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Don't Cry for the IMF, Argentina
by IMC Italy Friday, Aug. 30, 2002 at 7:33 AM mail:

By Mark Weisbrot Mark Weisbrot is co-director of the Center for Economic and Policy Research (www.cepr.net) in Washington, DC. Tratto da Zmag, maggio 2001

Quante volte la più potente istituzione finanziaria del mondo, Il Fondo monetario internazionale, può fare lo stesso errore? La risposta sembra essere: qunte volte vuole. Mentre l'Argentina barcolla sull'orlo di un debito estero di 150 milirdi di dollari, e il ministro delle finanze Domingo Cavallo vola in tutto il mondo per cercare di convincere i mercati finanziari che l'inevitabile non sta ancora accadendo, c'è una misteriosa fmiliarità in tutta la sequenza di eventi.

Torniamo al novembre 1998. La moneta brasiliana era altamente sopravvalutata e la maggior parte degli economisti aspettavano la scusa, il suo tasso fisso di cambio con il dollaro, per il collasso. Il Fondo monetario internazionale, che provvede un pacchetto di salvataggio di 42 miliardi di prestiti e la sua solita applicazione di sanguisughe per dissanguare il paziente: interessi alle stelle e tagli del budget che garantiscono un rallentamento dell'economia e rappresetnano il fardello del risanamento alla povertà.

Nei successivi due mesi il "real" brasiliano è comunque crollato, lasciando al paese nulla da mostrare al piano del Fondo monetario internazionale se non una pila di debiti esteri e una economia stagnante.

L'Argentina potrebbe essere condotta a un destino similie. Gli Argentini hanno fissato la loro moneta al dollaro una decina di anni fa, e il collegamento ha tutte le credenziali per portare a un'altissima inflazione.

Ma il tasso fisso di scambio provoca svantaggi , e l'Argentina negli ultimi anni sta vedendo il peggio. Mentre il dollaro saliva, il peso argnentino era costretto a salire anche lui. Quando la Federal reserve americana alzava gli interessi negli Usa, anche l'Argentina era costretta a farlo, nonostante la sua economia fosse in caduta. Quando la moneta brasiliana è collassata, ha fatto diventare le espostazioni argentine eccessivamente costose.

Sembra uno dei peggiori incubi finanziari: una moneta sopravvalutata e un tasso fisso di cambio che molti investitori pensano di non poter sostenere. Il Paese deve sobbarcarsi prestiti a un sempre più alto tsso di interesse, a causa del rischio crescente di collasso della moneta, e di insolvibilità del debito estero. E più il Paese prende in prestito, più il rischio cresce. L'Argentina ha ora (l momento in cui era stato scritto questo articolo) un debito paragonabile al totale degli introiti dovuti alle esportazioni.

Il ruolo del Fondo monetario internazionale in Argentina, come in altre situazioni simili a questa, non aiuta. Prima di tutto esso "autorizza" il governo dipendente dai prestiti, favorendo enormi prestiti che sostengono la moneta. Alcuni dei più introdotti e ricchi investitori si trovano quindi nella condizione di portare fuori il loro danaro prima dell'inevitabile collasso o, peggio ancora, ostruire una fortuna speculando sulla moneta.

Il Fondo monetario internazionale suggerisce che lasciar cadere il vlore del danaro potrebbe fr rischiare un ritorno all'iperinflazione. Questo non è accaduto dopo che il real brasiliano è collassato. E per il rublo russo nel 1998, dove il Fondo aveva sperperato miliardi e dissanguato l'economia per spingere una moneta sopravvalutata, il risultato di un collasso fu ancora più inevitabile. Non solo la conseguente inflazione fu facilmente gestibile, ma l'economia ha così potuto registrare la sua più alta crescita negli ultimi vent'anni.

Tutto ciò concorda con la teoria economica standard. Non ci aspettiamo una inflazione elevata in seguito a una svalutazione in un paese dove le importazioni sono una porzione relativamente piccola dell'economia (circa l'11 per cento in Argentina, il 7 per cento in Brasile). Una svalutazione della moneta locale è spesso la migliore situazione in queste condizioni: rende le esportazioni nazionali più a buon mercato e le importazioni più costose. Questo consente un'incremento della blancia commerciale e stimola la crescita economica.

Il Fondo gioca un altro ruolo destabilizzante in queste crisi, fissando degli obbiettivi che il governo del Paese deve raggiungere per "rassicurare i mercati finanziari". Ma questi obbiettivi possono essere difficilmente raggiungibili politicamente, oltre che non necessari o addirittura dannosi per l'economia.

Quando un paese fallisce gli obbiettivi, la crisi peggiora. In Argentina, l'obbietivo governativo per il deficit del 2001 è cresciuto da poco meno dell'1 per cento al 2,3 per cento del Prodotto interno lordo. Sono condizioni molto restrittive per un'economia nel bel mezzo di una lunga recessione: per paragone, gli Usa hanno avuto un deficit del 4,6 per cento del Pil durante la loro ultima recessione (1991) e del 6,1 per cento nella loro peggiore recessione (1983)

Un anno fa la Meltzer Commission, un panel creato per rivedere la politica del Fondo monetario internazionale, a raccomandato un numero di passaggi per ridimensionare l'istituzione e ridurre l'autorevolezz di questi ripetuti e spesso disastrosi fallimenti economici. Potreb e essere arrivato il tempo di ar partire queste rifiorme.

Originale inglese

Mark Weisbrot is co-director of the Center for Economic and Policy Research (www.cepr.net) in Washington, DC.

How many times can the most powerful financial institution in the world -- the International Monetary Fund -- make the same mistake? The answer seems to be: as many times as it wants to. As Argentina teeters on the brink of defaulting on its $150 billion foreign debt, and finance minister Domingo Cavallo jets all over the world trying to convince the financial markets that the inevitable is not going to happen, there is an eerie familiarity to the whole sequence of events.

Think back to November 1998: Brazil's currency was highly overvalued and most economists expected the peg -- its fixed exchange rate against the dollar -- to collapse. Enter the IMF, arranging a "rescue" package of $42 billion in loans, and its usual application of leeches to bleed the patient: sky-high interest rates and budget cuts, guaranteed to slow the economy and put the burden of "adjustment" on the poor.

Within two months the Brazilian real had collapsed anyway, leaving the country with nothing to show for the IMF plan but a pile of foreign debt and a stagnating economy.

Argentina may be headed for a similar fate. The Argentines pegged their currency to the dollar a decade ago, and the move is widely credited with helping to end an era of high inflation.

But there are disadvantages to a fixed exchange rate, and Argentina has come to see the worst of them in the last few years. As the US dollar rose in value the Argentine peso had to rise in step with it. When the Fed raised interest rates in the United States, Argentine interest rates had to go up too, even with their economy already in a slump. When Brazil's currency collapsed, it made Argentina's exports to that country inaccessibly expensive.

It all adds up to a finance minister's worst nightmare: an overvalued currency and a fixed exchange rate that many investors believe cannot hold. The country must borrow at ever higher interest rates, because of the increasing risks of both currency collapse and default on the foreign debt. And as the country borrows more, these risks increase. Argentina now has debt service that is approaching its total export earnings.

The IMF's role in Argentina, as in similar situations, is not helpful. First, they act as "enabler" for the loan-addicted government, providing enormous loans to prop up the currency. Some of the better-connected and wealthier investors are thus able to get their money out before the inevitable collapse, or even worse, to make a fortune by speculating against the domestic currency.

The IMF argues that to let the currency fall would risk a return to hyperinflation. But no such thing happened after the Brazilian real collapsed. And for the Russian ruble in 1998, where the Fund also wasted billions and bled the economy in order to prop up an overvalued currency, the result of the currency's collapse was even more favorable. Not only was the ensuing inflation easily manageable, the economy has since registered its highest real growth in two decades.

All this is consistent with standard economic theory. We would not expect terrible inflation from a currency devaluation in a country where imports are a relatively small fraction of the economy (about 11 percent in Argentina, 7 percent in Brazil). A devaluation of the domestic currency is often the best solution in these situations: it makes the country's exports cheaper and its imports more expensive, thus improving the trade balance and stimulating growth.

The Fund also plays another destabilizing role in these crises, by setting targets that the country's government must meet in order to "reassure financial markets." But these targets may be politically difficult to meet -- as well as unnecessary or even harmful to the economy.

And when the country fails to do what it is told, the crisis worsens. In Argentina's case the government budget deficit target for 2001 has been increased from less than 1 percent, to now 2.3 percent of GDP. These are very tight constraints for an economy in the midst of a long recession: for comparison, the US ran a budget deficit of 4.6 percent of GDP during our last recession (1991), and 6.1% coming out the previous, deeper recession (1983).

One year ago the Meltzer Commission, a bi- partisan Congressional panel appointed to review the IMF's practices, recommended a number of steps to downsize this institution, and reduce the likelihood of these repeated and often disastrous economic failures. Maybe it is time to put some of these reforms in place.

Mark Weisbrot is co-director of the Center for Economic and Policy Research (www.cepr.net) in Washington, DC.

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