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Intervista di Vauro a Yasser Arafat
by vauro Friday, Feb. 21, 2003 at 1:48 PM mail:

«Sharon è già in guerra» Intervista a Yasser Arafat: «Le vittime di Gaza sono state 21. Sharon non vuole nessuna soluzione politica. Ha presentato 100 emendamenti al piano di pace del 'Quartetto' da noi accettato. Dov'è il mondo? Per questo ho scritto a Putin. Israele vuole la guerra all'Iraq per trarne subito vantaggio qui»

VAURO INVIATO A RAMALLAH (CISGIORDANIA)
Sotto una pioggia gelida e sferzante percorriamo a piedi il labirinto di traversine di cemento, sacchetti di sabbia, casotti di ferro, e reti metalliche che segna il confine tra Israele e Ramallah sotto l'Autorità palestinese, ma sono solo i militari israeliani a controllare il check point. Vediamo i primi poliziotti palestinesi con il basco verde solo quando arriviamo al quartier generale dell'Anp, sarebbe meglio dire a ciò che ne resta. La bassa costruzione a due piani degli uffici di Arafat appare completamente circondata dalle macerie degli stabili adiacenti, una muraglia di carcasse contorte di auto erta a protezione dello sconnesso piazzale antistante aumenta il senso di distruzione che non ci abbandona entrando nella sede dell'Anp. Corridoi stretti, stanze anguste, barili riempiti di cemento a proteggere le pareti che danno sull'esterno tolgono la poca luce proveniente dai pertugi che fungono da finestre. E' un po' più ampia la stanza dove Arafat ci riceve, ma disadorna, un grande tavolo con le sedie al centro, una bandiera palestinese al muro e sulle pareti nude solo un piccolo orologio a pendolo. Arafat si alza per venirci incontro, è un uomo piccolo, reso quasi minuto dall'età che gli ha disegnato macchie sulla pelle chiarissima delle mani, la kufia scende su una giacca militare consunta sulla quale ficca una incredibile quantità di spillette: la bandiera dell'Europa, quella palestinese incrociata con quella americana, come a segnare le tappe fallite della ricerca di un aiuto politico sostanziale dalle diplomazie internazionali. L'isolamento, anche fisico, al quale è stato condannato dalla prepotenza israeliana, dall'ambiguità europea e dalla parzialità Usa gli si può leggere impresso sul volto segnato e dalle guance incavate, solo lo sguardo, dietro le lenti di grandi occhiali, appare vivace e mobilissimo.

A Gaza, presidente, è stata un'altra giornata di sangue per il popolo palestinese, si sono contati 15 morti, senza che sia iniziata una escalation dell'aggressività militare israeliana?

Ventuno - (mi corregge con uno scatto)- ventuno sono i palestinesi uccisi ieri e 120 i feriti. A Gaza sono state demolite decine di case, distrutte 11 piccole industrie. Gaza è come densità di popolazione la città più popolata del mondo e l'esercito israeliano ha distrutto l'intera rete fognaria facendo aumentare a dismisura il rischio di epidemie. Questa è già una guerra batteriologica. Del resto noi abbiamo denunciato agli Stati uniti l'uso da parte israeliana di armi proibite, proiettili all'uranio impoverito, gas chimici tossici come il Cs, non ci hanno voluto credere, ma il rapporto di una commissione non governativa americana (me ne porge una copia) la International Action Center ha confermato la nostra denuncia. Nessun popolo al mondo sta subendo un'aggressione così feroce come quella che sta subendo il popolo palestinese. E' arrivato a 70mila il numero delle vittime, tra morti e feriti, il 38 per cento dei caduti aveva meno di 17 anni, il 30 per cento dei feriti è rimasto gravemente handicappato. La nostra economia è strangolata dalla distruzione delle infrastrutture, dalla confisca delle terre. Ad Hebron il 55 per cento degli ulivi, quegli ulivi che noi chiamiamo «ulivi romani» per la loro antichità, sono stati distrutti. Il versamento delle tasse di importazione palestinesi raccolte dall'autorità israeliana che ammonta ormai a 2 miliardi e mezzo di dollari è bloccato al settembre del 2000, ne abbiamo recuperati solo 70 milioni grazie alle pressioni europee ed americane. Centoquarantamila palestinesi hanno perso il lavoro - (e qui Arafat continua a snocciolare con foga le cifre del disastro, poi mi mostra una foto della statua della madonna della chiesa della Natività di Betlemme crivellata di colpi) - pochi giorni fa hanno fatto saltare la chiesa del villaggio di Abhud, una delle più antiche in terra santa. Perché il mondo che si è tanto indignato quando i taleban hanno distrutto i Buddha in Afghanistan non dice una parola? Non si alza una voce quando a distruggere opere appartenenti alla cultura universale è Israele. L'escalation di guerra voluta da Sharon è sotto gli occhi di tutti, di tutti quelli che vogliono vedere. Lo stesso Sharon ha annunciato l'intenzione di iniziare un nuovo piano militare contro i palestinesi. Questo piano è già cominciato, hanno fatto di Nablus il loro banco di prova, il centro della città è stato distrutto, usano sistematicamente i bulldozer per rimuovere più a fondo la terra ed impedire così ogni tentativo di ricostruzione. Ma resisteremo a Nablus come a Jeniningrad - Arafat sorride -. Mi piace chiamare Jenin «Jeniningrad» perché la resistenza che la città e il campo hanno opposto all'attacco israeliano è paragonabile a quella di Stalingrado all'assedio nazista.

Non pensa che sia necessario cercare uno spazio di interlocuzione con il governo Sharon per tentare una soluzione politica?

No, non è possibile, perché Sharon non vuole nessuna soluzione politica. Il suo governo è stato eletto da estremisti che negano ogni possibilità di convivenza pacifica con noi palestinesi. I cosiddetti segnali di disponibilità di Sharon non sono che tentativi interni di coinvolgere i laburisti nel suo governo, per acquisire maggior credibilità internazionale e continuare con la sua politica di sterminio. Ne sono la prova le assicurazione che Sharon ha dato a Mizhna della sua disponibilità ad accettare il piano di pace americano, il cosiddetto piano del quartetto, per poi, il giorno successivo, proporre addirittura cento modifiche al piano stesso volte a snaturarlo completamente.

Gli Stati uniti sembrano determinati ad andare ad una guerra contro l'Iraq, come inciderà questo sulla questione israelo-palestinese?

Quello che si sta addensando sull'Iraq è come un grande tifone destinato a scuotere e a scardinare tutti gli assetti e gli equilibri del Medioriente, e non può essere considerato un problema locale. Ho scritto oggi una lettera al presidente Putin riaffermando come storicamente ma anche in senso geopolitico, non ci possiamo scordare che Europa e Medioriente sono geograficamente collegati, proteggere la pace in Medioriente significa proteggerla in tutto il mondo. Come invece al contrario consentire un'altra guerra nel cuore del Medioriente possa comportare l'altissimo rischio di un allargamento del conflitto totalmente imprevedibile nei tempi e nei luoghi. Anche per l'acuirsi dello scontro dove, come qui, un conflitto è già in corso. Sharon è pronto ad approfittare dell'aumento della tensione per accelerare il suo piano di annullamento e deportazione del popolo palestinese. Siamo a conoscenza di un progetto del governo israeliano per deportare i prigionieri palestinesi con aerei speciali in Libano e in Sudan quando iniziasse la guerra in Iraq.

Presidente, come si sente chiuso in questi uffici, impossibilitato a muoversi da mesi, praticamente prigioniero in casa sua?

Mi sento come tutti i palestinesi (Arafat sorride) -, soffro ciò che loro soffrono quotidianamente da anni ed ho la loro stessa determinazione a resistere.

Durante un'ora, tanto è durato questo incontro con Arafat, per tre volte è mancata la luce elettrica lasciando al buio il quartier generale dell'Anp e la stanza dove ci trovavamo. E' stato lo stesso Arafat, con una torcia elettrica, a illuminare il taccuino sul quale prendevo gli appunti di questa intervista.

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