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In contatto con Baghdad (42)
by robdinz Monday, Mar. 31, 2003 at 3:21 PM mail: robdinz@hotmail.com

Sajida.

Le bombe che sono cadute, che continuano a cadere su Baghdad, non sono diverse da quelle di ieri e da quelle dei giorni passati. E non è neppure troppo vero che nelle ultime 24 ore ne siano cadute di più o con più intensità.
La verità è che da quasi un giorno intero sono cominciate a cadere sulla città delle bombe di inaudita violenza, che provocano non “danni” ma devastazioni. Queste sì con precisone geometrica: cancellano tutto quanto si trovi nel loro raggio per almeno 2.000/3.000 metri quadrati. Spostamenti d’aria che rovesciano per l’aria automobili, camion, sradicano alberi, strappano le saracinesche dai negozi, sollevano l’asfalto fino ai tetti delle case. Provocano un vento caldo e così forte che si insinua per le strade e nei vicoli, insegue chi fugge, lo travolge, ammassa gli uni sugli altri decine, forse centinaia di persone.
E chi ha ancora la forza di guardare, di sollevare gli occhi, guarda supefatto quel fungo enorme, grigio e nero che esplode superando in altezza ogni cosa. Prima di ricadere con una grandine di frammenti di ogni genere, piccolissimi, che quasi si respirano.

Ma di fiato non ce n’è più a Baghdad. Neppure la forza di scappare. Ci si mette la testa tra le mani, ci si accuccia a terra in posizione fetale, il mento contro il petto, i gomiti a premere sulle ginocchia. E si aspetta. Poi lo schianto, i rumori che spaccano le orecchie, che impediscono al cuore di battere, sollevano i vestiti, fanno rotolare uomini e donne come quei piccoli insetti neri che quando li sfiori si chiudono a palla. Li puoi prendere in mano, toccare, ma non si aprono. Terrorizzati.

Dopo la riunione di ieri al cinema con i colleghi iracheni, c’è molta delusione nei retporters indipendenti per la mancanza di visibilità internazionale che ha ricevuto l’appello per (almeno) l’apertura di un corridoio umanitario verso la capitale per far giungere in città cibo, medicine, attrezzature sanitarie. E magari qualche giocattolo per i bambini. Come mi dice una reporter europea che non smette di pensare a loro, ai bambini di Baghdad.

Solo nella giornata di oggi le vittime dovrebbero essere 30. E chissà quanti i feriti.
Ma dov’è la Croce Rossa, dove sono le Nazioni Unite mi continua a ripetere la reporter. Ma possibile che nesuno riesca neppure per un giorno a fermare tutto questo?
Ma cosa vogliono, forse che milioni di cittadini esasperati, rabbiosi, senza più nulla da perdere si lancino a mani nude, con fucili e bastoni contro le truppe anglo-americane quando entreranno in città? Così da poterli sterminare dichiarando al mondo di aver avuto ragione di “gruppi di terroristi” al soldo di Saddam?

La reporter è agitata, la voce che mi riferisce parla di alcune fattorie, nell’immediata periferia sud-ovest, che sono state deliberatamente colpite dai missili causando la morte di 12/15 bambini. E’ inorridita nel riferirmi questa notizia. Ma perché le fattorie, continua a ripetermi. Perché?

La reporter abita da circa due settimane in un piccolo albergo in una zona semi-centrale, non troppo lontana dal Ministero dell’Informazione. Divide la camera con una giornalista “ufficiale”ma che ha preferito sganciarsi dall’atmosfera un po’ clustrofobica ed autoreferenziale che si respira al “Palestine”. Si sono conosciute così, per caso lungo le strade, nelle piazze di Baghdad.

Nel loro albergo non ci sono altri ospiti oltre a loro due. Il padrone è gentilissimo, quasi premuroso, e lì ha trasferito tutta la sua famiglia proprio per questa posizione un po’ defilata dell’albergo che lo rende più sicuro rispetto alla loro casa che si trovava troppo vicina ad un palazzo del potere.
Ma trasferito è dir poco. Un trasloco vero e proprio: con tanto di armadi, letti, poltrone, tappeti e quadri. Quasi a voler ricreare la stessa atmosfera familiare della casa, e non voler far vivere alla sua famiglia quella provvisorietà che comunque si respira in un albergo.

C’è voluto qualche giorno alla reporter per venire a capo alla composizione di quella famiglia. 5 figlie tutte femmine. Ma due di loro erano un po’ troppo vicine d’età per essere sorelle, né così simili per apparire gemelle.

Sajida infatti ha 14 anni e non è la figlia di Ahmet, il padrone dell’hotel. Sajida è stata adottata da Ahmed e sua moglie quando di anni ne aveva 6 e portata a lavorare nell’albergo. Insomma una di quelle adozioni senza troppe formalità, documenti e carte da bollo, comuni qui a Baghdad per avere piccola mano d’opera a buon mercato in cambio di vitto e alloggio.
Ma Sajida è stata a modo suo fortunata, si deve occupare della lavenderia dell’albergo: asciugamani e lenzuola da lavare a mano e stirare a puntino con un enorme ferro a vapore di fabbricazione tedesca. Ahmed non l’ha mai oltraggiata, né, per certi versi sfruttata, come invece capita ad altri bambini nelle condizioni di Sajida costretti a lavare i tappeti in grandi vasche di pietra, pulire tutto il giorno l’ottone con creme altamente tossiche che provocano piaghe e ferite sulle mani, o arrampicarsi fino a 6/8/10 metri di altezza senza alcun tipo di protezione per aiutare il “padrone”nella costruzione della casa o del magazzino.
Sajida ha sempre vissuto il albergo, in una stanza tutta sua in fondo alla scala che porta al locale della lavanderia. Una stanza grande, ampia, con un letto vero, lenzuola sempre pulite e stirate, ed un tappetino scendi letto al quale tiene molto.

La reporter una sera, fingendo di sbagliare scala per arrivare all’uscita posteriore ha raggiunto la stanza Sajida e le ha bussato. Sedute sul letto la reporter ha notato che Sajida conservava tantissime copie di giornali e periodici di mezzo mondo, raccolti durante le pulizie delle stanze dei clienti dopo la loro partenza. Il contatto con gli ospiti dell’albergo aveva fatto di Sajida una piccola poliglotta in grado di capire e farsi capire in inglese, tedesco e persino un po’ di spagnolo.
Quei periodici sono il mondo della fantasia di Sajida, che durante le notti prima dell’inizio della guerra, si infilava in qualche stanza vuota per vedere la televisione satellitare che le permetteva un fantastico giro del mondo. E rimaneva abbagliata e affascinata dalle immagini trasmesse dalle tv americane, inglesi, giapponesi.

Non sa molto Sajida dei perché di questa guerra, che non sembra arrivare fin dentro la sua stanza senza finestre. Ma è sicura che l’uomo più bello del mondo è Tom Cruise e che gli “americani”,se arriveranno a Baghdad, la porteranno poi via con loro, perché il sogno di Sajida sono proprio gli Usa, una villa bianca con il prato davanti curato e pettinato ad Hollywwood .

Sempre sedute sul letto, mangiando insieme quella specie di strudel pieno di frutta secca e fichi che Ahmed e sua moglie non le fanno mai mancare, la reporter non ha parlato di guerra e di americani con Sajida. Ma con determinazione ed usando tutti i mezzi a sua disposizione ha provato (invano) a farle cambiare idea su una cosa: il più bello non è Tom Cruise, ma Brad Pitt.

Che la notte sia leggera.
r.

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baghdad sara Thursday, Jul. 17, 2003 at 1:05 PM
Scudi Umani Filippo Tuesday, Apr. 01, 2003 at 10:31 AM
Conferma robdinz Tuesday, Apr. 01, 2003 at 9:23 AM
Tanta fortuna , e grazie maurizio Tuesday, Apr. 01, 2003 at 5:08 AM
grazie fettina - carlo Monday, Mar. 31, 2003 at 10:22 PM
Kamikaze Claudio Monday, Mar. 31, 2003 at 9:36 PM
Peace Kids ad Hannover, Germania --- Monday, Mar. 31, 2003 at 5:47 PM
Peace Kids ad Hannover, Germania --- Monday, Mar. 31, 2003 at 5:44 PM
... des Monday, Mar. 31, 2003 at 4:56 PM
Appello giornalisti irakeni - facciamo circolare E-LOTTA Monday, Mar. 31, 2003 at 3:53 PM
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