse fu prodromo dell’epilogo della disfatta. L’espansione ad oriente, quando avvenne, non aveva la valenza di una necessità economica ma rappresentava il tentativo di consolidamento dei confini verso est. Confini che erano insicuri e continuamente penetrati da popolazioni tribali asiatiche che razziavano quanto potevano ai russi ivi residenti. Dopo la scomparsa della dinastia dei Romanov con l’eccidio, per opera dei bolscevichi, di Nicola II e della sua famiglia, il comunismo si consolidò per l’attività di Vladimir Ilič Lenin (1870 – 1924). Questo primo Capo di Stato sovietico, che morì per trombosi cerebrale, aveva indicato il facinoroso uomo governativo Josif Visarionovič Džugašvili detto Stalin, prima di perdere l’uso della parola, com’elemento pericoloso per lo Stato e che non lo apprezzava come suo successore. Giunto al potere, nonostante il parere negativo di Lenin, Stalin iniziò una politica rigida e di terrore, e pose in opera anche un’amministrazione di controllo del territorio assai macchinosa. La Russia fu divisa in settori concentrici al cui interno si trovavano le Repubbliche Socialiste Sovietiche, più esternamente furono create le Repubbliche Socialiste Sovietiche Autonome e ancora più perifericamente si ersero le Repubbliche Autonome. Da queste ultime si separarono le “oblast”, corrispondenti ai distretti nazionali. La strana distribuzione dei settori amministrativi, farraginosa e complessa per sua stessa natura, mirava al controllo dei territori più esterni attraverso un’azione che possiamo definire del “divide et impera”. Infatti, in tutto il sistema non si tenne volutamente conto della diversità tribale, culturale, sociale ed economica dei popoli controllati, il beneficio centrale, se realmente è esistito, derivava dall’aizzare le etnie diverse a fronteggiarsi l’un l’altra in modo da dipendere dal centralismo di Mosca. Per l’interesse dello statalismo centrale furono organizzate repressioni feroci e deportazioni di massa d’interi villaggi verso i territori dell’est. Secondo stime prudenti si calcola che durante le deportazioni e nel regime di “prigionia”, in cui si trovarono quelle popolazioni, avvennero oltre due milioni di morti. Le deportazioni dei cittadini russi avevano la mira di inserire, nei territori orientali a minore loro densità abitativa, genti appartenenti all’unione sovietica, mentre epurazioni razziali erano poste in opera per spopolarli dalle etnie già autoctone. In questo modo ogni linea di confine divenne quasi virtuale e la confusione regnò sovrana. La tendenza ad occupare le terre verso oriente si invertì, dopo la caduta del bolscevismo, con un’ondata di reflusso massiccia tendente all’inurbazione delle genti nei grossi centri commerciali. Questo fenomeno di reflusso ha creato necessariamente forti tensioni sociali e criminali con ghettizzazione delle classi economicamente più deboli. Le autorità, non potendo limitare il reflusso delle popolazioni, ed essendo appena avviato il processo di democratizzazione instaurato nel Paese dal Presidente Gorbaciov, hanno dovuto “congelare sine die” la questione delle linee confinarie, con ciò rinunciando al controllo dei flussi migratori ma rintuzzando, almeno nelle speranze, la grave crisi che si delineerà in quelle latitudini, simile a quella della questione cecena. I vari gruppi etnici che mirano a scardinarsi dall’ex impero sovietico sono purtroppo in possesso di un sofisticato bagaglio d’armamento avanzato, tattico e strategico, convenzionale e nucleare, equipaggiamenti che non sono preparati ad usare né tecnologicamente, né psicologicamente. Ma la questione si presenta ancora più complessa perché un altro alto fattore di rischio è la presenza di centrali nucleari obsolete, in cattivo stato di manutenzione e non convenientemente monitorate. In questo humus la criminalità organizzata, purtroppo fenomeno già avviato, ha grandi possibilità di rifornimenti e, di fronte agli attuali governi regionali impreparati e bisognosi d’economia e spesso anche corrotti, essa riesce a determinare le politiche economiche dei territori. Questo il dramma che emerge dall’esame politico economico dei territori dei Paesi che sono appartenuti alla ex U.R.S.S. L’esplosiva situazione non si ferma a questo livello con le sue tensioni. Le popolazioni, prive dei beni di normale consumo nelle civiltà occidentali e desiderose di appagare la loro “fame atavica”, hanno necessità dell’approvvigionamento idrico specialmente per gli impieghi agricoli e per quelli industriali quando saranno avviati. I sobborghi rurali, assai aridi, sono riarsi e l’unica reale grande fonte d’erogazione di questo bene primario è l’Aral Sea. Il suo controllo è perciò indispensabile per la sopravvivenza di quelle popolazioni. La produzione agricola, come già accennato, ha necessità di un rapido accrescimento e di svecchiamento delle sue arcaiche strutture e tecnologie. Essa sarà, dunque, il più importante progetto di sviluppo per il futuro che assorbirà, per decollare, prodotti agricoli sperimentali, specialmente fertilizzanti non testati che potranno mostrare il loro potere deleterio dopo anni d’uso. Anche gli O.G.M. avranno “vita facile” in quei territori e tutta questa realtà si scontrerà con la necessità dell’industria estrattiva che produrrà il suo altissimo tasso d’inquinamento. Sembra proprio che il futuro prossimo sia fortemente colorato di nero, è necessario che la scienza, come già abbiamo prima affermato, trovi fonti energetiche alternative, a basso costo industriale, e che perciò avvenga una più equa distribuzione delle ricchezze del pianeta. E’ anche indispensabile che le scoperte che possono sfamare le popolazioni, impedendo le carestie e gli alti tassi d’inquinamento, non siano soggette a brevetti personali od a detenzioni delle multinazionali, come già avviene. Il maggior benessere della grande industria non coincide con quello della società, anzi il suo maggior benessere societario crea tensioni sociali pericolose. Questo concetto fu espresso da un uomo, che circa mezzo secolo addietro fu appeso a testa in giù in piazzale Loreto, dopo essere stato barbaramente trucidato da facinorosi. L’unica sua colpa, il non avere vinto la guerra, anzi d’averla persa.
Figura 5. Sukhoi “SU-27M” Flanker. Intercettore multiruolo a lungo raggio. Può trasportare una varietà impressionante d’armi del tipo aria terra, aria aria e missili guidati di precisione.
L’Asia centro occidentale, già possedimento dell’U.R.S.S., è divisa in cinque repubbliche ex sovietiche. Esse sono qui esaminate in ordine d’estensione territoriale. La maggiore per estensione è il Kazakhstan che aveva come capitale Alma Ata sino al 1998, ora la sede è Astana; è seguita dal Turkmenistan il cui governo risiede ad Ashabad; al terzo posto si trova l’Uzbekistan con capitale Taškent; successivamente si colloca, sempre per superficie, il Tadžikistan con capitale sedente in Dušanbe ed infine, quinta come dimensioni, troviamo il Kirghizistan la cui capitale è Frunze detta anche Biškek. Comune denominatore delle regioni menzionate è la presenza di una grave crisi economica che le costringe a richiedere protezione ed assistenza ai Paesi forti. Gran parte dell’Asia centrale ex sovietica corrisponde al bassopiano turanico o Turkestan occidentale, mentre quella orientale, denominata anche Sinkiang, è di possedimento cinese. L’intera regione ha i suoi confini naturali verso ovest col Mar Caspio e nella sua parte orientale ingloba il lago Aral. Immissari di quest’importante bacino idrografico sono l’Amudarja ed il Sirdarja. Il confine sud è delimitato dalle catene montuose dell’Altaj, del Tien Shan e dell’Altaj Tau, qui si affaccia anche il “tetto del mondo”, l’altopiano del Pamir e, giunge, anche il sistema montuoso dell’Hindukush. La popolazione prevalente è d’origine turco mongolica, i russi sono in minoranza. Qui il clima è arido ed i territori desertici e le vaste steppe sono prevalenti nell’orografia del suolo. Le popolazioni, in forte maggioranza di religione islamica sunnita, vivono soprattutto d’agricoltura molto stentata ed arretrata che produce cotone, riso e frutta, altra fonte di sostentamento è la pastorizia. Molto promettenti, come più volte abbiamo accennato, si rivelano le fonti minerarie. Più ricchi sono i territori verso occidente, quelli compresi tra il Mar Nero ed il Caspio, questa regione è detta Caucasia, i suoi confini naturali sono: 1) a nord la depressione del Manič, 2) a sud la vallata creata dal fiume Kura che è tributario del Caspio. Oltre questa latitudine, era satellite dell’U.R.S.S. anche parte dell’Armenia che era condivisa con Turchia ed Iran. Baku, ormai nota località della zona, ha già notevoli insediamenti per il pompaggio del petrolio. La massiccia presenza di popolazione turcofona ed islamica sunnita dà, alla confinante Turchia, la possibilità di agire attraverso la “koiné”, il sentimento comunitario di comunione dell’Islam, per penetrare in quei territori traendoli nella propria sfera d’influenza. Il Paese, nonostante l’esito delle ultime elezioni nazionali, è, in ogni modo, certamente laico e non estremista ed Ankara, preparando la propria manovra, ha da qualche tempo concesso ingenti prestiti monetari ai governi di queste regioni. Ha inoltre favorito l’insorgenza di scambi economici agevolati. Nel particolare, il governo turco si è comportato similmente a quello statunitense nell’ex Jugoslavja, infatti, gli ingenti prestiti concessi permettono il controllo dei territori senza ricorrere a pericolose strategie armate. Inoltre, la Turchia ha il vantaggio non indifferente di essere sempre stata neutrale nella lotta tra mondo arabo ed israeliano, ha perciò una discreta libertà d’azione nella zona, senza preoccupare, con la sua politica egemonica, lo stato d’Israele. Un altro gran vantaggio a favore della Turchia è la sua partecipazione alla N.A.T.O. con un esercito di prim’ordine, inferiore in armamento solo a quello statunitense ed inglese. Questo Paese si è trovato in una posizione geostrategica opportuna anche per la sua politica filo occidentale che gli permette di controllare, con un osservatorio in zona, gli stati “canaglia”, Siria ed Iran, implicati, questo portano a concludere le informazioni che ci sono proposte, nel terrorismo internazionale. Manifeste mire espansionistiche sulle cinque repubbliche mostra anche di possedere il teocratico mondo iraniano degli ayatollah. L’Iran odierno, discendente dall’antica Persia, alla fine degli anni ’70 ancora nominalmente governato dai Pahlavi, aveva acquisito una ragguardevole ricchezza societaria per il suo notevole sviluppo economico. Divenuta meno costante la protezione americana per il regime monocratico instauratosi, il governo allacciò strette relazioni con i Paesi comunisti e con quelli arabi, escludendo di fatto l’Iraq. Tra questi due Paesi esisteva, infatti, un antico dissidio sul possesso d’isolette del Golfo Persico e sul controllo dello Shat el Arab. Nonostante il diffuso benessere di cui il Paese godeva, per la crescente occidentalizzazione dell’economia e del modus vivendi, l’ala religiosa conservatrice riuscì a ricostruire un rigorismo dei costumi che sfociò, nonostante l’intervento sanguinoso della Savak, la polizia segreta, in un forte movimento d’opinione a maggioranza sciita fondamentalista che costrinse lo scia a lasciare il proprio Paese sin dal 1963. Il movimento d’opinione si tramutò in partito politico e, dopo trentasette anni di regno, lo scià fu esiliato. Da quel momento iniziò il corso della repubblica islamica, il cui primo presidente eletto nel 1980 fu Abolhassan Bani Sadr, stretto collaboratore dell’ayatollah Khomeini ritenuto il capo spirituale del nuovo paese. Altri gruppi politici erano presenti nel Paese, tra questi il più forte fu certamente quello che portò Muhammad Ali Rajai alla carica di primo ministro della repubblica. La precarietà della situazione politica presto mostrò i propri limiti perché le minoranze azere del nord, curde del sud e quelle arabe del Khuzistan si sollevarono in armi nel tentativo di conquistare l’indipendenza nazionale. Nello stesso anno l’Iraq di Saddam Hussein iniziò la guerra iraniano irakena perché non erano state accettate le sue istanze di tutela delle minoranze arabe e di ritrattare il possedimento delle isolette del Golfo Persico. Il dittatore irakeno, in quel periodo, puntava ancora alla “Lega delle Genti Arabe” che poi fallì. Il Primo Ministro Rajai, durante il 1981, riuscì a deporre dalla carica presidenziale Bani Sadr e s’insediò lui stesso. Per quest’atto, dopo pochi mesi, fu vittima di un attentato. Alla situazione conflittuale estera si affiancava perciò una grave crisi interna foriera di guerra civile. Le truppe dei due Paesi contendenti, con quello irakeno sostenuto militarmente dagli Stati Uniti, si alternavano in una ridda di spiegamenti tattici che produsse oltre un milione di morti e più di due milioni di feriti. Solo nel 1988 i litiganti giunsero al cessate il fuoco. Nel 1989, con la morte di Khomeini, fu eletto presidente dell’Iran Akbar Hashemi Rafsanjani che migliorò le relazioni diplomatiche del Paese con gli stati occidentali. Quando scoppiò la “prima guerra del golfo”, l’Iran rimase neutrale e diede la possibilità agli aerei irakeni di spostarsi sulle basi del proprio territorio per sfuggire ai bombardieri alleati. Terminato il conflitto, Teheran però si appropriò dei velivoli irakeni non restituendoli all’Iraq. In tutto questo marasma le condizioni economiche del Paese collassarono per l’enorme debito pubblico e per l’inflazione, ma nessun Paese occidentale intervenne per offrire aiuto, perché si sospettava che Teheran finanziasse il terrorismo internazionale fondamentalista. Nel 1995 l’amministrazione americana, presieduta da Bill Clinton, sentenziò l’embargo commerciale contro l’Iran. Per questa nuova calamità, fu eletto Presidente della Repubblica il moderato Mohammed Khatami che, esponente di un largo strato di maggioranza, ha favorito uno sviluppo democratico del Paese anche se permane uno stato di dissidio interno con la teocrazia islamica sunnita fondamentalista. L’Iran è comunque destinato a divenire, in un prossimo futuro, un interlocutore notevole della politica estera dei Paesi occidentali, specialmente per la rilevanza dei suoi enormi giacimenti petroliferi e per il numero della sua popolazione che si aggira intorno agli ottanta milioni d’abitanti con un tasso d’incremento annuo notevole. La sua posizione geografica lo avvantaggia per essere il vertice di un triangolo che si apre tra il bacino indiano ed il Mare Arabico oltre che fungere, perché più a sud della Turchia, da trait d’union tra Asia e mondo islamico. In questo scacchiere, un altro terribile pericolo di conflitto, per ora sedato, è stato rappresentato dall’insediamento del regime dei Talebani in Afghanistan. Anche questi furono promossi, in funzione antisovietica, dalla politica estera statunitense contro le tribù del nord del Paese. Gli “Studenti di Dio”, giunti al potere, affermarono un rigido regime islamico che presto condusse ad oltranzismi accentuati e che produsse anche l’uccisione di ben nove diplomatici dell’ormai moderato Iran. Il governo di Teheran, conseguentemente, per rappresaglia aiutò finanziariamente i Mujaheddin, uzbeki e tagiki, guidati dal generale Masud nella lotta contro il regime talebano. Nonostante le grandi possibilità di mediatore dei fenomeni dei territori delle ex cinque repubbliche sovietiche, il governo di Teheran non nutre la fiducia degli occidentali che lo guardano con sospetto perché lo ritengono, insieme ad altri, protettore dei movimenti miliziani di quelle regioni. In ogni modo, gli enormi interessi in gioco faranno certamente sì che l’Iran si scagioni dall’appartenenza degli “stati canaglia”, esso ha comunque già firmato accordi per la realizzazione di strade rotabili e di una ferrovia che creino commercio con il Turkmenistan, favorendo a quest’ultimo uno sbocco marittimo. Ciò che gioca a sfavore della potenza di Teheran è un armamento obsoleto di fabbricazione americana, specialmente caccia del tipo F4, F5 e F14 ma, esso dispone anche di missili di fabbricazione nord coreana capaci di essere muniti di testate chimiche e biologiche e di mezzi subacquei, del tipo “Kilo”, acquistati dai Russi. L’esercito terrestre, per sua struttura e logistica, non possiede però, in atto, capacità strategiche degne di nota, ma purtroppo, nota dolente per noi occidentali, la tecnologia iraniana potrà presto creare la propria bomba nucleare ed intanto ha già impiantato, sul proprio territorio, alcuni reattori nucleari. Insomma tutta la zona medio orientale è una pericolosa commistione di tensioni tribali antiche con accesso a tecnologie militari sofisticate e, le stesse regioni sono ricchissime specialmente di petrolio. Teheran ha anche costruito con tecnologia propria, in parte derivata da quella russa, suoi vettori balistici con traiettoria calcolata in circa km 1500 e capaci di acquisire il bersaglio con uno scarto di solo pochi chilometri. Attualmente è certo che sono allo studio nuovi vettori della stesso tipo con capacità intercontinentale. Si affianca, un po’ più ad oriente il Pakistan che dispone, come la sua confinante atavica nemica India, d’armamento atomico. E’ questo un Paese in cui le minoranze cristiane sono pesantemente perseguite dalla religione coranica fondamentalista, ma questo Stato, a differenza dell’Iran, è più chiuso nelle sue azioni perché non possiede porti ed è confinante, a nord, anche col colosso cinese che non mostra ancora alcun segno di nervosismo, forse fedele alla sua massima: “guarda dalla sponda del fiume, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”. Questo Paese confina ed ha una storia moderna legata strettamente a quanto è avvenuto ed avviene nel confinante Afghanistan di cui già abbiamo reso evidenti le condizioni.
KAZAKHSTAN RESPUBLIKASY
Figura 6.
E’ la più vasta tra le cinque Repubbliche esterne dell’ex U.R.S.S. ma, pur avendo acquisito l’indipendenza è legata, dal 1992, da un “Trattato d’Amicizia e Cooperazione” con la Russia. Il territorio del Paese ha confini a nord e ad ovest con la Russia, ad est con la Cina, a sud con il Kyrgystan, Uzbekistan e Turkmenistan, verso sud ovest si trova il Mar Caspio. La sua superficie è di km2 2.717.300, l’attuale capitale e sede del governo è Astana. La giurisdizione del Paese è una vasta pianura chiusa limitata ad oriente dalla catena dei monti Altaj e verso sud da quella del Tian Shan. Al centro della regione si trovano vasti altipiani che degradano dolcemente verso il bacino idrografico dell’Aral Sea formando poi le zone pianeggianti del bassopiano turanico. Tutta questa zona ha la caratteristica di avere una quota inferiore al livello del mare “s. l. m.” di – m 28. Verso est, ed a nord est, è delimitata dalla catena Uralo Caspica. Il clima è di tipo continentale, contraddistinto da inverni con temperature minime medie di –25°C ma che spesso raggiungono anche i –45°C ed estati brevi e mitigate nella calura. Sempre verso il centro del Paese si trovano quattro bacini idrici naturali, i laghi Balhaš e Zejsan, oltre ai grandi “Mar Caspio e Aral”. I fiumi tributari dei primi due laghi detti sono il Syrdarja e l’Ilj da cui sono tratte gran quantità d’acqua per l’irrigazione agricola. Il fenomeno ha però determinato l’impoverimento del livello dei laghi in cui s’immettono. I fiumi Irtyš, Išim e Tobol sono affluenti del grande Ob che sfocia nel Mar Glaciale Artico, mentre l’Ural sfocia nel nord del Caspio non molto distante dal Volga. Gli abitanti sono attualmente circa 17 milioni con densità abitativa calcolata in circa sei abitanti per Kmq, le etnie presenti sono eterogenee, i kazaki rappresentano circa il 40%, seguono i russi con il 38% che sono massimamente incentrati verso il nord del Paese dove detengono le maggiori fonti d’economia, tedeschi ed ucraini si attestano su valori del 5-6% mentre i tatari sono in netta minoranza con il 2%. La strana mescolanza d’etnie è dovuta massimamente alle deportazioni che Stalin pose in opera durante il periodo del suo potere in U.R.S.S., la tendenza al flusso migratorio, come già detto, perdurò a lungo e s’invertì con l’inizio degli anni ’90. La religione professata è prevalentemente di tipo mussulmano sunnita, seguono nell’ordine i gruppi cristiani ortodossi, protestanti e cattolici e, per evitare gravi conflitti sociali, le Autorità del Paese hanno lasciato libero il popolo di professare qualsiasi confessione. La lingua ufficiale è il kazako ma quella russa è la più diffusa. L’alfabeto utilizzato sino agli anni ‘20 del secolo scorso era quello arabo ma, per accostarsi all’occidente, quello della vicina Turchia d’Ataturk, il Paese optò per l’uso dell’alfabeto latino. Con l’avvento del regime stalinista e il suo volere di russificazione della regione fu imposto l’uso dell’alfabeto cirillico e della lingua russa. L’economia è modesta, si calcola che il PNL pro capite sia di circa 1400 euro annui. Il Kazakhstan, Paese prevalentemente agricolo (granaglie, barbabietole da zucchero e cotone) e pastorizio nomade in passato, ha subito una conversione verso l’industrializzazione durante il dominio sovietico, ora questo settore impiega nell’indotto, circa il 20% della popolazione. L’industria mineraria ha acquisito grande importanza poiché fornisce in quantità rilevanti carbone di buona qualità, cobalto, cromo, ferro, manganese, nichel, piombo, rame, tungsteno e zinco. Gli investimenti esteri nel settore estrattivo cominciano a fare la loro comparsa, inoltre, da qualche tempo, si stanno anche sfruttando le risorse di gas naturale e petrolio che si trovano intorno al Mar Caspio con impianti di raffinazione locali che in futuro diventeranno numerosi. Anche la metallurgia, l’industria tessile e chimica cominciano a vivere un momento di splendore, insieme a quella del tabacco e della componentistica elettromeccanica,. Nel territorio si trova l’importante centro di tecnologia spaziale e di telemetria satellitare di Baikonur. Purtroppo il Paese è ancora impastoiato in uno statalismo centrale che non lo fa facilmente decollare, le riforme sociali avvengono lentamente e le privatizzazioni, iniziate con l’avvento della repubblica, furono poi sospese sino al 1999 quando mostrarono una timida ripresa. Sempre nel settore economico, per tentare un miglioramento delle condizioni sociali le ex Repubbliche sovietiche hanno sottoscritto un accordo, nel 1994, per creare un’area di libero scambio commerciale (abbattimento delle dogane). Il Kazakhstan è riuscito a firmare un simile documento anche con la Russia e la Bielorussia. Politicamente il Paese è una Repubblica presidenziale con ordinamento simile a quello statunitense in cui il primo cittadino elegge l’intera sua amministrazione. La Presidenza è coadiuvata da un Consiglio dei Ministri formato da 67 membri (Majlis) e dal Senato con 47 rappresentanti che detengono il potere legislativo. Tutta la regione, verso l’ottavo secolo, fu conquistata dai turchi ma passò poi sotto il controllo dell’impero mongolo di Gengis Khan durante il tredicesimo secolo quando le tribù kazake, d’origine turco mongola, si insediarono nei territori. Successivamente, verso il sedicesimo secolo, iniziarono le penetrazioni russe e cosacche che occuparono principalmente le zone circostanti il fiume Ural. Queste popolazioni, nel diciassettesimo secolo, accettarono di far parte dell’impero zarista in cambio di protezione e vantaggi economici, poi il controllo russo dei territori si estese a tutta le regione nel secolo successivo. Iniziò così una massiccia occupazione colonica che creò gravi disordini con le popolazioni autoctone, fenomeni che si acuirono quando, nel 1916, un decreto ingiunse ai kazaki d’arruolarsi nell’esercito imperiale. Il rifiuto fu netto ma le autorità zariste intervennero espellendo dai territori oltre trecentomila kazaki che trovarono rifugio in Cina. Dopo la rivoluzione d’Ottobre, nel 1920, tutto il Kazakhstan fu annesso al Turkestan già “sovietizzato” e solo nel 1925 fu dichiarato Repubblica autonoma. Durante il 1936 l’intero Paese entrò a far parte dell’U.R.S.S. e lo stalinismo, con la sua idea di collettivizzazione statalista, ridusse a mal partito la già insicura economia. Dopo la conquista dell’indipendenza repubblicana, il primo Presidente, Nazarbayev Nursultan, dovette fronteggiare due gravi fenomeni. Quello di arginare la volontà degli ultranazionalisti che si batterono per ottenere l’annessione del nord del Paese alla Russia e, quello creato dai kazaki che volevano imporre la religione mussulmana a tutti i residenti. Per impedire feroci scontri, come già abbiamo riferito, si provvide a non creare alcuna religione ufficiale di Stato e si avviarono accordi economici con diversi Paesi limitrofi. In particolare, con Mosca nel 1992 fu concordato un patto che dava assicurazione alla stessa di controllo, per altri venti anni, del centro spaziale di Baikonur in cambio di rilevanti aiuti economici. Con lo stesso atto fu anche prevista la clausola della distruzione delle armi nucleari presenti nel territorio o di trasferirne il materiale alla stessa Russia. Nel 1995, nonostante l’Islam non sia la religione di Stato, il Kazakhstan è entrato a far parte dell’OCI –Conferenza Islamica- cui sono aderenti già 52 Paesi coranici. Allo stato attuale delle cose questo Paese non rappresenta un imminente pericolo per la pace nel mondo, ma esso è però una polveriera che facilmente potrebbe infiammarsi. L’esercito kazako, ancora impreparato all’autodeterminazione, ha dovuto adeguarsi frettolosamente alla formazione di propri ufficiali che comunque svolgono i loro studi in Russia. In esso si trovano attivi circa 45 mila uomini, tra i ruoli esercito ed aviazione, alle dipendenze del Ministero della Guerra, a questi si aggiungono altre 20 mila unità che formano il quadro della Sicurezza Interna dipendente da un organismo simile al nostro Ministero degli Interni. Una guardia Presidenziale è formata da altre 2 mila unità circa di militari. Sono inoltre presenti un gran numero di guardie frontaliere, forse intorno ai 13 mila uomini che sono però in forza all’esercito russo. Nonostante l’accordo con la Russia per lo smantellamento delle armi di distruzione di massa, nel Paese si trovano ancora circa 1300 testate nucleari la cui gran parte, a frattura multipla, è montata su sistemi missilistici terra – terra del tipo SS 18. Già abbiamo accennato all’impreparazione psicologica e tecnologica, da parte dei kazaki, all’uso di queste armi non convenzionali, ma fortunatamente i sistemi di puntamento missilistico e di armamento delle testate nucleari sono muniti di chiavi elettroniche in possesso dei russi. Purtroppo i recenti disgraziati avvenimenti ci hanno insegnato che gruppi eversivi potrebbero riuscire ad approfittare della situazione. Le armi già smantellate, in base al trattato di non proliferazione dell’armamento nucleare, hanno avviato un massiccio aiuto economico statunitense che in cambio assorbe, per la sua industria, l’uranio impoverito. TERKMĖNISTAN JUMHRYATY Figura 7. Questa Repubblica, una volta facente parte di quelle denominate esterne dall’estinta Unione Sovietica, rappresentava la propaggine più meridionale di quel Paese e geopoliticamente, oggi, è parte integrante dell’Asia centrale. La nazione ha conquistato la sua indipendenza con la dissoluzione dell’U.R.S.S. divenendo giuridicamente un Paese di tipo repubblicano, ma di fatto il suo governo è assolutista ed autocratico. Il suo territorio è parzialmente confinato nella vasta area desertica dell’altopiano del Karakumj che presenta un’altitudine media di circa m 500 s. l. m., mentre la restante regione, quella centro settentrionale, fa parte del bassopiano Turanico posto a quota m -81 s. l. m. ed è caratterizzata da vaste pianure. Il Paese ha confini verso nord con L’Uzbekistan ed il Kazakistan, a sud il confine lo demarca dall’Iran e dall’Afghanistan, verso est è delimitato dalla frontiera con l’Uzbekistan mentre la sua frontiera verso ponente è interamente delimitata dal Mar Caspio. La superficie è estes
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