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Sullo storico sfaldamento della NATO
by copia e incolla Tuesday, Feb. 11, 2003 at 9:57 AM mail:

I problemi sono iniziati dopo l'11 settembre. L'Alleanza senza obiettivi. Resa dei conti a Bruxelles. L'allargamento a Est e l'associazione della Russia hanno messo l'organismo in rotta di collisione con la Ue.

E' la crisi peggiore in cinquant'anni di storia dela Nato
LA NATO spaccata da un veto franco-tedesco che, per la prima volta in cinquant'anni, blocca una precisa richiesta americana e sprofonda l'Alleanza in una "crisi di credibilità" forse irreversibile. Il presidente russo Vladimir Putin, l'"amico" di Bush e Berlusconi, che si schiera con Chirac e Schroeder per cercare di frenare la corsa degli Stati Uniti verso l'intervento, rafforzare le ispezioni dell'Onu, ricordare a Washington che "esiste un'alternativa alla guerra" e che essa ha il consenso della maggioranza dei membri del Consiglio di sicurezza. La presidenza greca dell'Ue che convoca un vertice straordinario dei capi di governo europei per capire quanto si può ancora salvare dell'identità dell'Unione dopo la frattura. La crisi irachena, ancor prima di giungere ad una qualsiasi conclusione, sta cambiando radicalmente gli assetti della scena politica internazionale.

L'Atlantico è più largo. L'Europa è divisa. La Nato vive il momento più difficile della sua storia: una resa dei conti che potrebbe segnare il suo tramonto definitivo. L'Alleanza atlantica era sopravvissuta a crisi durissime dimostrando una vitalità che era prova di quanto il legame transatlantico restasse ineludibile. C'era stato lo scisma francese nel '66, quando Charles De Gaulle era uscito dal dispositivo militare della Nato costringendo l'organizzazione ad un frettoloso trasloco da Parigi a Bruxelles. C'era stata la crisi degli euromissili, negli anni Ottanta, quando l'America di Reagan e dello scudo spaziale aveva faticato a far digerire all'Europa l'installazione di vettori nucleari a medio raggio in risposta a quelli sovietici e il sospetto che Washington volesse chiamarsi fuori da un possibile conflitto atomico sul Vecchio continente.

C'era stata la fine della Guerra fredda: una crisi esistenziale superata facendo evolvere l'Alleanza da scudo difensivo contro il blocco sovietico a braccio armato dell'Occidente e della comunità internazionale. C'erano stati i primi interventi militari: in Bosnia nel '94 e in Kosovo nel '99. C'è stato, ed è tutt'ora in corso, il difficile confronto politico con il progetto dell'Europa di dotarsi di una propria capacità di intervento militare.
La Nato era riuscita a superare tutto questo, trovando al proprio interno compromessi ed elasticità insospettabili che le permettevano di evolvere senza tuttavia cambiare la propria natura di fulcro del dialogo euroamericano. L'inizio della fine è arrivato con l'attentato dell'11 settembre quando, su sollecitazione degli Usa e in un clima di estrema emotività, l'Alleanza ha per la prima volta fatto ricorso all'articolo 5 invocando la clausola della difesa collettiva. Un gesto drammatico, trasformato in burla quando Washington ha rinunciato ad avvalersi delle capacità militari della Nato ed ha insediato a Tampa il nuovo quartier generale della inedita Alleanza contro il terrorismo.

Questa scelta di Bush già conteneva in embrione le future tentazioni unilateraliste degli Usa e la nuova dottrina della guerra preventiva resa poi pubblica nel novembre scorso. Il risultato pratico è stato comunque di spingere la Nato a esser sempre meno alleanza militare e sempre più foro politico destinato a perpetuare l'ascendente americano in Europa.

L'allargamento ai nuovi paesi dell'Est deciso al vertice di Praga e l'associazione della Russia rilanciata a Pratica di Mare sono stati i naturali corollari di un processo che metteva fatalmente l'Alleanza su una rotta di collisione, o quantomeno di rivalità politica, con l'Ue in nome della fedeltà agli Usa. Una fedeltà puntualmente ribadita, in occasione della crisi irachena, dalla lettera degli 8 (tutti membri Nato) e dalla presa di posizione dei 10 del Gruppo di Vilnius. Era però inevitabile che, usando questa nuova e inedita concezione dell'atlantismo come strumento di divisione e di discriminazione all'interno dell'Europa, la faglia apertasi nell'Unione finisse per riprodursi anche nella Nato.

Il veto di Francia, Germania e Belgio alla richiesta americana di mobilitare la Nato per rafforzare la difesa della Turchia in vista dell'attacco all'Iraq costuisce la prima aperta ribellione all'autorità degli Usa in seno all'Alleanza. Allo stesso tempo mette in luce l'intrinseca debolezza politica della Nato che, a differenza dell'Ue, è e rimane un'alleanza di Stati sovrani fondata sul pincipio dell'unanimità. Se questa unanimità, che si era retta finora sulla indiscussa supremazia tecnologica ma anche morale degli Usa, viene meno, la Nato si riduce a una scatola vuota.

Dopo aver fatto da spettatore alla guerra in Afghanistan contro il terrorismo, il povero Lord Robertson sarà dunque costretto a seguire anche la probabile guerra in Iraq da una poltrona di seconda fila prima di lasciare l'incarico a fine anno. Più difficile, molto più difficile, sarà il compito del successore: un ruolo per cui sono in corsa, tra gli altri, il commissario portoghese Antonio Vitorino, il presidente polacco Aleksander Kwasnewsky, la ministra della Difesa norvegese Kristin Krohn Devold, e l'italiano Antonio Martino. Ammesso che uno dei contendenti arrivi a raccogliere il consenso unanime di un'Alleanza ormai lacerata da ferite profonde, gli toccherà il compito di ridare obiettivi e coesione a un organismo che sembra ormai definitivamente superato dalla Storia.

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