la decisione della gip che scagiona i 93 della diaz. testo integrale
N 13104/01 RG notizie di reato
N 11721/01 RG GIP
TRIBUNALE DI GENOVA
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
Il Giudice dr. Anna Ivaldi,
vista la richiesta di archiviazione presentata dal PM il 4.12.02;
letti gli atti, rileva quanto segue:
nella tarda serata del 21.7.01, la polizia compiva un'irruzione nella scuola Diaz, edificio destinato ad accogliere i manifestanti giunti a Genova per il vertice G8 che si sarebbe concluso il giorno successivo al fine di eseguire una perquisizione ai sensi dell'art. 41 TULPS; l'operazione portava al sequestro di una serie di oggetti e all'arresto degli attuali 93 indagati. Nel verbale d'arresto i fatti venivano così riferiti:
Alle ore 22.30 un contingente della Polizia di Stato, nel transitare in via Cesare Battisti davanti alla scuola, era stato "fatto oggetto di un violento lancio di oggetti contundenti da parte di numerose persone"; supponendosi per questo una cospicua presenza nella scuola di appartenenti alle "tute nere", era stato predisposto un intervento finalizzato alla ricerca di armi e materiale esplodente, all'individuazione degli autori del lancio di oggetti sul contingente della Polizia di Stato e dei responsabili dei disordini verificatisi nei giorni precedenti;
All‚arrivo della polizia, un gruppo i giovani aveva chiuso il cancello di accesso, che era stato forzato utilizzando un furgone dei Reparti Mobili della P.S.; nell'atrio (o più esattamente, nel cortile) della scuola il personale operante "veniva fatto oggetto di un fittissimo lancio di oggetti di ogni genere";
Dopo che la polizia aveva forzato il portone di ingresso della scuola, i giovani presenti all'interno avevano opposto un'ulteriore resistenza, "dapprima ingaggiando colluttazioni con i procedenti ed in seguito disperdendosi per i vari piani dell'edificio anche per garantirsi la possibilità di poter tendere inaspettatamente ogni sorta di agguato";
In tale fase l'agente Massimo NUCERA del I Reparto Mobile veniva accoltellato al torace; non veniva ferito perché indossava un giubbotto protettivo;
Veniva sequestrata una serie di oggetti; coltelli multiuso e da cucina, attrezzi da lavoro (pale, picconi e caschi da cantiere), maschere antigas e maschere da sub, abbigliamento nero, bandiere e striscioni; venivano sequestrati anche occhialetti da piscina, macchine fotografiche, chiavi, walkman e telefoni cellulari; al piano terra, in prossimità dell'entrata venivano infine trovati "alcuni ordigni del tipo bombe molotov" (nel verbale non ne viene specificato il numero);
In seguito ai fatti «risultavano feriti numerosi giovani, alcuni dei quali ancora ricoverati nelle strutture ospedaliere cittadine e molti appartenenti delle Forze dell'Ordine"
Venivano ipotizzati i reati di coi gli art. 416, 419, 420, 582, 336, 337 e 339 co 2 110 cp, 21. 895/67.
II PM chiedeva la convalida degli arresti e l'applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti dei 78 stranieri arrestati, ritenendo per essi sussistenti esigenze cautelari attinenti il pericolo di inquinamento probatorio, il pericolo di fuga e il pericolo di recidiva; disponeva invece la liberazione dei 15 arrestati italiani per i quali escludeva il pericolo di fuga; i reati in relazione ai quali il PM formulava le sue richieste erano quelli previsti dagli art. 337 - 339, 56 - 61 n. 2 e 10 - 582 - 583 cp, 41. 110/75, 21. 895/67 e 416 cp.
Per il numero degli arrestati ed essendo gli stessi stati tradotti in Case Circondariali ubicate in diverse città, mentre alcuni erano ricoverati presso strutture ospedaliere genovesi, le udienze di convalida dell'arresto vennero tenute, oltre che da questo giudice per le indagini preliminari, titolare del procedimento, anche da altri nove giudici. L'arresto non venne convalidato che per dieci indagati e ad uno di essi venne applicata la misura della custodia in carcere, poi revocata dal Tribunale per il Riesame. In tutti gli altri casi la convalida venne negata in quanto, pur non escludendosi la commissione dei reati ipotizzati, non vi erano elementi sufficienti per l'attribuzione della responsabilità ai singoli, per la genericità dei verbali d‚arresto e di sequestro.
Concluse le udienze di convalida, gli stranieri vennero immediatamente espulsi dal territorio nazionale. Molti di essi vennero poi sentiti per mezzo di rogatorie internazionali.
Al termine degli interrogatori, i giudici che li avevano effettuati segnalarono alla Procura Generale presso la Corte d'Appello di Genova e alla Procura della Repubblica le condizioni fisiche in cui si trovava la maggior parte degli arrestati (che presentavano ingessature, punti di sutura, vistosi ematomi, medicazioni sul capo) e quanto dagli stessi riferito circa il fatto di essere stati ripetutamente è ingiustificatamente colpiti con calci e manganellate e mobilia che veniva loro scagliata addosso.
Seguirono le denunce e le dichiarazioni di molti degli arrestati, in gran parte raccolte all'estero, concernenti il comportamento violento della polizia. Ciò diede inizio ad un altro procedimento (n. 14525/01) nel quale venivano ipotizzate responsabilità degli operatori di polizia che parteciparono all'operazione nella scuola DIAZ, sia per le lesioni subite dagli arrestati, sia per ipotesi di falso in relazione a quanto attestato nei verbali di arresto e di perquisizione e nelle relazioni di servizio.
Pertanto, relativamente ad un unico fatto storico, sono in corso due distinti procedimenti e in questo procedimento sono confluiti in copia atti dell'altro.
II verbale d'arresto reca quattordici firme illeggibili. Tra i firmatari dello stesso, sulla base delle dichiarazioni di MORTOLA (DIGOS Genova); si individuano i seguenti funzionari: DOMINICI (Squadra Mobile), DI SARRO (DIGOS Genova), CALDAROZZI (SCO), FERRI (Squadra Mobile di La Spezia), GAVA (Squadra Mobile di Nuoro), DI BERNARDINI (Squadra Mobile di Roma), PIFFERI (DIGOS Padova) NUCERA e PANZERI, rispettivamente agente ed ispettore del Reparto Mobile di Roma).
La richiesta di archiviazione non concerne né il reato cui all‚art. 416 cp, per il quale il PM ha disposto la separazione, essendo tuttora in corso indagini, né l‚episodio dell'accoltellamento riferito da NUCERA, relativamente al quale nella richiesta di archiviazione si legge che ne è stata disposta la separazione in quanto una consulenza tecnica, disposta nel procedimento avente ad oggetto eventuali responsabilità penali della polizia, ha concluso per l'incompatibilità dei tagli presenti sugli indumenti del predetto "con quelli ottenuti sperimentalmente secondo le dinamiche che è stato possibile evincere dalle dichiarazioni, dell'agente".
La questione della riferibilità o meno agli arrestati o ad alcuni di essi dei reati ipotizzati deve essere preceduta dalla valutazione circa la sussistenza o meno di tali reati.
Pur procedendo, come si è detto, nei confronti dei firmatari degli atti per il reato di falso, la Procura nel richiedere l'archiviazione conclude, sulla base anche di quegli atti, affermando la sussistenza dei reati di resistenza aggravata, furto aggravato, porto di oggetti atti ad offendere; l'archiviazione viene infatti richiesta "perché è risultata carente nell‚individuazione soggettiva dei responsabili delle varie ipotesi criminose descritte nelle comunicazione iniziale".
Solo per quanto concerne le due bottiglie molotv indicate nei verbali di arresto e di sequestro, il PM esclude che la loro detenzione possa essere sia pur genericamente attribuita agli indagati di questo procedimento. Tale conclusione è del tutto condivisibile: dalle indagini svolte nel procedimento n. 14525/01 è emerso che le due molotov che secondo il verbale di perquisizione sarebbero state trovate nella sala d'ingresso ubicata al piano terreno della DIAZ, vennero invece trovate parecchie ore prima della perquisizione alla scuola e in tutt‚altro luogo (Corso Italia), come risulta dalle SIT rese al PM da GUAGLIONI, BURGIO e DONNINI.
Preliminarmente, si osserva che non viene preso in considerazione l'episodio concernente l'aggressione di un contingente della Polizia di Stato che sarebbe stata effettuata da persone non identificate qualche ora prima dell'irruzione alla Diaz: l‚episodio è infatti estraneo alle contestazioni mosse agli indagati, contestazioni che riguardano il comportamento dei medesimi in un momento successivo e, cioè, nella fase immediatamente precedente la perquisizione e nel corso della stessa.
Per quanto riguarda l‚esito della perquisizione, si osserva che nella richiesta di archiviazione si ipotizza il reato (non contestato nella richiesta di convalida dell‚arresto e di misura cautelare) di furto aggravato con riferimento ad alcuni attrezzi propri dell‚edilizia, quali mazze, picconi ecc. In proposito, dalle SIT rese da GABURRI è emerso che nella scuola erano in corso lavori edili, che erano stati temporaneamente sospesi; il materiale utilizzato per tali lavori era stato riposto in un vano ubicato nel sottoscala, le cui porte erano state chiuse con lucchetti; rientrato nella scuola il 26.7.01, il teste constatava che una delle porte era stata scardinata e che mancava de1 materiale (relativamente al quale non venne richiesta al teste una precisa indicazione). Non vi sono tuttavia elementi sulla base dei quali si possa in qualche modo attribuire il furto di tale materiale agli attuali 93 indagati o ad alcuni tra loro (come già si è detto comunque non individuabili sulla base degli atti, secondo quanto sostenuto dal PM). Infatti a tale conclusione si perverrebbe solo se si potesse affermare con qualche certezza (e si vedrà in seguito perché ciò non è possibile) che coloro che si trovavano nella scuola lanciarono sugli agenti, nella fase precedente l‚irruzione della polizia o ne1 corso della stessa, gli attrezzi, dopo essersene impossessati forzando la protezione posta davanti al vano sottoscala. Ma se tale affermazione non è possibile, non vi sono elementi che consentano di attribuire neppure in termini generici il furto agli indagati. L‚accesso al sottoscala può infatti essere stato forzato da chi aveva occupato la scuola nei giorni precedenti il 21 luglio ovvero quella sera stessa dagli agenti nel corso della perquisizione, per accertarsi che non vi fossero persone o cose nascoste. Rileva in proposito la circostanza che dalla relazione di CENNI, caposquadra del Reparto Mobile, risulta che questi, nel corso dell'operazione effettuò un controllo proprio nel sottoscala, constatando che i locali erano aperti ma vuoti e che c‚erano due porte di ferro regolarmente chiuse; nella relazione non viene data alcuna indicazione circa il fatto che le porte risultassero scassinate. Anche il caposquadra LUCARONI, che dichiara di essersi recato con i suoi uomini ne1 sottoscala e di averlo velocemente esaminato, non accenna in alcun modo a1 fatto che lo stesso risultasse scassinato.
In relazione al materiale in sequestro rimane dunque come sola ipotesi di reato (essendo gran parte del materiale - thermos, indumenti vari maschere da sub, cellulare, macchine fotografiche, rullini e floppy disk ecc. - del tutto irrilevante) la contravvenzione di cui art. 4 della l. 110/1975 (vennero infatti trovati alcuni coltelli di tipo svizzero e multiuso), contravvenzione peraltro non legittimante l'arresto in flagranza.
Certamente più complessa è la ricostruzione di quanto accadde nei momenti che precedettero l'irruzione della polizia e nel corso della stessa. Si tratta qui di vedere se siano astrattamente configurabili atti di resistenza aggravata, di lesioni aggravate e di tentate lesioni gravi a carico delle persone che si trovavano nella scuola DIAZ, prima di affrontare il problema dell‚attribuibilità in concreto a tutti o ad alcuni degli arrestati di tali atti.
Prima di procedere a tale ricostruzione, deve premettersi che la circostanza che siano emersi elementi che hanno indotto il PM a ipotizzare il reato di falso in relazione ai verbali (si richiamano qui le osservazioni svolte circa quanto è emerso in relazione al ritrovamento delle molotov) esclude che da tali verbali possa desumersi alcuna certezza circa l'effettivo svolgimento dei fatti; inoltre, nel valutare le dichiarazioni rese dai funzionari non può essere trascurato il fatto che gli stessi sono a loro volta indagati in relazione alla vicenda DIAZ nel procedimento 14525/01.
A fronte di quanto riportato nel verbale d'arresto (e nelle relazioni di servizio, di cui si parlerà in seguito) vi sono le dichiarazioni» rese dagli arrestati in sede di udienza di convalida e, nel procedimento 14525/01, in sede di denuncia e di interrogatorio di persona indagata in procedimento connesso. Secondo (tali dichiarazioni nella tarda serata del 21 luglio 2001 un numero rilevante di forze dell'ordine si sarebbe portato nei pressi della scuola DIAZ; avrebbe quindi sfondato con un furgone il cancello» attraverso il quale si accede al cortile della scuola (cancello che era stato chiuso dall'interno da persone che poi si rifugiarono nella scuola); la polizia quindi, senza dare alcun avvertimento, avrebbe sfondato le porte dell'edificio, davanti alle quali qualcuno, dopo averle chiuse, aveva posto dei banchi e delle panche; l'ingresso della polizia non sarebbe stato preceduto da alcun lancio di oggetti sui medesimi (o, quantomeno, i 93 indagati negano di aver effettuato tale lancio e di aver visto qualcuno effettuarlo); appena entrati gli agenti si sarebbero avventati brandendo i manganelli contro coloro che si trovavano al pianterreno, sebbene questi avessero alzato le mani e non avessero opposto alcuna resistenza, una parte degli agenti sarebbe subito salita ai piani superiori, dove vi erano alcune persone ed altre, spaventate, vi erano salite cercando rifugio; qui, persone che stavano contro il muro con le mani alzate, sarebbero state prese a manganellate e, pur avendo ubbidito all'ordine di gettarsi a terra, sarebbero state di nuovo colpite con i manganelli e con calci; quindi, coloro che si trovavano ai piani superiori sarebbero stati condotti nella palestra al primo piano e, mentre scendevano le scale, nuovamente presi a manganellate; durante tutta l'operazione, gli indagati sarebbero stati insultati e minacciati, sebbene non opponessero alcuna resistenza e fossero terrorizzati dalla brutale e gratuita violenza della polizia.
La valutazione delle dichiarazioni degli indagati, sulle quali si fonda tale ricostruzione dei fatti deve essere fatta sulla base di eventuali riscontri.
Un primo riscontro deve individuarsi nella concordanza delle dichiarazioni e in particolare di quelle rese in sede di convalida dell'arresto, in proposito sottolineandosi il fatto che i 78 stranieri arrestati vennero condotti in quattro diverse carceri (Pavia, Voghera, Vercelli e Genova-Marassi), mentre alcuni di essi vennero interrogati mentre erano ricoverati presso gli ospedali civili di Genova. La circostanza rende del tutto improbabile l‚eventualità che gli stessi abbiano potuto concordare tra loro le versioni ed attribuisce quindi particolare valore al fatto che i racconti coincidano anche su punti specifici. Così, molti di coloro che si trovavano al piano terra al momento dell'irruzione (HAGER, ALLUEVA, MARTINEZ, LANASPA, MOSSO, MORET, BALBAS, NOGUERAS) riferiscono di banchi e sedie scagliati contro di loro dagli agenti; altri che si trovavano al primo piano dicono di essere stati fatti mettere a terra e poi colpiti nuovamente, fino all'arrivo di un funzionario che ordinò agli agenti di mettere fine al pestaggio (POLLOK, CANNIESCK, BARRINGHANS, ALBRECHT), altri ancora riferiscono di insulti e di minacce di morte profferite dagli agenti mentre li picchiavano (ALBRECHT, GALLOWAY, DOHERTY, OLSSON, BRUSCHI: "ci gridavano che ci avrebbero ammazzati perché nessuno sapeva che eravamo lì").
Appena liberati, gli stranieri vennero raggiunti da provvedimenti di espulsione, circostanza che porta ad escludere che gli stessi possano avere concordato la versione dei fatti con quelli tra i quindici italiani che vennero successivamente sentiti dal PM. Quindi anche le dichiarazioni rese da questi ultimi costituiscono riscontro a quanto dichiarato nell'immediatezza dei fatti dagli arrestati stranieri. Inoltre, due degli italiani, PANCIOLI GUADAGNUCCI e CESTARO, vennero sentiti dal PM il 23.1.01 mentre si trovavano ricoverati presso l'Ospedale San Martino per le lesioni riportate nel corso dell'operazione presso la scuola DIAZ. Le versioni di entrambi (che al momento dell'irruzione erano nella palestra) coincidono con quanto riferito al GIP dagli stranieri, circa il fatto che le persone vennero colpite dalla polizia sebbene nessuna resistenza venisse da loro opposta. Analoghe conferme si trovano nelle dichiarazioni rese al PM dagli arrestati italiani (che, come si è detto, nulla potevano aver concordato con gli stranieri, espulsi il 25.7.01) sia nella descrizione dei fatti, sia nei particolari (ad es. PRIMOSIG e GALANTE confermano gli insulti e le minacce ricevuti durante il pestaggio, GALANTE anche il fatto che gli agenti lanciarono sedie addosso alle persone che si trovavano nella palestra).
Ancora vi è la conferma rappresentata dalle dichiarazioni rese da Michel Roland GIESER; questi, presentatesi alla Sezione di PG della Procura il 22.7.01 e poi sentito dal PM il 16.8.01, riferiva di essersi trovato nella scuola al momento dell'irruzione della polizia; precisava che alcune persone avevano messo dei banchi davanti alla porta, sebbene altri dicessero loro di non farlo; che la porta era stata sfondata dalla polizia; che egli con altri era salito al primo piano, dove tutti si erano sdraiati per terra con le gambe e le braccia distese (GIESER non sa se per iniziativa propria o se perché veniva loro ordinato dagli agenti); che, nonostante la posizione assunta dai presenti (che evidentemente non opponevano alcuna resistenza) gli agenti avevano cominciato a picchiare tutti con manganellate e calci, finché un funzionario aveva gridato "basta", senza con ciò riuscire a interrompere il pestaggio, che era cessato solo dopo che l'ordine era stato ripetuto; il teste aggiungeva che tra i feriti vi era una ragazza con i capelli rasati che appariva in condizioni particolarmente gravi (JONASCH, della quale parleranno anche altri tra i quali FOURNIER; circa le lesioni subite, JONASCH, nell'interrogatorio reso al GIP mentre si trovava ricoverata presso l'Ospedale San Martino per frattura cranica, ha dichiarato che, mentre si trovava al primo piano con le mani alzate, un poliziotto le era venuto addosso con il manganello; aveva perso conoscenza e aveva ripreso i sensi solo due giorni dopo); quando erano arrivate le ambulanze, egli aveva sceso le scale accompagnando un ragazzo ferito alla testa che sanguinava copiosamente ed era poi riuscito a portarsi all'esterno della scuola. Le dichiarazioni di GIESER, che confermano quelle rese dagli arrestati che si trovavano al primo piano della scuola, sono meritevoli di attenzione; si tratta infatti di soggetto non indagato, che si è presentato spontaneamente alla PG subito dopo i fatti, in un momento in cui non poteva avere alcuna conoscenza delle altrui dichiarazioni (che ancora neppure erano state rese; gli interrogatori degli arrestati avranno luogo infatti soltanto il 25.7.01) GIESER ha presentato querela per le lesioni subite, lesioni attestate da un referto dell'Ospedale Maggiore di Milano del 22.7.01. .
Un'importante conferma della versione degli indagati proviene poi proprio dalle dichiarazioni di molti operatori di polizia. Circa tali dichiarazioni deve premettersi che esse, pur non consistendo in vere e proprie ammissioni, hanno però un particolare valore, in quanto chi le ha rese ha nella sostanza smentito la versione dei fatti contenuta nei verbali; è quindi arduo ipotizzare che la scelta di rendere tali dichiarazioni sia stata ispirata da altro che dal rispetto della verità.
Prima di passare ad esaminare complessivamente le dichiarazioni degli operatori di polizia, deve premettersi che i funzionari interrogati hanno reso versioni discordanti circa l'ingresso nella scuola, tutti attribuendo ad altri di esservi entrati per primi e ostacolando così l'identificazione (peraltro certamente più rilevante nel procedimento 14525/01 che in questa sede) degli operatori che, dopo lo sfondamento delle porte, entrarono per primi. All'operazione partecipavano il Reparto Mobile di Roma diretto da CANTERINI (circa 60/70 uomini), personale delle Squadre Mobili di varie Questure e personale del Sevizio Centrale Operativo (SCO), diretto da GRATTERI. Tutto il personale si recò presso la scuola incolonnato in due gruppi, guidati rispettivamente dai funzionari DIGOS MORTOLA e DI SARRO. Quanto allo scopo e alle modalità dell'operazione, si osserva che secondo quanto dichiarato dai funzionari che vi parteciparono, essa era diretta all'esecuzione di una perquisizione ai sensi dell'art. 41 TULPS; compito del Reparto Mobile era quello di garantire che essa avvenisse in condizioni di sicurezza. Peraltro, neppure su tale punto vi è concordanza di versioni o, quantomeno, chiarezza; nelle relazioni di CANTERINI e di FOURNIER si legge infatti che scopo dell'operazione era lo sgombero dell'Istituto DIAZ (rel. CANTERINI del 27.7.01) ovvero "l'arresto di personaggi di spicco dell'area anarco-insurrezionalista rifugiatisi in un edificio occupato abusivamente" (rel. FOURNIER).
Tutti coloro che sono stati identificati come firmatari del verbale d'arresto hanno dichiarato di non avere assistito ad atti di resistenza commessi nella scuola, ma di averne appreso da altri e, in particolare, da CANTERINI, che firma anche una relazione allegata al verbale d'arresto in cui parla di tali atti, scrivendo di aver incontrato nella scuola una "vigorosa resistenza da parte di alcuni degli occupanti", che, approfittando del tempo occorso per forzare la porta, durante il quale era caduta una pioggia di oggetti contundenti e, in particolare bottiglie, si erano armati di spranghe e bastoni. Tuttavia il dirigente del Reparto Mobile di Roma, in una successiva relazione datata 27.7.01 scrive invece che al momento dell'ingresso si trovò con il suo vice FOURNIER in posizione arretrata; che, riuscito ad entrare, vide dei giovani rannicchiati contro il muro, alcuni dei quali feriti alla testa; che una scena simile lo attendeva al piano superiore, dove notò una ragazza dai capelli rasati con un'importante ferita al capo (JONASCH di cui si è già detto) e dove udì FOURNIER ordinare di riporre lo sfollagente. Nell'interrogatorio del 21.9.01 (reso nel procedimento n. 14525/01) precisa ulteriormente che quanto da lui riferito nella prima relazione era frutto di sue deduzioni, ovvero di quanto dettogli da operatori non del suo reparto, operatori che non sa indicare; quanto alla fase immediatamente precedente l'ingresso nella scuola, nell‚internrogatorio del 21.9.02 chiarisce che il lancio di oggetti in realtà non era stato fittissimo ed anzi che aveva soltanto percepito "qualcosa che cadeva sopra gli scudi".
Vi sono poi in atti relazioni redatte qualche giorno dopo i fatti (recano tutte la data del 27.7.01) da FOURNIER e dai caposquadra del Reparto Mobile.
La relazione di FOURNIER e le sue dichiarazioni nell'interrogatorio del 21.9.01 sostanzialmente confermano la versione degli arrestati; secondo quanto riferito dal funzionario, infatti, una fiumana di operatori si accalcò davanti alle due porte della scuola (il portone centrale e la porta laterale situata a sinistra), entrambi serrate con assi e mobilia; nessun avvertimento venne dato a coloro che si trovavano nella DIAZ "al fine di avviare una ragionevole trattativa", come invece solitamente viene fatto in casi del genere; né in quella fase, né prima FOURNIER avvertì il lancio di oggetti di oggetti; una volta sfondata la porta, l'ingresso fu caotico e confuso; egli salì subito le scale, urlando e brandendo lo sfollagente per timore di aggressioni; giunto al primo piano, vide in un corridoio 10 o 12 giovani rannicchiati o sdraiati, ai quali ordinò in italiano e in inglese di mettersi contro il muro, rendendosi subito conto che questi eseguivano l'ordine con fatica per le condizioni in cui si trovavano; notò quindi una ragazza dai capelli rasati in una pozza di sangue; urlò "basta, basta", ordinò di riporre gli sfollagente e di uscire dalla scuola e chiese l‚intervento del personale medico; in quella fase, mentre con ogni cautela cercava di prestare soccorso alla ragazza, venne raggiunto dal caposquadra TUCCI.
Le relazioni dei caposquadra concordano sul fatto che non erano state date indicazioni precise sul compito che il Reparto avrebbe dovuto svolgere durante l'operazione, circa la quale era stato comunicato soltanto che si trattava di un'irruzione in un edificio occupato da soggetti pericolosi.
Alcuni dei caposquadra riferiscono che l'ingresso nella scuola era stato preceduto da un lancio di oggetti sugli agenti (così TUCCI, STRANIERI - che parla di una "piccola trave" - e ZACCARIA, che parla invece di un "fitto e copioso lancio di oggetti contundenti"); altri (CENNI, COMPAGNONE, LUCARONI e LEDOTI), pur tacendone nella relazione, ne parlano nell'interrogatorio al PM; BASILI, che non è caposquadra, dichiara al PM che vi fu il lancio di una mazzetta da carpentiere e di altro. TUCCI riferisce inoltre che gli agenti MANGANELLI e ANTEI furono colpiti da un sasso e riportarono così le lesioni di cui ai rispettivi referti medici. Il "fitto e copioso lancio di oggetti contundenti" riferito da ZACCARIA non sembra essere stato percepito come tale da CENNI, che non solo ne tace nella relazione, ma nell'interrogatorio, pur affermando che il lancio vi fu, non sa precisare di quali oggetti si trattasse, non esclude che si sia trattato di "terriccio caduto dalle impalcature" e dice comunque di non aver sentito il rumore di oggetti che colpissero gli scudi dei suoi uomini.
Vi è una vistosa discordanza tra le relazioni anche circa quanto venne percepito da ciascun caposquadra all'interno dell'edificio. Alcuni (TUCCI e COMPAGNONE) non subirono né videro atti di resistenza commessi da coloro che occupavano la scuola; videro invece personale della polizia colpire con lo sfollagente persone che non opponevano resistenza; in particolare, TUCCI vide dei colleghi picchiare con lo sfollagente alla rovescia e uno di essi trascinare per i capelli una ragazza continuando a picchiarla. COMPAGNONE appena entrato vide un uomo anziano che si dirigeva verso di loro e che "venne travolto dalla furia" di operatori dei quali non conosce il reparto di appartenenza; giunto al terzo piano notò "operatori ed altri accanirsi e picchiare come belve dei ragazzi, uno di questi era a terra in una pozza di sangue e non dava segni di vita". Altri invece (CENNI, LEDOTI, ZACCARIA) riferiscono atti di resistenza. In particolare, CENNI scrive che mentre saliva le scale della scuola veniva fatto oggetto di lancio di corpi contundenti, uno dei quali avrebbe ferito l'agente PACE, che però non risulta refertato; interrogato dal PM, CENNI modifica tale versione, dice di non sapere se vi fosse stato o meno un lancio di oggetti e di avere scritto quanto gli aveva riferito PACE (quest'ultimo non è mai stato sentito). LEDOTI riferisce di essere stato aggredito da persona travisata mentre saliva le scale; aggiunge che dai piani superiori piovevano "oggetti di tutti i tipi" (oggetti che tuttavia non risultano repertati e dei quali non vi è traccia nelle foto scattate all'interno della scuola e in particolare sulle scale dal Comando Provinciale dei Carabinieri il 23.7.01); che venne nuovamente assalito da un‚altra persona armata di un bastone, riportando, nella colluttazione che seguì, la distorsione al ginocchio destro refertatagli; aggiunge che, giunto al terzo piano, vide una ragazza che piangeva impaurita e decise di riaccompagnarla sotto; che, mentre scendevano, vennero colpiti entrambi da manganellate una delle quali raggiungeva la ragazza alla nuca facendola sanguinare (il fatto viene riferito anche dalla ragazza in questione, BARTESAGHI, che dichiara di essere stata colpita da manganellate e da sputi mentre un agente - evidentemente LEDOTI - la accompagnava a pianterreno; BARTESAGHI però dice di essere stata colpita alla nuca prima di venire accompagnata sotto da LEDOTI e la circostanza, non riferita da LEDOTI, trova conferma nella relazione di TUCCI in cui ancora si legge: "vedevo il V. S. LEDOTI che portava via una ragazza ... per non farla picchiare ancora").
Quanto agli uomini della sua squadra, LEDOTI riferisce che VACCARO gli disse di essersi fatto male (non è però refertato) e che MARRA (refertato per un trauma al polso sinistro) gli disse di essersi ferito con lo scudo, mentre stava entrando nella scuola. Anche ZACCARIA riferisce che, mentre salivano le scale, venivano lanciati oggetti (sedie, tubi di ferro e vari pezzi di legname; vale anche qui quanto si è rilevato circa le analoghe dichiarazioni di LEDOTI), uno dei quali colpiva al volto l'agente SALVATORI (relativamente al quale vi è in atti un referto e che, tuttavia, non è stato sentito); ZACCARIA dice poi di aver avuto sempre sotto controllo gli agenti della sua squadra e che nessuno di essi venne ferito, mentre vi sono in atti i referti relativi a due agenti della squadra di ZACCARIA, LICCARDO e GALUPPI; questi ultimi, come del resto tutti gli appartenenti al Reparto Mobile per i quali erano state refertate lesioni, ad eccezione del solo LEDOTI, non sono stati sentiti; ancora, ZACCARIA afferma che al primo piano erano in corso scontri tra gli agenti in borghese e coloro che vi si trovavano, ma è contraddetto sul punto da quanto riferito da FOURNIER e da TUCCI, che si trovavano anch‚essi sul piano. LUCARONI al suo ingresso vide personale della polizia ingaggiato in colluttazioni violente con i presenti "operando anche in superiorità numerica rispetto all'antagonista"; anche al terzo piano vide colluttazioni tra operatori e giovani presenti che "probabilmente" avevano posto in essere resistenza; precisa però che né lui né i suoi uomini vennero fatti oggetto di resistenza.
STRANIERI, pur dichiarando di aver visto personale del suo nucleo colluttare con persone presenti nella palestra (parla di "strattonamento reciproco"), afferma che né lui né le persone che erano con lui subirono atti di resistenza; aggiunge di aver difeso un ragazzo colpito alla testa al quale dei colleghi in borghese continuavano a sferrare colpi. BASILI invece dichiara di aver subito un colpo alle spalle e di essersi difeso con lo sfollagente (non è refertato) e di aver visto atti di resistenza "vivaci" da parte dei ragazzi che venivano immobilizzati a terra da personale in borghese.
Come si vede, i caposquadra incorrono tra loro in contraddizioni consistenti e tali quindi da far dubitare della loro attendibilità (ad esempio, LEDOTI, presente nella scuola quando vi si trovavano anche TUCCI e FOURNIER, fornisce una descrizione dei fatti del tutto diversa). II quadro che complessivamente emerge dalle loro dichiarazioni (o, quantomeno, dai punti sui quali la maggior parte di esse concordano) è quello di una violenza esercitata ingiustificatamente dagli agenti, in assenza di atti di resistenza (così FOURNIER, ma anche TUCCI, COMPAGNONE, LEDOTI - le manganellate inferte su di lui e su BARTESAGHI mentre scendevano le scale - e, in termini più attenuati, anche ZACCARIA).
Né una ricostruzione più chiara si ottiene dagli interrogatori di coloro che firmarono il verbale d‚arresto. PIFFERI (DIGOS Padova) giunse alla scuola dopo che era stata ultimata la perquisizione e venne incaricato MORTOLA (DIGOS Genova) di riordinare il materiale repertato. MORTOLA nelle SIT del 23.7.01 dice di non aver partecipato all'ingresso nella DIAZ e al fermo degli occupanti, di aver appreso da altri del lancio di oggetti e degli atti di violenza; nell'interrogatorio del 23.7.02 inspiegabilmente si dice invece certo che "qualcosa sia volato", di avere sentito rumore di bottiglie infrante e di aver visto un maglio cadere dall'alto. CICCIMARRA (Squadra Mobile di Napoli) entra nella scuola mentre l'operazione è ancora in corso; dice che prima dell‚ingresso nella scuola "piovevano" oggetti contundenti, ma non sa precisare di che oggetti si trattasse, avendo avuto solo una sensazione di vetri rotti; dichiara di aver visto al primo un poliziotto in procinto di colpire un ragazzo in posizione di difesa e di essere dovuto intervenire due volte per farlo smettere. DI BERNARDINI (Squadra Mobile di ROMA) non vide commettere atti di resistenza dagli arrestati né violenza da parte della polizia. FERRI (Squadra Mobile di LA SPEZIA) conferma il lancio di oggetti, ma dichiara non aver assistito ad atti di resistenza. DOMINICI (Squadra Mobile di Genova) si recò con GAVA presso la PASCOLI perché era da lì che proveniva il lancio di oggetti (si vedrà più avanti come l'ipotesi che, se lancio vi fu, esso provenisse non dalla DIAZ, ma dalla PASCOLI, trovi qualche conferma nelle dichiarazioni di CALDACI, che dirigeva il Nucleo radiomobile dei Carabinieri e in quelle del Prefetto LA BARBERA). DI SARRO (DIGOS Genova), pur essendo arrivato quando ancora non era stato aperto il portone della scuola, non parla di lancio di oggetti dalle finestre. CALDAROZZI (SCO) arriva dopo che è stata effettuata l'irruzione; vede tracce di sangue sul pavimento della scuola, mentre gli atti di resistenza gli vengono riferiti.
In sintesi, i soli punti sui quali concordano le dichiarazioni dei funzionari presenti (siano essi appartenenti al Reparto Mobile, alle Questure o allo SCO) sono i seguenti: all'arrivo del contingente persone rimaste non identificate chiusero il cancello che dava accesso al cortile antistante la DIAZ e quindi ripararono nella scuola; il cancello venne sfondato con un furgone, mentre le porte dell'edificio venivano chiuse dall'interno; pochi minuti dopo l'accesso degli operatori vi erano tra i giovani che lo occupavano dei feriti, alcuni dei quali in serie condizioni.
Le dichiarazioni dei funzionari non concordano invece, come si è visto, sul lancio di oggetti dalle finestre della DIAZ, lancio che avrebbe avuto luogo mentre gli operatori si accalcavano davanti alle porte chiuse e che nel verbale d'arresto viene descritto come "fittissimo", ma che non venne neppure percepito da molti dei funzionari presenti. A parlare del lancio sono soprattutto i caposquadra del Reparto Mobile, le cui dichiarazioni sono però contraddittorie: qualcuno parla di una vera e propria "pioggia" di oggetti (ZACCARIA, secondo il quale sarebbero stati lanciati bulloni, sassi, bottiglie e vetri), qualcuno (CENNI, interr. del 22.9.01) dice che poteva trattarsi anche di terriccio proveniente dalle impalcature. Quanto a coloro che dirigevano il Reparto, come si è visto, CANTERINI ridimensiona il fitto lancio di oggetti contundenti, di cui alla sua prima relazione, dicendo di aver percepito soltanto "qualcosa che cadeva sopra gli scudi", mentre FOURNIER dichiara di non aver percepito alcun lancio.
Si e già detto che neppure le dichiarazioni di coloro che firmarono il verbale d'arresto valgono a dirimere i dubbi che derivano dalle relazioni, dalle SIT e dagli interrogatori degli appartenenti al Reparto Mobile, sottolineandosi qui che DI SARRO, che conduceva una delle due colonne, non fa alcun riferimento a tale lancio e MENGONI, che di tale colonna faceva parte, dichiara di aver visto gente alle finestre "che gridava, scattava fotografie". Il Prefetto LA BARBERA parla di un lancio di oggetti dalle finestre, ma lo riferisce al momento in cui veniva sfondato il cancello, mentre tutti coloro che affermano che tale lancio vi fu lo situano in un momento successivo e cioè quando gli operatori si trovavano ormai nel cortile antistante la scuola e cercavano di forzarne le porte; in un successivo interrogatorio LA BARBERA dirà di ritenere che gli oggetti venissero lanciati non dalle finestre della DIAZ, ma da quelle della PASCOLI. LUPERI (Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione) dichiara che da una posizione arretrata, vide lanciare oggetti sugli uomini già entrati nel cortile, ma poi rettifica tale dichiarazione (interr. 12.6.02) precisando di aver avuto solo "la sensazione che qualche oggetto fosse stato gettato dalle finestre, avendogli FIORENTINO indicato a terra un pezzo di marmo o cemento, "a suo dire" scagliato da una finestra. GRATTERI, direttore dello SCO, sebbene anche lui presente sul luogo, non avvertì il lancio di oggetti. Infine, CALDAROZZI, arrivato dopo l'irruzione, dichiara di non aver visto all'esterno dell'edificio oggetti in terra riferibili al lancio dalle finestre e, come si dirà più avanti, tale sua affermazione trova piena conferma nelle fotografie scattate di Carabinieri due giorni dopo.
Si è dunque in presenza di due versioni contrastanti, da un lato quella degli arrestati, che negano il lancio di oggetti, dall'altro quella di alcuni funzionari di polizia, che affermano che tale lancio vi fu. Questi ultimi, come si è visto, vengono smentiti dai loro stessi colleghi.
Né la loro versione può ritenersi suffragata dalle dichiarazioni del teste TUMIATI che ha detto di aver visto lanciare dalla scuola "sassi, bastoni ed ogni tipo di oggetti atti ad offendere"; dal contesto delle sue dichiarazioni si evince che il lancio sarebbe stato da lui visto dalla sua abitazione (il teste non dice infatti di essersi trovato per strada). TUMIATI abita in Via Trento 7, edificio che si trova a un centinaio di metri dalla scuola e in posizione defilata, per cui solo alcuni degli appartamenti che ne fanno parte (l'interno che contrassegna l'appartamento del teste non viene indicato nel verbale di SIT) ne hanno una visione, comunque
molto parziale. Anche qualora l'appartamento di TUMIATI fosse tra questi, non è verosimile che nel buio della notte egli abbia potuto vedere a parecchie decine di metri di distanza un lancio di oggetti comunque di non grosse dimensioni, lancio che neppure veniva percepito da alcuni dei funzionari che invece si trovavano sul posto.
CALDACI, responsabile di un Nucleo mobile dei Carabinieri (ai Carabinieri era stato attribuito il compito di fare da cordone intorno alla scuola mentre si svolgeva l'operazione), arrivato quando il cancello era stato sfondato, riferisce anche lui di un lancio di oggetti, ma afferma che proveniva non dalla DIAZ, bensì dalla PASCOLI ("alcuni oggetti, come una bottiglia di vetro che mi si è rotta davanti; era comunque poca roba ed hanno smesso subito").
Infine, vi sono in atti fotografie scattate dal Comando provinciale dei Carabinieri la mattina del 23, alcune delle quali ritraggono il cortile antistante la DIAZ; in tali foto si vedono sulla pavimentazione fogli di carta, sacchetti della spazzatura e, accanto ad un muro, anche tre monitor danneggiati (ma non infranti), il che fa ritenere che, nel breve tempo decorso dai fatti della notte del 21 - 22, nessuno sia intervenuto per ripulire il cortile, sul quale però non vi è traccia alcuna degli "oggetti contundenti" (sassi, bottiglie, pezzi di cemento, tutti oggetti non repertati) che vi sarebbero stati lanciati.
Un'ultima considerazione conferma le dichiarazioni degli arrestati e di quelli tra i funzionari che non percepirono il lancio di cui al verbale d'arresto. Tale considerazione deriva dall'esame dei referti relativi alle lesioni subite dagli agenti. Dopo lo sfondamento del cancello si accalcano nel cortile antistante la DIAZ più di cento operatori, solo la metà dei quali (i componenti del Reparto Mobile) è fornita di scudo, il resto del personale di polizia essendo protetto soltanto dal casco. Le lesioni risultanti dai referti riguardano diciassette operatori, solo due dei quali, gli ispettori COZZOLINO e SALOMONE, non appartengono al Reparto Mobile. Circa le lesioni subite il primo ha dichiarato di essersi ferito accidentalmente mentre trasportava una barella e il secondo di essere entrato nella PASCOLI e non nella DIAZ e di essersi anche lui fatto male mentre collaborava al trasporto dei feriti. E' quindi del tutto improbabile che dal lancio di oggetti, fitto o meno che fosse, in un cortile in cui si accalcavano più di cento uomini, i soli a riportare lesioni fossero ANTEI e MANGANELLI (che non sono mai stati sentiti) entrambi appartenenti al Reparto Mobile, i cui componenti erano i soli tra gli operatori presenti a disporre di scudi protettivi. Né si può sostenere che ciò avvenne perché i primi ad entrare nella scuola (e, quindi, ad accalcarsi davanti alle due porte) furono gli uomini del Reparto Mobile, a ciò ostando le dichiarazioni di tutti i funzionari di tale Reparto (CANTERINI, FOURNIER e i caposquadra, ivi compresi quelli che affermano che il lancio di oggetti vi fu), che hanno invece sostenuto di essere stati preceduti nell'ingresso da personale "con pettorina" (e quindi appartenente alle Squadre Mobili e alle DIGOS delle varie Questure) o in divisa "atlantica" (SCO).
Mentre non può escludersi che qualcosa possa essere stato lanciato dalle finestre della PASCOLI, e quindi, ad una certa distanza dagli operatori ammassati nel cortile della DIAZ (ma ovviamente il punto è del tutto irrilevante ai fini della presente decisione), non può invece affermarsi, neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella DIAZ e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di polizia.
Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere all'interno della DIAZ.
Di tutti i funzionari di polizia sentiti, i soli a riferire di atti di resistenza sono gli appartenenti al Reparto Mobile LEDOTI e BASILI (che dichiarano di averli subiti, ma il secondo non risulta aver riportato alcuna lesione ed il primo una distorsione al ginocchio difficilmente compatibile con le dinamiche da lui descritte) e STRANIERI e ZACCARIA (il primo dice di aver assistito a "strattonamenti reciproci" tra personale del suo nucleo e persone presenti nella palestra e il secondo parla delle lesioni riportate dall'agente SALVATORI). A fronte di tali dichiarazioni vi sono però quelle di altri appartenenti allo stesso Reparto Mobile (FOURNIER e CANTERINI, ma anche TUCCI, CENNI, LUCARONI e COMPAGNONE) che negano di aver assistito ad atti di resistenza e di aver invece constatato che molti di coloro che poi vennero arrestati presentavano lesioni, prevalentemente al capo (in proposito, FOURNIER usa l'espressione "macelleria messicana"). Si tratta di operatori appartenenti tutti allo stesso Reparto e che, quindi, per quanto caotico possa essere stato l'accesso alla DIAZ, non possono non esservi entrati simultaneamente o a distanza di pochi minuti gli uni dagli altri (tanto emerge anche dalle loro dichiarazioni, come già si è osservato nel trattare di quelle di LEDOTI, TUCCI e FOURNIER).
Un'ulteriore conferma alla versione del fatto complessivamente resa dagli indagati, secondo la quale il personale di polizia si sarebbe accanito nei confronti di persone che non opponevano alcuna resistenza, deriva anche dalle dichiarazioni degli stessi firmatari del verbale d‚arresto che, pur affermando di essere arrivati "a cose fatte", hanno però detto di aver constatato le conseguenze della violenza esercitata sugli arrestati e invece nulla hanno detto circa tracce di atti di resistenza che questi ultimi avrebbero opposto (uomini feriti, ma anche, ad esempio, oggetti sparsi sulle scale dai quali desumere che potessero essere stati lanciati addosso agli agenti corpi contundenti). Alle dichiarazioni che si sono sopra riassunte devono aggiungersi quelle di LUPERI, che, entrato nella scuola circa dieci minuti dopo l'ingresso dei primi uomini vide al piano terra 40 o 50 persone sedute, alcune delle quali ferite e quelle di MURGOLO (Questura di Bologna) che vide la stessa scena e ne chiese spiegazioni a CANTERINI, ottenendo in risposta che vi erano stati atti di resistenza (atti che, come si è già osservato, CANTERINI ha poi dichiarato di non aver visto).
Le dichiarazioni degli arrestati trovano infine un importante riscontro nei referti medici relativi alle lesioni riportate. Di essi, 62 dovettero ricorrere alle cure dei servizi di Pronto Soccorso degli Ospedali cittadini. Per tre (COVELL, BARO e JONASCH) venne riservata la prognosi e di 28 venne disposto il ricovero. Quasi tutti i referti portano l'indicazione di "trauma cranico", alla quale si aggiungono per molti fratture degli arti superiori, proprie di chi tenti di difendersi dai colpi proteggendosi il capo con le braccia.
Inoltre, quanto precede non è smentito dai diciassette referti relativi alle lesioni subite dagli agenti.
In proposito, si ricorda innanzitutto che solo due agenti (COZZOLINO e SALOMONE della Squadra Mobile di Napoli) dovettero recarsi presso un Pronto Soccorso, mentre per gli altri, che appartengono tutti al Reparto Mobile di Roma, fu sufficiente la vista del medico della Polizia di Stato. Per nessuno di questi vennero diagnosticate lesioni di qualche importanza (tanto è vero che la richiesta, presentata a meno di una settimana dai fatti dalla difesa di alcuni arrestati, di perizia diretta ad acceratare le cause e l‚entità delle lesioni riportate dagli agenti venne respinta dal GIP dr. Todella il 31.7.01, in quanto "un accertamento medico-legale su lesioni di così lieve entità, per le quali sono già decorsi i giorni di prognosi di guarigione, non porterebbe ad alcun risultato o apprezzabile"). La vistosa sproporzione tra i traumi subiti dagli arrestati e le lesioni risultanti dai referti degli agenti non porterebbe di per sé ad escludere che quantomeno qualche atto di resistenza possa esservi stato, al quale sarebbe seguita un'accanita e violenta reazione da parte degli agenti. E tuttavia, oltre richiamare qui quanto già si è detto sulle dichiarazioni rese dagli stessi funzionari di polizia che videro colleghi colpire persone che non opponevano resistenza alcuna, deve aggiungersi che gli agenti COZZOLINO e SALOMONE (i soli, oltre a LEDOTI, dei refertati ad essere stati sentiti) hanno dichiarato, come si è già detto, di essersi feriti mentre collaboravano nel trasporto dei feriti. A ciò deve aggiungersi che dalle dichiarazioni di LEDOTI e di LUCARONI risulta che gli agenti MARRA, FINOCCHIO e CASTAGNA riportarono le lesioni refertate perché urtati da altri colleghi mentre entravano nella scuola. Questo non soltanto riduce a 12 il numero degli agenti le cui lesioni potrebbero in astratto essere attribuite ad atti di resistenza, ma rende plausibile che tali lesioni si siano venrificate accidentalmente, soprattutto nella fase di ingresso alla DIAZ (descritta, tra gli altri, da FOURNIER come particolarmente caotica), con la conseguenza che neppure questi 12 referti possono smentire la versione dei fatti sulla quale concordano le dichiarazioni degli arrestati e di molti degli operatori di polizia.
Vi è un ultimo elemento, che costituisce ulteriore riscontro alla ricostruzione secondo la quale la violenza sulle persone poi arrestate si scatenò in modo del tutto indipendente da atti di resistenza da esse posti in essere.
Uno dei feriti più gravi, il giornalista inglese COVELL, interrogato dal PM il 27.7.01 (non aveva potuto presenziare all‚udienza di convalida dell'arresto tenutasi il 25 per le gravi condizioni in cui si trovava; era infatti in prognosi riservata per "pneumotorace, trauma emitorace, spalla e omero e trauma cranico") dava la seguente versione dei fatti: la sera del 21, mentre era nella DIAZ aveva sentito gridare "Carabinieri, Carabinieri"; era quindi corso fuori con un'altra persona (da lui indicata come "Sebastian") e aveva trovato il cancello chiuso con un lucchetto; il ragazzo che lo aveva chiuso gli aveva aperto ed egli era cosi potuto uscire sulla strada; aveva visto arrivare "uno schieramento di Carabinieri, circa 200"; la persona che era davanti allo schieramento lo aveva colpito al collo "con uno strumento" un altro lo aveva spinto contro il muro con lo scudo e gli aveva picchiato le gambe con il manganello, facendogli perdere l‚equilibrio; lui si era messo a gridare di essere giornalista ("press, press"), nel tentativo di fermarli, ma gli era stato risposto "you are a black block, we gonna kill blackblocks" e in cinque o sei lo avevano preso a calci e a manganellate mentre era a terra; dopo qualche minuto un "carabiniere" gli aveva sferrato un calcio alla schiena, seguito da altri, che lo avevano preso a calci per circa cinque minuti sospingendolo "come una palla da foootball" fino al centro della strada; era arrivato un altro "carabiniere che aveva ordinato ai colleghi di smettere e gli aveva tastato il collo per sentire i battiti; aveva quindi visto un furgone che sfondava il cancello, dal quale entravano nel cortile della DIAZ settanta - cento uomini, arrivati da tutte le parti; a quel punto aveva cercato di alzarsi per fuggire ma era sopraggiunto un agente che gli aveva sferrato con il manganello più colpi, uno dei quali gli aveva fatto perdere denti e sangue e a quel punto era svenuto.
Non diversamente dagli altri arrestati, COVELL descrive una violenza (particolarmente accanita e reiterata, nel suo caso) non preceduta da alcun atto di resistenza da parte sua. La peculiarità del suo racconto sta ovviamente nel fatto che sarebbe stato picchiato sulla pubblica via, prima ancora che avesse inizio la perquisizione (e, quindi, prima che venissero posti in essere il lancio di oggetti e gli altri atti resistenza di cui al verbale d'arresto). Il riferimento ai "carabinieri" potrebbe indurre a dubitare della sua attendibilità (sebbene, trattandosi di straniero, l‚equivoco appare giustificato), dal momento che è pacifico che il contingente di carabinieri, che aveva il compito di formare un cordone intorno alla DIAZ, arrivò in un momento successivo e non entrò nel cortile della scuola, mentre COVELL riferisce del cancello forzato e dell'ingresso.
Ma è davvero difficile dubitare di del racconto di COVELL che trova conferma non soltanto nel referto relativo alle lesioni da lui riportate, ma anche nelle dichiarazioni di due appartenenti alla polizia. MORTOLA ha infatti dichiarato (interr. 23.7.02) "all'esterno del cancello dalla mia posizione ricordo di aver visto una persona, nei pressi dei cassonetti, caduta a terra; dico così perché l‚ho vista che era già a terra; non so dire se fosse ferita; non mi sono interessato perché c‚erano alcuni poliziotti vicino ad occuparsene; non so nemmeno dire se questa persona sia stata arrestata; dal contesto di quanto dichiarato da MORTOLA in quell'interrogatorio risulta che il dirigente della DIGOS si trovava all'esterno del cancello (a quel punto già forzato) e a circa 20 - 25 metri dallo stesso. A ciò si aggiunge quanto dichiarato dall'agente BURGIO, sentito come teste in relazione alla vicenda delle molotov il 4.7.02; in tale occasione BURGIO ha riferito di aver seguito con il furgone un'auto dello SCO, di aver parcheggiato il mezzo in piazza Merani e di essersi diretto verso la DIAZ, notando così che "c'era molta confusione davanti alla scuola; mi ricordo addirittura di aver visto poco distante dalla piazzetta una persona a terra molto ferita e che ho personalmente provveduto a soccorrere versandogli dell'acqua sulle ferite, non era italiano, mi preoccupai di chiamare e sollecitare l‚arrivo di un‚ambulanza".
Le dichiarazioni che precedono, delle quali non vi è alcun motivo di dubitare, non possono riferirsi che a COVELL, posto che nessuno degli altri arrestati risulta essersi trovato fuori dalla scuola e non vi è notizia di feriti; estranei all'operazione DIAZ, soccorsi in quella notte in via Cesare Battisti. E' del resto impensabile (e comunque nessuno ne riferisce) che nelle gravissime condizioni in cui si trovava, COVELL possa essere uscito dalla scuola mentre era in corso la perquisizione ed avere attraversato il cortile, portandosi sulla strada, senza che nessuno dei numerosi operatori di polizia presenti se ne avvedesse.
Dunque, nessuno degli operatori sentiti ha smentito quanto dichiarato da COVELL ed anzi due di essi ne hanno fornito una conferma.
Da tutto quanto precede consegue che la sola ricostruzione possibile sulla base degli atti di questo procedimento di quanto accadde alla DIAZ nella notte 21-22.7.01 è quella che di fatto esclude che gli indagati abbiano posto in essere atti di resistenza e ciò, in sintesi, perché quanto dagli stessi dichiarato non ha trovato una seria smentita, ma semmai delle conferme nelle dichiarazioni rese dagli operatori di polizia negli atti del procedimento n. 14125/01, allegati in copia, atti nei quali sostanzialmente si esauriscono le indagini svolte sull'episodio.
Resta infine da esaminare l'ipotesi di citi all'art. 337 cp nella forma della."violenza impropria" avendo il PM ravvisato il reato nel comportamento di coloro che, all'arrivo della polizia chiusero le porte, mettendovi contro della mobilia. Il fatto è provato: su di esso concordano le dichiarazioni rese dai funzionari, dal teste GIESER e vi sono anche le ammissioni di alcuni degli arrestati che hanno detto di aver visto altri porre in essere tale comportamento. Un'attenta lettura dell‚elaborazione giurisprudenziale del concetto di violenza impropria ed, in particolare delle ipotesi nelle quali ne è stata ravvisata la sussistenza, porta ad escludere che tale tipo di violenza ricorra nel caso in esame. E' certamente pacifico che la violenza di cui all'art 337 cp non debba necessariamente essere esercitata sul pubblico ufficiale, ma possa avere ad oggetto anche persone diverse da questi (ivi compreso lo stesso autore del reato - cosi Cass. sez. 6 n 2020 del 11.2.89) ovvero cose. Tuttavia pur sempre di violenza deve trattarsi e cosi gli esempi di "violenza impropria" che si ritrovano nella giurisprudenza sono quelli di chi, strappato un documento dalle mani del pubblico ufficiale, tenta di distruggerlo (Cass. sez. 6 n. 11897 del 12.12.92); dei tifosi che aggrediscono i pullman che trasportano la squadra ospite (Cass. sez. 6 n. 15040 del 3.11.89); di chi, sferrato un calcio contro un mobile, colpisce per errore un carabiniere (Cass. sez. 6 n 3682 del 28.10.97) e, di chi, in automobile, per sottrarsi a un inseguimento, compie manovre pericolose (Cass. sez. 4 n. 4325 del 13.1.83) ovvero non ottempera all'alt intimategli e dirige il veicolo contro gli agenti (Cass. sez. 6 n. 7061 del 15.7.96). Dall'esame degli esempi ricorrenti in giurisprudenza emerge che non qualsiasi attività diretta ad ostacolare il compimento dell'atto del pubblico ufficiale configura violenza impropria, ma che l'ipotesi ricorre solo quando sulle cose venga esercitata una violenza diretta a danneggiarle (l'impossessarsi di un documento per distruggerlo, l'aggressione ai pullman, il calcio sferrato contro il mobile) ovvero quando il comportamento si concreti quantomeno in una messa in pericolo di persone o di cose (le manovre spericolate dell'automobilista in fuga) e non anche, ad esempio, nel caso, frequente e del tutto simile a quello oggi in esame, del detentore di stupefacente che, avendo percepito l'arrivo della polizia, chiuda a doppia mandata e con il chiavistello la porta di casa.
Con le precisazioni che precedono deve essere quindi accolta la richiesta del PM.
PQM
dispone l'archiviazione del procedimento, ordinando la restituzione degli atti al Pubblico Ministero in sede.
Genova, 12.5.03
IL GIUDICE
(dr. Anna Ivaldi)
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