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leggendo Impire
by Anton Monti Thursday, Dec. 26, 2002 at 4:50 PM mail:

una nuova forma di sovranità: Impero



L'Università di Harvard viene considerata come uno dei principali centri di formazione della classe politica globale. Non è quindi una sorpresa che la casa editrice della stessa Università (la Harvard University Press) abbia pubblicato qualche settimana fa un libro molto importante sul nuovo ordine mondiale. Quello che forse può sorprendere è che il libro in questione sia stato già definito come "manifesto comunista" del nuovo millennio. Il libro non supporta dunque il punto di vista dei governanti e allo stesso tempo esso non propone neppure le visioni tradizionali della sinistra in merito alla globalizzazione e alle forme di sovranità. Il libro in questione si intitola Empire (Impero) e gli autori sono il filosofo statunitense Michael Hardt e il filosofo italiano Toni Negri. Nella prefazione del libro essi dicono di aver voluto produrre un "toolbox", un contenitore di utensili, per la comprensione del mondo contemporaneo. Il libro è un emozionante viaggio della cultura e dell'intelligenza, dove compaiono i padri fondatori della Chiesa e gli storici classici dell'Impero romano, Spinoza e Machiavelli, Guy Debord e Malcom X, le gang della musica hip-hop e gli zapatisti, Rawls e Kelsen, Hobbes e Hegel. Questo libro di ben 500 pagine è sicuramente importante per l'Accademia ma oltre a ciò è un libro "aperto", da "agire" nella pratica di ogni giorno. Dice Michael Hardt: "Quello che spero è che gli attivisti possano trovare nel nostro libro analisi e soprattutto concetti utili per orientarsi nell'attività politica contemporanea".
La visione rovesciata della storia
Sono in molti ad essere abituati a vedere la struttura sociale come determinata dai governanti. La visione sorprendente e diametralmente opposta di Empire è che il potere costituito, la sovranità, è sempre una forza reattiva. La sua funzione è quella di porre dei limiti allo sviluppo della moltitudine e di controllarla. Nel libro viene dimostrato tramite approfondite analisi come nel moderno il concetto di sovranità si basava su di una visione hobbesiana, in base alla quale la moltitudine, il "mob", andava controllato e represso nei suoi istinti e comportamenti. Nella chiave di lettura proposta da Empire è dunque la moltitudine che impone ai governanti i contenuti dello sviluppo, che obbliga il sovrano ad inseguirla e a tentare di porre modalità di governo adeguate. Detto in termini marxisti "è la lotta di classe ad essere il motore dello sviluppo" o come ci dice M.Hardt: "Nel linguaggio della filosofia francese contemporanea si potrebbe dire che è la resistenza che viene prima del potere. La resistenza è sempre il momento attivo, creativo e innovativo. Il potere reagisce solamente". Hardt e Negri mettono in evidenza in modo estremamente convincente come determinate forme di sovranità quali quelle di repubblica, di democrazia rappresentativa, di stato sociale e via dicendo siano sorte in conseguenza dell'appiattimento e riduzione delle lotte e dei desideri della moltitudine ad esse.
Impero e biopotere
Hardt e Negri definiscono il nuovo ordine mondiale con il termine Impero (Empire). Non esistono più stati nazionali in competizione tra di loro per la conquista di mercati non-capitalistici, come la tradizionale interpretazione Leninista dell'imperialismo ci proponeva. Il nuovo ordine mondiale è sorto ed ha sottomesso al capitalismo tutto il pianeta e al contempo ha creato una nuova sovranità che non si basa più sugli stati nazionali. Naturalmente M.Hardt tiene a precisare: "Questo non significa dire che gli stati nazionali non siano più significativi, ma che essi sono stati spiazzati dalla posizione di autorità sovrana. Essi funzionano da elementi della sovranità imperiali." Tutto ciò ci viene testimoniato dal continuo ricorrere, in occasione dei conflitti, non più dei termini di interesse nazionale, ma al contrario di interessi e valori universali: pace e diritti civili all'interno delle province dell'Impero. In Empire incontriamo spesso due termini coniati dal filosofo francese Michel Foucault: biopotere e biopolitico. Il termine biopotere viene applicato concretamente dagli autori per esplicare il controllo delle basi materiali di vita e della riproduzione, così come viene praticato da istituzioni finanziarie globali (quali FMI, WTO, BM ecc.) le cui decisioni influenzano direttamente la vita quotidiana di tutte le popolazioni del globo. Altro aspetto del biopotere che viene messo in evidenza è quello legato alle imprese globali che non solo producono merci, ma anche relazioni sociali, bisogni, modi di utilizzare i corpi e le menti ovvero "producono i produttori". Un terzo aspetto del biopotere è lo spettacolo che attraverso uno spazio virtuale unisce tutte le soggettività esistenti e organizza il mondo e le sue strutture di potere. Ultimo e fondamentale aspetto del biopotere è l'uso della forza che viene delegato, nel nuovo contesto mondiale, ad una unica superpotenza. Hardt e Negri ci scrivono a questo riguardo delle tre Roma del nuovo Impero: Washington (la bomba), New York (la moneta e le imprese imperiali) e Los Angeles (lo spettacolo). Anche qui ci dice M.Hardt è importante comprendere che: "nonostante la posizione privilegiata degli Stati Uniti nell'ordine imperiale è importante comprendere che essi - e nessun altro stato nazionale - non sono e non possono essere il centro del controllo imperiale. In altri termini l'Impero contemporaneo non è semplicemente un forma dell'imperialismo statunitense." Gli stati nazionali si dispongono in questo contesto come filtri tra le istituzioni, le imprese globali e la moltitudine. In questo contesto però sempre più centrale diviene anche il ruolo di nuovi attori: dei mass media e di quelle NGO (Amnesty International, Oxfam, Medici Senza Frontiere ecc.) che acquisiscono uno status ufficiale all'interno della nuova struttura di comando imperiale. Nel libro gli autori evidenziano anche come l'ideologia del mercato mondiale mentre si libera dal contesto nazionale si apre a tutte le etnie, le religioni, le abitudini e le culture. Tutti sono benvenuti nell'Impero a patto che accettino il posto che viene indicato loro. Tutti i gruppi, anche quelli più piccoli, divengono dunque un potenziale target group di marketing. Le imprese imperiali e le società postmoderne fanno della multietnicità e della multicultura chiavi per il loro successo. Ancora una volta notiamo la capacità del sistema capitalistico di riappropriarsi del libero agire della moltitudine.
Moltitudine
Secondo la chiave di lettura proposta nel libro la nuova struttura imperiale di potere è conseguenza della lotta della moltitudine. A partire dagli anni'60 i movimenti sociali (le femministe, gli studenti, i disoccupati, gli attivisti dei diritti civili ecc.) non lottano più per la costruzione di un proprio stato, come avevano fatto i movimenti operai tradizionali, ma per delle richieste specificatamente biopolitiche. Contemporaneamente si sviluppa anche un forte fenomeno di disaffezione al lavoro ed ai ruoli precostituiti della divisione sociale del lavoro. Queste richieste biopolitiche non possono più essere compresse nelle griglie sistemiche delle ideologie onnicomprensive, né in una formazione sociale immobile. La risposta capitalistica a queste rivendicazioni è ancora una volta tesa al recupero delle istanze della moltitudine: distruzione della classe operaia tradizionale, segmentazione del mercato del lavoro, flessibilità, particolarismo, dinamismo e globalizzazione. "Questi sviluppi hanno inoltre evidenziato la fine del movimento comunista inteso nei suoi vecchi termini e specificatamente come struttura di partito o sindacale utile a rappresentare innanzitutto gli interessi dell'operaio massa di fabbrica. Questi sviluppi comunque evidenziano anche l'inizio di nuove forme del movimento comunista il cui emergere può essere compreso analizzando quella che oggi è la reale composizione del proletariato" afferma Hardt.
Il lavoro immateriale
Hardt e Negri ci dicono che se il luogo dei conflitti nelle società industriale era la fabbrica, nel mondo contemporaneo essi si riproducono in ogni luogo perché le reti del lavoro produttivo - reti comunicative e di sapere - si estendono - inseguite dal biopotere - in ogni anfratto della società. Gli autori però non affermano che il lavoro industriale sia scomparso. A loro parere se modernizzazione significava industrializzazione, postmodernizzazione significa informatizzazione. L'industrializzazione comunque non decretava la scomparsa tout-court dell'agricoltura, quanto proponeva l'industrializzazione dell'agricoltura. In questo senso informatizzazione e società dei servizi non significano allora fine dell'industria, quanto informatizzazione e orientamento al servizio dell'industria. Le nuove forme del lavoro che divengono attuali nell'Impero sono secondo l'analisi presentata nel libro: a) il lavoro industriale informatizzato; b) il lavoro dei servizi i cui prodotti sono beni immateriali e c) il lavoro affettivo. Quello che unisce tutti questi modelli di lavoro nella società postindustriale è la cooperazione ovvero la comunicazione sociale. Ciò significa che la misurabilità del lavoro tramite il tradizionale salario individuale diviene sempre più difficoltosa. Questa è la base materiale per una rivendicazione del reddito di cittadinanza che viene proposta nel libro. Alla domanda se all'interno delle nuove figure sociologiche del lavoro esista una centralità come era in passato quella dell'operaio massa M.Hardt dice: "È importante notare che oggi non siamo in presenza di una nuova avanguardia del lavoro immateriale, come se i programmatori di computer dovessero guidarci nella lotta rivoluzionaria. Il lavoro immateriale è una qualità che si estende con modulazioni diverse in tutte le forme del lavoro attraverso l'economia. Mi sembra che la problematica dell'organizzazione politica della soggettività operaia sia oggi una questione completamente aperta, un compito che deve essere svolto praticamente".
Richieste
"Deleuze e Guattari dicono che più che resistere alla globalizzazione dovremmo velocizzarla" (Empire). Argomentazione questa che può suonare strana alle orecchie di molti. Chiediamo a M.Hardt di spiegarci questo aspetto in particolare dal punto di vista delle vittime della globalizzazione capitalistica: "La globalizzazione in quanto tale non è il problema. Il problema è questa forma di globalizzazione, la globalizzazione capitalistica, l'Impero. Siamo tutti "vittime" dell'Impero ma questo tipo di espressione non intacca il nostro potere. Abbiamo bisogno di costruire una nuova globalizzazione che non crei divisioni tra il benessere e la povertà, tra il potere e la mancanza di potere". Tale argomentazione si basa proprio sull'idea di imporre al sistema di sovranità la rincorsa all'innovazione. Se la fabbrica viene automatizzata non ha senso difendere il posto di lavoro ma va richiesto il reddito di cittadinanza sganciato dalla prestazione lavorativa. Se la globalizzazione si realizza non è possibile offrire come alternativa un ritorno allo stato nazionale, ma va rivendicata la realizzazione della comunità universale, della libera circolazione e degli stessi diritti per tutti. Secondo Hardt e Negri proprio questa richiesta di libera circolazione è quella in grado di infrangere i meccanismi imperiali di recupero che vogliono indicare a tutti i luoghi della propria esistenza e del propria produttività. La seconda richiesta, formulata in Empire, è quella del reddito universale di cittadinanza come forma di salario adeguata ad una lavoro sociale e collettivo. La terza rivendicazione è quella del diritto alla riappropriazione dei mezzi di produzione e di quella comunicazione che viene prodotta dal corpo sociale tutto. Possiamo capire che proprio attraverso questa idea di diritto di riappropriazione è possibile per esempio difendere e sviluppare dei progetti irriducibili alle logiche di mercato ed al copyright, quali Linux.
Posse
Secondo gli autori di Empire il dispositivo che va messo al centro di queste rivendicazioni è posse. Un termine che si riferisce alla trinità umanistica e rinascimentale esse - nosse - posse e alla terminologia della musica hip-hop e del Selvaggio West americano dove significa gruppo, gang. Ma che cosa è posse? È organizzazione? "Posse non è ancora organizzazione. È un potere ontologico che cerca organizzazione e che la può trovare su di un terreno pratico" risponde M.Hardt. In posse acquisiscono una funzione centrale i corpi che vengono messi all'opera in senso biopolitico. Corpi che vogliono decidere della propria alimentazione, del proprio riprodursi, dell'affetto e della propria esistenza. Corpi disposti come catene e come muri che abbiamo visto nelle immagini forti di Seattle e di Washington a proposito delle quali ci dice M.Hardt: "Seattle e Washington sono forse il primo esperimento politico pratico in nuove forme organizzative contro l'Impero che allude positivamente ad una globalizzazione alternativa. Dobbiamo però tener presente che Seattle e Washington sono davvero soltanto i primi tenui segnali di quello che sta per accadere".

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