Il World summit sta arrivando a delle conclusioni chiare: a dieci
anni di distanza da Rio i governi, ma anche le Nazioni Unite, riconoscono
di non essere in grado di affrontare nessun problema. L'unica possibilità
di salvarsi dai disastri ambientali, è di affidarsi alle mani dei privati.
E il messaggio che viene lanciato è sempre lo stesso: solo il profitto
potrà evitare lo spreco dell'acqua, l'eccesso di inquinamento, l'ineguale
distribuzione del cibo.
La funzione del Summit di Johannesburg è ormai chiara: fare in modo che i media parlino di nuovo di ambiente e sviluppo sostenibile, facendo credere alla gente che i governi stiano seriamente facendo tutto il possibile per affrontare quella che pare una delle sfide più alte e difficili del millennio, e soprattutto ottenere che dei problemi ambientali si occupino, non certo gratuitamente, le grandi corporation industriali. Il copione è perfetto: alzando i livelli di allarme, sostenendo che lo sforzo da fare è cospicuo se non quasi impossibile, dando spazio alle multinazionali e coinvolgendole nella stesura del documento finale, il vertice sta neppure troppo subliminalmente segnalando che l'unica possibilità di salvarsi dai disastri ambientali, è quella di affidarsi alle mani dei privati. Solo il profitto, sembra essere il messaggio, potrà evitare lo spreco dell'acqua, l'eccesso di inquinamento, l'ineguale distribuzione del cibo. Difficile però è capire come e dove sia avvenuto il miracolo, visto che, fino a ieri, proprio a causa del profitto e dello spreco l'acqua non è potuta arrivare a chi ne aveva più bisogno, e soprattutto non sono state prese le misure necessarie a proteggere le risorse, come foreste e montagne, da cui la sua disponibiltà dipende. Le emissioni nocive sono state per anni trattate come fossero aria fresca, il cibo, e le merci necessarie a comperarlo, hanno seguito percorsi obbligati dai monopoli delle nazioni occidentali. E' interessante però vedere come è organizzato il Summit, per capirne i meccanismi. A Johannesburg intervengono capi di stato e primi ministri, ministri dell'ambiente e dello sviluppo. Non tutti. Bush per esempio non ci sarà. Ma anche senza di lui la presenza Usa è ingombrante. Oltre alle delegazioni di governo infatti ci sono i rappresentanti delle varie agenzie delle Nazioni Unite (Uneo, Fao, Undp.) e soprattutto gruppi lobbistici e organizzazioni di imprenditori. La funzione di queste presenze non si riesce a comprendere del tutto se non si prende in considerazione il modello americano di governo, in cui i gruppi lobbistici sono ufficialmente autorizzati e possono fare pressioni sui membri del governo, in funzione della loro rappresentatività di un gruppo ampio di persone, o di un settore di interessi economici. Il summit dunque sta operando a vari livelli. Mentre nella sede plenaria del Summit i governi fanno brevi presentazioni, i negoziati procedono in privato. Questa volta, in particolare, le discussioni sono molto importanti, perché i meeting precedenti a Johannesburg, e in particolare quello tenutosi a giugno a Bali, non sono giunti a punti conclusivi. Rio si è dimostrato alla lunga un fallimento. Ma ha prodotto due convenzioni: quella sul cambiamento climatico e quella sulla biodiversità. La prima è ancora in discussione: Usa, Canda e Australia si sono rifiutare di sottoscrivere il documento di Kyoto stilato nel 1997 e stanno facendo pressioni su altri governi perché non firmino. Nel frattempo le emissioni globali di anidride carbonica sono aumentate del 9 per cento allanno. Riguardo alla seconda, solo 70 delle 180 nazioni che lhanno firmata hanno preparato piani di ntervento. E il Biosafety Protocol che dovrebbe garantire ai Paesi la possibilità di chiudere le frontiere agli organismi geneticamente modifocati, è stato ratificato solo da 22 Paesi. Diventerà operativo solo se altri 28 li raggiungeranno. A Johannesburg non sono attesi neppure passi simili a questi. Lunico risultato sarà appunto la dichiarazione politica finale, che dovrebbe riaffermare gli impegni presi a Rio sullo sviluppo sostenibile e impegnarsi su tre obbiettivi: ridurre la povertà, convertire la produzione insostenibile, e proteggere le risorse naturali. Povertà che è nel frattempo aumentata in alcuni Paesi, come Asia e Africa, ed è aumentato il divario tra i più ricchi e più poveri: un quinto della popolazione mondiale (paesi occidentali) vive con un reddito di 74 volte superiore a quello del resto del mondo. Un altro impegno però potrebbe riguardare la globalizzazione, che dovrebbe diventare equa e disponibile per tutti. Equa per chi, verrebbe da domandarsi, visto che il nuovo elemento comparso a Johannesburg, rispetto a Rio, è proprio l'accettazione di partnership tra i governi, le industrie e le comunità locali. A dieci anni di distanza, suona come un riconoscimento ufficiale del fatto che i governi, ma anche le Nazioni Unite, non sono in grado di affrontare nessun problema. Infine viene di nuovo sottolineata l'importanza di aumentare gli aiuti per i Paesi poveri. Facile a dirsi, ma non a farsi: tra il 1992 e il 2000 l'unico Paese che ha aumentato i suoi aiuti all'estero, passando dal 1.02 all'1.06 del Pil, è la Danimarca. Francia, Canada, Italia e Usa l'hanno più che dimezzata, arrivando a meno dello 0,1 per cento D'altronde neppure l'organizzazione del Summit è riuscita ad affrontare, figuriamoci a risolvere, il contributo che l'arrivo delle 60 mila persone che sono giunte a Johannesbirg hanno dato al riscaldamento globale: le emissioni di anidride carbonica supereranno le 500 mila tonnellate.
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