Giovedi' 17 aprile ci sara’ la decisione del gip sulla richiesta di
archiviazione per legittima difesa per il carabiniere accusato
dell’omicidio di Carlo Giuliani. Una storia da conoscere.
Questo articolo e' apparso in due puntate (prima | seconda), pubblicate l'8 ed il 9 aprile 2003,
su "il Barbiere
della Sera"
17.27 piazza Alimonda
di Madame Psychosis
Giovedi' 17 aprile ci sara’ la decisione del gip sulla richiesta di
archiviazione per legittima difesa per il carabiniere accusato
dell’omicidio di Carlo Giuliani. Una storia da conoscere.
20 luglio 2001. Alle 17.27 Carlo Giuliani muore colpito da un colpo di
pistola esploso da un carabiniere durante scontri di piazza.
C’e’ una foto, un ragazzo di spalle, canottiera e passamontagna, un
estintore sollevato, di fronte a un Defender, dal vetro posteriore sfondato esce
la bocca di una pistola. E’ l’attimo prima dello sparo. L’ha
scattata Dylan Martinez, Reuters. Fa il giro del mondo.
In serata il Viminale emette una nota: L'episodio mortale è accaduto nel
corso di un violento assalto contro un autoveicolo dell'arma dei carabinieri che
ha procurato il ferimento di alcuni militari a bordo. Il giorno dopo parla
la Procura: Non posso che confermare quanto i mezzi di comunicazione hanno
riferito - dice il procuratore Meloni - e cioe' che un gruppo di
manifestanti ha violentemente attaccato il mezzo dei carabinieri. Quindi una
delle persone che erano a bordo ha percepito un forte pericolo ed ha esploso un
colpo d'arma da fuoco che ha raggiunto il manifestante. Parlano anche gli
avvocati del Genoa Social Forum: E' completamente infondata la tesi che
il carabiniere indagato per la morte del giovane abbia sparato per legittima
difesa.
Il corpo di Carlo Giuliani verso le 19 viene rimosso e portato
all’ospedale Galliera, gli fanno alcune radiografie e la Tac, alle 19.38.
Il giorno dopo l’autopsia, eseguita dai medici legali Marcello Canale e
Marco Salvi: il proiettile e’ entrato dallo zigomo sinistro e uscito dalla
nuca. Il foro d’entrata e’ di 8 mm, quello di uscita ancora
piu’ piccolo, il corpo non presenta fratture o lesioni.
Il 23 luglio e’ il giorno dell’informativa urgente al Parlamento.
L’allora ministro Scajola dice: Centinaia di facinorosi, a viso coperto
ed armati con spranghe e bastoni hanno aggredito un contingente di carabinieri
che e' stato costretto ad un repentino ripiegamento per organizzarsi. I giovani
carabinieri si sono trovati quindi in pochi, feriti, bloccati, senza via di
scampo, in un mezzo danneggiato che non offriva piu' alcuna protezione.
Vedremo poi altri filmati e fotografie. Marco D’Auria dell’Ora di
Palermo e’ l’autore della foto RaiNet che mostra Carlo Giuliani e il Defender da un
altro punto di vista, di profilo, distanti fra loro alcuni metri. La vicinanza
illustrata dalla foto Reuters, ripresa dai gradini della chiesa, e’ dovuta
all’effetto schiacciamento del teleobiettivo.
Un altro fotografo, Eligio Paoni, che scatta alcune foto del corpo del ragazzo a
terra, viene inseguito e picchiato dalla polizia, che gli rompe la macchina
fotografica e una mano, viene soccorso da un altro fotografo, Yannis Kontos,
Gamma. Ci sono gli scatti di Davin Asch e Bruno Abile, dello sparo e del
contesto. Nelle foto e nei video si vedono diverse persone con apparecchi in
mano che non sono state rintracciate, lo sottolinea anche il pm Franz nella
richiesta di archiviazione.
Poi ci sono i video delle forze dell’ordine. Durante un interrogatorio a
un ufficiale, a settembre, il pm Franz apprende dell’esistenza di
microcamere nei caschi di due carabinieri, “etichettate e consegnate al
colonnello Leso”, e ne fa immediata richiesta. Si dira’ poi che
sono troppo mosse e quindi inutilizzabili. I legali dei Giuliani non hanno
potuto visionarli.
Il 27 agosto il pm Franz apre l’inchiesta per tentato omicidio a carico di
partecipanti all’assalto al Defender. Gli indagati sono tre.
Massimiliano Monai, genovese, e’ a torso nudo e indossa un caschetto da
boxe, con un’asse di legno colpisce i militari all’interno della
jeep. Monai si presenta spontaneamente dal pm il 30 agosto, messo ai domiciliari
ai primi di settembre 2001 ci resta fino al 17 dicembre 2002, l’accusa
e’ tentato omicidio. Sempre in dicembre, quando viene depositata la
richiesta di archiviazione per Placanica, da’ un’intervista al
Secolo XIX: Resto convinto: su quella jeep erano in quattro. Monai dubita
che a sparare possa essere stato Placanica.
Eurialo Predonzani, anche lui genovese, che nelle foto si riconosce dal
salvagente, si presenta dai giudici il 6 settembre. Vedo il carabiniere
semidisteso nella camionetta, che punta la pistola verso l’esterno, al
grido di "bastardi, vi ammazzo tutti” … L’arma è puntata
contro un ragazzo in grigio, che mi sta accanto; quindi si sposta verso un altro
obiettivo, racconta in un’intervista. Al pm dichiara: Il
carabiniere seduto dietro stava puntando la pistola e ho sentito che urlava
“vi ammazzo tutti porci bastardi” … Dal momento in cui vedo la
pistola a quello in cui sento gli spari, sono trascorsi diversi secondi in cui
il carabiniere continuava a urlare “vi ammazzo tutti”.
Luca Finotti, giovane barista di Pavia, si presenta il 24 maggio 2002. A luglio
2002 si da’ notizia di un quarto indagato, un giovane romano, sarebbe
stato individuato dai carabinieri del Ros. Ma dal pm non arrivano conferme.
Mario Placanica
Mario Placanica, 21 anni, di Catanzaro, e’ ausiliario al sesto mese di
servizio, a fine ferma, nel 12° battaglione carabinieri Sicilia (inquadrato
nella compagnia Echo dei Ccir), di stanza a Palermo. E’ ai comandi del
capitano Cappello, del tenente Zappia e del tenente Mirante.
Placanica viene portato al pronto soccorso del Galliera. Al suo arrivo viene
fotografato da Carola Giordano, e’ lei a darci l’orario, non oltre
le 17.40. Il referto viene stilato alle 20, 7 giorni di prognosi. Alle 23
e’ negli uffici del Nucleo operativo del Comando provinciale Carabinieri
per essere sentito dai pm di turno, Canepa e Canciani, con l’autista del
Defender Filippo Cavataio.
La deposizione dura un’ora e
dieci minuti per Placanica e 35 minuti per Cavataio. Sono entrambi colpiti
(d’ufficio) da avviso di garanzia per omicidio volontario, e assistiti
dall’avvocato genovese Pruzzo.
E Dario Raffone? Negli scatti che ritraggono Placanica all’arrivo in
ospedale, non c’e’. Anche lui viene visitato al pronto soccorso, il
referto e’ delle 18.50, la prognosi di 8 giorni. Viene sentito solo il
giorno dopo, alle 12.30, dai pm Pinto e Franz.
Placanica trascorre qualche giorno nel Comando provinciale dei carabinieri di
Forte San Giorgio, da dove se ne va il 24 luglio. Non a Catanzaro: "Si trova in
una localita' che non posso rivelare" dice all’Ansa l’avv. Vittorio
Colosimo, il difensore del carabiniere. Subito dopo questa affermazione,
l’avvocato Pruzzo precisa di essere "l'unico legale che ha ricevuto il
mandato difensivo dal carabiniere indagato per la morte di Carlo Giuliani".
Nella prima deposizione Placanica spiega perche’ a un certo punto sia
salito sul Defender (e’ in servizio dalle 6.30, il suo compito e’
sparare fumogeni, ha difficolta’ a respirare) e quale fosse diventata la
situazione li’ dentro: ho visto in difficoltà il mio collega e ho
pensato che dovevo difenderlo; l'ho abbracciato per le spalle ed ho cercato di
farlo accucciare sul fondo della jeep; io scalciavo perchè i manifestanti mi
tiravano per una gamba che mi veniva afferrata dall'esterno, per cercare di
tirarmi fuori dalla macchina; hanno anche tirato oggetti pesanti che non ho
neanche capito di cosa si trattasse; mi è stato dato un colpo con qualcosa di
estremamente pesante e metallico.
Racconta di essere stato colpito alla testa piu’ volte con una grossa
pietra, di aver visto il collega (Raffone: lo chiama “il mio
amico”, ma ne’ lui ne’ Cavataio ne fanno il nome) colpito
da una pietra sotto lo zigomo, di aver messo il colpo in canna alla pistola che
teneva nella fondina a coscia, rimettendo poi la sicura, che pero’
inavvertitamente veniva tolta; dice di aver tenuto la pistola puntata per un
minuto, di aver sentito la propria mano contrarsi e due colpi partire.
Alla mia vista nel momento in cui puntavo la pistola non avevo persone,
percepivo che vi erano aggressori ma non li vedevo percependo solo il continuo
lancio di pietre. Ero convinto che vedendo l'arma avrebbero desistito ed invece
hanno continuato … Ero accucciato e non ho fatto caso se avessi colpito
qualcuno ... A domanda risponde: Avevo una certa pratica nell'uso delle armi, e
per tale motivo sono stato scelto quale “granatista”.
Il pm Franz sente Placanica l’11 settembre: Ricordo il particolare di
avere sentito il vetro posteriore infrangersi e vidi Raffone come tramortito.
Gli dissi di piegarsi e di stare fermo, mentre io mi posizionavo con le spalle
al sedile di Cavataio e cercavo di evitare di essere trascinato fuori, in quanto
vi erano diverse mani che mi avevano preso per le gambe e temevo cercassero di
appropriarsi dell’arma che tenvo nella fondina posizionata sulla coscia
destra.
Fu in quel momento che decisi di estrarre la pistola che tenevo nella fondina
posizionata nella coscia destra vicina al ginocchio. Tolsi la sicura
rimettendola immediatamente dopo. Mi misi a urlare "andatevene o vi ammazzo" e
lo dissi almeno tre o quattro volte. L'aggressione stava continuando e fu allora
che esplosi un colpo, il successivo seguì quasi di riflesso trattandosi di arma
semiautomatica.
Nel frattempo rilascia diverse interviste. A novembre 2001 esce La scossa
di Bruno Vespa, dove afferma di non aver udito gli spari e di aver realizzato in
pieno solo in ospedale quello che era successo: Appena sbucati sulla piazza,
si è scatenato l'inferno. C'era una marea di gente .... Se noi eravamo
cinquanta, loro erano cinquecento. Avevano spranghe e bottiglie accese in mano
.... Ho visto intorno alla nostra Land Rover una trentina di persone. Ci
arrivava addosso di tutto, c'era una pioggia di oggetti, vedevo colleghi a terra
che pigliavano botte. Uno scenario apocalittico.
Il 25 maggio da’ una lunga intervista a Terra!, magazine di Canale 5. Qui
Placanica dice che voleva allontanare la gente, che non voleva ferire
nessuno, non voleva sparare, non avrebbe voluto, di aver preso la pistola
e sparato dei colpi e di aver visto una persona che veniva verso di noi
con un oggetto metallico molto grosso, non riuscivo a distinguere se era un
estintore. Poi dice di aver cercato di sparare in aria, per questo dico
che non mi sono accorto che c’era Carlo Giuliani dietro la macchina. Ho
tentato di sparare in aria, e conclude con anche se quei colpi li ho
sparati, non ho mirato.
Allo scadere del primo anniversario dei fatti di piazza Alimonda, Placanica
parla al Tg1, l’intervista viene ripresa da diversi quotidiani. Non mi
rendo conto se sono stato io, perche’ ho sparato in aria, non ho sparato
contro persone… davanti a me non c’era nessuno, non c’era
Carlo Giuliani. Spero che si fara’ luce su questa questione …
difficilmente avrei colpito Giuliani… non so neanche sparare, nelle
esercitazioni al Poligono di tiro sono scarso.
Ancora: C’era una gran confusione. Si sentivano botti da tante parti.
Con questo non accuso nessuno: ma non sono stato il solo a sparare. Potrei non
essere stato io. Se non sono stati i miei due colpi a uccidere Giuliani, allora
mi hanno fatto vivere un anno terribile senza che lo meritassi. Il giovane
carabiniere dice di non voler pagare per colpe che non sono mie. Non so
neppure se sono stato io … adesso posso solo confermare di avere sparato
in aria. Sono sicuro di questo … pero’ secondo me c’e’
un mistero: tutte quelle pietre che deviano proiettili, corpi metallici, non si
capisce niente … A volte ho la sensazione di essere stato usato per
coprire responsabilita’ piu’ grandi delle mie, ma adesso non ci sto
piu’ … anzi, non credo di essere stato io a uccidere Carlo Giuliani
… la verita’ e’ che io non ho mai avuto un ricordo nitido di
quei fatti. Ma in piazza Alimonda quel giorno e’ successo qualcosa di
strano, mi hanno lasciato solo.
"Prendo atto che nell'intervista al Tg 1 Mario Placanica pone dei dubbi sul
fatto di essere stato lui a colpire mortalmente Carlo Giuliani", dira’
l'avv. Giuliano Pisapia, della famiglia Giuliani.
L’intervista (che non viene acquisita agli atti del processo) piace poco
al legale di Placanica, l’avv. Pruzzo, che rimette il suo mandato.
L’avv. Colosimo prende il suo posto. Di Catanzaro, noto per essere il
difensore di molti collaboratori di giustizia in processi di mafia, Colosimo
e’ piu’ di un avvocato: ad agosto attiva il sito internet del suo
assistito.
Sempre ad agosto Placanica rilascia un’intervista a Repubblica: Ho
preso una botta in testa da quella trave infilata nel Defender. Perdevo sangue,
la mia faccia, le mie mani, la divisa, la pistola erano insanguinate … Ho
sparato. Nella posizione in cui mi trovavo, semidisteso nell'auto, potevo
sparare solo verso l'alto. La mia mano con la pistola era al di dentro
dell'auto, ne sono certo, e non fuori come appare in qualche strana immagine. Ho
sparato due colpi in successione, uno sembra sia finito sul muro della chiesa,
l'altro - dicono - avrebbe ucciso Carlo Giuliani.
2 dicembre 2002 il pm Silvio Franz avanza la richiesta di archiviazione per
Mario Placanica per legittima difesa. A febbraio 2003, Mario Placanica torna in
servizio. Raffermato.
Indagini e consulenze
La procura della repubblica di Genova il 23 luglio dispone il sequestro di tutto
il materiale che aveva indosso Carlo Giuliani, dell'arma di Placanica, dei due
bossoli ritrovati (uno a terra e uno a bordo del defender) e del
fuoristrada.
Dopo oltre tre mesi dal fatto, il 6 novembre, vengono depositati i risultati
dell’autopsia sul corpo di Carlo Giuliani, eseguita il 21 luglio al galliera da
Marcello Canale e Marco Salvi. Il ragazzo e' stato ucciso dal primo dei due
colpi di pistola sparati dal giovane carabiniere, a una distanza superiore ai 50
cm, il suo corpo presenta solo delle escoriazioni, e non lesioni mortali,
causate dal successivo doppio passaggio della camionetta dei carabinieri sopra
di lui. A Carlo Giuliani sono state fatte due Tac, prima la
toracico-addominale, solo successivamente quella cranica (Cavataio, il
carabiniere che era alla guida della Land Rover, e’ uscito dall’inchiesta ai
primi di agosto).
Poco piu’ di un mese dopo, il 10 dicembre, e’ la volta della perizia balistica.
Valerio Cantarella, perito d’ufficio di Franz, ipotizza che a sparare siano
state due pistole. Il bossolo ritrovato all' interno della jeep dei carabinieri
e' compatibile all' 80 per cento con la pistola di Mario Placanica, mentre il
bossolo ritrovato all'esterno e' compatibile per il 10 per cento. Dalla pistola
di ordinanza del carabiniere risultano mancanti due colpi.
Una settimana dopo Franz ordina una perizia su sei pistole: oltre a quella di
Placanica, verranno esaminate altre le due presenti a bordo della jeep, piu’
quelle di altri tre carabinieri che hanno ammesso di aver sparato nel corso
degli scontri (quel giorno i carabinieri spararono 18 colpi. Fonte: le loro
relazioni di servizio). L’incarico viene affidato alla Scientifica di Palermo,
all’ispettore capo Biagio Manetto.
Il risultato di questa viene depositato l’11 gennaio 2002: i due bossoli trovati
in piazza Alimonda a Genova il 21 luglio, sono stati sparati dall'arma del
carabiniere Mario Placanica. Meno di un mese dopo, il 7 febbraio, Cantarella
deposita un supplemento di perizia in cui corregge i dati: ora il bossolo
trovato vicino al corpo del giovane e’ compatibile con l'arma del militare al
60%. Manetto stabilisce anche che la distanza fra la pistola e Giuliani sta fra
i 110 e i 140 cm.
Il 21 aprile 2002 si apre il sipario sul set giudiziario. I periti Carlo Torre,
Paolo Romanini, Pietro Benedetti e Nello Balossino, esperto in immagini,
ricostruiscono la scena a piazza Alimonda. Un Defender e una simulazione,
allestita e comparata con foto e video scomposti e analizzati in ogni singolo
fotogramma. Il giorno dopo si scopre un foro nella facciata della chiesa, si
ipotizza che possa essere l’effetto del secondo sparo. Si ridefinisce la
distanza tra Giuliani e la pistola, che ora viene portata a 2 metri e 79 cm.
I consulenti nominati da Franz sono nomi noti alle cronache: Torre, Romanini e
Benedetti sono stati consulenti nel caso Marta Russo. Balossino, il consulente
per le immagini di Torino e’ accomunato al dottor Marcello Canale, che ha
eseguito l’autopsia si Carlo Giuliani, da studi sulla sindone.
Pietro Benedetti e’ il capo del balipedio (campo sperimentale di tiro) di
Gardone Val Trompia, si e’ occupato in una lunga carriera di armi delle Br e di
molti casi importanti, da Ilaria Alpi a Soffiantini, da Pecorelli a Pacciani.
Esperto balistico e’ anche Paolo Romanini, che ha fondato e dirige la rivista
Tac Armi.
Dove nel settembre 2001, due mesi dopo il G8 e cinque mesi prima di ricevere
l’incarico da Franz, scrive un pezzo sulla “tragedia”: Abbiamo visto
il corollario che l’ha preceduta e seguita, fatto di tragica violenza priva di
qualsivoglia giustificazione e finalita’ confessabili. Chiunque abbia il dono
della vista avra’ potuto constatare quello che e’ accaduto e in particolare come
si sono svolti i fatti, quell’immonda caciara sfociata in tragedia. Non c’e’
nulla da interpretare o da commentare.
Per Romanini Carlo Giuliani e’ stato ucciso da un suo coetaneo terrorizzato e
ferito, mentre infieriva con inaudita violenza contro un mezzo dei Carabinieri,
cercando con tutto se stesso di arrecare danno e nocumento ai militari. Questo
e’ tutto.
Poi la prosa si fa piu’ energica: Qui la cosa si prestava allo scopo, tutto
era perfetto, il frangente, gli attori, la scenografia. Cosi’ il banchetto degli
avvoltoi griffati e’ iniziato, a cadavere caldo, con il sangue che ancora
colava; finalmente un martire, un buono ucciso da squadracce repressive e
violente guidate dai grandi burattinai. Finalmente uno sbirro
assassino!.
Il 3 giugno 2002, dopo quasi un anno dai fatti, ecco la teoria del calcinaccio.
Per comprenderla bisogna focalizzare l’attenzione sul proiettile. Il fatto e’
che il calibro 9 lungo (noto anche come 9x19 parabellum, 9 parabellum, 9mm Nato
e 9 Luger FMJ) e’ un proiettile dagli effetti arcinoti. Che nel caso di Carlo
Giuliani ha un comportamento anomalo. Ben diversi dovrebbero essere gli effetti
di un colpo di tale calibro che colpisca a cosi’ breve distanza.
Il foro d’entrata e’ piccolo, e quello d’uscita ancora piu’ piccolo. La
spiegazione potrebbe essere la “frammentazione” del proiettile. Tutti i periti
concordano sul fatto che un proiettile 9mm Nato non si possa frammentare al solo
impatto finale con la vittima, serve quindi una spiegazione su cosa possa aver
inciso nella storia balistica del proiettile.
Questa cosa del proiettile e’ un rompicapo. Un frammento metallico e’ saltato
fuori scuotendo il passamontagna (quando dopo oltre un anno si rimettono le mani
nel sacchetto delle cose di Carlo Giuliani), non e’ invece stato repertato al
momento dell’autopsia (e non risulta nella relazione, depositata piu’ di tre
mesi dopo da Canale) un altro frammento, visibile dalla Tac nella testa del
ragazzo. Carlo Giuliani, per chi non lo ricordasse, e’ stato cremato.
L’ipotesi dei consulenti del pm e’ che il proiettile si sia frantumato
impattando nel suo percorso. L’estintore, dissero inizialmente. Poi si decise
per il sasso (un calcinaccio “di due chili”, visibile nel filmato dell’operatore
di Luna rossa) e per Placanica che spara verso l’alto. 'Per noi e'
compatibile un rimbalzo del proiettile contro la pietra. Sei proiettili su sei,
quelli utilizzati durante le prove, si presentano molto simili a quello che ha
ucciso Carlo Giuliani, cioe' integri ma deformati dichiara Romanini alla
stampa. E’ bene ricordare che nessun proiettile e’ mai stato ritrovato, neppure
in parte.
L’esito della perizia (tre faldoni, 10 cd, 3 cassette Vhs e 2 dvd) viene
depositato l’11 giugno. Che il proiettile abbia incontrato il calcinaccio
sarebbe documentato dal video: …si verifica lo sparo; in modo quasi
istantaneo il calcinaccio, fuori dall’inquadratura della telecamera, viene
colpito… il calcinaccio colpito, e’ ancora esterno all’area di visualizzazione
della telecamera… il calcinaccio entra nell’area di ripresa della telecamera ed
e’ interessato dal fenomeno di disaggregazione che pero’ e’ confinato nella
parte non visibile dalla telecamera….
Nella controperizia della parte offesa si evidenzia invece che: il carabiniere
Mario Placanica sparo' ad altezza d' uomo, la distanza tra la bocca dell' arma e
Carlo Giuliani era di 3 metri e 37 centimetri, e il proiettile non fu deviato
dal calcinaccio in aria, che si frantumo’ colpendo lo spigolo posteriore del
tetto del defender all' altezza della seconda 'I' della scritta carabinieri,
lasciando un visibile segno.
Sulla questione della frammentazione del proiettile l’avvocato Pisapia propende
per il difetto di fabbricazione, e per un’ipotesi fondata sulla testimonianza di
un sottoufficiale dell’Arma in congedo che definisce diffusa la pratica di fare
incisioni sulla camiciatura del proiettile.
C’e’ un’altra ipotesi da segnalare: forse quel proiettile non era un 9mm Nato,
forse era un proiettile speciale. Sempre ipotesi , ma tutt’altro che fantasiosa.
Compagnie Risolutive
Placanica, Raffone (ausiliari) e Cavataio (autista a ferma biennale) vengono
tutti dal 12° btg Sicilia, ma a Genova sono inquadrati nella Compagnia Echo, una
delle cinque che fanno parte delle Ccir.
Compagnie di contenimento e intervento risolutivo, nate appositamente per il G8,
un migliaio di militari, cinque compagnie di circa 200 elementi, divisi in
plotoni da 50. Non sono un corpo strutturato con un comando proprio. Si sono
formati con un arruolamento informale, sono plotoni la cui composizione riflette
quella ordinaria, ma opportunamente selezionati, e poi addestrati, a Velletri e
altrove. La nuova frontiera dell’ordine pubblico.
Voglio solo ricordare che il 70% dei battaglioni mobili dei Carabinieri e'
composto da personale di leva e per il G8 la percentuale e' stata solo del 27%.
Un 27% particolarmente addestrato, sono parole del ministro Scajola, il
giorno dell’informativa urgente al Parlamento.
A Genova per coordinare le Ccir c’e’ il tenente colonnello Giovanni Truglio,
paracadutista, e’ lui l’ufficiale piu’ alto in grado nelle strade, in quei
giorni.
Truglio e’ il responsabile di una delle due camionette, l’altra, quella dove
stava Placanica, e’ del capitano Cappello, para’ anche lui (nella relazione di
servizio e’ Capitano della Compagnia Ccir Echo, come il tenente Nicola Mirante,
anche lui sul posto).
Sopra Truglio a Genova c’e’ solo Leonardo Leso, che dirige le Ccir dal quartier
generale alla Fiera. Corpi speciali, missioni all’estero, colleghi del Tuscania.
Truglio, Cappello, Leso: i loro nomi sono citati nel memoriale di Aloi fra gli
''autori o persone informate delle violenze perpetrate contro la popolazione
somala''. Missione Ibis, Somalia, 1994, inchiesta archiviata.
Truglio e Cappello, almeno secondo disposizioni, sono agli ordini di piazza di
un vicequestore, Adriano Lauro, anche lui a piazza Alimonda. E’ quello che
abbiamo visto in video indicare un manifestante, quando Carlo Giuliani e’ a
terra, e urlare “Tu, sei stato tu, col tuo sasso”.
Il tenente colonnello Giovanni Truglio al momento dello sparo sta a una ventina
di metri dalla jeep, da cui e’ sceso poco prima, lo riferisce lui stesso,
sentito dai pm alle 20.20 dell’infausta giornata, in fotografia lo si vede
raggiungere per primo il mezzo, dopo lo sparo, che dichiara di non aver sentito.
Nonostante cio’ non e’ mai stato convocato da Franz.
Di lui si occupano le controinchieste, Lello Voce e Indymedia, Alessandro Mantovani ne scrive sul Manifesto. Cappello
invece verra’ ascoltato da Franz l’11 settembre 2001, convocato perche’ il suo
nome esce durante un’assemblea a Bologna.
Placanica a quanto dice indossa una fondina a coscia. E’ un accessorio fuori
ordinanza, un accessorio adatto piu’ a un’operazione anticrimine che a un
intervento di ordine pubblico. La fondina regolamentare sta a sinistra, questa a
destra. La prima e’ difficile da forzare, per deducibili motivi, la seconda e’ a
rapida estrazione. L’arma e’ a portata di mano.
Cosi’ sembra equipaggiato Placanica, che, dopo aver sostenuto il contrario, si
dice non molto bravo con le armi. Cosa che male si concilia con la posizione
della mano che regge la pistola al momento dello sparo come la conosciamo:
braccio teso, polso inclinato, due colpi esplosi: sembra un esperto, piu’ che un
ausiliario in preda al panico.
Oggi, il ten.col. Truglio dirige la sala operativa centrale del Comando generale
dell’Arma dei Carabinieri, in viale Romania. Il cap. Cappello ha avuto una
carriera forse meno brillante, e dirige i Cacciatori eliportati “Sardegna”,
incarico gia’ ricoperto dallo stesso Truglio.
Leso da colonnello e’ diventato generale, decorato della Legion of Merit, dalle
mani dal presidente Usa. Gia’ fondatore e capo in Bosnia e Kosovo delle MSU,
Multinational Specialized Unit, la polizia internazionale voluta e finanziata
dalla Nato, e’ a capo della Seconda Brigata mobile dell’Arma: nata nel 2002, ha
la sua sede a Livorno, poco lontano dalla Folgore, e il compito di addestrare e
coordinare sul campo i reparti in missione in terra straniera; dispone dei
paracadutisti del Tuscania, uscito alla protezione della Folgore, del 7°
reggimento mobile di Laives, Bolzano, e del 13° di Podgora, Gorizia, delle teste
di cuoio dei Gis, e di un reparto logistico e un’unità di intelligence dei
ROS.
“Carlo Giuliani durante l’assalto al mezzo dei carabinieri” e’ la didascalia che
ancora si legge sotto ogni foto. Si e’ ripetutamente parlato di tentativo di
linciaggio. Ma guardando i documenti visivi e leggendo le testimonianze si
capisce che il defender non e’ affatto circondato: gli assalitori, che non sono
centinaia ma poche unita’, sono sul lato destro del mezzo (dei nove vetri della
jeep non protetti da griglie ne risultano rotti tre, un semivetro sul lato
destro, un oblo’ sul tetto e il vetro posteriore), dall’altra parte c’e’ un
intero plotone di carabinieri, con tanto di ufficiali e sottoufficiali collegati
via “laringofono”, a una cinquantina di metri sta la polizia.
Il 2 dicembre 2002 il pm Silvio Franz ha depositato la richiesta di
archiviazione per Mario Placanica per legittima difesa. Le conclusioni dei
consulenti, esposte in termini di mera compatibilita’, armonia con le
ipotesi o alta attribuibilita’, sono accolte. Il pm accoglie la
teoria del calcinaccio: E’ la ricostruzione in assoluto piu’ attendibile.
Il gip Elena Daloisio decidera’ il 17 aprile, lo scorso febbraio c’e’ gia’ stato
un rinvio.
Si prospettano - scrive il pm - tre possibilità: 1. Placanica ha
sparato i due colpi più in alto possibile con l'intento non di colpire ma di
impaurire gli aggressori. 2. Placanica ha sparato i due colpi senza mirare a
qualcosa o a qualcuno ma con l'intento di fermare l'aggressione; i colpi sono
partiti verso l'alto. 3. Placanica ha sparato il primo colpo mirando a colpire
Giuliani.
Quest'ultima ipotesi è “da escludere con certezza” per due ragioni: Placanica
nel momento in cui spara è terrorizzato ed è attendibile quando non riesce a
ricostruire il processo mentale che l'ha portato a premere il grilletto … Forse
sparando voleva solo impaurire gli aggressori ai quali non erano bastate le
minacce verbali e l'estrazione dell'arma; forse invece era sua intenzione porre
fine all'aggressione sparando nella direzione degli aggressori tramite quel
ristretto specchio visivo costituito dal lunotto posteriore e accettando anche
il rischio di colpirne qualcuno. Ritengo che questo dubbio non troverà mai una
risposta prima di tutto nella mente di Placanica.
Gli avvocati della parte offesa vorrebbero invece un dibattimento, possibile con
l’imputazione per Placanica di eccesso colposo di legittima difesa. Solo lo
sviluppo dinamico del dibattimento, nonche’ la possibilita’ di disporre perizie
sui rilevanti punti controversi, possono portare a quell’accertamento della
verita’ giudiziale che, in casi delicati come questi, deve avvenire attraverso
un reale, effettivo e concreto contraddittorio tra le parti si legge nella
memoria difensiva. Il concetto e’ chiaro, le perizie dei consulenti del pm sono
pervenute in diversi punti a conclusioni differenti, in ogni caso diametralmente
opposte a quelle della parte offesa, bisogna accertare la verita’.
I rilievi tecnici sul Defender sono stati fatti dai carabinieri all’interno
della caserma di San Giuliano (la sede del Comando provinciale, dove durante il
G8 gli onorevoli Fini e Ascierto hanno trascorso i pomeriggi). Gli accertamenti
tecnici sulla pistola di Placanica sono stati fatti dal Nucleo operativo dei
Carabinieri del Comando provinciale di Genova. Varie deposizioni testimoniali
sono state assunte da carabinieri. In almeno una occasione durante le
testimonianze rese agli inquirenti erano presenti, come assistenti per redigere
gli atti, militari dell’Arma.
E’ una violazione del principio stabilito dalla Corte Europea per i diritti
dell’uomo secondo cui in caso di delitti, omicidio in particolare, commessi da
appartenenti alle forze dell’ordine, le indagini devono essere affidate a corpi
che siano indipendenti da quelli che sono stati coinvolti nei fatti
delittuosi.
Madame Psychosis
Grazie a Pillola rossa
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