LA FIOM IN PRIMA LINEA
di Gianni Rinaldini
Provate a chiedere in giro: che cos’è oggi la Fiom?
Scoprirete che il maggior sindacato industriale italiano è percepito nei modi più diversi, addirittura opposti, a seconda dell’interlocutore a cui avete rivolto la domanda.
Per esempio, dalle parti della sinistra ulivista non sono pochi quelli che accusano la Fiom di minoritarismo: un sindacato troppo radicale, troppo orgogliosamente autonomo non solo rispetto all’opposizione politica ma persino alla stessa Cgil. Di conseguenza è un sindacato isolato, come mai gli è capitalo negli ultimi cinquant’anni. Isolato come negli anni duri, quando Vittorio Valletta, sponsorizzato e foraggiato a questo scopo dall’ambasciatrice americana Luce, ripuliva le officine dai dirigenti e dai militanti della Fiom. Potrà sembrare strano, ma in quest’orgia revisionistica non manca chi, anche nel centro-sinistra, ritiene quell’epurazione un prezzo giusto, pagato per consentire l’avvio del miracolo italiano. I detrattori della Fiom vanno oltre, precisando che almeno negli anni cinquanta la Fiom, per esempio negli scioperi politici contro la guerra americana in Corea del Nord, dalle parti del 38° parallelo, aveva la copertura del maggior partito comunista dell’Occidente. Oggi non è così.
Dunque la Fiom, senza coperture ‘politiche’, separata ormai in tutte le battaglie dalle organizzazioni metalmeccaniche di Cisl e Uil, alla Fiat come nel rinnovo contrattuale, e separata dalla maggioranza della Cgil sul referendum per l’estensione dell’articolo 18, è sola.
La Fiom è sola? Provate a chiederlo ai lavoratori metalmeccanici, come la pensano a questo proposito. Vi risponderanno che siete ubriachi. Come prova vi mostreranno i dati degli scioperi e delle manifestazioni indette dalla sola Fiom in difesa delle condizioni lavorative e del contratto nazionale. Vi racconteranno che in tutte le elezioni per i rinnovi delle Rsu la Fiom va avanti, rosicchiando consensi a Fim e Uilm nelle fabbriche come negli uffici. Vi diranno che il loro è l’unico sindacato che ha scelto la strada della democrazia, sottoponendo al giudizio dei lavoratori – tutti, non soltanto quelli della Fiom – la piattaforma contrattuale, raccogliendo un consenso inedito, maggioritario. Vi diranno che la loro è l’unica piattaforma che ponga un argine – e cioè un limite, un tetto – alla precarizzazione dilagante. Vi diranno un sacco di altre cose convincenti: per esempio che mai più la loro organizzazione firmerà un accordo che non sia stato votato e condiviso dai lavoratori, a prescindere dalla tessera che hanno o non hanno in tasca. E così la smetterete di parlare di solitudine, isolamento, estremismo, settarismo.
Anche dai giovani del movimento dei movimenti potreste ascoltare parole di stima e di solidarietà nei confronti dei militanti della Fiom, con cui hanno marciato insieme a Genova quando a Genova non c’era la Cgil, con cui hanno discusso a Porto Alegre, che hanno aiutato nella dura battaglia contro la liquidazione dell’ultima grande industria italiana, la Fiat, magari andando a occupare la pinacoteca «Gianni e Marella Agnelli» al Lingotto. E i giovani e meno giovani arcobaleni di pace potrebbero rinfrescarvi la memoria, ricordando la presenza della Fiom nelle manifestazioni contro altre guerre, quelle combattute dal centro-sinistra e non osteggiate dalla Cgil, ai tempi del Kosovo, quando le bombe erano ‘intelligenti’ e le guerre ‘umanitarie’.
Gianni Rinaldini è un uomo mite, uno a cui non piace alzare la voce. A parlarci insieme, potresti essere tratto in inganno sul suo carattere, che invece è quanto mai determinato. Con il segretario generale della Fiom abbiamo parlato di contratti, di Fiat, di Articolo 18. Ma soprattutto abbiamo parlato di Fiom.
Siete sotto tiro, nel mirino innanzitutto dei padroni. Federmeccanica è arrivata a minacciare di rappresaglie chiunque avesse deciso di aderire allo sciopero della Cgil del 21 febbraio, che voi avete raddoppiato da 4 a 8 ore. I padroni dicono che in fase di rinnovo contrattuale deve valere la moratoria. La provocazione di Federmeccanica – che nel merito non si regge in piedi, in quanto noi si sciopera contro il declino industriale e le leggi del governo, che hanno trasformato il mercato del lavoro in un supermercato a prezzi stracciati, non per il contratto, e dunque non ha senso appellarsi alla moratoria degli scioperi – svela l’approccio dell’associazione degli imprenditori alla trattativa. Nei confronti nostri e della nostra piattaforma hanno avuto un atteggiamento aggressivo fin dall’inizio, tanto che ancora non ci è stata data un risposta nel merito, il confronto non è mai iniziato. Quello che non digeriscono è che al centro abbiamo messo la lotta alla precarizzazione, disegnando un percorso che garantisca, dopo un definito periodo di tempo, la trasformazione dei contratti atipici in assunzioni a tempo indeterminato. In sostanza, tentate di ribaltare il processo di deregulation in atto anche a livello legislativo. La Legge delega sul lavoro, approvata dal Parlamento, accelera e istituzionalizza la distruzione dei diritti del lavoro, al punto che Confindustria e Federmeccanica hanno brindato alla «svolta epocale» e alla «più importante riforma degli ultimi quarant’anni». E ora tocca alla Delega 848 bis, il grimaldello per scassare l’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Siamo alla precarizzazione di massa e alla modifica del ruolo delle rappresentanze sociali. Non è difficile capire la radicalità e la pericolosità del cambiamento delle funzioni dei sindacati, negli enti bilaterali che hanno il compito di certificare i rapporti di lavoro. La piattaforma presentata dalla Fiom si muove in una direzione opposta e tenta di contrastare il processo in atto. Si tratta di una battaglia che assume un carattere generale, perché va ben oltre la categoria dei metalmeccanici. Se, al contrario, dentro il nostro contratto dovesse passare una rottura coerente con la deregulation legislativa, sarebbe scritto il futuro dell’istituto stesso del contratto nazionale: verrebbe cancellato e alla precarizzazione di massa non ci sarebbero più argini. La direzione di marcia che vogliamo invertire è quella che ci porterebbe diritti filati verso il modello americano, quello del lavoro in affitto, con una caduta di rappresentanza sociale e sindacale. Verso sindacati non più fondati sulla contrattazione e la rappresentanza dei lavoratori, bensì trasformati in strutture di servizio e di mercato. Come negli Usa, appunto, dove non esistono i contratti nazionali. È difficile pensare che Fim e Uilm non abbiano compreso la posta in gioco; evidentemente il loro giudizio sui processi in atto è radicalmente diverso. Come giudichi l’uscita del segretario generale della Fim, Giorgio Caprioli, che – commentando l’attacco di Federmeccanica al diritto di sciopero – si è detto tranquillo: non mi tocca, la minaccia non riguarda i lavoratori della Fim ma solo quelli della Fiom. La giudico una reazione incredibile, preoccupante perché porta la logica del ‘sindacato degli iscritti’ alle estreme conseguenze. In questo modo si esprime disprezzo nei confronti dei lavoratori. Un sindacato che varca questa soglia rischia di andare molto in là, verso il sindacato corporativo che liquida il rapporto democratico con i lavoratori. Tornando alla Federmeccanica, io escludo che una politica aggressiva impostata sui ricatti e le minacce possa sortire gli effetti desiderati. Per un fatto molto semplice: ricatti e minacce non si possono accettare. La vostra piattaforma è l’unica che si ponga concretamente l’obiettivo di invertire la tendenza alla precarizzazione del lavoro. Se la Cgil fosse fino in fondo solidale con la Fiom, si preoccuperebbe di non lasciarvi soli in una battaglia che, come dici tu, è generale. Sugli attacchi della Federmeccanica la Cgil ha espresso un giudizio molto netto e convinto. È vero però che le piattaforme delle altre categorie hanno un’accentuazione diversa sui temi della flessibilità. Ma la fase è cambiata con le leggi delega, e quando arriveranno i decreti attuativi della 848 e 848 bis, tutti saranno costretti a fare i conti con le novità, cioè con la precarizzazione di massa. Lo stesso dicasi per la nuova normativa sui contratti a tempo determinato, la cui incidenza può arrivare nelle fabbriche fino al 60%. Allora mi spieghi a che servono i contratti, se le percentuali eventualmente in essi definite non sono più vincolanti, grazie a una legge nazionale peggiorativa? Intorno ai temi che poniamo nella nostra piattaforma, dobbiamo far crescere un consenso generale nella Confederazione. Modifica del ruolo dei sindacati e loro esclusione dalle scelte. Persino l’informazione, insieme alla contrattazione, viene negata. È come sempre emblematico e rivelatore di un processo più generale il caso della crisi Fiat. Esattamente: nella gestione della crisi Fiat è escluso ogni ruolo significativo dei sindacati. Siamo al rapporto diretto padroni-governo. Non si è riusciti ad aprire una vera trattativa con la multinazionale torinese, che punta a trattare stabilimento per stabilimento, frantumando il confronto nel territorio, dove sceglie il rapporto con gli enti locali piuttosto che la trattativa con noi. Noi ripetiamo dall’inizio un concetto incontestabile: quello della Fiat è un piano finanziario e non industriale; per di più, quel piano non contiene le risorse che servirebbero per il salvataggio e il rilancio dell’auto. Neppure ci rispondono, pensano di poter decidere da soli sul futuro di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Tutto vero. Eppure la sinistra sembra disinteressata, distratta, assente. Non mi sembra che sul caso Fiat abbiano messo in campo una forza paragonabile a quella con cui si è tentato di fermare la Cirami. C’è una totale assenza di iniziativa politica, è vero. Come se il futuro della Fiat fosse affare privato della famiglia Agnelli. Il progressivo abbandono delle tematiche del lavoro da parte dell’opposizione di centro-sinistra – delle sue componenti maggioritarie – forse spiega l’atteggiamento infastidito quando non totalmente ostile nei confronti del referendum per l’estensione dell’Articolo 18, di cui la Fiom è copromotrice. Al referendum si arriva nel contesto di cui si è parlato, dentro i processi di precarizzazione di massa. Con il completamento degli impegni assunti attraverso il Patto per l’Italia arriverà l’attacco all’Articolo 18, che finirebbe per non coprire più neppure i dipendenti di aziende che occupino più di 15 lavoratori. In questo momento, l’unico modo per fermare la macchina liberista che viaggia a tutto gas contro lo Statuto, e dunque contro i diritti dei lavoratori, è la vittoria del ‘sì’ al referendum. La vittoria del ‘sì’ è uno strumento per difendere i diritti acquisiti e per estenderli a tutti. L’aver promosso il referendum è stato l’opposto di una fuga in avanti. Mi sembra però che, dopo una prima reazione nervosa alla decisione di ammissibilità del quesito, ora il confronto anche a sinistra e nella Cgil si vada rasserenando. Il referendum chiede di estendere ai dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti il diritto a essere reintegrati nel caso in cui il giudice dichiarasse ingiusto il licenziamento. È pensabile essere contro un referendum che chiede di eliminare un elemento di divisione tra i lavoratori? In un referendum si è costretti a misurarsi sul merito del quesito posto, non dimentichiamocelo. E allora voglio vederli i lavoratori, voglio vederli i militanti della Cgil a dire che no, loro non vogliono estendere un diritto ai meno garantiti. Piero Fassino – che va a rassicurare le organizzazioni imprenditoriali sul fatto che il suo partito ritiene una sciagura il referendum – usa armi improprie, arriva persino a dire che, se passa il ‘sì’, cresce il lavoro illegale. Stupidaggini. Restiamo al quesito, e rispondiamo se condividiamo o no il merito della proposta. Io credo che questo referendum si possa vincere. Non dimentichiamoci che anche in occasione del referendum sul divorzio, all’inizio le reazioni delle sinistre furono di preoccupazione. Allora si sventolava il rischio di frattura con i cattolici, oggi si sventola il rischio di rompere con gli artigiani. Il referendum sul divorzio l’abbiamo vinto, cerchiamo di vincere anche quello sull’estensione dell’Articolo 18.
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