Dedicato a quella donna, a quel ragazzo di vent'anni, a quell'uomo annegati il 27 aprile a Mazara, e a tutti gli altri, sepolti in quei cimiteri che ormai sono diventati in nostri mari.
La storia del Vulpitta non e' solo la cronaca degli eventi drammatici che li' si sono verificati, l'elenco dei provvedimenti giudiziari che lo hanno riguardato o i resoconti delle udienze del processo.
Il Vulpitta va raccontato anche attraverso le storie dei suoi "ospiti", di chi ha vissuto in quelle stanze, di chi e' stato inghiottito dal buco nero del rimpatrio, di chi e' ritornato dopo quei trenta interminabili giorni alla sua eterna condizione di clandestino; va raccontato attraverso le storie di quelli che contano i giorni e le ore sperando di farcela ad uscire con il foglio di via, di quelli che vogliono tornare a casa, di quelli appena sbarcati e di quelli che in Italia vivono ormai da anni, di quelli che fanno i duri e di quelli che passano le notti senza dormire perche' hanno paura.
Abbiamo tentato di raccontare queste storie restandone fuori, non ci siamo riusciti, cosi' il Vulpitta lo raccontiamo attraverso le nostre emozioni, attraverso la nostra rabbia soprattutto.
Abbiamo scelto di raccontare non solo le storie "facili", ma anche quelle di coloro che non ci sono piaciuti, perche' il Vulpitta e' il luogo di tante contraddizioni, dove la violenza che ne e' elemento assolutamente naturale, coesiste con manifestazioni di grande solidarieta'.
Vi proponiamo queste storie perche' di quelli che sono passati al Vulpitta rimanga qualche traccia che non sia solo un decreto di espulsione, qualcosa che li racconti come uomini e donne, non solo come clandestini.
Lo facciamo anche nel tentativo di recuperare un po' di dignita', non per coloro che stanno "dentro" ma per quelli che stanno "fuori".
Un po' di quella dignita' persa quando una legge, di un governo di centro-sinistra, istitui' in Italia i "centri di permanenza ed assistenza per extracomunitari", dove vengono segregate persone anche se non hanno commesso reati.
Quando un ministro, pure lui di centro-sinistra, dichiaro' dopo il rogo al Vulpitta, quando vi erano gia' tre morti e altri tre ragazzi stavano morendo in ospedale, che non si trattava certo di carceri ma neanche di alberghi.
Quella dignita' che continuiamo a perdere quando qualcuno invoca i CPT come una occasione di lavoro per i disoccupati del sud.
Fra qualche anno probabilmente un ministro di un qualunque governo chiedera' scusa per tutto questo. Intanto oggi il Vulpitta rimane lìi' con il suo intollerabile carico di morti , di dolore e disperazione, a patetica testimonianza del fallimento della lotta dei governi italiani alla immigrazione clandestina; lugubre simbolo, con i suoi enormi costi di gestione e le sue costosissime ristrutturazioni, dell'ennesima vergogna di stato.
Le storie che vi raccontiamo vogliamo dedicarle a coloro che abbiamo conosciuto ma anche a quelli che non abbiamo mai incontrato: a Mourad sperando che in qualche modo sia riuscito a farcela; a Samir che era troppo diverso anche per un posto come il Vulpitta; a Kamel che abbiamo visto, e non riusciremo mai a dimenticare, appeso alle sbarre di un cancello con un lenzuolo stretto intorno al collo; e a quella donna, a quel ragazzo di vent'anni, a quell'uomo annegati il 27 aprile a Mazara, e a tutti gli altri, sepolti in quei cimiteri che ormai sono diventati in nostri mari.
Ma le dedichiamo anche a tutti voi perche' possiate non arrendervi mai alla tentazione di considerare luoghi come il Vulpitta "normali" o necessari
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