Una lettera del capo della polizia De Gennaro al Secolo XIX sui fatti di Genova
Quei silenzi di Stato su Giuliani, la Diaz e Bolzaneto
Il 18 febbraio la Gip Elena Daloiso deciderà sulla richiesta di archiviazione dell'inchiesta sull'omicidio di Carlo Giuliani. Come è sempre avvenuto nella lunga storia dei misteri d'Italia anche in questo caso la ricerca della verità rischia di essere oscurata dall'interesse dello Stato a impedire che si faccia giustizia. Ministri e capi degli apparati di sicurezza - basta citare Piazza Fontana, Italicus, Ustica - hanno sempre detto che è compito della magistratura accertare i fatti: con la fondata certezza che il loro silenzio avrebbe reso la giustizia impotente o quanto meno avrebbe fatto sì che la ricerca della verità si procrastinasse in tempi geologici, fra una glaciazione e l'altra. C'è una forte richiesta di verità sui fatti di Genova, solo la verità può risarcire i cittadini dell'immagine di sprovvedutezza e brutalità data dallo Stato: l'omicidio Giuliani, le cariche selvagge contro pacifici manifestanti, i pestaggi nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, i tentativi di coprire azioni illegali con prove false. I magistrati indagano, ma il silenzio dello Stato preoccupa i cittadini, perché è percepito come un ostacolo all'accertamento delle responsabilità.
Il quotidiano genovese Il secolo XIX ha chiesto al capo della polizia, con una lettera aperta, di «fare dono alla città di Genova di una esaustiva, attendibile interpretazione» dei fatti avvenuti durante il G8. «Quante polizie c'erano signor De Gennaro, e quante lei ne ha effettivamente dirette? I magistrati stanno facendo il loro lavoro (...) quanto dell'efficacia del loro lavoro può essere determinata dal suo riserbo?».
Il fatto che il capo della polizia abbia deciso di rispondere al Secolo XIX è probabilmente dovuto all'intento di chiudere lo "scandalo" di Genova con un messaggio rassicurante sull'affidabilità democratica delle forze di polizia mentre l'anno si chiude con prospettive nere per la pace e per l'occupazione. Il riferimento alle grandi e pacifiche manifestazioni dell'ultimo anno è il motivo di fondo della sua analisi: «La verità è che le forze di polizia (...) credono nei valori della nostra Costituzione, detestano la violenza, ricorrono all'uso della forza solo quando è assolutamente indispensabile, preferendo invece l'arma del dialogo e il metodo della prevenzione. Vengono dalla sincera condivisione di questa verità le decine di manifestazioni pacifiche che quotidianamente si svolgono nelle strade e nelle piazze delle nostre città; e vengono da qui la capacità di fare autocritica per gli errori commessi e la forte richiesta delle donne e degli uomini delle forze dell'ordine di essere capiti nelle loro difficoltà e di essere aiuitati a superarle per il bene di tutti». E' un messaggio rivolto specialmente all'interno delle forze di polizia. Prima, durante e dopo Genova c'è stato un ribollire di posizioni autoritarie e di iniziative provocatorie all'interno degli apparati della sicurezza dietro lo schermo di sigle sindacali legate al partito di Fini. S'invocava impunità per le violenze della polizia, si inneggiava ai poliziotti che andavano in piazza come «gladiatori nell'arena». Le illegalità compiute a Genova dalle forze di polizia sono state il frutto di trame incanalate in una vasta rete di provocazione. E' qui che doveva essere fatta luce. E' qui il silenzio dello Stato. Il messaggio di De Gennaro è importante, ma si ferma all'enunciazione di una posizione: la polizia si legittima nella coerenza con i principi della Costituzione e della democrazia, chi non li condivide è fuori.
Senza precedenti Il giornale chiedeva al capo della polizia un contributo di verità sui fatti di Genova. Ma qui nell'analisi di De Gennaro c'è più silenzio che verità. «Sono certo che dalla magistratura genovese verrà una risposta chiara ed esauriente sulle specifiche responsabilità di chiunque risulterà abbia commesso reati». Perché il capo della polizia non cita la Diaz, i fatti di Bolzaneto, le aggressioni brutali contro il diritto a manifestare, i contrasti tra la Ps e i carabinieri, l'omicidio Giuliani? Perché neppure un accenno? Naturalmente De Gennaro deve svolgere il suo ruolo di capo della polizia, deve difendere le forze dell'ordine, deve dire che a Genova «sono state all'altezza della situazione», che «carenze ed errori» non possono mettere in dubbio «la complessiva correttezza e l'efficacia dell'operazione», che eventi senza precedenti «hanno di gran lunga superato l'immaginazione e le misure di prevenzione adottate». Ci sembra che manchi la cosa più importante che potrebbe essere detta ai lettori di un giornale da un capo della polizia: «Vi prometto che cercherò la verità sull'uccisione di Carlo Giuliani, sulla Diaz, su Bolzaneto».
Quel colonnello Ogni giorno cresce la richiesta di verità su Genova, perché ogni giorno si aprono nuovi misteri. E' stato sempre detto che il carabiniere Mario Placanica sparò contro il ragazzo, perché era terrorizzato dall'assalto di un gruppo di dimostranti al suo Defender rimasto isolato. Spunta ora una foto in cui appare sulla scena dell'omicidio pochi secondi dopo gli spari il tenente colonnello dei carabinieri Giovcanni Truglio, paracadutista del "Tuscania" e comandante delle forze di intervento mandate a Genova dal comando generale dei carabinieri dopo uno speciale addestramento a Velletri. Il colonnello Truglio, interrogato subito dopo il fatto dai sostituti di turno, disse di non aver sentito spari, ma di aver visto il defendere sul quale si trovava Placanica fare marcia indietro e poi passare sul corpo di una persona. Il pm Silvio Franz che ha chiesto l'archiviazione del procedimento contro Placanica non ha mai sentito il colonnello Truglio che ora dirige la sala operativa del comando generale dei carabineiri. Sono ovvie due domande. Che ordini aveva dato il colonnello ai mezzi dell'Arma dislocati nella zona di piazza Alimonda? Se vide il defender di Placanica isolato e in difficoltà perché non lo fece subito proteggere dai suoi reparti che potevano intervenire in pochi secondi?
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