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Indigenes rebeldes, storia di due ribellioni indigene nell'Ecuador.
by garabombo Wednesday, Oct. 16, 2002 at 9:23 PM mail: garabombo@autistici.org

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GENNAIO 2000: DALLA RIVOLTA POPOLARE AL COLPO DI SCENA.

Nel gennaio del 2000 va in scena in Ecuador una commedia teatrale, uno spettacolo tragicomico, un baile politico. Davanti alla crisi galoppante, alla povertà estrema e ai primi effetti disastrosi del meccanismo di dollarizzazione dell’economia nazionale, diversi schieramenti politici della sinistra ecuadoriana e la CONAIE, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, hanno apertamente invocato la destituzione del Presidente Mahuad, allora in carica e protagonista dell’annuncio della dollarizzazione il 9 gennaio.
L’opposizione a Mahuad si era organizzata ormai da un anno e le manifestazioni degli indigeni con il supporto di sindacati e gruppi organizzati in lotta paralizzano il paese. Il governo ha risposto con più repressione e più dollari.
Il 10 gennaio Quito viene invasa da migliaia di indigeni provenienti da tutte le parti del paese e appena due giorni dopo l’annuncio si insedia nel paese un Parlamento nazionale dei popoli dell’Ecuador (Pnpe), diretto dall’Arcivescovo di Cuenca Alberto Lunas e da Antonio Vargas, leader del movimento indigeno e della Conaie.
Il neonato parlamento nomina una giunta di salvezza nazionale, una specie di triunvirato militare e civile formato da Vargas, Solarzano (ex presidente della Corte Suprema) e il colonnello Gutièrrez.
Proprio Gutierrez faceva parte di quella parte dell’esercito ecuadoriano che abbandonato dagli aiuti del governo Mahuad aveva preso contatti con le formazioni antagoniste al presidente per perseguire il suo rovesciamento. Questo permise agli indigeni di arrivare a Quito ed occupare il parlamento senza che venisse sparso sangue innocente e senza uno sparo. Ma lo stesso Gutierrez è risultato poi la pedina fondamentale anche per l’eclissi del nuovo progetto di governo popolare-militare che si era instaurato. Gutierrez ha lasciato subito il suo posto al generale Mendoza, che con un colpo si scena, appena tre ore dopo aver ricevuto l’incarico, preferisce consegnare il proprio incarico all’allora Vicepresidente Gustavo Noboa.
Noboa con una sola mossa ha messo in fuori gioco l’ex presidente Mahuad e si è assicurato la fiducia di Washington e della classe politica, entrambi confusi e preoccupati della “confusione” indigena.
E Washignton? Beh al momento dell’arrivo degli indigeni a Quito aveva prima richiesto “il sacro rispetto della democrazia” e poi condannato l’esperienza del triumvirato progressista. Al momento dell’instaurazione di Noboa, una pronta marcia indietro e le congratulazioni per la svolta equilibrata, riconoscendo in Noboa l’uomo giusto per la svolta.

E gli indigeni? Di certo l’alleanza con i colonnelli ecuadoriani rendeva la Conaie soggetta a questo tipo di teatrino con un finale tipicamente latinoamericano; comunque il sorprendente epilogo e l’accantonamento della giunta di salvezza nazionale nata dalla rivolta restano figli dell’alto comando dell’esercito e delle pressioni statunitensi.

Per una volta nella storia, militare non ha fatto rima con gorilla filoyankee. Per una volta nella storia, nonostante i risultati quasi nulli, tra i trecento arrestati di una rivolta figurano colonnelli, tenenti e ufficiali che hanno ricercato il levantamiento al fianco degli indigeni.
L’esperienza del triumvirato Conaie-vescovo-settori militari ha riprodotto a livello nazionale l’esperienza dei parlamenti popolari regionali, ai quali partecipano i delegati delle comunità e dei municipi, che poi rendono conto delle decisioni alle rispettive basi. In linea generale il progetto era quello di costituire una forza alternativa alle istituzioni politiche oligarchiche dell’Ecuador, per perseguire la rottura all’interno delle classi dominanti e dei loro strumenti principali di dominazione; conseguire questo risultato avrebbe significato ricercare, contro il potere dei proprietari terrieri e dei paramilitari al soldo del governo, un’unione nazionale anticapitalista e antimperialista che passasse anche attraverso la forza dei poteri locali e decentralizzati in uno stato alternativo.
Il levantamiento non ha prodotto risultati, le speranze di un cambiamento immediato sono svanite come il sucre, e dal nulla si è materializzato Gustavo Noboa, uomo nuovo, vecchio come non mai nelle impostazioni politiche e nella sottomissione alle regole neoliberiste e nordamericane.

Gli indigeni sono tornati nelle loro comunità col peso della sconfitta, il peso che gli ha permesso di riorganizzarsi e di tornare a Quito un anno dopo, per rivendicare i propri diritti con più forza, e per lo meno se non hanno ottenuto il controllo politico del paese hanno strappato un prezzo di favore per le bombole del gas…………


FEBBRAIO 2001: si torna a Quto.

A distanza di un anno la lotta di popolo della CONAIE è tornata per le strade di Quito, riaccendendo le speranze di pochi e lo scetticismo dei più.
Con i risultati ottenuti appena 12 mesi prima era lecito attendersi un fallimento-bis, tanto impegno e determinazione ripagati con l’odore acre dei lacrimogeni e un triste ritorno a casa. Eppure non è andata così.
Il 7 febbraio 2001 ha rappresentato comunque un punto di svolta importante per la vita sociale e politica del paese: dopo due settimane di lotta e scontri, il governo del Presidente Noboa è stato costretto a fare finalmente i conti con la povertà estrema della maggioranza della popolazione ecuadoriana e con la crescente necessità di sopravvivenza delle masse, bersagliate e condannate dal meccanismo della recente dollarizzazione ma da sempre dalla pessima gestione dei governi militari e della classe politica sotto la tutela dello Zio Sam.
La Conaie, con l’appoggio dell’Associazione dei municipi del paese ed altre organizzazioni per i diritti umani, gruppi di donne e di studenti in lotta, aveva riunito a Quito più di 10000 indigeni, arrivati nella capitale da tutte le parti del paese. In tantissimi hanno resistito all’assedio e alla repressione delle forze militari, asserragliandosi nell’Università salesiana, a riparo dagli attacchi del governo che avevano causato già la morte di 4 persone, decine di feriti e numerosi arresti illegali. Tra gli arrestati anche Antonio Vargas, leader storico della Conaie e protagonista della rivolta dell’anno precedente. E lo stesso Vargas in quei giorni aveva lanciato un drammatico appello, affinché il mondo fermasse quella che evidentemente si manifestava come una possibile carneficina.
Il governo Noboa in quei giorni usò la testa, fermando la mano dura militare e scrollandosi dalle spalle il peso del Fondo Monetario Internazionale che altrimenti gli avrebbe impedito di arrivare a qualsiasi accordo con gli indigeni e i settori della società in lotta.
Vennero così raggiunti degli accordi:
- l’abbassamento di 40 centesimi di dollaro del prezzo delle bombole del gas di 15 chili, il cui prezzo era lievitato fino a 4180 lire italiane grazie al meccanismo della dollarizzazione.
- Il congelamento dei prezzi di gas, benzina e diesel e l’introduzione di un sistema di distribuzione popolare degli stessi in accordo con tutti i settori sociali del paese.
- L’impegno da parte del governo a non introdurre il cherosene come combustibile alternativo nelle comunità, perché altamente tossico; provvedimento questo significativo per uno dei maggiori produttori di petrolio nel mondo, che non riesce a diffondere i vantaggi della produzione a più dell’80% della popolazione.

Infine il governo Noboa ha dovuto concedere anche un accordo sulle tariffe dei trasporti pubblici, la ricapitalizzazione del Banco nacional de fomento per dare una mano ai piccoli agricoltori e alle organizzazioni indigene, e l’astensione dalla partecipazione al Plan Colombia “che persegue la guerra e la morte”.
Così al termine degli accordi è stato sospeso lo stato di emergenza e sono stati liberati centinaia di arrestati durante la protesta; ai familiari delle vittime e dei feriti degli scontri è stato offerto un indennizzo.

Insomma in questo caso la lotta ha pagato davvero, ma i risultati ottenuti sono stati, seppure significativi, talmente esigui che le minacciose nubi neoliberiste hanno avuto il tempo di riammassarsi sulle teste di lontani parenti di Simon Bolivar.
La dollarizzazione con conseguente inflazione ed erosione del potere d’acquisto dei già bassi salari, l’economia in recessione e gli aggiustamenti strutturali imposti dal FMI, l’alleanza oligarchia-Stati Uniti d’America: sono la cura che uccide il malato.
A fine ottobre si presenterà u nuovo medico, l’ALCA.










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