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Coprifuoco a Dheisheh
by morgana Monday, Dec. 02, 2002 at 10:42 AM mail:

Campo profughi di Dheisheh, area di Betlemme, Palestina. Storie di ordinario coprifuoco.

25 novembre 2002, al campo profughi di Dheisheh, area di Betlemme, Palestina, è il primo anniversario della morte di Kifah, ucciso a tredici anni dall`esercito israeliano mentre manifestava contro l`occupazione della sua terra.
Gli hanno sparato un anno fa di fronte alla postazione militare che divide Betlemme dal campo profughi, dove i suoi nonni hanno trovato rifugio nel 1948, in seguito alla prima catastrofe che ha colpito il popolo palestinese con la fondazione dello stato sionista.
La marcia verso il cimitero dei martiri che avrebbe voluto ricordarlo non si è potuta fare, perchè tutta l`area è sotto coprifuoco dal 22 di novembre.
Il primo giorno di coprifuoco l`esercito israeliano ha demolito con la dinamite una casa nel villaggio di al-Khader, pochi kilometri a sud di Dheisheh. Questa casa era stata affittata da pochi mesi dalla famiglia di un ragazzo che ha portato a termine un attacco suicida il giorno 21 a “Gerusalemme occupata”, come dicono sempre i reporter di al-Jazeera.
Da allora l`area di Betlemme e` nuovamente invasa dall`esercito, zona militarizzata, le scuole, gli uffici, i negozi chiusi per il coprifuoco.
Il 23 di novembre i soldati sono entrati nel campo per notificare un ordine di demolizione, cosa che di solito non si scomodano affatto a fare, nella casa di una martire il cui nome e volto ha fatto il giro di tutto il mondo a marzo.
Aiad è morta a diciotto anni il 6 marzo 2002 in un supermercato a Gerusalemme ovest: nella sua esperienza di profuga non c`era più tempo o spazio per pensare al futuro, un tempo e uno spazio occupati con le armi e sezionati dal filo spinato, a beneficio di quelli che l`opinione pubblica internazionale chiama civili innocenti.
Prima di farsi scoppiare Aiad ha detto a due bambine palestinesi che si trovavano nel supermercato di andarsene. Troppi bambini e bambine palestinesi, come Kifah, sono già stati uccisi o feriti dall`esercito occupante e dai coloni sionisti, mentre a tutti gli altri e altre l`occupazione militare leva la vita tutti i giorni, in particolare nei campi profughi.
Durante il coprifuoco, che nell`area di Betlemme dall`inizio dell`anno e` stato imposto complessivamente per 128 giorni, andare a fare la spesa vuol dire rischiare la vita dal primo passo fuori dalla porta di casa, ma l`opinione pubblica internazionale fatica a comprendere questa sofferenza, mentre i telegiornali mostrano in tutto il mondo le immagini in loop di ebrei israeliani in lacrime, come se la storia fosse congelata ai tempi dei campi di sterminio nazisti.
Se l’essere vittima di violenze non da diritto a diventare carnefice, perché l’olocausto ha fornito l’alibi al sionismo per perseguire l’espropriazione lungimirante e sistematica di una terra, attraverso la progressiva espulsione degli abitanti.
La notte tra il 23 e il 24 di novembre intorno a casa di Aiad si è radunata molta gente, il palazzo è tra i più alti del campo, quattro piani, largo cinque file di finestre, attaccato ad un altro stabile di tre piani. E’ evidente che la demolizione non colpirà solo la casa della martire ma anche quelle dei vicini.
Tutto il vicinato aiuta a svuotare la casa di tutti i beni degli abitanti, dalle finestre dei piani alti vengono lanciate coperte, tappeti, materassi, il divano viene calato con una fune, cadono i giochi dei bambini raccolti dentro a un lenzuolo, cadono delle riviste di motociclismo avvolte in un altro, gli specchi e i mobili di legno vengono portati giù per le scale. I giovani del campo fanno su e giù, mentre i bambini raccolgono quello che resta a terra nel via vai.
Sono circa le nove, i soldati sono attesi per le tre di notte.
Pian piano la folla inizia a disperdersi quando anche la casa è svuotata dei suoi oggetti, mentre la mamma e le sorelle di Aiad sono ancora dentro, a ricevere chi porta loro solidarietà, forse a raccattare negli angoli della casa vuota gli ultimi ricordi, le ultime immagini da conservare nella memoria. Con loro ci sono alcuni attivisti che tenteranno di fare da mediatori con i soldati, ma nessuno crede che sarà questo a evitare la demolizione.
Mi rimane stampata in testa l’immagine di una bambina, alta non più di un metro, ferma sulla strada guarda la porta della casa: mentre i ragazzi corrono avanti e indietro con carichi voluminosi, lei ferma tiene una piccola palla di plastica rossa con tutte e due le mani, quasi se la stringe al petto. Ho già visto quelle palle in mano ad altri bambini, è il suo salvadanaio.
Aspettiamo tutta la notte per essere testimoni della demolizione, ci dicono che non è detto che demoliscano solo la casa di Aiad, ci sono case di altri martiri che potrebbero costituire un obiettivo.
Tutto il rumore intorno alla martire diciottenne è stato innanzitutto un fatto mediatico: alunna di scuola, bella e già promessa sposa, tutto il contrario dell’immagine del barbuto e fanatico terrorista costruita dai media occidentali, e tanto più lontana dall’immagine del combattente per la libertà il cui sacrificio è diventato topico nell’immaginario di decenni di resistenza.
Mentre vegliamo la televisione locale ci informa sull’invasione di un altro campo profughi a circa 6 kilometri da Dheisheh, sulla strada per Betlemme: il campo è stato attaccato in piena notte, durante l’ora della preghiera notturna, tra l’altro i soldati hanno circondato la moschea bloccando dentro chi vi si era radunato a pregare, in particolare la televisione riporta la notizia di un gruppo di donne arrestate in questa contingenza.
Abbiamo aspettato tuta la notte, la demolizione non c’è stata, i soldati non sono arrivati, la casa è rimasta vuota di tutto se non dei suoi abitanti che hanno pur sempre bisogno di un tetto, ma dormono aspettandosi ogni notte l’esecuzione dell’ordine di demolizione.
Due notti più tardi, tra il 25 e il 26 novembre, i soldati sono entrati in forze dentro al campo.
Verso l’una di notte, da una finestra sulla parte alta del monte dove si trova il campo, abbiamo visto i fari dei carri armati mentre sfilavano sulla strada principale, dopo poco i soldati erano sotto le finestre di casa, che danno su una stradina stretta stretta, circa cinquanta soldati hanno circondato il vicinato, hanno arrestato due uomini nella casa di fronte alla nostra, ed uno in una casa vicina.
Uno dei ragazzi della famiglia dove stavamo ha descritto quella notte come “tutta una lettura di Corano”, avevano davvero tanta paura.
La mattina dopo i soldati hanno lasciato il campo soltanto verso le 11:00, il bilancio complessivo degli arresti è di trenta uomini presi nelle loro case, di cui solo venti sono tornati dopo un giorno.
In alcune case l’esercito ha sparato gas lacrimogeno e bombe suono dentro ai cortili, quando hanno sfondato le porte per cercare qualcuno e non l’hanno trovato, si sono presi uno o due fratelli, altre volte si sono presi lo zio, o fino a cinque persone della stessa famiglia, mentre altri giravano per le strade con i cani a fiutare le tracce dei fuggitivi.
Quella stessa notte sono entrati in una delle moschee e hanno devastato tappeti, muri e testi del Corano.
Anche a Betlemme continua la demolizione di alcune case, tra cui quella di uno sheikh famoso perché conduce trasmissioni televisive sulla fede musulmana.
Dopo cinque giorni di coprifuoco, i prezzi del cibo sono quasi raddoppiati perché le scorte stanno finendo e non ci sono mezzi di trasporto che possano raggiungere la zona.

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